martedì 27 febbraio 2007

Maurice Blanchot: Michel Foucault come io l'immagino

Maurice Blanchot
Michel Foucault come io l’immagino, Genova, Costa & Nolan 1988 [Michel Foucault tel que je l’imagine, Montpellier, Fata Morgana 1986]  
 
1. L’immagine non è, in Blanchot, confortata dalla credenza nel “profondo di un sogno felice che l’arte troppo spesso autorizza”.
“Vivere un avvenimento in immagine – citiamo ancora, e necessariamente a lungo, da Lo spazio letterario – non vuol dire disimpegnarsi da questo avvenimento, disinteressarsene, come vorrebbero la versione estetica dell’immagine e l’ideale sereno dell’arte classica, ma vuol dire non più impegnarvisi con una decisione libera: vuoi dire lasciarsi prendere, passare dalla regione del reale, in cui ci teniamo a distanza dalle cose per meglio disporne, a quest’altra regione in cui la distanza ci tiene, questa distanza è allora profondità non viva, indisponibile, lontananza inapprezzabile divenuta come la potenza suprema e ultima delle cose ... Vivere un avvenimento in immagine, non vuol dire avere di questo avvenimento una immagine, e neppure conferirgli la gratuità dell’immaginano. L’avvenimento, in questo caso, avviene veramente; e tuttavia avviene ‘veramente’? Ciò che accade ci afferra, come ci afferrerebbe l’immagine, vale a dire ci priva, di esso e di noi, ci tiene al di fuori, fa di questo di fuori una presenza in cui ‘Io’ non ‘si’ riconosce”.
L’evocazione straniante dell’incontro anonimo e aleatorio con Foucault nel ’68, che apre Michel Foucault come io l'immagino, presenta quel carattere di esteriorità irriducibile dell’avvenimento, che costituisce un luogo cruciale dell’opera (sia “critica”, sia letteraria”) di Blanchot. “Non è una
finzione benché non sia capace di pronunciare a proposito di tutto ciò la parola verità. Gli è successo qualcosa, e non può dire che sia vero, né il contrario. Più tardi, pensò che l’avvenimento consistesse in questa maniera di non essere né vero, né falso” (L'attesa, l’oblio). E ancora, ne La comunità inconfessabile (a proposito di Acéphale): “Coloro che vi hanno partecipato non sono sicuri di avervi avuto parte”.

2. “Esprimere soltanto quello che non può esserlo. Lasciarlo inespresso” (L‘attesa, l’oblio).

domenica 25 febbraio 2007

Dedicato a Elio Xerri. Bologna, Marzo 2007

[Ricevo e volentieri pubblico. Ho inserito alcuni link nel testo del comunicato originale; ne sono dunque l'unico artefice e responsabile, rml].


Una mostra, tanti eventi, per ricordare un caro compagno, un amico, una libreria, una via, una città, un mondo e un modo.

Nello spazio di Modo Infoshop in via Mascarella 24 e 26, sarà allestita, dal 4 al 22 marzo 2007 LA MOSTRA Ambient/Azione - Il Picchio: Elio racconta foto, video, interviste, conferenze, performance, edizioni e arte della Libreria Editrice Il Picchio, del Centro di Documentazione Anarchica e dell’attività di Elio dal 1975 al 2006.

Aperto a metà degli anni '70, "Il Picchio", si collegava ai "cento fiori" delle librerie di movimento in cui tutta la stampa antagonista e rivoluzionaria trovava ampia diffusione.

Al Picchio si camminava sulla parte selvaggia, si percepiva il cambiamento e tutto era possibile.

Con Primo Moroni ** e tanti altri compagni e compagne che avevano condiviso lo stesso impegno e lo stesso progetto, Elio aveva dato vita alla "Punti Rossi", una rete di distribuzione autonoma dai circuiti commerciali che permetteva alla stampa del movimento rivoluzionario di circolare liberamente senza soggiacere alle regole del mercato e spesso eludendo il controllo poliziesco.

La storia di Elio, l’anima del Picchio, è la storia di un uomo esuberante e riservato, poco incline ai compromessi, di un compagno che ha sempre vissuto per affermare libertà, solidarietà, giustizia sociale.

Gli accadde anche di dover assistere l'agonia di Francesco Lorusso ** , il compagno di Lotta Continua che venne ucciso, con un colpo alla schiena, dai carabinieri l'11 marzo del 1977 in quella via Mascarella dove il Picchio era il primo posto in cui un compagno in difficoltà sarebbe andato a chiedere aiuto.

I suoi 62 anni di vita sono stati troppo pochi per contenere l'umanità che Elio esprimeva. Pochi per lui, pochi per noi che gli abbiamo voluto bene.

Nelle tre settimane della mostra saranno riproposte proiezioni di conferenze e interviste svolte durante l’attività del Picchio, moltissime foto della libreria, foto delle manifestazioni, manifesti, edizioni editoriali della casa editrice Il Picchio; una accattivante colonna sonora accompagnerà la mostra per tutta la sua durata, non mancheranno eventi di convivialità al vino rosso e delle visite guidate nel percorso della storia che ha attraversato quel luogo e visto partecipi quelle persone.


Domenica 4 marzo, ore 18, presso la libreria Modo Infoshop, via Mascarella 24 e 26, Bologna, inaugurazione della mostra.


http://www.libreriailpicchio.blogspot.com/


http://www.circoloberneri.netsons.org/




lunedì 19 febbraio 2007

E. Balibar - I. Wallertsein: Razza nazione classe

Étienne Balibar – Immanuel WallersteinRazza nazione classe. Le identità ambigue, Roma, Edizioni Associate, 1991
[
Race nation classe. Les identités ambiguës, Paris, La Découverte, 1988]

Nell’ambito dei movimenti italiani l’attenzione per questo lavoro è antecedente alla traduzione integrale del libro: nel 1989 il n. 3/4 di
Notebook aveva proposto due saggi di Balibar compresi in questo volume di confronto incontro con Wallerstein.
È di indubbia rilevanza il fatto che questa discussione di portata internazionale sui nessi tra alcuni nuclei problematici di dirompente attualità venga a prodursi all’incrocio tra due distinte, e correlate, esperienze critiche del marxismo, il cui carattere “non ortodosso” ha specifiche connotazioni: tensione permanente, in Balibar, a dissociare “gli elementi di analisi teorica e quelli di ideologia millenarista amalgamati nell’unità contraddittoria del marxismo” (p. 187); distinzione, in Wallerstein, di un Marx studioso di differenti sistemi storici, in rottura con i presupposti antropologici del pensiero liberale borghese, da un Marx universalista, implicato in una lettura “progressiva” del ruolo storico del capitalismo, nel quadro di un modello evolutivo-lineare di “crescita” dei modi di produzione (pp. 137-139).

Etienne Balibar, nell’intervento alla presentazione dell’edizione italiana del libro [“Identità ambigue”, in
Autonomia, n. 49, maggio 1991, da cui citiamo ampiamente] ha sottolineato i due “sensi complementari” in cui è proposta la nozione di identità ambigua.
Il primo – “più sociologico, o meglio strutturale” – è relativo al permanente processo di costruzione e distruzione delle identità di razza, nazione e classe nel quadro dei rapporti gerarchici che definiscono l’economia mondo capitalistica e che comportano “una tensione obiettiva permanente tra universalismo e particolarismo, vale a dire che nessuna di queste identità, fra di loro opposte, può esser considerata naturale [...] Tutte sono per necessità delle identità incompiute”; e “gli apparati, le istituzioni che lavorano a fissare l’una o l’altra di queste identità [...] devono operare in permanenza, produrre un effetto di riduzione della complessità, che non può essere che provvisorio, anche se in certi casi dura a lungo, ma che naturalmente deve rappresentarsi come eterno in termini naturalisti e naturaleggianti”.
Il secondo senso — “più politico” — concerne “l’ambivalenza intrinseca di ogni affermazione discorsiva o pratica dell’identità”. In ragione di questa ambiguità, la valenza di rottura o di integrazione sistemica di ogni specifica “spinta identitaria” è decisa congiunturalmente. “Ma sulla congiuntura pesa sempre il posto definito dalla struttura mondiale”.
In un contesto internazionale investito da radicali mutazioni, che ribaltano posizioni storicamente consolidate — “Mentre l’Europa ha esportato per tre secoli nel mondo intero i suoi modelli politici e le conseguenze degli affrontamenti tra le sue nazioni e i suoi ‘blocchi’, essa diviene ora il luogo in cui si cristallizzano i problemi sociali del mondo intero” [Balibar, “La Communauté européenne vue du dessous”, in
Le monde diplomatique, febbraio 1991] – un compito maggiore della nostra epoca sarà quello di “sviluppare delle categorie teoriche e politiche per analizzare, diagnosticare e trattare collettivamente l’ambivalenza dei movimenti culturali di oggi” [in Autonomia, cit.].

Il libro, che ha il suo fulcro nella “questione scottante:
qual è la peculiarità del razzismo contemporaneo?” (p. 13), su cui è concentrata l’attenzione di queste rapide note, ha come punto di attacco quello che Taguieff ha chiamato l’effetto di ritorsione del nuovo razzismo differenzialista, che non procede più dal postulato di una differenza biologica tra le “razze”, ma prende alla lettera le premesse del culturalismo antropologico – che era stato uno dei pilastri della critica al colonialismo, al razzismo e all’etnocentrismo europei – in un investimento politico di segno inverso, incentrato sulla difesa delle “identità” culturali nella loro supposta intangibilità (ciò che non esclude la possibilità di riprendere e “spostare di un gradino il biologismo”.
L’analisi estremamente complessa e puntuale di Balibar, oltre a questo primo effetto di ritorsione (operante una “destabilizzazione delle difese dell’antirazzismo tradizionale”), focalizza un secondo effetto “più subdolo e quindi più efficace”: in modo circolare, il differenzialismo si propone come “spiegazione” dei comportamenti razzisti, “
naturalizza non l’appartenenza ad una razza, ma il comportamento razzista”. Questo “metarazzismo”, o “razzismo di seconda posizione”, può così “presentarsi come vero antirazzismo e quindi come vero umanesimo” (pp. 33-37.
Si coglie bene, in questa prospettiva — oltre alla ragione principale della difficoltà di criticare il nuovo razzismo culturalista [cfr. pp. 31 e 70] — l’importanza della discussione sull'universalismo.
“L’universalismo e il razzismo possono sembrare a prima vista strani compagni, se non addirittura concetti praticamente antitetici: l’uno aperto, l’altro chiuso; l’uno tendente all’eguaglianza, l’altro alla polarizzazione; l’uno votato al discorso razionale, l’altro intriso di pregiudizio. Tuttavia, il fatto che abbiano camminato tenendosi per mano, che si siano diffusi e abbiano prevalso in concomitanza con l’evoluzione del capitalismo storico, dovrebbe suggerirci di guardare più da vicino ai modi con cui queste due dottrine hanno potuto convivere”. Questo brano de
Il capitalismo storico [(1983), Einaudi, 1985, p. 71] di Immanuel Wallerstein pone il problema, in prossimità del paragrafo dedicato a “L’ambivalenza dei movimenti antisistemici” che, nella sua stessa formulazione, sembra preludere a questa discussione delle identità ambigue.

Nel secondo capitolo di
Razza nazione classe, Wallerstein considera la coppia terminologica in base alla sua funzionalità all’economia mondo capitalistica: universalismo (tendenza alla mercificazione illimitata, meritocrazia) e razzismo (“etnicizzazione” della forza-lavoro, minimizzazione dei costi politici ed economici del suo sfruttamento), intrattengono un rapporto complementare, e di reciproca compensazione contro la tendenza agli estremi del termine opposto (il quadro è naturalmente più complesso di questa telegrafica sintesi, e occorre in ogni caso ricordare che l’autore non prefigura un equilibrio statico, ma un andamento “a zig-zag” di crescente ampiezza e instabilità).
Raccogliendo la sfida dell’attuale “razzismo universalistico” Balibar cerca invece di “pensare a un’unità ancora più profonda tra i due lati”: “Ciò di cui si tratta è il ‘legame interno’ che si è stabilito tra le nozioni di umanità, di specie umana, di progresso culturale dell’umanità, e i ‘pregiudizi’ antropologici riguardanti le razze o le basi naturali della schiavitù. È la nozione stessa di razza, il cui significato moderno comincia a delinearsi nel periodo dei Lumi – questa grande fioritura dell’universalismo – e la modifica non accidentalmente, esteriormente alla sua ‘essenza’, ma intrinsecamente» [“Razzismo: un altro universalismo” in
Problemi del socialismo, n. 2, 1991, pp. 39 e 37].
Da un lato, “l’universalismo, quando cessa di essere una semplice parola, una filosofia possibile, per diventare un sistema di concetti espliciti, non può non includere al centro di se stesso il suo contrario. Impossibile definire il logos senza farlo dipendere da una gerarchia antropologica e ontologica, anche nel filosofo più ‘laico’” (ivi, p. 38).
Dall’altro “qualsiasi razzismo teorico si riferisce ad
universali antropologici [...] In tutti questi universali scopriamo l’insistenza di un’unica ‘questione’: quella della differenza tra umanità e animalità, il cui carattere problematico è riutilizzato per interpretare i conflitti della società e della storia” (Razza nazione classe, p. 68).
Suggerendo di pensare la relazione di razzismo e universalismo nei termini degli hegeliani contrari determinati – “il che fa sì appunto che ciascuno di essi modifichi l’altro ‘dall’interno’” [in
Problemi..., cit. p. 39] – Balibar turberà probabilmente le anime belle della cultura europea; ma la posta in gioco di questa provocazione è la costituzione di un’intelligenza collettiva adeguata alla provocazione del tempo.
Un tempo in cui, comunque, questa ricerca rimarrà un passaggio decisivo per le esperienze e i percorsi di un
effettivo antirazzismo.




rudy m. leonelli, 1991

in:
Invarianti. Per descrivere le trasformazioni,
anno V, n, 17-18, Estate-Autunno 1991.

Testo selezionato dalla rubrica "Recensioni" del sito di Edizioni Associate
Feedback: ateismo scetticismo e religione, Kilombo, Newstin

sabato 10 febbraio 2007

altreragioni 1992 - 2000



“Una ho portato costante figura,
storia e natura, mia e non mia, che insiste
- derisa impresa, ironia che resiste,
e contesa che dura,”

Franco Fortini, 1956





In questi anni sono fiorite molte riviste che hanno sfidato la diffusa apatia politica. Esse sono state importanti, anche perché sono spuntate fin sotto i fili spinati dei “vincenti”. Dunque, raccogliersi per una riflessione collettiva è stato possibile; ma come fare perché questa non sia effimera? Molte pubblicazioni hanno chiuso, poche continuano. Tra queste ultime, “Altreragioni”, titolo che dobbiamo a Franco Fortini. Con i primi quattro numeri abbiamo cercato di dimostrare che una continuità è possibile, anche se ardua. La rivista non si appoggia né a partiti né a corporazioni. Essa è autofinanziata dal gruppo di discussione che la firma e che rimane una redazione aperta.
Scorrendo i sommari dei primi quattro numeri, lettrici e lettori si accorgeranno che “Altreragioni” si pone a sinistra, ma non vi siede: non fa parte della sinistra istituzionale, alla quale non concede sconti né per i suoi trascorsi, né per il suo presente. E’ una rivista che intende criticare l’esistente, cercando di sprovincializzare dibattiti che sovente si esauriscono in discorsi prevedibili. “Altreragioni” è uno strumento di riflessione per chi vuole connettere temi che di solito rimangono separati: come la ricerca può aiutare a costruire un punto di vista critico contro le pretese del liberalismo di porsi come linguaggio politico universale, contro la ferocia del mercato, del darwinismo sociale, e dei loro inevitabili esiti di guerra? Quali sono le conseguenze dello sfruttamento in tutte le sue sfaccettature (per colore, sesso, età, istruzione) compresa la spoliazione dell’ambiente? Quali sono i dispositivi che di fatto ci governano? Tra di loro quali sono i più incontrollati? Come demistificare le favole dei mezzi di comunicazione che ci bombardano quotidianamente? E’ possibile scorgere tendenze nell’attività umana che già oggi si contrappongano alla schiavitù salariale? Erano questi alcuni degli interrogativi che ci ponevamo all’inizio di questa rivista …


Il gruppo di discussione di altreragioni, 1995



*      *      *



Sommario dei dieci numeri di
altreragioni




altreragioni   1/92

Sergio Bologna Problematiche del lavoro autonomo in Italia (I)
Michela Bianchi Sistema previdenziale e caduta della solidarietà
Franco Graziani Partecipazione sotto sforzo
Riccardo Bellofiore Piano, capitale e democrazia. I termini di una discussione
Delio Cantimori Lettere inedite
Valerio Marchetti, Antonella Salomoni Una perestrojka della storia. Urss 1985-1991
Michele Pacifico Umberto Segre: la filosofia in presa diretta
Ferruccio Gambino Migranti nella tempesta: flussi di lavoratori senza diritti e di petrodollari nel Golfo Persico



altreragioni   2/93     

Lapo Berti L'Europa di Maastricht
Lapo Berti Moneta e unità europea
Andrea Fumagalli Gli accordi di Maastricht e l'economia italiana
Suzanne de Brunhoff Sette domande
Jean-Pierre Poitier Gli aspetti monetari del Trattato di Maastricht: alcune note sul dibattito in Francia prima del referendum del 20 settembre 1992
Gianni Losito La rappresentazione del processo di integrazione europea nei mezzi di comunicazione
Flaminia Cardini Rivedere Maastricht: l'Europa nelle televisioni
Marina Forti Migranti e immigrati nell'Europa di Schengen
Virgilio Ilari L'Europa di Maastricht e la questione della "Difesa europea"
Cronologia: dall’“Atto unico” al Trattato di Maastricht
Lo straniero Cultura dell’opposizione: si torna agli anni Cinquanta?
Giovanna Procacci Storie di rivoluzioni
Rudy Leonelli Gli eruditi delle battaglie. Note su Foucault e Marx
Dario Da Re, Rossana Mungiello, Dario Padovan Intellettuali, sinistra e conflitto del Golfo: un'interpretazione retrospettiva del dibattito
Germano Lombardi Ricordo
Giulia Contri Piscopo Freud e le guerre mondiali
Bruno Cartosio Stati Uniti: crisi sociale e mutazione capitalistica *
Sergio Bologna Problematiche del lavoro autonomo in Italia (II)


altreragioni   3/94

Lapo Berti Effetti disgregativi dell'integrazione economica europea
Robert Castel Una repubblica di piccoli azionisti
Andrea Fumagalli Il nuovo, il vecchio e le mistificazioni del presente
Ferruccio Gambino Senza alzare lo specchio sull’Italia
Le lotte degli studenti africani per il diritto al l'istruzione: Dario Padovan Premessa
Silvia Federici Le radici economiche della repressione della libertà universitaria in Africa
Comitato per la libertà accademica in Africa Una cronologia delle lotte degli studenti universitari africani: 1985 - 1993
Dalla ex-Jugoslavia: Nicole Janigro Presentazione
Rada Ivekovic Nazioni e ragioni*
Zarana Papic Nazionalismo, patriarcato e guerra
Ferruccio Gambino Industria e finanze estreme
Rudy Leonelli Metamorfosi di Marx
Mavì De Filippis Altri comunismi



altreragioni    4/95

George Caffentzis Rompiamo il silenzio sulla fine della Banca mondiale e del Fmi
Silvia Federici, George Caffentzis Fmi e Banca mondiale: cinquant’anni bastano! Proposta di manifesto per una rete antagonista internazionale
Ismael Ruíz Mocambo L’altra “terziarizzazione”: l’amazzonica. Banca mondiale e impresa a rete in Amazzonia orientale
Maristela Sena, Valter Zanin La parola a un ex-dannato della terra. Intervista con un ex-schiavo in Amazzonia
Devi Sacchetto Macchine elettorali e macchine da cucire nell'America centrale e dintorni
Andrea Fumagalli La politica economica del post-fordismo
Andrea Scacchi Sindacati confederali e governo: le ragioni dello scontro
Franco Graziani Per una sinistra di destra
Lavoro e non-lavoro: Andrea Fumagalli Presentazione
Enrico Pirovano Fabbrica integrata e flessibile
Cristina Morini Lavoro autonomo e settore editoriale in Italia
Franco Graziani Modelli organizzativi e relazioni industriali
Gino Tedesco L’autorganizzazione tra crisi e progetto
Dario Padovan Grande stampa statunitense su sottile ghiaccio italiano
Mavì De Filippis Franco Fortini “faber”
Massimiliano Tomba Adorno e il moderno
Rudy Leonelli Le sventure della virtù. Per la critica del post-antirazzismo
Mavì De Filippis La fabbrica del consenso



altreragioni   5/96

Andrea Fumagalli Lavoro e piccola impresa nell'accumulazione flessibile in Italia (I)
Devi Sacchetto Nodi di autonomia controllata: il tessile e abbigliamento nel Veneto
Mauro Moretto Una zona di esportazione di rango alto e precario
Luca Queirolo Palmas Toyota City e River Rouge nel cuore della Lucania. Voci operaie sul post-fordismo
Elena Mezentseva Le politiche dell'occupazione femminile in Russia fra ideologia ed economia
William Mc Tell Dinamica della crisi politica e mutamento della composizione di classe negli Stati Uniti
Joel Gilbert Chi ha perso un americano?
Giovanna Procacci Muri che crollano, speranze che restano
Sandro Mezzadra Da Seul a Brema e ritorno
Icspmo Dichiarazione di intenti dell'Istituto coreano per gli studi e la politica del movimento operaio
Mavì De Filippis Leggere scrivere raccontarsi



altreragioni   6/97

Rossana Mungiello Lavoro coatto a fine secolo in quattro grandi aree economiche
Lia Toller Gli sbarchi di migranti senza documenti al sud: modelli di differenzialismo nella fortezza europea
Stefano Visentin Umani, troppo umani. I diritti dell’uomo e la sovranità dello stato
Laura Corradi L’Internazionale della speranza. Taccuino dal Chiapas
Su-Dol Kang Corea del sud. Rivolta contro il liberismo
Antonio Casano La crisi e il governo della pace sociale
Andrea Fumagalli Lavoro e piccola impresa nel modello di accumulazione flessibile in Italia (II)
Massimiliano Tomba, Valter Zanin Fare storia per scagionare il presente
Rudy Leonelli Questioni di metodo. A proposito di Kulturkampf
Franco Graziani Angelo Dina. La partecipazione: un'utopia?
Altreragioni In memoria di John Merrington



altreragioni   7/98

Maurizio Merlo Sul residuo lavoro come forma industriale dell’attività
Devi Sacchetto Cuciture e strappi verso Est
Andrea Scacchi La contrattazione collettiva in Europa tra corporativismo conflittuale e corporativismo consociativo
• David Abraham Libertà senza uguaglianza: il legame tra diritti e proprietà in un regime di “cittadinanza negativa” (I)
Livio Quagliata Scomodi fantasmi
Alfredo Alietti Assalto all’Africa: i Grandi Laghi
George Caffentzis Il regime di proprietà intellettuale e la recinzione del sapere africano
Silvia Federici Sul futuro dell’università africana
Franco Graziani Virtuale e reale
Massimiliano Tomba, Valter Zanin Storia e sterminio. Per una critica del revisionismo storico
Rudy Leonelli, Luca Muscatello, Vincenza Perilli, Leonardo Tomasetta Negazionismo virtuale. Prove tecniche di trasmissione
Rudy Leonelli La fabbrica della negazione
Dario Padovan Teoria e prassi del razzismo italiano tra le due guerre



altreragioni   8/99

Giovanna Procacci La cittadinanza sociale di fronte alla crisi del welfare
David Abraham Libertà senza uguaglianza: il legame tra diritti e proprietà in un regime di “cittadinanza negativa” (II)
Alexander Brentel, Luigi Enzo, Stefano Mestriner, Graziano Merotto La subordinazione invisibile: lavorare nelle cooperative nel trevigiano
Andrea Fumagalli, Gino Tedesco Quattro schede sulla forma cooperativa: la situazione nel milanese
Davide Bubbico Natuzzi: “crescere insieme” per lavorare divisi
Valter Zanin Chi mangerà la prossima tigre?
Franco Graziani Risparmiare inquinando
Eugenia Parise Note su democrazia e globalizzazione
Dario Padovan Bio-politica, razzismo e scienze sociali. Politiche totalitarie e disciplinamento sociale durante il fascismo
Ab Incunabulis Documenti del Sessantotto
Ferruccio Gambino Forza-invenzione e forza-lavoro. Ipotesi
Vincenza Perilli L’innocenza di Eva
Ferruccio Gambino Guido Bianchini lungo i gironi del movimento operaio
Edoarda Masi Saluto a Primo Moroni
Laura Corradi In ricordo di Primo Moroni
Ferruccio Gambino Dal sottosuolo alla guerra
Louis Bridgeman, Dario Padovan, Valter Zanin Juguslavia: cronologia delle inavvertenze umanitarie (I)



altreragioni   9/99

Graziano Merotto, Devi Sacchetto, Valter Zanin Navi da crociera in zona di guerra
Beatrice Donini La via veneta all'equilibrio sociale: l'Ente bilaterale per l’artigianato veneto
Francesco Faiella Ruanda e Burundi: conflitti etnici e politiche imperiali nella regione dei Grandi Laghi (I)
Alfredo Alietti Tra comunità e globalizzazione: prospettive dell’economia informale in America Latina
Alberto Airoldi Lo sviluppo del lavoro per conto proprio a Cuba
Luigi Lollini Poesie ai nipoti
Rudy M. Leonelli Fonti marxiane in Foucault
Laura Corradi Comiso-Kosova, andata e ritorno
Paul Parin Saluto
Valter Zanin Nato e Jugoslavia: il Protettorato delle idee
Louis Bridgeman Kossovo: cronologia delle inavvertenze umanitarie (II)
Bernard Friot Quali risorse per i disoccupati?
Mavì De Filippis I barbari alle porte
Mavì De Filippis Il Centro studi Franco Fortini



altreragioni   10/00

Marco Antonio Pirrone Sociologia delle migrazioni e Mediterraneo. Un caso poco esplorato: il Medio Oriente (I)
Alessandro Simoncini Migranti, frontiere, spazi di confine. I lavoratori migranti nell’ordine salariale
Francesco Faiella Ruanda e Burundi: conflitti etnici e politiche imperiali nella regione dei Grandi Laghi (II)
Lauso Zagato La guerra jugoslava, ovvero: il sistema westfaliano è davvero morto in Kosovo?
Maurizio Fontana Dell’estendersi del lavoro precario
Maria Grazia Rossilli Modernizzazione europea: quali opportunità e quali diritti per le cittadine dell’Unione?
Liliane Kandel La parità: progresso, trappola o esca?
Toshi Kayano, Vincenza Perilli Confortanti silenzi
Ralph Raschen La bambina-lavavetri e gli altri undici discepoli dell’incrocio
Mavì De Filippis Il poeta di nome Fortini

venerdì 2 febbraio 2007

Foucault, Marx, marxismi

Il convegno di Bologna del 24 novembre 2005


Qual è stata l’incidenza di Marx e dei marxismi (il plurale è, per noi, d’obbligo) nella formazione di Foucault e nel percorso delle sue ricerche? E quanto il pensiero foucaultiano ha segnato lo sviluppo del marxismo occidentale?
Il convegno "Foucault, Marx , marxismi", organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna presso la Scuola Superiore di Studi Umanistici, ha cercato di rispondere a questi interrogativi attraverso il confronto tra una pluralità di interventi accomunati dall’esigenza di dar corpo e determinazioni alla complessità di questi rapporti, spesso riconosciuta almeno in linea di principio, ma – in particolare in Italia – raramente esplorata nelle sue molteplici articolazioni.

Manlio Iofrida ha esplorato uno dei periodi più trascurati dalla letteratura critica: il Foucault che, all’inizio degli anni ’50, si iscrive al PCF, e le cui posizioni filosofiche oscillano tra due poli : la psicologia esistenziale di Biswanger (di filiazione heideggeriana) e un marxismo ortodosso in cui trovano spazio elementi di osservanza sovietica (in particolare Pavlov). Due poli rappresentati da due opere del ’54: l’Introduzione a Malattia mentale ed esistenza di Biswanger e Maladie mentale et personnalité. Affrontando il nodo della coesistenza di questi poli, Iofrida ha messo in luce un retroterra comune, che attraversa molteplici marxismi dell’epoca: dalle ascendenze surrealiste, all’opera di Bataille e del Blanchot del dopoguerra, al poeta e resistente René Char; una “nebulosa” in cui diversi orientamenti legati a Marx intersecano riferimenti a Nietzsche e Heidegger. Iofrida ha poi riesaminato le questioni poste dal saggio di Pierre Macherey (in Critique, n. 471-472, 1986) sulle trasformazioni che, con la riedizione del ’64, Foucault ha apportato al testo della Maladie del ’54, e ha esplicitato un unico punto di dissenso da Macherey: nel ’64 Foucault non avrebbe sostituito Marx con Heidegger; quanto piuttosto sostituito a un marxismo di osservanza sovietica un marxismo “nietzscheano-heideggeriano”. Non un cancellazione di Marx, ma l’esordio di un diverso rapporto con Marx, non più soggetto all’ortodossia.

Partendo dal corso del 1976 (Bisogna difendere la società), Guglielmo Forni Rosa ha notato che i riferimenti di Foucault al marxismo non sono omogenei e sono riferibili a diversi marxismi. Foucault distingue il riconoscimento dell’importanza di Marx dalla critica del marxismo come istituzione ancorata ad apparati di potere (partito, Stato). In questo senso, il rifiuto del marxismo come scienza potrebbe essere inteso non tanto come contestazione della legittimità del marxismo a comparire tra le scienze sociali del XIX secolo, ma come critica degli effetti di potere propri a un discorso scientifico. Un punto di forte prossimità a Marx è la concezione foucaultiana dell’individuo come prodotto storico e sociale e non come un dato naturale, sottolineata nel ’76 dall’opposizione “barbaro”/“selvaggio”. Nel rifiuto della dialettica quale forma di pacificazione di un sapere storico-politico “bellicoso”, prevale l’impossibilità di una “uscita dalla storia” in termini di conciliazione.

Sviluppando una lettura del corso del ’76 che ne privilegia le dimensione autoreferenziale (Foucault problematizza riflessivamente la griglia della “battaglia perpetua” che percorre i suoi testi degli ani ’70), Rudy M. Leonelli – con una rielaborazione delle tesi proposte in un saggio pubblicato in Altreragioni (n. 9, 1999) – ha sottolineato che l’intensificazione della lettura interna conduce paradossalmente al suo oltrepassamento, aprendo il problema cruciale del rapporto con Marx, inteso come condizione storica di esistenza della ricerca foucaultiana. L’analisi di questo rapporto è ostacolata tanto dal “gioco” di Foucault che usa frequentemente Marx senza citarlo, quanto a diverse imprecisioni nelle citazioni. Il caso più importante è quello della conferenza del 1976 “Le maglie del potere”, in cui Foucault indica luoghi del Capitale come un punto di riferimento per un’uscita dalla concezione giuridica del potere. Con il riferimento (erroneo) al II libro del Capitale, Foucault si riferisce in realtà a brani del tomo 2 del primo libro, (IV sezione). Solo se si individua il Marx al quale si riferisce Foucault, diviene possibile leggere l’analisi delle tecnologie del potere in termini produttivi come una generalizzazione delle analisi marxiane.

Stefano Catucci ha ricordato che la rilevanza politica di Foucault si è affermata a partire dalle frasi del 1966 (Le parole e le cose) che contestavano la rottura epistemica di Marx in rapporto all’economia politica ricardiana. In seguito Foucault ha cercato non tanto di “ritrattare” questa tesi, ma di circoscriverne la portata, sottolineando la rottura imprescindibile costituita dagli scritti storici di Marx. Alla radice della critica foucaultiana del marxismo, stanno in primo luogo i deludenti esiti dell’esperienza sovietica. Il Foucault più recente, nel corso del 1978, Sicurezza, territorio, popolazione, ha individuato la deficienza fondamentale della cultura socialista nell’assenza di un’autonoma concezione della “governamentalità” – che si è manifestata nella riduzione delle esperienze di governo socialista nell’alternativa tra la subalternità al liberalismo (il socialismo come “antidoto” o “correttore” di quest’ultimo) e lo stato di polizia. Il fatto che la valutazione delle esperienze di socialismo al potere sia stata generalmente posta in termini di fedeltà ad un testo, è al tempo stesso l’indice della mancanza di una concezione autonoma, e un modo di evitare il problema attraverso l’esegesi accademica del testo, verso la quale Foucault ha costantemente mantenuto un atteggiamento critico.

Marco Enrico Giacomelli – riprendendo le tesi che ha proposto in un saggio pubblicato nel numero monografico “Marx et Foucault” di Actuel Marx (n. 36, 2004) – ha evidenziato diverse corrispondenze tra le ricerche dell’operaismo italiano e le genealogie di Foucault. L’inchiesta sul cremonese di Montaldi (1956) inaugura un atteggiamento “partecipante”, in opposizione alla pretesa “neutralità” del ricercatore. Consci dell’obsolescenza degli schemi interpretativi del movimento operaio, gli operaisti privilegiano il terreno dell’inchiesta, poi tradotto nel concetto di conricerca (elaborato da Guiducci, e sviluppato da Alquati). Esperienze accomunabili a Foucault per il primato della pratica, il riferimento al sottoproletariato e la percezione del carattere disseminato del potere (il tema della società-fabbrica nell’operaismo). In rapporto all’attualità, Giacomelli sottolinea la fecondità della pratica dell’inchiesta, oltre i limiti delle impostazioni che, insistendo unilateralmente sul passaggio “epocale” al lavoro immateriale, sottovalutano le dimensioni del comando capitalistico.

Alberto Burgio ha affermato la possibilità di leggere tanto Marx quanto Foucault come due diverse imprese fondamentalmente critiche: è nel segno della critica che può collocarsi il rapporto tra i due. L’esigenza di staccarsi dalla vulgata che vuole un Foucault senza (o contro) Marx, deve farci chiedere da dove proviene: in primo luogo da Foucault stesso che, contestando il ricorso rituale e intimidatorio a Marx, usa Marx senza citarlo, e spesso laddove Marx è per lui più importante. Identificare questo Marx non citato è decisivo in quanto ci permette non solo di capire meglio Foucault e il suo rapporto con Marx, ma anche Marx stesso. Foucault ha ricordato l’importanza di Marx per lo sviluppo del concetto produttivo di potere, riguardo sia al potere disciplinare che alla storia della sessualità. La derivazione marxiana è esplicita, così come è decisivo il ruolo dei rapporti capitalistici. Contro le ricorrenti letture economicistiche di Marx, Foucault ci ricorda che Marx è un eccezionale analista dei rapporti di potere. Di più, Foucault mette in campo un concetto di egemonia che rinvia chiaramente a Gramsci. Ma, precisate queste vicinanze, resta il limite dell’analisi molecolare del potere che, secondo Burgio, non riesce a rendere conto delle crescenti divaricazioni e gerarchizzazioni.

rudy m. leonelli, novembre 2005

Una versione abbreviata di questo resoconto è stata pubblicata dal quotidiano Liberazione, 26 novembre 2005, p. 3, con il titolo:
Foucault, contro Marx. Anzi con...
 
(ripubblicato dalla Rassegna stampa de l'ernesto, da Essere comunisti, dalla rassegna sull'operaismo curata dal sito Prc Pescara)

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