venerdì 14 febbraio 2014

«Cattive condotte», di Sandro Mezzadra

                                                                                        da il manifesto

La pub­bli­ca­zione dei corsi tenuti da Michel Fou­cault al Col­lège de France tra il 1970 e il 1984 ha ormai sedi­men­tato un secondo cor­pus di opere del filo­sofo fran­cese, accanto a quelle da lui pub­bli­cate. E non si può che rima­nere affa­sci­nati, anche sem­pli­ce­mente scor­rendo i volumi, dall’inquietudine e dal rigore con cui egli apriva con­ti­nua­mente nuovi can­tieri di ricerca, da quello sul neo­li­be­ra­li­smo (a cui è dedi­cato il corso del 1979) a quelli greci e tardo-antichi degli ultimi anni. Temi e con­cetti asso­ciati al lavoro di Fou­cault, ad esem­pio quelli di «gover­na­men­ta­lità» e «bio­po­li­tica», tro­vano nei corsi della seconda metà degli anni Set­tanta svi­luppi di straor­di­na­ria e tal­volta impre­vi­sta ric­chezza. E d’altro canto, ascol­tando «la parola pub­bli­ca­mente pro­fe­rita da Fou­cault» (a cui i cura­tori si atten­gono con scru­po­loso rigore), ne abbiamo impa­rato a cono­scere lo stile di inse­gnante, l’eleganza ma anche la capa­cità di affa­sci­nare e coin­vol­gere chi lo ascoltava.
Si capi­sce dun­que come l’uscita di un nuovo corso, men­tre l’edizione si avvia alla con­clu­sione, costi­tui­sca sem­pre un evento. Quello da poco pub­bli­cato in Fran­cia si inti­tola La societé puni­tive (a cura di Ber­nard E. Har­court, EHESS/Gallimard/Seuil, pp. 354, euro 26), ed è stato tenuto nel primo tri­me­stre del 1973. Si situa dun­que in uno dei momenti di più intensa mili­tanza poli­tica di Fou­cault, in par­ti­co­lare sui temi della pena­lità e della pri­gione, a fianco delle lotte e dell’organizzazione auto­noma dei dete­nuti. «Indi­gna­zione» e «col­lera», come giu­sta­mente sot­to­li­nea Har­court, danno il tono gene­rale a que­sto corso, e lo ren­dono tra le altre cose un docu­mento dell’appassionata ricerca di uno stile di lavoro intel­let­tuale capace di situarsi del tutto all’interno della lotta poli­tica. Sotto il pro­filo del metodo, poi, è un corso in qual­che modo di tran­si­zione, carat­te­riz­zato dalla ricerca e dalla spe­ri­men­ta­zione di un’articolazione tra «archeo­lo­gia» e «genea­lo­gia». Molti temi qui affron­tati sono ripresi da Fou­cault in con­fe­renze e testi dello stesso periodo (in par­ti­co­lare in La verità e le forme giu­ri­di­che, in La vita degli uomini infami e in Io, Pierre Rivière), non­ché natu­ral­mente nel grande libro dedi­cato nel 1975 alla nascita della pri­gione, Sor­ve­gliare e punire, di cui il corso del 1973 costi­tui­sce una sorta di prova generale.

Tat­ti­che penali

«Per­ché que­sta strana isti­tu­zione che è la pri­gione?». Que­sta domanda guida tanto Sor­ve­gliare e punire quanto La societé puni­tive. È tut­ta­via signi­fi­ca­tivo che nel corso del 1973 essa venga for­mu­lata in ter­mini espli­citi sol­tanto all’inizio dell’ultima lezione. Fou­cault, a quel punto, aveva già ampia­mente mostrato come la deten­zione e la reclu­sione si fos­sero instal­late al cen­tro dei sistemi penali euro­pei sol­tanto con le «grandi riforme avviate negli anni com­presi tra il 1780 e il 1820». La pri­gione era stata dun­que «de-naturalizzata», e poteva a buon diritto appa­rire come una «strana isti­tu­zione»: la sua emer­genza sto­rica era stata stu­diata nelle lezioni pre­ce­denti dall’interno di tra­sfor­ma­zioni pro­fonde della morale, delle tec­ni­che di governo e di poli­zia e delle «tat­ti­che penali». Pro­prio l’attenzione rivolta alla sua emer­genza sto­rica in qual­che modo «de-centra» la pri­gione rispetto all’analisi con­dotta in Sor­ve­gliare e punire: Fou­cault, in altri ter­mini, non guarda alla società a par­tire dalla pri­gione (come sem­bra avve­nire in alcuni capi­toli del libro del 1975), ma punta piut­to­sto a com­pren­dere quest’ultima a par­tire dalle tra­sfor­ma­zioni più gene­rali che segnano l’avvento del capi­ta­li­smo moderno.
La stessa cate­go­ria di «potere disci­pli­nare» (di «società a potere disci­pli­nare») appare nel corso del 1973 forse defi­nita in modo meno pre­ciso, ma più dut­tile e meno rigi­da­mente anco­rata alla pro­du­zione di una deter­mi­nata figura di sog­get­ti­vità (l’individuo) e a una spe­ci­fica forma di isti­tu­zione (sul cele­bre modello ben­tha­miano del panopticon).
Fou­cault comin­cia del resto il corso con una ser­rata cri­tica della cate­go­ria di «esclu­sione», che a suo avviso non con­sente di «ana­liz­zare le lotte, i rap­porti, le ope­ra­zioni spe­ci­fi­che del potere». In que­stione non è qui sol­tanto il rife­ri­mento alla natura «pro­dut­tiva» (e non sola­mente repres­siva) del potere e al nesso stret­tis­simo tra potere e sapere: La societé puni­tive stu­dia que­sto nesso sul ter­reno della pena­lità e lo con­trap­pone, in ter­mini teo­rici, allo «schema dell’ideologia», secondo cui «il potere non può pro­durre nell’ordine della cono­scenza che degli effetti appunto ideo­lo­gici», di coper­tura e di falsa coscienza. Sono temi noti ai let­tori di Fou­cault, così come – soprat­tutto negli scritti di que­sti anni – è ricor­rente l’enfasi posta sulla natura rela­zio­nale del potere, sul suo costi­tu­tivo nesso con le resi­stenze e con le lotte.
È tut­ta­via pro­prio a quest’ultimo riguardo che il corso del 1973 pre­senta ele­menti di indub­bia ori­gi­na­lità, a par­tire dalla scelta della «guerra civile» come schema teo­rico fon­da­men­tale per la com­pren­sione cri­tica del potere (la poli­tica, afferma Fou­cault, «è la pro­se­cu­zione della guerra civile»). Tanto lo svi­luppo dei sistemi morali, la cui rico­stru­zione prende avvio dallo stu­dio della dis­si­denza reli­giosa in Inghil­terra tra Sei e Set­te­cento, quanto le tra­sfor­ma­zioni dei regimi di governo e di con­trollo ven­gono ana­liz­zati sullo sfondo di una fitta trama di «ille­ga­li­smi popo­lari», che con­di­zio­nano in pro­fon­dità l’evoluzione dei regimi giu­ri­dici e delle tec­ni­che punitive.

martedì 11 febbraio 2014

Rassegna «Una società allo specchio: l'identità italiana nel cinema della Liberazione a oggi»

Francesco Cattaneo (Poetica e Retorica) e Manlio Iofrida (Filosofia
della Storia e Storia della Filosofia francese contemporanea)
dell’Università di Bologna, in collaborazione con la rivista
cinematografica “Rifrazioni. Dal cinema all’Oltre” e con la Biblioteca
Multimediale Roberto Ruffilli, presentano la rassegna
cinematografica:


Una società allo specchio: l’identità italiana nel cinema dalla Liberazione a oggi


Calendario degli incontri
:


Martedì 11 Febbraio 2014 ore 20.30
Roma, di Federico Fellini (1972) a cura di
Manlio Iofrida

 
Martedì 18 Febbraio 2014 ore 20.30
La grande bellezza, di Paolo Sorrentino (2013) a cura di
Igor Pelgreffi

 
Martedì 25 Febbraio 2014 ore 20.30
Reality, di Matteo Garrone (2012) a cura di
Francesco Cattaneo

 
Martedì 4 Marzo 2014 ore 20.30
Professione: reporter, di Michelangelo Antonioni (1975) a cura di
Jonny Costantino

 
Martedì 11 Marzo 2014 ore 20.30
Le quattro volte, di Michelangelo Frammartino (2010) a cura di
Daniela Vola

 
Martedì 25 Marzo 2014 ore 20.30
Segreti di Stato, di Paolo Benvenuti (2003) + 2 frammenti tratti dal
film Lucky Luciano, di Francesco Rosi (1973), a cura di
Laura Zardi

 
Martedì 1 Aprile 2014 ore 20.30
Sicilia!, di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet (1999)
serata conclusiva sintesi finale della rassegna



Tutte le proiezioni si terranno presso la Saletta Multimediale della Biblioteca Roberto Ruffilli (primo piano)
Vicolo Bolognetti 2 – Bologna. Per informazioni tel. 051/276112.
Ingresso gratuito (riservato agli studenti e ai docenti)

lunedì 10 febbraio 2014

locandine marxicce di Casapound? No grazie! Preferiamo John Heartfield



 CaPa marxoide?

 NO GRAZIE! 






Alla barba posticcia di Marx esibita da Casapound
opponiamo la verità storica illustrata dal genio di
  John Heartfield:

domenica 9 febbraio 2014

Dall’antropologia filosofica all’ontologia sociale e ritorno - di Étienne Balibar

Dall’antropologia filosofica all’ontologia sociale e ritorno: che fare con la sesta tesi di Marx su Feuerbach?

marx-feuerbach
di ETIENNE BALIBAR


È in uscita per Mimesis “Il Transindividuale. Soggetti, relazioni, mutazioni”, una raccolta di studi sulla questione del transindividuale curata da Etienne Balibar e Vittorio Morfino. Qui, per gentile concessione dei curatori, anticipiamo lo stesso saggio di Balibar, in cui il filosofo francese conduce un’analisi particolareggiata del significato filosofico della Sesta Tesi di Marx su Feuerbach.

eterotopie-balibar-morfino-transindividualeLe Tesi su Feuerbach[1], un insieme di 11 aforismi a quanto pare non destinati alla pubblicazione in questa forma, sono state scritte da Marx nel corso del 1845 mentre stava lavorando al manoscritto dell’Ideologia tedesca, anch’esso non pubblicato. Sono state scoperte più tardi da Engels e da lui pubblicate con alcune correzioni (non tutte prive di significato), come appendice al suo pamphlet Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca (1886)[2]. Sono considerate largamente una delle formulazioni emblematiche della filosofia Occidentale, talvolta comparate con altri testi estremamente brevi ed enigmatici che combinano una ricchezza apparentemente inesauribile con uno stile enunciativo da manifesto, che annuncia un modo di pensare radicalmente nuovo come il Poema di Parmenide o il Trattato di Wittgenstein. Alcuni dei suoi celebri aforismi hanno guadagnato a posteriori lo stesso valore di un punto di svolta in filosofia (o, forse, nella nostra relazione con la filosofia) come, per esempio dei già citati Parmenide e Wittgenstein rispettivamente: «tauton gar esti noein te kai einai »[3], «Worüber man nicht sprechen kann, darüber muss man schweigen»[4], ma anche lo spinoziano «ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum»[5] il kantiano «Gedanken ohne Inhalt sind leer, Anschauungen ohne Begriffe sind blind»[6] etc.
In tali condizioni è ovviamente allo stesso tempo estremamente allettante e imprudente avventurarsi in un nuovo commento. Ma è anche inevitabile far ritorno alla lettera delle Tesi, esaminando la nostra comprensione della loro terminologia e proposizioni, nel momento in cui decidiamo di valutare il posto occupato da Marx (e di una interpretazione di Marx) nei nostri dibattiti contemporanei. È ciò che vorrei fare ­­­– almeno in parte – in questo testo, con riferimento ad una discussione in corso sul significato e gli usi della categoria di ‘relation’ e ‘relationship’ (entrambi possibili equivalenti del tedesco Verhältnis), le cui implicazioni vanno dalla logica all’etica, ma in particolare implicano una sottile – forse decisiva – sfumatura che separa un’‘antropologia filosofica’ da un’‘ontologia sociale’ (o, una ontologia dell’‘essere sociale’, come Lukács, tra altri, direbbe). Questo scopo conduce in modo del tutto naturale a sottolineare l’importanza della Tesi 6, che recita (nella versione originale di Marx):
Feuerbach löst das religiöse Wesen in das menschliche Wesen auf. Aber das menschliche Wesen ist kein dem einzelnen Individuum inwohnendes Abstraktum. In seiner Wirklichkeit ist es das ensemble der gesellschaftlichen Verhältnisse.
Feuerbach, der auf die Kritik dieses wirklichen Wesens nicht eingeht, ist daher gezwungen: 1. von dem geschichtlichen Verlauf zu abstrahieren und das religiöse Gemüt für sich zu fixieren, und ein abstrakt – isoliert – menschliches Individuum vorauszusetzen. 2. Das Wesen kann daher nur als ‘Gattung’, als innere, stumme, die vielen Individuen natürlich verbindende Allgemeinheit gefaßt werden.
Ed ecco una traduzione italiana classica:
Feuerbach risolve l’essenza religiosa nell’essenza umana. Ma l’essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali.
Feuerbach, che non penetra nella critica di questa essenza reale, è perciò costretto:
1.  Ad astrarre dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé, ed a presupporre un individuo umano astratto – isolato.
2.  L’essenza può dunque essere concepita soltanto come ‘genere’, cioè come universalità interna, muta, che leghi molti individui naturalmente.
Tra i molti commentari che sono stati dedicati a queste proposizioni (e in particolare alle prime tre proposizioni), selezionerei quelli di Ernst Bloch e Louis Althusser, che mettono in luce posizioni esattamente antitetiche[7]. Per Bloch, il cui commento dettagliato, parte del suo magnum opus Das Prinzip Hoffnung, fu pubblicato in un primo tempo separatamente nel 1953[8], le Tesi includono la piena costruzione del concetto di praxis rivoluzionaria, presentata come la parola d’ordine (Losungswort), che oltrepassa l’antitesi metafisica di ‘soggetto’ e ‘oggetto’, ‘pensiero filosofico’ e ‘azione politica’. Esse esprimo l’idea cruciale che la realtà (sociale) in quanto tale è ‘mutabile’ (veränderbar) poiché la sua nozione completa non indica solo situazioni date o relazioni derivanti da un processo compiuto (cioè il presente e il passato), ma implica anche sempre già l’oggettiva possibilità di un futuro o una novità (novum), cosa che né il materialismo classico né l’idealismo hanno mai ammesso. Per Althusser, che si sofferma sulle Tesi come un sintomo di una rivoluzione teorica (o ‘rottura epistemologica’) attraverso cui Marx avrebbe lasciato cadere una lettura umanistica, fondamentalmente feuerbachiana, del comunismo, per adottare una problematica scientifica (non-ideologica) delle relazioni sociali e delle lotte di classe come motore della storia, esse meritano una lettura (alquanto controintuitiva) che mostra le ‘nuove’ idee come forzatura di un vecchio linguaggio per esprimere (o piuttosto annunciare, anticipare) una teoria che, fondamentalmente, non ha precedenti, ma le cui implicazioni sono ancora a venire (l’esempio principale di questa ermeneutica di concetti forzati, internamente inadeguati, è la lettura althusseriana della praxis come nome filosofico di «un sistema articolato di pratiche sociali»). È interessante notare che sia il commentario di Bloch che quello di Althusser implicano una forte sottolineatura dello schema temporale di un ‘futuro’ oggettivamente incluso nel presente come una possibilità dirompente – con la differenza che per Bloch questo schema caratterizza la storia, mentre per Althusser caratterizza la teoria o il discorso[9]  ...
                          
                                                           ...Leggi tutto su «Il rasoio di Occam»

lunedì 3 febbraio 2014

«Walter Benjamin. Testi e commenti» Presentazione alle Moline, 6 febbraio 2014


Giovedì 6 febbraio 2014
ore 18:30

Biblioteca “Michele Ranchetti”
Centro Furio Jesi – Scuola di Pace del Quartiere Savena
via Lombardia 36, Bologna


presenta presso
Libreria delle Moline
via delle Moline 3A, Bologna.
Tel 051262977

il terzo numero del periodico
«L’ospite ingrato»
Quodlibet, 2013


Walter Benjamin
TESTI E COMMENTI

Linguaggio, verità, storia nell’opera di Benjamin


A cura di
Gianfranco Bonola


Il volume contiene scritti di Benjamin inediti o tradotti per la prima volta in italiano


testi di Scholem, Jesi, Rosenzweig, Fortini, Ranchetti, Cases, Solmi
e saggi di Bonola, Chitussi, Härle, Peterson, Wizisla.

ne parlano:
Gianfranco Bonola (Univ. di Roma Tre, curatore del volume),
Andrea Cavalletti (Univ. IUAV, Venezia),
Barbara Chitussi (Univ. di Modena e Reggio),
Saverio Marchignoli (Univ. di Bologna).