domenica 15 luglio 2007

Agnolo Poliziano: Fabula di Orfeo, regia di Stefano Armati (1986)

Lo stato dei Giardini del Guasto di Bologna, situati nel cuore della zona universitaria, dal finire degli anni 70 ha subito un andamento per così dire "pendolare", alternando stagioni di notevole produttività artistica e culturale ad altre di completo abbandono. Oggi, un po' nel solco della felice invenzione di aperture pomeridiane con accesso consentito ai soli "adulti accompagnati da bambini" (era il 2002) i Giardini presentano un rinnovato ad intenso programma di iniziative.

Vorrei salutare questo rilancio rievocando un primo (forse il primo) tentativo non poliziesco (e riuscito) di sgomberare il terreno dei Giardini dalle siringhe e dall'incuria, era l'ormai lontano '86, e fu un incrociarsi di persone, di opere, di idee, di percorsi, saperi, esperienze. Tra le cose per me indimenticabili - e non dimenticate - la realizzazione della Fabula di Orfeo curata dal multiforme ingegno di Stefano Armati [qui, in foto(copia...), nei panni di Orfeo]. Ripubblico qualcosa dalla presentazione e dal libretto della serata del quale avevo curato la redazione e la realizzazione grafica.






Mercurio annunziatore della festa:

"Silenzio, Udite. El fu già un pastore
figliuol d’Apollo, chiamato Aristeo:
costui amò con sì sfrenato ardore
Euridice che moglie fu di Orfeo
che seguendola un giorno per amore
fu cagion del suo caso acerbo e reo
perché fuggendo lei vicina all’acque,
una biscia la punse e morta giacque.
Orfeo cantando all’inferno la tolse,
ma non poté servar la legge data,
che ‘l poverel tra via drieto si volse;
sì che di nuovo ella gli fu rubata;
però mai più amar donna non volse.
e dalle donne gli fu morte data."







“Solo uno sa che, in tutte le esperienze più
intense e produttive della nostra vita, felicità e
tormento sono la stessa cosa: l’uomo creativo.
Ma molto tempo prima di lui una creatura umana,
che amava, ha già teso le mani verso una stella
senza sapere se chiedeva piacere o sofferenza.”


Lou Andreas-Salomé


È molto bello che – in una circostanza come questa – venga proposta un’opera nata in un’epoca in cui “la letteratura vien fuori tra danze, feste e conviti (De Sanctis) e scritta “in tempo di dui giorni, intra continui tumulti, in stilo vulgare perché dagli spettatori meglio fussi intesa (Poliziano).

Arte d’occasione, certo, ma di alto livello; rapida composizione che ha, tra le sue condizioni di possibilità, un’assidua e sapiente frequentazione dei classici, un’intensa e rigorosa attività filologica e storica, una raffinata conoscenza ed esperienza della scrittura in lingua volgare.

La Fabula di Orfeo, che il Poliziano – fin quasi alla fine della vita – era propenso a sopprimere, così come era in uso tra i Lacedemoni “quando alcuno loro figliuolo nasceva o di qualche membro impedito o delle forze debile”, è venuta a costituire, malgrado il giudizio e le aspettative dell’autore, un capitolo fondamentale – il primo – del teatro erudito del Rinascimento.

Secondo l’interpretazione tradizionale – tuttora diffusamente accolta – la Fabula, conservando le apparenze esteriori del teatro medievale, ne sovvertirebbe i termini, sostituendo figure pagane a quelle della tradizione cattolica.

Diversamente, D’Amico, rileva che questa composizione è, anche dal punto di vista formale, altra cosa dal dramma sacro, in quanto gli eventi non sono posti materialmente di fronte allo spettatore, ma “‘riferiti’ da narratori aggraziati, attraverso racconti più o meno dialogati ed effusioni sospirose ed elegiache”. In questa chiave la fabula è “meglio che un dramma, un seguito di scene […] da gustare soprattutto per ‘pezzi’, come oggi certe opere in musica”.

Possiamo leggere la Fabula come una serie di “esercizi di stile”, una composizione (in un significato molto vicino a quello che il termine ha in musica): la scrittura cita le narrazioni classiche del mito di Orfeo, inserisce espressioni del parlato popolare, traduce, riorganizza, riscrive, ordina i materiali e i frammenti che sceglie dalla tradizione, in diverse forme poetiche e mutandone – insieme – il tono e il colore.

Il risultato non ha, evidentemente, né la gravità, né lo spessore, né l’intensità dei luoghi di Ovidio e di Virgilio che il Poliziano ha presenti, e che ripete, variati.

La Fabula è tremendamente superficiale: “eterea”, “impalpabile”, adolescenziale”, “rarefatta”: i termini costituiscono il linguaggio corrente, e quasi obbligato, della letteratura critica.

Ed è probabilmente questo il segreto del suo fascino, non disgiunto dalla assoluta innocenza degli eventi che compongono lo schema narrativo.

Nietzsche: si può essere “superficiali, per profondità!”

Rudy M. Leonelli, 1986


*      *      *


La prima rappresentazione della Fabula di Orfeo risale ai tumulti del carnevale mantovano, “con esatta probabilità ad un banchetto che il cardinale offrì ai fratelli la sera del martedì grasso. 15 febbraio 1840.
Il cardinale in questione è Francesco Gonzaga, che ospitò il Poliziano dopo la sua caduta in disgrazia presso Lorenzo il Magnifico, è colui “al cui sfarzo conviviale dobbiamo la creazione della Fabula di Orfeo”.
Nel riproporla, non si inteso farne realizzazione filologica, bensì si è cercato di recuperare il clima “giovale e carnascialesco”, che sta all’origine dell’opera.
Un Orfeo “di occasione” come allora, che ricerca nella propria struttura originaria “a Fregio” la possibilità di svolgersi in una successione di quadri, secondo una struttura narrativa, quasi da “strip-cartoon”, dove i personaggi si muovono come graffiti metropolitani, nello scenario “post-atomico” dei Giardini del Guasto.
Ho operato sul testo di Poliziano sopprimendo i brani in lingua latina e inserendo l’aria cantata, di Antonio Cesti: Intorno all’idol mio.
Grazio la dottoressa Margherita Sergardi, del Dipartimento di Italianistica dell’Università degli Studi di Bologna, per avermi iniziato al testo del Poliziano, e per avermi dato, nel giugno scorso, l’opportunità di realizzare – nei giardini di Palazzo Hercolani – una prima bozza registica ed interpretativa della Fabula.
Ringrazio inoltre le amiche della palestra Isadora per l’ennesimo, indispensabile contributo, il circolo Massarenti, tutti coloro – enti e persone – che hanno contribuito alla realizzazione di questa rappresentazione e il pubblico presente a questa serata.

Stefano Armati



La Compagnia:

Mercurio……...….annunziatore della festa…….….Roberto Sabattini
Il pastore Schiavone…………………….…………….Roberta Casadei
Mopso…………..….vecchio preveggente…..……....Paolo Franceschi
Aristeo…,,,,,..giovane pastore innamorato di Euridice…..Claudio Cavina
Tirsi……………………..servo di Aristeo………..…Antonio Obino

Euridice………….infa sposa di Orfeo…….…Ilaria Sala
Orfeo…………..mitico cantore……..Stefano Armati

Plutone………….Re degli Inferi…….Pino Bianchini
Minosse …………massimo giudice infernale………………Maurizio Babini
Proserpina…….Regina degli Inferi…..Annamaria Pierfederici

Le Furie…..spiriti infernali:
Gianna Beduschi, Tania Pizzuti, Francesca Campanaro, Roberta Raimondi

Le Baccanti……seguaci di Bacco:
voci recitanti……………………………Patrizia Piccinini, Roberta Casadei
danzatrici……Susanna Quaranta, G. Beduschi, T. Pizzuti, F. Campanaro, R. Raimondi, P. Piccinini

Cerbero…..cane infernale…..Anna Batoli, P.Piccinini, S. Quaranta

Arpista…………………………………………………Emanuela Degli Esposti
Violoncellista…………………..Nicola Baroni

Interventi scenografici…..Giano Castagnoli, Maja Becheret, Eleonora Straub
Adattamento scenico e regia……………………..Stefano Armati
Assistenti alla regia……….A. Pierfederici, G. Beduschi
Suono…………………………Guido Tabone
Luci……………Mario Chemello
Sartoria………..Pamela e Luisa Muratori
Decorazioni in metallo……..Maurizio Sterchele
Progetto grafico e realizzazione libretto di sala……….Rudy M. Leonelli