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giovedì 12 settembre 2013

Intervista ad Anselm Jappe: Che cosa rimane di Guy Debord



a cura di Riccardo Antonucci

A margine del convegno dal titolo “I situazionisti: teoria, arte e politica”, tenutosi all’Università di Roma 3 lo scorso 30 maggio, abbiamo intervistato Anselm Jappe, tra i relatori di questa giornata insieme, tra gli altri, a Mario Perniola (1). Si è parlato della recente mostra degli archivi Debord alla Bibliothèque Nationale de France e dell’attualità, o meglio della feconda inattualità, dell’opera del pensatore francese.



Dopo aver partecipato al collettivo tedesco Krisis, Anselm Jappe insegna attualmente estetica all’EHESS di Parigi, e all’Accademie d’Arte di Frosinone e di Tours. Ha studiato a fondo la corrente situazionista, ed è autore di numerosi articoli e volumi, in francese, tedesco e italiano, tra cui spiccano: Crédit à mort (Paris 2011), Contro il denaro (Milano 2012) e i due importanti volumi Guy Debord (Paris 2001, ried. Roma 2013) e L’avant garde inacceptable (Paris 2004).
La prima domanda è d’obbligo: non si può parlare di Guy Debord oggi senza menzionare la grande mostra a lui dedicata alla BNF (“Guy Debord, un art de la guerre”), in cui sono esposti i suoi archivi recentemente dichiarati “tesoro nazionale”. All’annuncio dell’evento, si è subito sviluppato un dibattito tra i lettori di Debord, divisi tra chi ha salutato positivamente la scelta e chi, invece, ha denunciato come reazionaria la scelta di mettere Debord “in mostra”, in contraddizione con il principio di marginalità dell’opera debordiana. Lei come si colloca rispetto a questo evento?


Anselm Jappe – Mi sembra una grande opportunità il fatto che gli archivi di Debord siano ora a disposizione del pubblico. Molto peggio se fossero stati dispersi tra diverse mani, o venduti a un collezionista privato: solo in questo modo si poteva garantire una reale disponibilità di questo fondo. Inoltre, penso sia un bene che lo Stato francese, invece di finanziare un altro carro armato, abbia usato i suoi soldi per acquisire questi archivi. Per questo mi risulta difficile comprendere il dibattito sulla cosiddetta récupération di Debord, dal momento che ormai oggi, a vent’anni dalla sua morte, egli è senz’altro diventato un classico, e sarebbe molto artificiale volerlo tenere ancora in una zona di marginalità. Quel che conta sono i contenuti della sua opera, non il modo in cui essa viene proposta.
Del resto, Debord stesso ha sempre ricordato quanto sia stato importante per lui, da giovane, leggere certi autori, come Baudelaire, Apollinaire o Lautréamont. Anche questi autori erano ormai dei classici, negli anni ’50. Non è certo questo statuto a impedire un eventuale effetto sovversivo di un’opera.
Quale interesse può avere la mostra alla BNF per un ricercatore o per lo studioso dell’opera di Debord? Si aprono nuove prospettive di studio o spunti per l’attualizzazione del suo pensiero?
A. J. –
La mostra offre molto materiale già noto, ma anche molte cose inedite e nuove per il ricercatore. Per esempio, una buona parte delle migliaia di schede di lettura di Debord, che ho consultato. Queste schede confermano, intanto, un dato già noto, e cioè che Debord fosse un accanito lettore, ma mostrano anche un vero e proprio lavoro certosino di ricopiatura di lunghi estratti dei libri letti, che francamente si ignorava. Inoltre, si possono trovare negli archivi molti cartoncini con note e osservazioni di vario tipo, dall’Internazionale Situazionista alla sua vita privata.
L’interesse principale per il ricercatore è senz’altro costituito da questa miriade di schede di lettura, in quanto esse permettono di sapere con certezza che cosa ha letto Debord e a che cosa si è interessato nei vari periodi della sua vita. A volte le schede sono commentate, soprattutto quelle stilate in vista della redazione de La società dello spettacolo, l’opera principale di Debord, uscita nel 1967. Per esempio, per me è stata una sorpresa scoprire che Debord lesse con molta attenzione Il dispotismo orientale di Karl August Wittfogel, sinologo e storico tedesco-americano. Su questo libro Debord aveva effettivamente scritto una breve nota di lettura nella rivista «Internationale Situationniste», ma soltanto leggendo le schede di lettura mi sono potuto rendere conto di quanto l’opera di Wittfogel abbia inciso nell’elaborazione del concetto di “spettacolo”. In particolare per quanto riguarda l’identificazione degli amministratori cibernetici e burocratici della società dello spettacolo con l’antica casta di ingegneri e preti che governavano l’Egitto e la Mesopotamia. E penso che ci saranno molte alte sorprese in questo archivio, di cui ho soltanto cominciato il lavoro di vagliatura.

giovedì 14 marzo 2013

Guy Debord, da: Commentari sulla Società dello spettacolo, XXIV


 

. Ci si sbaglia ogni volta che si vuole spiegare qualcosa opponendo la mafia allo Stato: essi non sono mai in rivalità. La teoria verifica con facilità ciò che tutte le dicerie della vita pratica avevano dimostrato troppo facilmente. La mafia non è un'estranea in questo mondo: ci si trova perfettamente a suo agio. Nell'epoca dello spettacolare integrato, essa appare come il modello di tutte tutte le imprese commerciali avanzate.

domenica 27 maggio 2012

da Guy Debord, La société du spectacle

Estratti del film del 1973 ispirato a La société du spectacle di Guy Debord, con testi recitati dall'autore

venerdì 25 maggio 2012

Jean-Jacques Rousseau e la società dello spettacolo. Presentazione, BO 29/5


  presentazione
  del libro di
Giuseppe Panella


 


Jean-Jacques Rousseau e la società dello spettacolo
(Firenze, Pagnini, 2010)

 

martedì 29 maggio ore 16

aula I
 Facoltà di Lettere e Filosofia
via Zamboni, 38

Università degli Studi di Bologna




ne discuteranno con l'autore:
Guglielmo Forni Rosa
Rudy M. Leonelli
Silverio Zanobetti
   interverrà  Manlio Iofrida

giovedì 19 aprile 2012

La verità esiste, ma non è in questo film


Con le nuove condizioni attualmente predominanti nella società schiacciata sotto il tallone di ferro dello spettacolo, notiamo ad esempio che un assassinio politico  è visto in una luce diversa; in un certo modo smorzata. Ci sono molti più dementi di prima dappertutto, ma ciò che è infinitamente più comodo è che se ne può parlare in modo demenziale. E tali spiegazioni mediali non sono imposte da un qualsiasi terrore regnante. Al contrario, è l'esistenza pacifica di tali spiegazioni che deve suscitare il terrore.

Guy Debord, Commentari sulla Società dello spettacolo, XXV


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lunedì 14 febbraio 2011

Finezze: il terzo pollo

Ma oggi non è possibile trascurare il fatto che l'uso intensivo dello spettacolo ha, come c'era da aspettarsi, reso ideologica la maggioranza dei contemporanei, per quanto solo a tratti e a sbalzi. La mancanza di logica, ossia la perdita della possibilità di riconoscere immediatamente ciò che è importante e ciò che è secondario o non pertinente; ciò che è incompatibile o che al contrario potrebbe essere complementare; tutto ciò che una data conseguenza implica e ciò che, nello stesso momento vieta; tale conseguenza è stata iniettata a dosi massicce nella popolazione dagli anestesisti-rianimatori dello spettacolo.
 Guy Debord, Commentaires, XI

"Né destra né sinistra"

“Senza distinzione tra Nord e Sud, tra destra e sinistra”. Parola di Gianfranco Fini  

 e, logicamente, chiarisce (?!?) :

 
Crediamo a una destra più moderna ed europea



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Finezze tratte da: LA STEFANI

mercoledì 22 dicembre 2010

Guy Debord: Commentaires, XXV


XXV

Con le nuove condizioni attualmente predominanti nella società schiacciata sotto il tallone di ferro dello spettacolo, notiamo ad esempio che un assassinio politico è visto in una luce diversa; in un certo nodo smorzata. Ci sono molti più dementi di prima dappertutto,ma ciò che è infinitamente più comodo è che se ne può parlare in modo demenziale. E tali spiegazioni mediali non sono imposte da un qualsiasi terrore regnante. Al contrario, è l'esistenza pacifica di tali spiegazioni che deve suscitare terrore.
Quando nel 1914, poco prima dello scoppio della guerra, Villain assassinò Jaurès, nessuno dubitò che Villain, individuo probabilmente un po' squilibrato, aveva ritenuto di dover uccidere Jaurès è perché agli occhi degli estremisti della destra patriottica, che avevano influenzato profondamente Villain, Jaurès appariva un uomo che sarebbe stato sicuramente nocivo per la difesa del paese. Qugli estremisti avevano però sottovalutato l'immensa forza del consenso patriottico nel partito socialista, che l'avrebbe spinto rapidamente all'«unione sacra»; e questo sia nel caso che Jaurès fosse assassinato,sia nel caso che gli si lasciasse l'opportunità di perseverare nella sua posizione internazionalista di rifiuto della guerra. Oggi, di fronte a un simile avvenimento, i giornalisti-poliziotti, noti esperti di «fatti sociali» e di «terrorismo», direbbero subito che Villain era conosciuto per i suoi reiterati tentativi di omicidio, spinto da una pulsione indirizzata ogni volta verso uomini che potevano professare opinioni politiche disparate,ma che casualmente presentavano tutti una somiglianza fisica o di abbigliamento con Jaurès. Diversi psichiatri lo confermerebbero, e i mass media, attestando semplicemente la loro competenza e la loro imparzialità di esperti incomparabilmente auorizzati. In seguitol'nchiesta ufficiale della polizia potrebbe portare, fin dal giorno successivo, alla scoperta di di varie persone rispettabili, pronte a testimoniare che Villain, ritenendo un giorno di essere stato mal servito alla «Chope du Croissant», aveva minacciato ripetutamente in loro presenza di vendicarsi entro breve tempo del gestore del caffè, abbattendo davanti a tutti e sul posto uno dei suoi migliori clienti.


Ciò non significa che in passato la verità si imponesse con frequenza e rapidità: perché alla fine Villain fu assolto dalla Giustizia francese. Fu fucilato solo nel 1936, quando scoppiò la rivoluzione spagnola, perché aveva commesso l'imprudenza di risiedere alle Baleari..


Guy Debord
Commentaires sur la Société du spectacle, 1988
tr. it. a c. d. F. Vasarri, 1990

mercoledì 6 gennaio 2010

La controrivoluzione preventiva, di Luigi Fabbri



È uscita, a cura dell'Assemblea Antifascista Permanente di Bologna, la riedizione de La controrivoluzione preventiva di Luigi Fabbri (Edizioni Zero in Condotta, Milano). Pubblicato per la prima volta nel 1922, con il sottotitolo editoriale "Saggio di un anarchico sul fascismo", il libro è riproposto ora con un'ampia introduzione.


* * *


Nel 1922 Luigi Fabbri compiva quarantacinque anni, era maestro elementare a Bologna e militante anarchico da oltre vent'anni. Aveva subìto per questo intimidazioni e bastonature e la sua riflessione sul fascismo è anzitutto quella di un testimone che ha visto una città «rossa» come Bologna diventare in pochi mesi la «culla» della reazione antiproletaria.
Dinanzi a un fenomeno nuovo e difficile da interpretare, La controrivoluzione preventiva delinea il formarsi di una cultura reazionaria di massa promossa dallo Stato e dalla borghesia «con la triplice azione combinata della violenza illegale fascista, della repressione legale governativa e della pressione economica derivante dalla disoccupazione». Per Fabbri le violenze fasciste non sono un evento isolato, ma una funzione primaria della «controrivoluzione preventiva» attraverso cui la borghesia aggrediva le conquiste operaie e le libertà sociali.
La tesi di quel saggio, riproposto ora a cura dell'Assemblea Antifascista Permanente di Bologna, ebbe fin da subito larga risonanza e contribuì al formarsi di una coscienza antifascista rivoluzionaria: il concetto di «controrivoluzione preventiva» attraversa infatti per intero la storia intellettuale del Novecento fino a Marcuse e Debord e può fornirci ancora oggi una chiave di lettura degli avvenimenti attuali.

venerdì 24 aprile 2009

Bologna 25 aprile: Catilina parla


Nell’ambito delle attività di produzione culturale dell'Assemblea Antifascista Permanente, è in corso la riedizione di un saggio notevole e scintillante sul fascismo, edito “a caldo” nel 1922: La controrivoluzione preventiva di Luigi Fabbri.

Nel 1922 Luigi Fabbri compiva quarantacinque anni, era maestro elementare a Corticella in provincia di Bologna e militante anarchico da oltre vent’anni. La sua voce è anzitutto quella di un testimone che ha visto un’area «rossa» come Bologna e l’Emilia-Romagna diventare, nel volgere di pochi mesi, una roccaforte e anzi la «culla» del fascismo e della reazione antiproletaria. Si tratta di un’inchiesta a tutto campo che dalla cronaca minuta, narrata con gusto vivo del racconto, cerca di risalire alla forma sociale del fascismo come «controrivoluzione preventiva».

Nonostante alla fine del 1922 i fascisti distruggessero le copie ancora invendute del libro, tanto che oggi sopravvivono nelle biblioteche italiane meno di una trentina di esemplari dell’edizione originale, le tesi di quel saggio scritto in fretta negli ultimi tumultuosi mesi del 1921 ebbero fin da subito larga risonanza. Così, mentre il nome di Fabbri cade nell’oblio, il concetto di «controrivoluzione preventiva» attraversa invece per intero la storia intellettuale del Novecento fino a Marcuse e a Debord.

Ma, prima della ristampa de La Controrivoluzione preventiva, abbiamo pensato di portare in giro per Bologna quel testo con una lettura pubblica di vari brani, quelli che raccontano più vivacemente fatti ed episodi della violenza e dell’idiozia fascista (con breve introduzione e intermezzi musicali). Qualcosa a metà tra la presentazione di un libro che ancora non c’è e uno spettacolo di dilettanti.

sabato 25 aprile, alle ore 19
al VAG 61, via Paolo Fabbri 110




Catilina parla

.
Letture da
La controrivoluzione preventiva
di Luigi Fabbri


interventi musicali:
Marco Coppi - flauto


leggono:
Antonella, Cristina, Giorgio, Nerio, Rudy



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post correlati
Bologna culla del fascismo:

I - autunno 1920

II - 21 novembre 1920

domenica 13 luglio 2008

La morte di Funari, avanguardia della tv spazzatura (da Senza Soste)


Propongo alla lettura uno dei rari articoli critici degni del nome sul ruolo di "comunicatore" svolto da Gianfranco Funari, in questi giorni coralmente e uniformemente celebrato nella neo-Italietta consensuale.






La morte di Funari, avanguardia della tv spazzatura


Karl Kraus, vero e ultimo moralista del '900, scriveva "Non avere un pensiero e saperlo esprimere: è questo che fa di qualcuno un giornalista". Gianfranco Funari, cabarettista e avventuriero dello spettacolo, frasi come queste non le scriveva ma le intuiva, le rappresentava in trasmissioni fatte di luoghi comuni portati all'eccesso e di pieno e consapevole uso della televisione spazzatura. Del resto è celeberrima la frase che racchiude la sua concezione della comunicabilità del mezzo televisivo dove "per essere eccezionali bisogna mascherarsi da normali, abbassarsi al gradino più basso, corteggiare senza pudore le casalinghe".
E qui c'è tutta un'idea della televisione generalista come strumento che può attrarre consenso tramite l'espressività del banale che è sia alla radice dell'uso del luogo comune come veicolo di contenuti critici che della imposizione delle leggi dell'avanspettacolo come dispositivo di raccolta del consenso in politica. Come tutte le avanguardie, anche se dell'utilizzo della tv spazzatura, Gianfranco Funari si trova nel posto giusto al momento giusto.

Continua a leggere nel sito Senza Soste

mercoledì 21 marzo 2007

Il Grande Dialogo


Dopo la battuta in cerchio gli accerchianti invitano gli accerchiati a un colloquio. Si cerca il Nuovo Inizio. Il Grande Dialogo. Invece delle pubbliche bastonate il tè dietro porte imbottite. Lo scopo dell'esercitazione è dichiarato insieme all'invito: le pecore bianche devono essere separate da quelle nere, si deve spezzare la solidarietà

Hans Magnus Enzensberger,
Palaver



Ho recepito la scelta di organizzare a Bologna un convegno legato al ‘77 come un'implicita sollecitazione ad affrontare problemi che hanno un'importanza strategica in questa città, ma non soltanto per questa città. Per questo vorrei partire da questioni emerse sul piano locale, cercando poi di intravedere almeno il profilo di problematiche più estese. L’attenzione alla dimensione microfisica dei poteri e degli affrontamenti non va confusa con un angusto “localismo”, ma può fornire un punto di attacco per una riflessione in termini di strategie.
La rilevanza di Bologna nel ‘77 è nota, ma questa stessa notorietà comporta semplificazioni e scarsa problematizzazione: la “storia” diventa fruibile e si banalizza... Come contrastare questi reiterati tentativi di normalizzazione? Credo che non si tratti di istituirsi come memoria, testimoniare una “verità” del movimento che andrebbe restaurata, ripristinata nella sua originaria autenticità: il rischio della sterilità o della produzione di miraggi è fin troppo evidente. E’ forse più interessante rovesciare la prospettiva e chiedersi che cosa c’è in gioco nelle operazioni di riscrittura, direttamente sollecitate o benevolmente accolte da quelle stesse istituzioni che avevano estirpato e cancellato il movimento in quegli anni.
La peculiarità della situazione bolognese introduce un punto di vista asimmetrico sulle questioni discusse oggi, una sorta di eccezione che può forse aiutare a riformulare i problemi, o almeno a mostrarne aspetti meno evidenti.