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sabato 4 maggio 2013

Pierre Macherey: L’utopie ou l’attention au détail



Entretien avec Pierre Macherey      
       par Pascal Sévérac , le 6 juillet 2012       
       



L’utopie ou l’attention au détail di laviedesidees




L’utopie n’est pas faite pour être réalisée, mais pour éduquer notre regard. En critiquant ses dérives, les contre-utopistes ont fait œuvre salutaire, mais ils nous ont aussi détournés de ce qui fait son intérêt premier : une plus grande attention à notre quotidien. C’est pour cela que l’utopie, aujourd’hui, nous manque.



domenica 28 ottobre 2012

"Gente che non ho mai visto": Mussolini (di V. M.)


Vladimir Majakovskij

GALLERIA MAJAKOVSKIJANA
Gente che non ho mai visto



Mussolini

Ovunque si getti lo sguardo,i giornali
son pieni
              del nome di Mussolini.
A quelli che non l’hanno mai visto
                                                   lo descrivo io, Mussolini.
Punto per punto,
                         tratto per tratto.
Genitori di Mussolini,
                                 non sforzatevi di criticarmi!
Non gli somiglia?
                           La copia più esatta
                                                       è la sua politica.
Mussolini
               ha un orribile
                                    aspetto.
Nude le estremità,
                            nera la camicia,
sulle braccia
                   e sulle gambe
                                        migliaia
di peli
         a ciuffi.
Le braccia
                arrivano ai calcagni
                                              e scopano per terra.
Nell’insieme
                   Mussolini
                                  ha l’aspetto di scimpanzé
Non ha faccia :
                       al suo posto
ha un enorme
                     marchio da brigante.
Quante narici
                     ha ogni uomo!
                                           È inutile!
Mussolini
               in tutto,
                           ne ha una sola,
e anche questa
                      gli è stata spaccata
                                                   esattamente in due
alla spartizione
                        del bottino.
Mussolini
               è tutto
uno scintillio di medaglie.
Con un simile
                     armamento
                                      come non sconfiggere il nemico?!
Senza pistola,
                     senza spada,
                                        ma armato di tutto punto :
al fianco
             un litro intero
                                  d’olio di ricino ;
se
   te lo rovesciano
                           in bocca,
                                        non puoi opporti
                                                                 a una squadra
                                                                                      di fascisti.
Per sentirsi dappertutto
                                    come a casa
                                                       Mussolini
nella zampaccia
                        stringe un mazzo
                                                  di grimaldelli e di ferri da scasso.

lunedì 9 maggio 2011

«Sparate su chi protesta» - Mussolini: un documento inedito

Mussolini disse:
«Sparate su chi protesta»

di Pantaleone Sergi [*]
l'Unità - 7 maggio 2011


[*]  Pantaleone Sergi, giornalista, scrittore e storico, ha rintracciatonell'Archivio di Stato di Matera una direttiva finora sconosciuta.

Sparare su chi protesta. L'imperativo di Mussolini a un gruppo di neo prefetti non si prestava a equivoci. Era il dicembre 1926, la dittatura agli esordi, la lira svalutata, la stampa d'opposizione neutralizzata, le leggi fascistissime da poco in vigore, tribunali speciali e commissioni provinciali per il confino pronti all'opera per colpire ogni dissenso al neonato regime. «Vi devo dire parole chiare e precise», aveva iniziato il Duce incontrando i prefetti delle 17 nuove «province del Littorio»: «L'ordine pubblico deve essere mantenuto a qualunque costo, anche a costo di far fuoco sopra chi lo turbasse». Stesso trattamento alle gesta dello squadrismo alla Farinacci: per il Capo del fascismo e del Governo andavano represse.
  Nessun tentennamento, raccomandava: «Chi si rendesse colpevole deve essere arrestato e dovete pregare le autorità giudiziarie di procedere per direttissima e di condannare al massimo della pena». Fuoco sugli oppositori, dunque, e condanne esemplari per gli squadristi in ritardo. Il regime fascista è un regime autoritario, spiegò Mussolini, e si regge solo dando il senso della giustizia e dell'equità. Oltre che «della inviolabilità del pubblico danaro».

sabato 6 novembre 2010

"Giovinezza" : per chi ha ancora un po' di memoria storica

Vittorio Emiliani
Quando Toscanini non eseguì Giovinezza

A CHI ha proposto di far cantare Giovinezza a Sanremo si dovrebbe ricordare che il rifiuto di eseguirla prima delle opere opposto dal grande Arturo Toscanini fu la ragione fondamentale del suo esilio in America. Mussolini stesso lo convocò e gli chiese di eseguirla alla Scala alla prima di Turandot di Puccini il 25 aprile 1926, ma il maestro oppose un muto diniego fissando per tutto l' incontro il soffitto. Per questo rifiuto venne aggredito e malmenato a Bologna in prossimità del Teatro Comunale nel 1931 e decise che non avrebbe più diretto in Italia finché ci fosse stato il fascismo. Né diresse più a Bayreuth dopo l' avvento di Hitler, né a Salisburgo dopo l' annessione dell' Austria alla Germania nazista. Per poterlo avere sul podio in Europa gli crearono il festival di Lucerna, ma chi si mosse in auto da Milano - ricordava Camilla Cederna - venne segnalato e schedato alla frontiera. Insomma, non è questione di canzonette. Almeno per chi ha ancora un po' di memoria storica.

da: la Repubblica 5 novembre 2010



Leoncarlo Settimelli
La storia:Toscanini si era rifiutato di eseguire «Giovinezza»
al Teatro comunale.
Qualcuno lo colpì e Leo Longanesi commentò
Bologna 1931.

Schiaffo fascista a «un uomo schifoso, un rudere...»


Immaginiamoci Bologna, nel 1931, anno nono dell'era fascista. Il Teatro Comunale ha in programma un concerto diretto dal grande Arturo Toscanini, forse il più grande direttore d'orchestra del Novecento, carattere forte, scontroso, noto per il dominio ferreo dell'orchestra. La città si è preparata all'evento. Abiti da sera e divise fasciste, nero su nero, e belle dame, gente dell'alta borghesia e aristocratici. Perbacco, stasera c'è quello lì, quello che ci dà lustro all’estero, che non ha nascosto simpatie per il regime, almeno all'inizio. E stasera dirigerà la musica di Giuseppe Martucci, che a Bologna ha dato lustro e al quale il Podestà vuole rendere un grande omaggio. Bene, è tutto pronto, automobili e qualche carrozza hanno scaricato un pubblico scelto, che se ne intende. Naturalmente la serata si aprirà con la Marcia reale («Viva il Re-viva il Re-viva il Re- le trombe eroiche squillano» si cantava anche in coro) e con Giovinezza, con la quale si aprono tutte le trasmissioni radio e tutti gli eventi pubblici: «Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza» suonano le parole scritte da Salvator Gotta su una musica che il maestro Blanc aveva scritto per un’operetta che parlava di studenti. Poi Gotta aveva cambiato tutto e si incominciava con «Salve o popolo d'eroi» per finire a «Dell'Italia nei confini/son rifatti gli italiani/li ha rifatti Mussolini/ per la guerra di domani…». Evidentemente per Toscanini è troppo e fa sapere che non dirigerà quei brani. Apriti cielo! Grande trambusto e una mano che si protende a schiaffeggiare il maestro che se ne torna in albergo, seguito da grida e insulti. Chi lo ha schiaffeggiato? Una cronaca vuole che sia stato Leo Longanesi, l'inventore del motto «Mussolini ha sempre ragione». Che su Libro e moschetto dello stesso anno, sfogherà il suo livore scrivendo in prosa futurista che «il maestro celebre, dopo la sua morte sarà come tutti gli uomini destinato a marcire», «uomo schifoso… un rudere che molta gente, di dentro e di fuori, avrebbe voluto divenisse il deposito escrementizio di tutte le loro acidose e putrefacenti ire isteriche… gli osservo sulla guancia le impronte (ora metaforiche) dello schiaffo bolognese che lo fa degno del mio compassionevole sguardo e… gli sputo negli occhi». Toscanini risultò sgradito al regime quanto a lui risultò sgradito Mussolini e tutto il carnevale fascista. Se ne andò a dirigere per il mondo e in America e non tornò che a Liberazione avvenuta. L'11 maggio del 1946 dirigerà nuovamente alla Scala. Nel 1943 aveva diretto a New York l'Inno delle nazioni in cui aveva incluso anche l'Internazionale. Lo identificò come l'inno di tutti quelli che, a cominciare dall’Urss, avevano contribuito alla sconfitta del nazismo e del fascismo.
da: l'Unità, 17 gennaio 2007

martedì 19 ottobre 2010

Nonostante Auschwitz


Nonostante Auschwitz
Il "ritorno" del razzismo in Europa
un saggio di

Alberto Burgio
Roma,
DeriveApprodi, 2010



Tonino Bucci
La bestia si è risvegliata.
Il razzismo, come lavora e perché è efficace
[recensione per Liberazione, 10 ottobre 2010]



Gli episodi di violenza razzista oggi sono diventati un fenomeno della realtà quotidiana. La speranza che i genocidi del secolo scorso avessero creato una volta per tutte gli anticorpi contro la diffusione del razzismo a livello di massa si sta rivelando, purtroppo, una tesi consolatoria. Le cronache riferiscono abitualmente di immigrati arsi nel sonno, di ronde contro gli immigrati, di incendi appiccati nei campi rom, di lavoratori stranieri uccisi per aver reclamato qualche diritto fondamentale, di rivolte di quartieri contro gli immigrati accusati di spaccio e criminalità, persino di interi paesi come hanno dimostrato i fatti di Rosarno.

Tutto ciò accade Nonostante Auschwitz, come recita il titolo del nuovo saggio di Alberto Burgio - sottotitolo Il ritorno del razzismo in Europa (DeriveApprodi, pp. 224, euro 17). L'ideologia razzista - o, per essere più precisi, quel vasto repertorio di suggestioni, immagini stereotipi e metafore che si potrebbe definire la koiné razzista - sta dilagando nelle società europee dall'alto e dal basso. Da un lato, assistiamo al ritorno del "razzismo di Stato", nella forma di una ideologia pubblica che ispira governanti, legislatori e amministratori locali nella loro azione politica. L'Italia, da questo punto di vista, è un laboratorio di punta in Europa nella legalizzazione del razzismo. Il reato di immigrazione clandestina ha reso operativo un meccanismo di "criminalizzazione" dei migranti, individuati come colpevoli solo per il fatto di rispondere allo stigma dello straniero. Nelle legislazioni europee si riaffaccia il dispositivo penale ottocentesco della «colpa d'autore», sotto forma di leggi che istituzionalizzano la discriminazione di interi gruppi umani (migranti, prostitute, omosessuali, zingari). La Francia di Sarkozy, solo per citare un altro caso recente, si è distinta per le espulsioni e i rimpatri forzati dei Rom. Il razzismo è la risorsa politica di partiti di governo. Basterebbe pensare al fenomeno della Lega, fucina di centinaia di amministratori locali che propagandano (e praticano) nei territori il modello razzista dei servizi sociali (scuole, mense, asili) per soli padani. Ma accanto al razzismo di Stato - e in simbiosi con esso - si è sviluppato un senso comune razzista, una subcultura di massa, un diffuso rancore collettivo alla ricerca di capri espiatori che non è più appannaggio di frange minoritarie della società. La manovalanza delle aggressioni ai danni di migranti, omosessuali, clochard e giovani dei centri sociali viene dalle sigle della destra radicale, dalle fasce giovanili delle periferie metropolitane o dalle curve degli stadi, ma il repertorio di valori cui attingono è però ormai un immaginario collettivo.

Eppure mai come oggi gli studi sulle ideologie razziste sono deboli, spesso incerti sulle categorie interpretative da adottare. Fare del razzismo un oggetto di studio è «un passo difficile, che mette in discussione anche convincimenti radicati nella cultura critica e in particolare nella storiografia». Nel senso che non si può procedere facendo l'inventario di tutto quel che affermano i testi letterari del razzismo, quelli - per inciso - in cui si parla esplicitamente di razza. Il metodo "filologico", «in apparenza impeccabile, è causa del più grave degli inconvenienti: costringe a muoversi dentro la prospettiva del discorso razzista che si intende criticare. E rischia quindi di restarvi imprigionato». Non solo, «muovere in questa ricerca dalla presenza del lemma "razza" (in quanto lo si considera costitutivo del discorso razzista)» significa anche farsi trovare spiazzati dalle nuove varianti del razzismo che non utilizzano la parola "razza" e che tuttavia sono a tutti gli effetti varianti dell'ideologia razzista. E' sufficiente che «una teoria razzista si mascheri sotto un lessico non-razzista (il che avviene non di rado, soprattutto nel secondo Novecento) perché essa scompaia dalla visuale di una critica feticisticamente legata al dato lessicale». «La traduzione del (forte) lessico razzista tradizionale nel (debole) registro culturalista (il passaggio dalla "razza" all'"etnia" e alla "cultura") ha seminato scompiglio tra storici e politologi». Questo disorientamento ha impedito a lungo di riconoscere e contrastare «le nuove forme di ideologia (e pratica) razzista, messe in atto da parte della "nuova destra" con la retorica del "rispetto per le culture altre", col risultato di abbandonare al proprio destino gruppi umani razzizzati per mezzo di retoriche nuove e a prima vista irreprensibili». Del resto, il discorso razzista non ha vincoli di coerenza né di verità. Non ha bisogno di dati di fatto, ma può fare e disfare, affermare e negare a proprio uso e consumo i criteri di assegnazione degli individui a una comunità da perseguitare.«Sono io a decidere chi è ebreo!», diceva Karl Lueger, sindaco antisemita della Vienna di fine Ottocento. L'ideologia «non funziona (non conquista credito e consenso) in base alla propria veridicità. La presa di una tesi ideologica dipende piuttosto dalla sua operatività, dalla capacità di rispondere a bisogni e di soddisfare pulsioni».

Se si guarda alla «genealogia storica» del razzismo, si scopre che la sua esplosione è solo in parte riconducibile alla globalizzazione degli ultimi due decenni. E' vero che sono aumentati i flussi migratori, che la crisi economica ha accentuato i conflitti tra "nativi" e "migranti", che il globale ha fatto irruzione nella dimensione locale delle nostre vite. Eppure, «se gli avvenimenti dell'ultimo ventennio spiegano l'esplosione del razzismo, non consentono invece di comprenderne la riemergenza. Per impiegare una metafora abusata, indicano il detonatore, ma non dicono nulla dell'esplosivo». L'ipotesi di Burgio è che il razzismo sia «un ingrediente fondamentale», una «tara congenita» della modernità europea o, per dirla in altro modo ancora, una «normale patologia» inerente alla vita quotidiana. Il Moderno non è stato solo un processo di emancipazione e di uguaglianza, ma al suo interno ogni conquista progressiva è avvenuta all'ombra di spinte regressive. La modernità ha innescato meccanismi di spaesamento, inquietudini, dissoluzione delle vecchie gerarchie, proletarizzazione dei ceti medi, sentimenti crescenti di insicurezza. «Se dovessimo individuare un denominatore comune a questo complesso di dinamiche, propenderemmo senz'altro per la paura». Su questa base, «la crisi moderna genera una forte domanda di colpevoli e nemici: stranieri o infedeli, malvagi, devianti o cospiratori, ai quali attribuire la responsabilità della propria sventura e sui quali scaricare il proprio rancore».

Ma qual è, appunto, il modus operandi, la maniera in cui il razzismo svolge la sua funzione compensativa di queste pulsioni sociali insoddisfatte? Qual è la logica che fa della "razza" un dispositivo capace di colpire e "razzizzare" in potenza qualunque gruppo umano? La procedura "razzizzante" consiste nell'attribuire un aspetto fisico, un «corpo», a un set di qualità morali (negative), assegnate per natura a una comunità umana, designata come bersaglio di discriminazione e violenza. Il razzista "inventa" corpi per i propri stereotipi. Anche quando si tratta di colpire gruppi umani che non presentano aspetti somatici distintivi, come dimostra il caso classico dell'antisemitismo. L'antisemita non si limita a dire che gli ebrei sono avidi, lussuriosi, ipocriti e così via, ma deve anche aggiungere, per l'economia del proprio discorso, che gli ebrei hanno evidenze fisiche, il naso adunco, i capelli crespi, le unghie quadrate. Siamo in presenza di costrutti simbolici, di un vero e proprio montaggio, la cui regola è quella dell'essenzialismo. Le ideologie razziste sono «teorie essenzialiste», «individuano una (presunta) essenza invariabile ("naturale") del gruppo umano che rappresentano come "razza"». Non potrebbe essere altrimenti: il razzismo ha bisogno che i presunti caratteri negativi di un gruppo umano durino nel tempo affinché quel gruppo possa ricoprire stabilmente il ruolo di capro espiatorio. I meccanismi della «devianza» e della «stigmatizzazione» che Burgio descrive, dimostrano che il razzismo è in grado di colpire chiunque. La costruzione del «nemico interno» ha avuto largo seguito nella sfera politica - si pensi ai comunardi marchiati come "negri" e ai bolscevichi definiti ebrei (e viceversa) - così come è stata applicata verso le figure marginali della società, dagli omosessuali ai malati di mente. Quel che rende il razzismo una ideologia (e una pratica) «totalitaria e paradossalmente inclusiva» deriva dalla sua capacità di costruire e legittimare «modelli sociali complessivi, rigidamente gerarchici, che assegnano un luogo ben determinato a tutte le componenti della popolazione».

L'ideologia razzista è stata un veicolo dell'egemonia della destra tra i ceti popolari e ha contribuito, in parte, alla frattura tra la sinistra ("sempre lì a difendere gli immigrati") e il suo popolo, che s'è gettato tra le braccia della Lega. Sarebbe il caso di non dimenticarsene.

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martedì 15 aprile 2008

"Il delirio razzista", giornata di studi - Bologna, 23 aprile

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Il Delirio Razzista


Giornata di studi
Mercoledì 23 Aprile, ore 21
sala dello Zodiaco, via Zamboni 13, Bologna


La giornata di studi costituisce una tappa all'interno della “primavera antifascista”, insieme di iniziative, promosse dall'Assemblea Antifascista Permanente e da altri gruppi e realtà, che ruota intorno alla storia degli ultimi giorni di aprile e a un rinnovato antifascismo.
Essa vuole essere un momento di confronto e approfondimento su un tema, quello del razzismo, assai complesso e che si intreccia inevitabilmente con altri temi: il fascismo, il totalitarismo, il sessismo, l'autoritarismo. Un'analisi storica di questo tema può servire a una migliore comprensione dei meccanismi di costruzione di quel “delirio razzista” e della sua trasformazione in un progetto politico coerente e totalitario. Il razzismo quindi anche oggi pone ostacoli non facili da superare nella costruzione di un mondo in cui le relazioni tra donne e uomini si basino sulla libertà e la dignità e che consideri la “diversità” una fortuna, una ricchezza.
E' cosa nota, purtroppo, come “sentimenti di intolleranza” siano ben presenti all'interno dell'odierna società e a ogni latitudine. Meccanismi psicologici duri da estirpare trovano nuova linfa nelle scelleratezze di un sistema autoritario sempre in bilico tra Stato di diritto e Stato totalitario. Così accade oggi in Italia, dove leggi xenofobe si affiancano a uno sdoganamento crescente del fascismo, in un clima di paura alimentato ad arte dai mass media in cui anche la Chiesa trova la sua faccia più inquietante, cercando di influenzare ancora “la morale” e attaccando diritti acquisiti.
Le crociate cosiddette “legalitarie” provano così a cancellare l'elementare concetto di umanità, rafforzando uno stato autoritario, massima espressione del “migliore dei mondi possibili”, nonché -si coglie tra le righe- l'unico possibile.
Eppure vi sono sul territorio uomini e donne che non si piegano certo a questa visione degradata della società e portano avanti da soli, in gruppi o in coordinamenti forme di autorganizzazione che sono in grado di intervenire fattivamente e di gettare i semi necessari per invertire una rotta tutt'altro che segnata.
La giornata di studi prende le mosse dalle acute riflessioni sul fascismo e il razzismo di Camillo Berneri, militante anarchico, attivo organizzatore antifascista, morto nella Spagna rivoluzionaria per mano della reazione stalinista, per poi affrontare “il delirio razzista” in alcune delle sue molteplici espressioni.



Interventi di:

Luciano Nicolini – Berneri nel quadro del pensiero libertario
Massimo Varengo - Berneri e l'antifascismo
Mauro Raspanti - L'antigitanismo
Nadia Musolesi - Le leggi razziali del 1938
Vincenza Perilli – Razzismo: una "malattia" soltanto maschile?
Rudy Leonelli – La razionalità dell’abominevole: Foucault critico del razzismo


Seguiranno comunicazioni e interventi dell'AAP di Bologna e del Coordinamento Migranti.


Promuovono: Assemblea Antifascista Permanente, Centro Furio Jesi, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia Bolognina, Unione Sindacale Italiana, Circolo anarchico Camillo Berneri, Archivio storico della Federazione Anarchica Italiana