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giovedì 6 agosto 2009

Tutta un'altra strage. La strategia della destra per cancellare le proprie responsabilità (di Saverio Ferrari)



La strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, la più grave nell'Italia del dopoguerra, smentendo un luogo comune, non è stata l'unica conclusasi con una sentenza di condanna nei confronti di neofascisti. Altre due, infatti, pur con un cammino giudiziario assai tormentato, sono approdate a esiti analoghi: quella di Peteano, in provincia di Gorizia, del 31 maggio 1972, riguardante l'assassinio di tre carabinieri attirati in una trappola e fatti saltare in aria con un'autobomba, e quella del 17 maggio 1973 davanti alla Questura di Milano con il lancio, al termine dello scoprimento di un busto in onore del commissario Luigi Calabresi, di una bomba a mano che mancando l'obiettivo delle autorità esplose tra i passanti causando quattro morti e 45 feriti.

Per la prima furono condannati all'ergastolo due esponenti di Ordine nuovo, Vincenzo Vinciguerra e Carlo Cicuttini, ancora oggi detenuti, per la seconda, invece, Gianfranco Bertoli fu arrestato in flagrante, risultando alla fine, come da sentenza di Cassazione, non un anarchico, ma un collaboratore dei servizi segreti in stretti rapporti con ambienti dell'eversione di destra.

Ma l'importanza di Bologna risiede in primo luogo nell'altissimo numero delle vittime, 85 morti e oltre 200 feriti, colpite indiscriminatamente tra la folla in attesa di partire per le vacanze. Un eccidio di gente comune. Non come a Peteano, dove si decise scientemente di fare strazio di rappresentati delle forze dell'ordine o, come a Milano, dove si cercò di eliminare un'alta carica governativa: l'allora ministro dell'Interno Mariano Rumor. Per questo la strage di Bologna, soprattutto per questo, è diventata una macchia infamante che il neofascismo italiano ha cercato di allontanare da sé, in ogni modo. Spesso maldestramente.
Per sostenere l'innocenza di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari), ambedue condannati all'ergastolo nel novembre 1995 dalla Cassazione a sezioni penali unite, si è in un primo momento cercato di avvalorare la tesi dell'incomprensibilità del gesto, si disse e si sostiene ancora oggi, privo di una sensata collocazione all'interno di un reale disegno politico destabilizzante, omettendo di rilevare come in realtà la strage fosse attesa, che nell'ambiente della destra eversiva se ne parlasse con insistenza già da mesi. Diverse le testimonianze. Frenetica fu anche l'attività di recupero di grosse quantità di esplosivo. Addirittura un alto esponente di Ordine nuovo, Massimiliano Fachini, avvisò della tragedia imminente una sua amica, invitandola a lasciare Bologna. Va solo detto che tra i membri di Ordine nuovo e i Nar intercorrevano intensi rapporti. E' stato più volte dimostrato.
Non solo, in una relazione, del tutto sottovalutata, dei servizi informativi del giugno precedente si scrisse della «pericolosità del terrorismo di destra» in grado di realizzare «imprese con alta potenzialità distruttiva».
Ma c'è di più: il 10 settembre 1980 venne sequestrato a Carlo Battaglia, referente a Latina di Paolo Signorelli, uno dei massimi dirigenti di Ordine nuovo, un documento manoscritto in cui si parlava apertamente di «arrivare al punto che non solo gli aerei, ma le navi e i treni e le strade siano insicuri: bisogna ripristinare il terrore... Al di fuori di noi, con le nostre idee ci sono milioni di uomini… essi ci aspettano… Diamo un segno inequivocabile della nostra presenza... Occorre un'esplosione da cui non escano che fantasmi».
Questa idea del massacro indiscriminato mediante attentati apocalittici per provocare "la disintegrazione" del sistema non era affatto il parto della mente malata di qualche farneticante neofascista. Era il frutto di una visione che, per quanto disperante e insensata potesse apparire, attraversava davvero l'estrema destra eversiva di quegli anni. A riprova il ritrovamento solo un mese dopo la strage, il 31 agosto, di un altro e precedente documento di 26 fogli, proprio a Bologna, elaborato da Mario Tuti, già protagonista di tentate stragi, tra il dicembre 1974 e il gennaio 1975, sulla linea ferroviaria Chiusi-Arezzo. Una specie di risoluzione strategica indicante la necessità di «iniziare la lotta armata fondandosi su piccoli nuclei operativi», senza essere minimamente frenati «dalle norme della cosiddetta morale borghese», perseguendo «un terrorismo indiscriminato». «Con specifici attacchi» - concludeva il documento - «non necessariamente rivendicati dalla nostra parte si potranno aumentare sino a un limite insostenibile per il tessuto dello Stato le tensioni politiche… causando già di fatto uno scollamento irreparabile del tessuto sociale… in un clima di guerra civile».
Per tornare ai tentativi di depistaggio operati dalla Destra anche dopo la sentenza definitiva di Cassazione, si è in seguito anche sostenuta la tesi, avvalorata autorevolmente dall'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, dell'esplosione accidentale di una partita di esplosivo in fase di trasporto. Fatto già di per sé impossibile a realizzarsi, come confermato a più riprese da periti ed esperti, data la natura della bomba, 23 kg in prevalenza composti da T4, un tritolo militare, bisognoso necessariamente di un innesco, nella circostanza probabilmente chimico a tempo.
Va infine annotata la campagna ancora in corso, animata da alcuni ex esponenti di An, letteralmente inventata nell'ambito della commissione Mitrokhin durante il secondo governo Berlusconi, tendente a incolpare la resistenza palestinese, segnatamente il Fronte per la liberazione della Palestina (Fplp), in combutta con l'organizzazione Separat guidata dal terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos. All'origine «una ritorsione nei confronti dell'Italia» per la condanna ad alcuni anni di carcere di Abu Azeh Saleh, arrestato dalla polizia stradale a Bologna il 13 novembre 1979 per il trasporto, unitamente a Daniele Pifano e altri due esponenti dell'Autonomia romana, di due lanciamissili Strela di fabbricazione sovietica, destinati ad essere imbarcati al porto di Ortona a Mare e diretti in Libano.
Il tutto inizialmente sulla base di un'intervista rilasciata da Marco Affatigato nel settembre 1999 a Gian Paolo Pelizzaro, consulente della commissione Mitrokhin, pubblicata sul periodico Area , organo ufficiale in quegli anni della "Destra sociale", corrente di An capitanata da Alemanno e Storace. «Negli archivi di Stato della Germania è conservato un documento dell'ex-Stasi, mai arrivato in Italia» - così disse Affatigato - «in cui si fa cenno della presenza a Bologna del noto terrorista internazionale Carlos nei giorni precedenti la strage, a capo di una cellula palestinese. Su questo versante nessuno ha voluto mai indagare. Perché?».
Basti solo dire che presto si appurò che il documento della Stasi, citato da Affatigato, semplicemente non era mai esistito. Un grossolano tentativo di falsificazione della realtà da parte di un personaggio già membro di Ordine nuovo, condannato per ricostituzione del Partito fascista, per sua stessa ammissione fonte informativa della Cia, non nuovo a questo genere di cose. Fu, tra l'altro, già coinvolto in un precedente tentativo di inquinamento delle indagini, sia su Ustica che direttamente su Bologna.
Va oltretutto ricordato come Alfredo Mantovano, uno dei massimi dirigenti di Alleanza nazionale, già sottosegretario al Ministero degli interni, rispondendo ad un'interrogazione, il 16 ottobre 2003, sulla supposta presenza di Carlos a Bologna ufficialmente concludeva che: «l'ipotetica presenza negli anni Settanta e Ottanta a Bologna o in Italia del terrorista venezuelano Ilich Vladimir Ramirez Sanchez, detto Carlos, attualmente detenuto in Francia, non ha trovato alcun riscontro».
E' noto invece, citiamo l'ultimo cavallo di battaglia utilizzato per sostenere con piste alternative l'innocenza dei Nar, che il 2 agosto del 1980 a Bologna fosse presente un terrorista di nome Thomas Kram. Un esperto in falsificazione di documenti e non in esplosivi, componente delle Cellule rivoluzionarie (Rz), un gruppo che rivendicò 180 azioni terroristiche nella Repubblica federale tedesca dal 1973 al 1995, ma che non fece mai parte di Separat. Giunse a Bologna il primo agosto 1980. Al valico di frontiera fu fermato e identificato da agenti di polizia ai quali mostrò un documento di identità valido a suo nome. Pernottò nella notte, tra l'1 ed il 2 agosto, nella stanza 21 dell'albergo Centrale in via della Zecca, presentando la sua patente di guida, anch'essa non contraffatta e con i suoi estremi. La Questura di Bologna segnalò i suoi movimenti all'Ucigos, che già all'epoca era a conoscenza dei suoi spostamenti in città. Dunque nulla di nuovo, data la comprovata mancanza di legami tra Thomas Kram, che per altro non viaggiava in incognito e pernottava in alberghi con documenti regolari a proprio nome (un ben strano terrorista) e la strage.
Si evocano dunque complotti invisibili, scenari insondabili. Nei tempi in cui viviamo trovano terreno fertile. La Destra ha bisogno di liberarsi al più presto dello scheletro della strage alla stazione di Bologna posto nel suo armadio, il più ingombrante in assoluto. Dopo aver seminato dubbi e intossicato l'opinione pubblica, come sta accadendo, verrà poi anche il tempo, qualche accenno si scorge già, per sostenere che la strage di piazza Fontana fu in verità opera degli anarchici. La storia va riscritta.

Saverio Ferrari - Liberazione, 2 agosto 2009

mercoledì 29 luglio 2009

Insurgent City Parma & Rita Pelusio (Festival culture antifa 2009)




Presentazione del progetto Insurgent City di Parma al Festival delle Culture Antifasciste di Bologna.
La presentazione e' intervallata da una performance musicale di Rita Pelusio che ha improvvisato un suo spettacolo durante l'ultima serata del festival.

mercoledì 8 luglio 2009

La libertà finisce quando inizia la paura - Reggio Emilia 11 luglio


... Arrendetevi illusi: legge contro i poveri non contro la mafia, norme contro chi sopravvive non contro chi specula, agevolazioni per le boutique e ordinanze contro chi vuole vivere il centro storico come bene comune gratuito...



[leggi il testo completo in: Io non ho paura - R.E.]

mercoledì 3 giugno 2009

Bologna si riscopre rossa, resistente e antirazzista (da il manifesto)

Grande successo per il festival delle culture antifasciste. Insieme centri sociali e Anpi. Un esperimento da ripetere
Bologna si riscopre rossa, resistente e antirazzista
(di Giusi Marcante, il manifesto, 2 giugno 2009)


Chiude oggi a Bologna il Festival sociale delle culture antifasciste e in giro per il parco delle Caserme Rosse, il lager della città che funzionò come centro di smistamento e deportazione verso la Germania tra il '43 e il '44, c'è già chi parla della prima edizione pensando ad un futuro per questa cinque giorni che ha tentato (e il risultato è decisamente lusinghiero) più di un esperimento.
Il primo è stato quello di allargare il concetto di antifascismo a partire dalla convinzione che il fascismo del nostro tempo si declina in modi diversi.
Come nel razzismo delle leggi contro gli immigrati o in quel conformismo già biasimato da Pier Paolo Pasolini nel 1962: «L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è ora il fascismo». C'è questa frase alla base dell'appello lanciato da un gruppo di persone trasversali ai centri sociali della città che hanno preferito fare un passo indietro rispetto alle identità degli spazi per presentarsi come rete informale.
E qui arriva l'altro esperimento: nella Bologna medaglia rossa della Resistenza l'Anpi e i centri sociali si sono sempre guardati a distanza ma dal 2006, quando è stata data la possibilità di iscriversi all'associazione anche a chi non ha fatto la lotta partigiana, molti giovani si sono iscritti.
Nel quartiere della Bolognina il presidente della sezione Anpi si chiama Armando Sarti, anche lui non è stato un partigiano ma il suo lavoro di ricerca sulle Caserme Rosse ha contribuito a svelare una storia ancora poco conosciuta su quel luogo. Sarti ha accettato il confronto e la proposta dei centri sociali e il festival ha preso vita con un lunghissimo programma che in cinque giorni ha proposto più di 90 eventi tra dibattiti, presentazioni di libri, spettacoli e concerti. Uno su tutti il concerto delle "bande partigiane" ( dalla Banda Roncati di Bologna agli Ottoni a scoppio di Milano ai Fiati Sprecati di Firenze) che ieri pomeriggio ha attraversato assieme a 200 persone il centro della città fino al sacrario dei caduti della Resistenza.
E se al presidente provinciale dell'Anpi William Michelini, che pure ha dato il patrocinio, non piace sentir parlare di centri sociali, sono stati diversi gli ex partigiani e gli ex deportati che hanno partecipato alle iniziative. Insomma una dialettica normale anche in un'associazione come quella degli ex partigiani. Il festival è stato totalmente autogestito e autofinanziato, nel parco ha funzionato un campeggio e una cucina che ha distribuito centinaia di pasti.
Questa mattina nell'assemblea conclusiva si deciderà quale percorso dare all'esperienza del Festival sociale delle culture antifasciste che potrebbe diventare una scadenza annuale. Il percorso è stato in parte tracciato in questi giorni e tutte le iniziative e le persone che sono state coinvolte costituiscono la prima parte della scatola degli attrezzi per affrontare il fascismo dei nostri tempi.

lunedì 1 giugno 2009

Festival culture antifasciste : sul corteo di oggi - un documento da Armando Sarti (presidente ANPI Bolognina)

Sulla serenità e il carattere produttivo ed aperto degli incontri che si svolgono al Festival delle culture antifasciste in corso dal 29 maggio al 2 giugno al parco delle Caserme Rosse di Bologna (quartiere Bolognina) ieri è planata l'ombra di un articolo di particolare rozzezza.
Mi riferisco al pezzo pubblicato ieri sulle pagine bolognesi del quotidiano la Repubblica, a firma Eleonora Capelli, dal titolo: "I centri sociali alla festa antifascista - l'Anpi si divide".
Per dare un'idea del pezzo cito le prime righe:
"I ragazzi dei centri sociali e i 'nonni' dell'Anpi: la strana coppia che 'scavalca' i partiti al Festival sociale delle culture antifasciste in corso alle Caserme Rosse divide l'Associazione nazionale partigiani d'Italia ... "
E più oltre il brano viene al sodo, per mezzo di questa frase breve ma eloquente:
"Comunque, quelli delle Caserme Rosse sono giovani troppo radicali per il Pd".
E il segretario bolognese del Pd, De Maria (del resto molto più giovane di me e tant* altri che - oltre a molt* giovani - alle Caserme Rosse ci vanno e partecipano al Festival), rincara la dose...
Ma stendiamo un pietoso velo. Non intendo annoiare ulteriormente chi legge, ricopiando questa prosa, di cui si sarà già colto il succo.

Oggi, visto il polverone giornalistico scagliato sul Festival, ho interpellato Armando Sarti, presidente dell'Anpi Bolognina, il quale mi ha trasmesso alcuni documenti relativi al Festival, autorizzandomi a pubblicare quel che volevo.
Ho scelto il documento relativo alla manifestazione di oggi. Che pubblico integralmente di seguito:


A.N.P.I. - Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
Sezione Bolognina - Via Corticella 145 - 40129 Bologna
Bologna, 27 maggio 2009
Al Signor Questore di Bologna
Al Signor Sindaco di Bologna
Al Signor Presidente del Q.re Navile
All’Ufficio Traffico Comune di Bologna
Al Comando Polizia Munic.le di Bologna
Alla Polizia Municipale Reparto Navile
All’U.R.P. Q.re Navile Via Tibaldi 17
e p.c. Al Signor Presidente Atc
Oggetto: LUNEDI’ 1° GIUGNO 2009 ORGANIZZAZIONE DI UN CORTEO DI BANDE MUSICALI, NELL’AMBITO DEL “FESTIVAL SOCIALE DELLE CULTURE ANTIFASCISTE” - MEETING DI MAGGIO A CASERME ROSSE, IN PROGRAMMA DAL 29/5 AL 2/6/2009.- INTEGRAZIONE RICHIESTA DEL 17/05/09.
La presente viene inviata quale integrazione alla richiesta in precedenza trasmessa datata 17 c.m. per chiedere l’autorizzazione all’organizzazione, nell’ambito del “Meeting di maggio” che si terrà a Caserme Rosse, via Corticella 147 - Bologna, dal 29 c.m. al 2 giugno p.v., di un corteo di bande musicali nella giornata di lunedì 1° giugno.
Per ridurre i disagi al traffico la partenza non avverrà più da Caserme Rosse, come in precedenza indicato, ma da piazza dell’Unità (dell’Unità d’Italia e luogo della battaglia della Bolognina del 15 novembre 1944), con concentramento alle ore 15, musica e lettura di poesie, partenza alle ore 15,30 in direzione centro città, percorrendo via Matteotti e via dell’Indipendenza.

Il corteo (di 70 musicanti - formato da 7 gruppi, provenienti anche dall’estero - e di circa 200 persone, dato presunto) giungerà in piazza Nettuno alle ore 17 circa per la deposizione di alcune corone di alloro al Sacrario delle Vittime della Resistenza, alle lapidi a ricordo dei deportati militari e civili nei lager nazisti, alla lapide che ricorda l’assassinio del giovinetto Anteo Zamboni, vittima innocente del fascismo, alla lapide che ricorda la Brigata Partigiana Garibaldi in Iugoslavia ed infine - nel primo cortile di Palazzo D’Accursio- alla lapide che ricorda le vittime dell’assalto fascista all’istituzione Comune ed alla Sala del Consiglio comunale del 21 novembre del 1920, assalto che provocò 10 morti ed almeno 50 feriti. Secondo nuove interpretazioni storiche è in quell’atto - di assalto al Comune - il momento di nascita del regime e della dittatura fascista e non già nella marcia su Roma dell’ottobre 1922.

mercoledì 18 marzo 2009

La primavera delle culture antifasciste: 5 giorni di incontri alle Caserme Rosse



Il Festival Sociale che si svolgerà a Bologna dal 29 maggio al 2 giugno, avrà come sede principale il Parco delle Caserme Rosse. Pubblico di seguito ampi brani del testo della convocazione, risultato (probabilmente provvisorio) di un diffuso reticolo di incontri, scambi, riunioni etc. che cooperano alla formazione e trasformazione dell'iniziativa.


. . . Ora che, con la crisi economica, il benessere va scemando, resta solo la stupidità, l’incultura, il perbenismo, l’arroganza, il grigiore di violenze e soprusi quotidiani. La marea dello “sviluppo” si ritira e lascia solo scorie e detriti. In questo quadro, il neofascismo si manifesta con nuove forme, alcune evidenti, altre molto più subdole e mascherate, tutte aggressive e violente. Cerca di ricostruirsi una legittimità sociale, utilizzando immaginari e slogan dell’ideologia politico-istituzionale della “sicurezza” che semplifica, nasconde, mistifica, propaganda miti razzisti e istiga all’odio sociale...
La reazione della società civile diventa più difficile e complessa e, certamente, molte delle forme note dell’attivismo e della contestazione antifascista risultano superate dall’evolversi del panorama sociale. Diventa forte il bisogno di confrontare percorsi e condividere risorse e saperi con tutti coloro che sentono la necessita di opporsi ad una delle peggiori derive razziste, xenofobe e sessiste della politica e della società italiana. Portiamo nel cuore e nella mente l’impegno e il sacrificio di ieri dei nostri partigiani, i valori di giustizia sociale, di libertà ed eguaglianza che hanno animato la loro resistenza. Da qui il desiderio di rispondere, con le armi della cultura e della critica, alla violenza predicata e praticata... Sentiamo forte la necessità di non rimanere in silenzio in un clima generale di smobilitazione dei valori della Resistenza, dei diritti fondamentali dell’uomo e delle stesse basi della convivenza civile...
invitiamo fin da ora singoli, gruppi, associazioni e movimenti a collaborare alla costruzione di questo festival sociale. Un grande momento di condivisione per socializzare percorsi, condividere e confrontare idee, proposte e ris
orse; l’occasione per sperimentare nuovi linguaggi e ridisegnare immaginari collettivi; per stimolare la nascita di nuove relazioni e dotarci di una “scatola degli attrezzi” per analizzare e agire nei confronti del fascismo che minaccia il nostro tempo...
Vogliamo sperimentare un metodo nuovo già nella costruzione dell’evento, decentrato e partecipato, aperto ai contributi di quanti si riconoscono
nella cultura e nei valori dell’Antifascismo...


[leggi il testo completo in fest-antifa.net]


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Ma quel che è più importante sottolineare da subito, è che il luogo prescelto per i cinque giorni di incontri ed iniziative antifasciste, ha un'importanza storica enorme, non ancora sufficientemente conosciuta. Le Caserme Rosse sono state un grande e poco noto centro di detenzione, smistamento ed anche di eliminazione dei rastrellati. Il 27 febbraio di quest'anno, alla commemorazione di Caserme Rosse (tenuta ad un mese di distanza dal giorno della memoria, in modo da non sovrapporsi a quell'appuntamento fondamentale) sono state deposte corone di fiori su quello che ormai viene chiamato "il muro dei fucilati": un lato del muro di mattoni che perimetrano l'area in cui sono stati rinvenuti in aree circoscritte, diversi fori di proiettili, soparati ad altezza d'uomo, a distanza ravvicinata. In quell'occasione Armando Sarti, presisente della sezione ANPi Bolognina, ha reso pubblica la notizia del rinvenimento di un secondo muro, che aveva scoperto una ventina di giorni prima: il 9 febbraio. Ci ha accompagnato sul posto: è un muro di mattoni che per molti metri è crivellato di colpi, la maggior parte dei quali è concentrata in punti specifici. Zone in cui si è evidentemente sparato molto, ad altezza d'uomo, in certi punti, contro il muro... Superata l'emozione, ho cercato di documentare come potevo , ed ho fatto qualche foto con il cellulare. La meno peggiore, è questa:


Per fare il punto sullo stato delle ricerche e della ricostruzione di quanto è avvenuto a Caserme Rosse, pubblico - con la cortese autorizzazione dell'autore, che ringrazio vivamente - un testo scritto da Armando Sarti per il 65° anniversario dell'inizio delle deportazioni.


A 65 ANNI DALLE PRIME DEPORTAZIONI
DA
CASERME ROSSE
Il lager nazifascista di Bologna

Il 9 settembre 1943, già dal giorno seguente l’armistizio con gli Alleati, i tedeschi avevano occupato gran parte dell’Italia centrosettentrionale. A Roma l’8 settembre 1943 si svolsero combattimenti fra Carabinieri, militari italiani e civili da una parte, contro i tedeschi dall’altra. Questi ultimi in breve ebbero la meglio, infatti contro poche centinaia di uomini armati solo di armi leggere, i tedeschi poterono fare uso di carri armati e pezzi di artiglieria. Quegli episodi a Porta S. Paolo ed alla Magliana furono i primi atti di Resistenza. Epico è stato l’eccidio di Cefalonia, dove migliaia di soldati e di ufficiali italiani non si arresero ai tedeschi, non si fecero disarmare. Per questo Adolf Hitler diede ordine di fucilarli tutti quelli di Cefalonia: truppa, ufficiali, generali compresi. Altri coraggiosi atti di ribellione e di combattimento si svolsero a Trento, presso il ponte dei Cavalleggeri: reparti di fanteria italiani contro i tedeschi. Alcuni combattimenti si svolsero a Bologna, presso la stazione centrale fra militari italiani e tedeschi. Ma la mancanza di ordini di dettaglio e l’impreparazione portarono alla rapida sconfitta di ogni forma di resistenza ai nazisti, così i tedeschi catturarono interi reparti senza combattere ed iniziarono il rastrellamento sistematico delle vie di comunicazione sud-nord per catturare i militari italiani, anche quelli che si erano già privati della divisa. Il “tutti a casa” per molti si tradusse in “tutti al lager”. Già dal 9 settembre, a Caserme Rosse di Bologna, in via di Corticella alla Bolognina, tutta la grande caserma, in precedenza adibita a scuola allievi ufficiali, era completamente in mano ai tedeschi, come erano già in mano dei nazisti tutte le stazioni ferroviarie, le caserme, i centri di potere del Regno d’Italia (prefetture, questure, province e comuni). A Caserme Rosse iniziarono ad essere ammassati ogni giorno, a centinaia, a migliaia, uomini di tutte le armi dell’esercito, Carabinieri, uomini della marina e dell’aeronautica. Tutti questi uomini erano accomunati da un sentimento di ripulsa della guerra fascista a fianco dei tedeschi, che, da alleati, si erano prontamente trasformati in occupanti nemici, in feroci esecutori degli ordini provenienti da Berlino, dal quartier generale di Adolf Hitler. Il trattamento dei rastrellati di Caserme Rosse era disumano. Ogni atto di resistenza o tentativo di fuga o ribellione era punito con la fucilazione. Fra le camerate i nazisti passavano ed operavano delle selezioni, delle vere e proprie decimazioni. Per dare l’esempio ed intimidire gli uomini i tedeschi mettevano in fila i prigionieri, poi, passando in rivista gli uomini schierati sceglievano chi fucilare, anche senza ragiona alcuna, ma solo per alimentare il terrore. Questo avveniva prima della deportazione. Una realtà che si ripeteva nel tempo. Partiti con i vagoni bestiame i primi uomini, ne arrivavano altri, a sostituire i militari deportati in Germania e così via, per mesi, dal settembre a fine novembre-dicembre 1943. Ai tedeschi poi si affiancarono fra fine settembre e i primi di ottobre 1943 i primi uomini della repubblica di Salò. A fine 2006, sulla base di testimonianze di ex deportati e di segnalazioni di civili che sentivano sparare da fuori Caserme Rosse, è stato cercato e trovato il luogo dove venivano eseguite le fucilazioni: il “muro dei fucilati ignoti”, così abbiamo chiamato un tratto del muro di recinzione sul lato interno, a nord-est del campo. Un muro crivellato di colpi, davanti il quale è certo, che a perdere la vita è stato un numero imprecisato, ma molto alto, di prigionieri italiani. Scoperto il muro è stata avviata una ricerca delle salme delle vittime. Un primo momento di ricerca è stato presso il cimitero della Certosa di Bologna. Sono stati esaminati gli elenchi di tutti i morti dal settembre 1943 all’ottobre 1944, alla ricerca di morti ignoti o non riconosciuti. La ricerca è stata infruttuosa, perché -in effetti- sono state individuate vittime in un primo tempo sconosciute, ma risultate poi appartenenti ai fucilati del Poligono di Tiro di via Agucchi, dove un plotone di fascisti era sempre in servizio, soprattutto in servizio dei tedeschi, per servirli delle fucilazioni di partigiani ed antifascisti di cui loro avevano bisogno. Al Poligono, con una viltà infinita, i fascisti fucilarono per conto dei tedeschi -soprattutto- 270 uomini e donne, operai, contadini, preti, militari e civili, Carabinieri, austriaci e tedeschi (gente che aveva indossato la divisa nazista), tutti oppositori del regime, tutti antifascisti, nel periodo che è andato dall’8 settembre alla Liberazione. Successivamente la ricerca è stata rivolta al ritrovamento ed all’esame di immagini scattate dall’alto dai ricognitori Alleati. Gli angloamericani, ma anche i francesi, i sudafricani ed i brasiliani fotografarono Bologna, prima e dopo le decine di bormbardamenti che colpirono la città. Nel maggio scorso, all’Istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna è stata trovata una foto inglese della prima parte del 1944, della RAF, in cui ben si vede Caserme Rosse. Un archeologo dell’Università di Bologna, Xabier Gonzalez Muro, spagnolo di etnia Basca, con specializzazione in topografia antica ha individuato sul terreno all’interno del campo di Caserme Rosse, a poca distanza dal muro dei fucilati, un’area di circa 800 metri quadri, parallela alla recinzione del campo, a lato di via Saliceto vecchia, una serie di 16-18 scavi, lunghi 15-20 metri, larghi 2-2,5 metri ed altrettanto distanti fra loro. Sedici scavi erano già chiusi al momento dello scatto della fotografia, mentre due risultavano ancora aperti, evidentemente in attesa di altri corpi. Nell’agosto scorso il procuratore della repubblica di Bologna, dott. Luigi Persico ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di omicidio plurimo con sevizie (aggravante quest’ultima che impedisce la prescrizione del reato). Attendiamo quindi che l’inchiesta possa chiarire gli esatti contorni della tragedia di Caserme Rosse, il “lager di Bologna” come è stato chiamato nelle pubblicazioni degli scritti di don Giulio Salmi, che fu cappellano dei prigionieri fra la fine del febbraio 1944 ed i primi di ottobre dello stesso anno, qualche giorno prima del bombardamento del 12 ottobre che provocò morti e feriti in Caserme Rosse ed un totale di 400 morti in tutta Bologna. Don Giulio Salmi conteggiò in oltre 35.000 i prigionieri transitati da Caserme Rosse nel solo periodo maggio-settembre 1944. Questi erano per la massima parte civili, donne e uomini, anche partigiani rastrellati durante le stragi nazifasciste, fra cui quelle di S. Anna di Stazzema e di Marzabotto. Nel primo periodo settembre-dicembre 1943 passarono per Caserme Rosse un altissimo numero di militari, fra cui anche i Carabinieri. Venne poi l’accanimento verso le classi ‘23, ‘24 e ‘25 le ultime leve di Salò, anche per loro Caserme Rosse riservò un trattamento bestiale: anche questi uomini diventarono schiavi di Hitler, non in Germania ma in Italia, militari senza paga a fianco della organizzazione di lavori nazista Todt. Se non obbedivano prontamente agli ordini tedeschi, anche per loro era minacciata e prevista la fucilazione, pur essendo militari di Salò in divisa, comandati dai loro ufficiali italiani. Da una idea di Danilo Caracciolo e Roberto Montanari, autori e registi di documentari storici, sono già partite le riprese di un film-documentario su questa terribile storia, dal titolo “A Bologna c’era un lager... il campo di concentramento delle Caserme Rosse” che percorrerà i 13 mesi di funzionamento del più grande ed imponente campo in Italia per la selezione ed il transito di prigionieri da deportare in Germania, con una ferocissima repressione dell’opposizione, del dissenso, della Resistenza, che solo recentemente è iniziata ad emergere in tutta la sua tragica verità. Anche da Caserme Rosse, dal sacrificio degli oppositori del regime fascista sono venute, con la Resistenza e la Liberazione, le conquiste della democrazia, della libertà, della Repubblica e della Costituzione, la legge fondamentale di tutti gli italiani; una Costituzione profondamente antifascista in cui ben chiari sono i diritti ed i doveri del cittadino.
settembre 2008 - Armando Sarti

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post correlati:
Caserme Rosse: il lager di Bologna (12 ottobre 1944 -2008)

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martedì 10 marzo 2009

Immagine e città. Conversazione con Roberto Dionigi (1984)


In questi giorni, il tema del provincialismo di Bologna è nuovamente riaffiorato nelle cronache locali *.
Ed è stato per me inevitabile riandare con la mente ad una conversazione dell’84 con Roberto Dionigi **.

È all’inizio degli anni Ottanta che Roberto Dionigi – oggi (ri)conosciuto come filosofo, o autore filosofico,ben più ampiamente di quanto non lo sia stato in vita – ha iniziato ad essere per me un pensatore rilevante, in seguito all’uscita di un suo «piccolo» e denso libro di lunga e laboriosa gestazione: Il doppio cervello di Nietzsche, pubblicato a Bologna da Cappelli Editore, nel 1982.
Proprio in quegli anni, (a distanza ravvicinata, ma comunque ormai inesorabilmente a distanza, dal ’77) sorse la proposta di un periodico cittadino, tra politica, culture e informazione, un po’ alla ricerca e all’esplorazione di un qualche possibile «dopo». Nella primavera dell’84, nacque Metro’ (sottotitolo: «quindicinale di informazione e spettacolo»).
Come contributo al primo numero, avevo pensato ad una sorta di intervista o colloquio con Roberto Dionigi, il quale accettò, anticipando francamente che, piuttosto che una discussione di «filosofia», avrebbe preferito sviluppare qualche considerazione sul rapporto tra la città e la sua immagine, con particolare riferimento al tema del supposto «provincialismo» di Bologna, che imperversava nelle cronache locali.
Così, frustrando apparentemente il mio interesse per la sua attività filosofica, Dionigi mi (ci) affidò queste sue «considerazioni inattuali» – alle quali rispose, fin troppo prevedibilmente, l’assordante silenzio dei media locali.
Nel ritrovare e riproporre quelle considerazioni, mi limito ad osservare che quel gesto non era altro che una forma di attività filosofica, che spingeva la filosofia oltre il circolo dell’interpretazione interna, in contatto con la non filosofia, nell’esercizio di un’interrogazione critica del presente, capace di misurarsi con la molteplicità e la specificità irriducibile dei giochi linguistici, che fanno parte determinate forme di vita [Wittgenstein, Ricerche filosofiche].
E di esporsi al rischio [Il doppio cervello di Nietzsche] di una presa di posizione.


***

Immagine e città
Conversazione con
Roberto Dionigi
[1984]


Le pagine locali dei quotidiani hanno dedicato ampio spazio alla discussione a proposito (e a sproposito) della «provincialità» e della «decadenza» di Bologna. Vorrei proporti di partire da qui, per arrivare – spero – altrove.

C’è un senso comune, questo della provincialità di Bologna, che poi ha tante varianti. Si dice, che so io: «Bologna è la città del consumo culturale e non della produzione culturale». Oppure ci sono quelli che dicono: «Ah! Com’era bella la Bologna di Dozza! ah, quella sì che era una vera Bologna, poi è decaduta». Bene, su questo, proprio, io credo il contrario: che definire provinciale una città significa affermare una relazione tra com’è una città e come s’immagina che altre siano; senza però mai definire come è prodotta la differenza dalle altre città rispetto a quella di cui si parla.
Io credo che, invece, se c’è qualcosa di provinciale, come dire, la ragione del provincialismo di Bologna, è fondamentalmente il provincialismo di coloro che ne parlano. Che non è il provincialismo dei suoi abitanti. E allora dov’è, per me, l’anima, il cuore, il segreto di questo «provincialismo»? È un curioso patto, o una verità giudicata di senso comune, io la chiamo di senso volgare, che questa città è rilevante solo se politicamente rilevante. Politicamente in senso stretto, in quello, cioè, del teatro del politico. E del suo complemento – come diremmo in logica – che in questo caso è «ciò che non è politico». Ma che cos’è il «non politico» in questo quadro provinciale? Il divertissement, cioè il folklore, ciò che comunque garantisce breve durata.


Qualcosa come l’effimero.

Sì, ma un effimero di povera lega. Non è l’effimero che viene prodotto, ma, prima ancora che si produca qualcosa di effimero, c’è uno schema di interpretazione per cui si tollera ciò che non è politico solo se, diciamo così, dà garanzie di durare abbastanza poco. Perché si ritiene che il quadro normale – e questo è il provincialismo di coloro che rappresentano la città – sia un quadro che, in fondo, ruota attorno al palazzo del governo. Con una presentazione in questo senso piatta, fino ad arrivare a dei momenti di non-informazione di ciò che accade. Perché viene giudicata irrilevante una cosa («tanto domani non c’è»), per cui: o ne parlo perché ho la certezza che domani non ci sia, o non ne parlo perché tanto so che domani non c’è più. In entrambi i casi s’è un’aspettativa di effimero, e non è altro che la riproduzione del volto politico di Bologna, il cuore di quello che viene chiamato il suo provincialismo. Ma questa non è la realtà di Bologna, questo è il modo dominante delle letture della realtà di Bologna.


Il che, se vogliamo, sottende un’idea del «politico» non solo stretta, ma addirittura legata a quadretti umanistici (la figura epica del sindaco) e a un’idea dell’amministrazione politica, e del suo contesto di problemi, come centro e rappresentazione della vita e della cultura della città. Quasi che la città potesse essere «compresa» nel suo politico, inteso in termini classici.

Forse. Non lo so. È un giudizio molto duro. Mi auguro che qualcuno non la pensi così, anche se sicuramente qualcuno la pensa così come tu dici, su questo non v’è dubbio.
Ma proprio, direi, in tono leggermente diverso dal tuo, che è non accettare che ciò che non è politico rappresenti la città. Ma soprattutto, cosa ancor più grave, è che il non politico non viene assunto come rappresentativo in senso forte della realtà di una città. Mi riferisco a quel «non politico» di cui dicevo prima, che non è divertimento, che non è il folklore, le salsicce in piazza…


Tutto ciò, in qualche modo, produce la provincialità di Bologna, in quanto disincentiva tutte le iniziative che tendono ad uscire da questo quadro, o quadretto.

È evidente. C’è un rapporto tra il reale e la sua produzione di immagine. Cioè chi dice «Bologna è provinciale» è un riproduttore del suo provincialismo, e al tempo stesso non prende in considerazione quanto questo sia un suo giudizio. E non una descrizione dei fatti.
Non voglio dire con questo che ogni cosa che accade a Bologna deve essere parlata, ci sono cose che servono solo per farsi compagnia, per carità! Però manca questo principio di attenzione a promuovere ciò che si produce, assumendosi il rischio di appoggiare un’iniziativa, e quanto meno una consapevolezza che, se non ne parli, ti assumi anche tu la tua responsabilità di occultare e di tacere. Ciò che non trovo più è il senso di questo giudizio che mi sembra venir meno ormai nei mass media, per cui non si parla più di niente, direi quasi, e non trovo più questa relazione all’interno della notizia che non sia la relazione della notizia politica o, ripeto, di vago folklore; di sociologismo da quattro soldi, di fesserie descrittive e consolatorie, per cui uno si rilegge sul giornale.


Credo che sia importante riferirsi anche alla tua esperienza diretta, come organizzatore del convegno «Teoria dei sistemi e razionalità sociale», convegno che è entrato nel circuito dell’informazione, ma in modo, a mio avviso, alquanto riduttivo.

Era stato un convegno non banale, sia per i temi che trattava; sia per le intelligenze, nazionali e non, che vi partecipavano. La stessa produzione del convegno era interessante: due dipartimenti universitari che vanno a un rapporto con l’ente locale, questo almeno poteva avere un interesse anche per chi è orientato verso la «politica». Ebbene, questo convegno si è trovato non solo al di sotto di un’informazione culturale competente, ma anche al di sotto della semplice informazione «di servizio», cioè della semplice comunicazione della «scaletta» degli interventi, con nomi, date, orari, argomento delle singole relazioni. A questo convegno è stato dato un minor rilievo di quanto non ne avrebbe avuto un torneo di briscola in una Casa del Popolo.


Più in generale esiste un problema di moduli della comunicazione, di un linguaggio che, anche quando parla di qualcosa che folklore non è, ne parla come se fosse folklore, banalizzandolo, appiattendone la radicalità.

Su questo sono, almeno nei miei termini, d’accordo. C’è una perdita della molteplicità di criteri della rilevanza di ciò che accade. Ciò che sento che manca, che mi piacerebbe chiamare con questa parola «borghese», è un rispetto per il rischio che l’altro corre quando fa qualcosa. Rispetto non vuol dire condividere, ma – relativamente all’ambito di volta in volta diverso in cui qualcosa accade – misurarsi con il rischio di quel gesto, per promuoverlo o anche per aggredirlo. Certo, sono d’accordo con te, non per trattarlo con sufficienza o con bonomia, o per appiattirne la sua stessa capacità d’urto. Ma questo forse è chiedere troppo. Ma comunque c’è un dato di fondo: che c’è qualcosa che precede il consenso e il dissenso, vecchi valori: è questa forma di rispetto che non soffoca il rischio di ciò che l’altro fa a partire dal fatto che l’ambito in cui questo accade viene giudicato «banale». Io parto dall’idea che non vi sono ambiti di vita «banali». Non vi è nessuna forma di vita banale.

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NOTE


  - Il tema del provincialismo di Bologna è riemerso con l’intervista a Fausto Anderlini: «Alla scoperta di “Bolokistan” dove i partiti si autodissolvono», il Bologna, 6 marzo 2009, p. 27.
[*]- Su Roberto Dionigi e le sue opere vedi Quodlibet.

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«Immagine e città. Conversazione con Roberto Dionigi», a cura di Rudy M. Leonelli, in Metro’, anno I, n. 1, 3 febbraio 1984.

mercoledì 25 febbraio 2009

Stop al fascismo, stop al razzismo, stop al sessismo - Bologna 25/2

Bologna - assemblea pubblica:

Nessuna sede fascista, nessuna ronda!

Stop al fascismo, al razzismo, al sessismo

Mercoledì 25 febbraio 2009


I fatti di sabato mattina nel Quartiere Santo Stefano ci pongono di fronte alla pericolosità di una nuova organizzazione fascista, CasaPound, e l’iniziativa di domenica pomeriggio, indetta da Forza Nuova in via Mattei, ci evidenzia, invece, la modernità del suo intervento politico nella crisi.
Non si tratta di giocare a scimmiottare il passato, né di vedere il nemico più pericoloso di ciò che oggi è, ma di riflettere sullo stato di salute del nostro territorio.
Ci sono tensioni che hanno un nome comune chiamato paura. Paura del presente (la pensabilità del domani è un lusso con la valuta corrente), paura del reale, del vicino, del collega di lavoro (sicuro concorrente). Paura del migrante. Paura del gay. Paura di pensare altro che non sia il privato.
La gestione della sicurezza è contesa tra partiti politici "tradizionali" come la Lega e movimenti di destra eversiva che irrompono nel dibattito e la chiave del loro successo è chi diviene giustiziere.
Abbiamo a che fare con organizzazioni socialmente pericolose che in un periodo di crisi formidabile e nel nuovo contesto normativo inaugurato dal Pacchetto Sicurezza diventano potentemente eversive.
Per questo proponiamo a tutti e tutte coloro che non hanno smesso di pensare e di sognare una città diversa, libera, democratica, antirazzista, senza ronde e senza nuclei razzisti che controllano il territorio di fare una campagna metropolitana comune e condivisa.
E di difendere insieme i compagni che si sono opposti all’arroganza dei picchiatori di Casa Pound.
Mercoledì 25 febbraio
ore 21.00 al TPO
via Casarini 17/5 Bologna

domenica 21 dicembre 2008

Bologna culla del fascismo - II. 21 novembre 1920

Bologna culla del fascismo
II.
21 novembre 1920:
l'assalto a Palazzo d'Accursio
da: Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva



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I fatti del 21 novembre a Bologna precipitarono questo processo di reazione.
Che qualcosa di grave si preparasse lo si sentiva nell’aria. Già durante i comizi elettorali si capiva che l’intransigenza formale ed elettorale dei socialisti a tendenza estremista avrebbe vinto, ma inutilmente. Il programma annunciato a Bologna era stravagante e impossibile, dato l’ambiente e l’atmosfera già mutati in tutta Italia; era un vero castello sulla sabbia. Inoltre la borghesia bolognese, non più timorosa dei socialisti e degli operai, non credeva più. Da più d’un mese non si facevano scioperi, e qualcuno tentato era apparso stentato e senza effetto. Durante la campagna elettorale un oratore radicale (poi divenuto fascista) mi assicurano che abbia in un comizio senza ambagi dichiarato, che se i bolscevichi avessero conquistato il comune, non si sarebbe permesso alla loro amministrazione di funzionare.
Dopo l’esito delle elezioni, che avevan dato una strabocchevole maggioranza ai socialisti estremi, questi erano assai preoccupati per la cerimonia dell’insediamento. Rinunciarvi, rinunciare all’esposizione della loro rossa bandiera, al loro comizio di vittoria oggi sembrerebbe facile; allora sarebbe parsa vigliaccheria, e sarebbe stata agli occhi di tutti la prima rinuncia al pomposo programma nel cui nome s’era vinto. Ma proprio questo volevano i fascisti: cacciare dalle piazze la folla operaia, far abbassare in segno di resa la bandiera rossa. Come uscirne?
Alcuni socialisti, che allora tenevano il mestolo in mano, scesero a indecorosi patteggiamento con la questura, e forse promisero p di ciò che i loro seguaci avrebbero mantenuto; ma parve alla vigilia del 21 novembre, giorno convenuto per l’insediamento, che le cose potessero passar lisce, quando fu noto in questura e affisso alle cantonate un manifestino a macchina, in cui i fascisti annunciavano battaglia per l’indomani, avvertendo le donne e i ragazzi di star lontani dal centro e dalle vie principali. I socialisti ormai non potevan più ritirarsi decentemente; è naturale che i più bollenti (e furon purtroppo anche i più scriteriati, stando almeno ai risultati) pensassero ad improvvisare una qualche difesa contro gli annunciati ed eventuali assalti. Ormai solo un miracolo poteva evitare la tragedia. Il miracolo non avvenne; al contrario!
















domenica 14 dicembre 2008

NON UN PASSO INDIETRO!




domani,
le grandi "democrazie"
potrebbero riporre
con tutta naturalezza
l'antifascismo
nel magazzino degli attrezzi usati.
Già fin d'ora,
questa parola magica,
che ha fatto
insorgere i lavoratori
contro l'hitlerismo,
viene considerata con sospetto
e avversata
non appena
serve a riaggregare tra loro
gli avversari del sistema capitalistico.

Daniel Guérin, 1945 [*]
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NON UN PASSO INDIETRO!



« La violenza dei pubblici poteri e la violenza fascista non hanno mai allentato la loro stretta. Se ieri era la Strategia della Tensione, oggi è una Strategia della Paura ad alimentarle. Paura che la retorica securitaria scatena verso chiunque appaia diverso, perché “straniero”, per la sua identità di genere e/o orientamento sessuale, per una maglietta sbagliata, per il suo modo di vestirsi o di tenere i capelli. E “dalla strategia della tensione alla strategia della paura”, raccogliendo una proposta della Rete Antifascista Metropolitana di Roma, è stato il filo conduttore di iniziative diffuse in varie città italiane il 12 dicembre 2007. A Bologna un corteo comunicativo ha attraversato i quartieri Barca e S. Viola, dove i movimenti operai, antagonisti e libertari bolognesi mancavano da decenni. Quest’anno [abbiamo ritenuto] più che mai urgente e necessaria una presenza di piazza antirazzista, antisessista e antifascista nell’anniversario della strage di Piazza Fontana ».
 

Amazora di femministe e lesbiche
ANPI Pianoro
Antagonismo Gay
Archivio Storico "Marco Pezzi"
Assemblea Antifascista Permanente
Assemblea Permanente noGelmini Scienze Politiche
Associazione Politica e Classe di Bologna
Atlantide
Ciclofficina AmpioRaggio
Circolo anarchico Camillo Berneri
Circolo Arci Iqbal Masih
Collettivo Mujeres Libres - Bologna
Confederazione Cobas Bologna
CUB - Bologna
Facciamo Breccia - Bologna
Fuoricampo Lesbian Group
Giovani Sinistra Critica
Laboratorio femminista Kebedech Seyoum
LAI - Lesbiche Antifasciste in Italia
Lazzaretto autogestito
Lista Reno per il rilancio dello stato sociale
QueeRevolution
Rete dei Comunisti
Vag61
Xm24
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L'immagine (in alto) di partigiani e partigiane è tratta da ivangel

La fotografia della testa del corteo con striscione è tratta da Marginalia

venerdì 5 dicembre 2008

Invito a non oltraggiare Bologna, medaglia d'oro della Resistenza: una lettera aperta

Poco fa,
ho spedito
via email
una lettera
ai gestori
dell'Osteria
il Moretto (Bologna).
Dato
che si tratta
di una questione
pubblica, la pubblico integralmente qui di seguito:


Ho appreso con sconcerto e disappunto che l'Osteria il Moretto intenderebbe ospitare la presentazione di un libro sul terrorista fascista Concutelli (come se non bastasse, il 13 dicembre cioè a ridosso dell'anniversario della strage di Piazza Fontana, ricordate?).

La riprovevole serata è organizzata dai fascisti dichiarati di Casapound (e del cosiddetto "Blocco studentesco"), dei quali si è molto parlato nei media in particolare in relazione all'aggressione contro giovani manifestanti "no Gelmini" a Piazza Navona, consumata con bastoni travestiti da aste di bandiere tricolore e con colpi di cinture.
Sono letteralmente trasalito, stupito, incredulo amareggiato, indignato. Sono stato per anni frequentatore di quell'Osteria, piacevole, aperta, e che sentivo un po' come un posto in cui trovavo persone interessanti, intelligenti e a dir poco di idee progressiste e di stili di vita che non contemplavano il disprezzo per gli immigrati, il razzismo più o meno velato, etc.
Pur vivendo a Bologna, non ho avuto occasione, da tempo, di recarmi in quello che ritenevo un ambiente fondamentalmente salubre, dove una serata del tipo "Io, l'uomo nero" (a me questo titolo non fa né paura né ridere, mi fa semplicemente schifo) sarebbe stata inconcepibile, inimmaginabile.
Non so se la gestione sia cambiata, ma vi garantisco, chiunque siano i gestori, che nel caso si realizzi quel riprovevole "evento", mi adopererò in ogni modo lecito, pacifico, e non illegale, invitando tutte le persone che RISPETTANO UNA CITTÀ MEDAGLIA D'ORO DELLA RESISTENZA a disertare l'Osteria.
Vi prego di capire la serietà e la gravità di quella sciagurata iniziativa e di recedere (nel caso la notizia della squallida serata che sarebbe in programma al Moretto fosse fondata, ma stento ancora a crederci) dal realizzarla e di comunicare pubblicamente il vostro ritiro o ripensamento o come volete chiamarlo.


Ringraziandovi per l'attenzione,

Rudy Leonelli
Bologna


AGGIORNAMENTO: ho appreso oggi 6/12 con piacere che i gestori dell'osteria Il Moretto, resisi conto del carattere di un'iniziativa che avevano accettato sulla base di informazioni evidentemente incomplete, hanno annullato la serata di presentazione del libro sul terrorista nero Concutelli.
Ringrazio i gestori per la sensibilità dimostrata in questo increscioso incidente, estraneo per quanto ne so alla più che rispettabile storia del locale. Ed al suo stile.