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giovedì 24 ottobre 2013

« se non con le opere, con le parole, se non con le parole, con i cenni »


 Niccolò Machiavelli


... in questo voglio essere caparbio come nelle altre oppinioni mie. Et perché io non mancai mai a quella repubblica, dove io ho possuto giovarle, che io non l'habbi fatto, se non con le opere, con le parole, se non con le parole, con i cenni, io non intendo mancarle anco in questo ...

  a Francesco Guicciardini  17 maggio 1521

martedì 5 giugno 2012

indimenticabile Carla

Se ne è andata questa sera Carla Verbano, madre di Valerio, ucciso davanti ai suoi occhi dai fascisti del Nar il 22 febbraio del 1980.

«Se ne è andata questa sera Carla Verbano. Ci ha lasciato dopo aver lottato a lungo e con tenacia contro un male che da anni la tormentava. Per noi Carla non è stata solo la madre di un compagno assassinato, Valerio, l'esempio di una donna e di una madre che fino all'ultimo ha lottato per avere verità e giustizia sull'omicidio del figlio, ma anche un'amica e una figura importante per le nostre vite e per le nostre battaglie. Una compagna e una amica che abbiamo avuto vicino nei momenti difficili così come in quelli più felici». Così una nota di un gruppo di militanti.
In questo modo è arrivata la notizia alle agenzie.
Carla da 32 anni lottava per avere giustizia. In fondo soltanto sapere chi e perché aveva ucciso Valerio, in casa, dopo aver legato e imbavagliato lei e il padre, in uno degli agguati più infami condotti dai fascisti in quegli anni.
Ultraottantenne, gestiva ben due profili Facebook in cui continuava a intrattenere rapporti con compagni e amici di Valerio, nonché con altre migliaia di compagni e ragazzi che ne avevano soltanto letto la storia, anni dopo.
Le inchieste della magistratura, dopo l'uccisione del giudice Mario Amato, unico incaricato di dare la caccia ai Nar, solo e senza scorta, non sono mai state condotte con particolare impegno. Anzi, ci è sempre sembrato l'opposto. Fin dalla sparizione di molte prove, in alcuni casi per ordine di altri magistrati (come la distruzione del passamontagna perduto nella colluttazione da uno degli assassini). Negli ultimi due anni - anche in seguito a libri che hanno ripercorso con più o meno profondità la dinamica dell'omicidio e la mappa dei fascisti attivi a Roma in quegli anni - era sembrato che qualcosa si fosse mosso. Un'indagine del Dna sugli occhiali perduti da "capo" del commando aveva dato esito positivo. Ma poi tutto è tornato sotto silenzio, in quel "porto delle nebbie" che è sempre stata la Procura di Roma.
Addio Carla, non ci potremo mai dimenticare il tuo sguardo. E la tua decisione.

mercoledì 30 novembre 2011

(Lucio in the sky) Continuons le combat


Valentino Parlato
Continuons le combat

Lucio Magri da molto tempo ci aveva comunicato la sua decisione di togliersi la vita. Avevamo discusso e cercato di dissuaderlo perché avevamo bisogno di lui, della sua intelligenza e del suo impegno. Non ci siamo riusciti. È stata una decisione di estrema razionalità. A quasi 80 anni, la perdita della compagna Mara era stata tremenda. La vita non era più vita. Anche la situazione generale non incoraggiava. Con razionalità addirittura estremistica Lucio prese la decisione (e quando decideva non cambiava idea) e attuò quel che aveva stabilito. Il suicidio è una fondamentale libertà della persona. Chi è padrone della propria vita, come ogni umano lo è, può legittimamente e moralmente decidere di mettere la parola fine.

 Lucio è stato anima e mente della nostra vita. Insieme abbiamo cominciato con la rivista e poi con il quotidiano. Ci fu una breve separazione ai tempi del Pdup, ma i legami sono rimasti forti, anche quando c'era polemica.

 L'interrogativo è: che cosa ci lascia, a che cosa ci incita Lucio con il suo suicidio. Provo a rispondere. Innanzitutto a criticare e combattere la società presente. La sua cultura, la sua politica e gli scritti ci danno stimoli e conoscenza. Il sarto di Ulm, che tentò anzitempo di volare si sfracellò, ma poi gli uomini cominciarono a volare. Questo il messaggio e il suo suicidio, ancorché dovuto ai sentimenti, è un atto di rifiuto, di combattimento. Tutto il contrario della passiva rassegnazione.

domenica 11 settembre 2011

Como una ola de fuerza y luz. A un rivoluzionario cileno

Nel settembre 1971 “mi giunse dal Cile la notizia della morte accidentale di Lusiano Cruz, giovane dirigente del M.I.R (movimento di sinistra rivoluzionaria)… L’avevo conosciuto a Santiago in giugno dello stesso anno, di forte intelligenza: ne era sorta una amicizia solidale. La sua presenza-assenza mi determinò nella scelta della struttura sonora, del suo perché. Ampliai il primo progetto con l’inserimento della voce (soprano) su alcuni versi scelti da un poema del poeta argentino Julio Huasi… poema per Lusiano Cruz …

Luigi Nono

 Como una ola de fuerza y luz
Come un'onda di forza e di luce







Luciano!
  Luciano!
    Luciano!

nei venti avventurosi
di questa terra
continuerai
a gettare luce di fiamma
giovane come la rivoluzione
in ogni lotta del tuo popolo
sempre vivo
e vicino
come il dolore per la tua morte

come una – Luciano! – onda
di forza
giovane come la rivoluzione
sempre vivo
e continuerai a gettare luce di fiamma
luce
per vivere

voci di bambini
si uniscono
a dolci campane
per
la tua giovinezza.

lunedì 20 giugno 2011

Gianni : "E' una questione di gusto ..."

E libereremo la nostra Bologna. In città faremo una festa che non finirà mai…

ricordando l'autore della frase scelta come esergo del
Festival sociale delle culture antifasciste 2011,
ri
produciamo la memoria  dedicata a questo giovane partigiano,
dal
Museo Virtuale della Certosa
[curata da Nazario Sauro Onofri]




Giovanni B. Palmieri, "Gianni"

Giovanni Battista Palmieri, nome di battaglia "Gianni", da Giovanni Giuseppe e Nerina Pietra; nato il 16 dicembre 1921 a Bologna; ivi residente nel 1943. Studente in Medicina all'università di Bologna. Richiamato alle armi nel 1941, frequentò la scuola allievi ufficiali degli alpini di Aosta, dove la vita era talmente monotona che, in una lettera alia madre, arrivò a scrivere "Io invidio di cuore quelli fra noi che hanno il diritto di andare al fronte: almeno loro faranno dei sacrifici forse molto piu grandi di questi, ma avranno anche delle soddisfazioni". Fu congedato prima di ricevere i gradi per cui potè riprendere gli studi e dimostrare le sue grandi doti intellettuali. Tutti i suoi insegnanti gli preconizzarono una brillante carriera professionale. Quando venne nuovamente chiamato alle armi dalla RSI, nella primavera 1944, non si presentò e venne dichiarato disertore. Per le insistenti preghiere della famiglia non potè aggregarsi subito, com'era suo desiderio, a una formazione partigiana. "Gianni - ha scritto il padre - non si sarebbe mai lasciato prendere dai nazisti e neppure dai repubblichini: piuttosto si sarebbe dato alla macchia". Nel periodo in cui fu sfollato a Monte San Pietro non collaborò, ma ebbe contatti con la brigata Stella rossa Lupo, e forse si sarebbe aggregato a quella formazione, se nel frattempo gli eventi bellici non avessero mutato la situazione per cui si nascose, provvisoriamente, a Bologna nell'abitazione di un amico di famiglia e quindi nei sotterranei dell'Istituto del radio all'ospedale Sant'Orsola, del quale suo padre era direttore. Per questo motivo potè seguire da vicino la vicenda che portò alla razzia, da parte dei tedeschi, di metà della dotazione di radio dell'istituto. Dopo la consegna del radio a Mario Bastia il 27 luglio 1944, decise di non seguire il padre a Firenze, ma di restare. Resistendo alle implorazioni del padre, scelse di non partire. Il 24 luglio fu ospitato nell'abitazione di Gino Onofri, alla quale facevano capo le staffette che tenevano il collegamento tra la città e le brigate Giustizia e Libertà che operavano sull'Appennino tosco-emiliano. Per l'arresto di una staffetta non potè raggiungere nè la Iª brigata Giustizia e Libertà Montagna, che operava nell'Alta Valle del Reno, nè la 2ª brigata Jacchia Giustizia e Libertà, operante nella valle del Sillaro e comandata da Gilberto Remondini, suo compagno di studi. II 29 luglio lasciò Bologna con Romeo Giordano diretto a Imola per aggregarsi alla 36ª brigata Bianconcini Garibaldi nell'Alta Valle del Santerno. Entrò a far parte del servizio sanitario della brigata diretto da Giordano, pur partecipando attivamente a tutti i combattimenti che la formazione sostenne nell'estate-autunno. In uno di questi, verso la metà di settembre, restò ferito a un piede e dovette fare ricorso alle cure di un agricoltore che molti anni prima aveva seguito, ma non concluso gli studi in medicina. II 15 settembre la brigata venne divisa in 4 battaglioni, in vista di quella che si riteneva l'imminente insurrezione partigiana. Alcuni reparti avrebbero dovuto dirigersi verso Imola, altri verso Bologna e altri ancora a sud per andare incontro alle truppe alleate. Fu aggregato al battaglione di Guerrino De Giovanni, con destinazione Bologna. Il 26 settembre, durante una sosta in una casa colonica a Cà di Guzzo in localita Belvedere (Castel del Rio) il battaglione, passato il giorno prima sotto il comando di Umberto Gaudenzi, venne circondato da paracadutisti e SS tedeschi. Dopo aver resistito per tutta la notte, infliggendo gravi perdite al nemico, la mattina del 28 i superstiti riuscirono, sia pure a costo di dure perdite, ad aprirsi un varco e a mettersi in salvo. Quando venne invitato a lasciare la posizione e a tentare la sortita, rispose: "Il mio combattimento è qui, fra i miei feriti e io non li abbandono fintanto che ne vedo uno respirare". Quando i tedeschi riuscirono a penetrare nella casa colonica, quasi completamente smantellata dai mortai, gli fecero curare i loro feriti. Poi lo invitarono a raggiungere il comando della brigata per proporre uno scambio: avrebbero risparmiato i civili trovati nella casa, se una ventina di partigiani si fossero consegnati. Si recò in una casa colonica, distante un paio d'ore a piedi, dove sino al giorno prima aveva avuto sede il comando della brigata, ma la trovò vuota. Quando tornò a Cà di Guzzo, vide i corpi inanimati dei partigiani feriti e dei civili. Erano stati uccisi con un colpo alla nuca da un maresciallo delle SS. Solo le donne erano state risparmiate. II giorno stesso, anche perchè le artiglierie alleate avevano cominciato a battere la posizione, i tedeschi abbandonarono Cà di Guzzo. Lo portarono con loro, forse per continuare a fargli curare i feriti. Alcuni giorni dopo, quando gli alleati liberarono la zona, il suo cadavere venne trovato in un bosco, in località Le Piane a pochi chilometri di distanza. Si ritiene che sia stato torturato e ucciso il 30 settembre 1944. Pochi giorni prima, quando la brigata era stata divisa, quasi presagisse la sorte che lo attendeva, aveva sentito l'esigenza di salutare Luciano Bergonzini - con il quale aveva stretto una fraterna amicizia - consegnandogli questa lettera che resta il suo testamento spirituale. "Caro Luciano, mi e parsa giusta la decisione del comandante Bob di dividere la Brigata in quattro battaglioni d'assalto e di passare all'offensiva su Bologna e Imola. Penso, però, e la cosa mi addolora, che non tutti ci ritroveremo dopo la battaglia. E' inutile illudersi: sarà dura, molto dura e i fatti ci metteranno ancora una volta alla prova. Al di là di queste montagne, si dice, c'è la libertà Io personalmente ne dubito. Sarebbe meglio dire che vi sarà la libertà se noi sapremo esserne i portatori e se riusciremo a trasferire nelle città e in tutto il paese i principii di lealtà e di amicizia che qui abbiamo saputo istituire e difendere. E poi, te lo dico con tutta franchezza, io ho paura che questa nostra libertà si disperda nei compromessi e nelle lotte politiche non sempre pulite: le notizie che a tal proposito si hanno dal sud mi intristiscono; mi sembra che si rimettano i destini della libertà nelle mani di coloro che al fascismo non hanno opposto che una ben miserevole resistenza! So che tu sei fiducioso ed ottimista. Discutevo di queste cose con Bergami* e anche lui, da bravo comunista, vedeva tutto un avvenire di civiltà e di pulizia: avremmo dovuto riparlarne ancora; ma poi, come tu sai, il mortaio gli ha squarciato la testa proprio alla fine della battaglia della Bastia. Non lo dimenticherò mai. Ma ora ci sono i problemi dell'immediato domani e converrà pensare a quelli. Ritorneremo all'attacco, questo è l'importante. E libereremo la nostra Bologna. In citta faremo una festa che non finirà mai e cacceremo via di torno gli attesisti e i vili. Quelli che non hanno preso posizione sono i veri e permanenti nemici della libertà: basterà un niente per farli ridiventare fascisti. So che molti miei amici di ieri saranno fra questi e la cosa mi avvilisce. II tempo stringe. Anch'io avrò la mia arma: una fiammante rivoltella tedesca che Giorgio, il nostro mitragliere, ha recuperato dopo uno scontro nella strada. Mi aveva offerto anche un paio di scarpe tedesche quasi nuove, ma io le ho rifiutate. E' una questione di gusto: non voglio pestare questa terra con le scarpe tedesche! Preferisco continuare con i miei vecchi, e una volta elegantissimi scarponi di Aosta, anche se ormai fanno acqua di sopra e di sotto. Ci rivedremo? Lo spero tanto. E ora, caro Luciano, ti abbraccio. I primi si sono gia avviati e cantano ancora quell'inno anarchico che a me piace tanto e che so che ti irrita. Addio. Gianni". Riconosciuto partigiano dal 20 aprile 1944 al 30 settembre 1944. Il suo nome e stato dato a una strada di Bologna e a un plotone di ex partigiani delle brigate 36ª e 62ª che, dopo il passaggio del fronte, si erano arruolati nel gruppo Legnano. In località Croda da Lago di Cortina d'Ampezzo gli è stato intestato un rifugio alpino del CAI. L'università di Bologna gli ha conferito la laurea honoris causa in medicina. Gli è stata concessa la medaglia d'oro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione: "Studente universitario del 6° anno di medicina, volontariamente si arruolo nella 36ª Brigata Garibaldina, assumendo la direzione del servizio sanitario. Durante tre giorni di aspri combattimenti contro soverchianti forze tedesche, si prodigò incessantemente ed amorevolmente per curare i feriti, e quando il proprio reparto riuscì a sganciarsi dall'accerchiamento nemico, non volle abbandonare il suo posto e, quale apostolo di conforto, conscio della fine che l'attendeva, restò presso i feriti affidati alle sue cure. Ma il nemico sopraggiunto non rispettò la sublime altezza della sua missione e barbaramente lo trucidò. Esempio fulgido di spirito del dovere e di eroica generosità." Cà di Guzzo (Romagna), 30 settembre 1944.

lunedì 11 aprile 2011

Ricordando Gregorio Kapsomenos

Gregorio Kapsomenos
Creta, 10 novembre 1946 - Bologna, 9 aprile 2011
il "saggio" amico, della Libreria delle Moline



La cultura non si accumula, la si condivide, il sapere non si rinchiude nei reticolati accademici, ma lo si distribuisce.
La scoperta di un perla, di un frammento prezioso non si trasforma in  prelibatezza utilizzabile come merce di scambio in vista di un piccolo potere  personale.

Leggere, imparare, comunicare,  senza spirito di dominio: quanti lo capiscono, quanti lo hanno capito, quanti erano consapevoli che in quei piccoli doni  quotidiani si celava un altissimo senso della socializzazione di testi e  pensieri, che non si riducevano mai a chiacchiera vuota?


L'indipendenza di pensiero e  la curiosità insaziabile, l'allenamento quotidiano  alla critica del mondo in cui ci troviamo a vivere, la messa in pratica di quella che Foucault chiamerebbe  l'immensa e proliferante criticabilità delle cose, delle istituzioni, delle pratiche, dei discorsi , attraverso i libri, strumenti privilegiati di questo occhio critico, la loro incessante ricerca, i segreti collegamenti che li legano, l'estrazione di un insospettato senso nascosto che illumina e fa esplodere l'apparente inerzia di un anonimo volume, ridando dignità e valore a opere colpevolmente trascurate da chi insegue a tutti i costi solo l'ultima novità o si adegua all'ultima moda.

Anche la consapevolezza, però, che i libri lottano fra loro, conducono guerre  silenziose, come ricordava con pungente ironia l'amato Swift nella Battaglia combattuta venerdì scorso tra i libri antichi e quelli moderni nella biblioteca  di St. James.

Inseparabile dalla sua figura l'ironia provocatoria che rintracciava  nell'amatissimo Vonnegut, di cui amava citare "Il cervello era troppo grosso per svolgere un buon servizio" come un invito a non prendersi poi troppo sul  serio.

Un grande abbraccio a Marta, sua compagna di vita e di avventura.




Alberto Burgio
Andrea Cavalletti

Barbara Chitussi
Giorgio Forni
Rudy Leonelli
Vincenza Perilli
Mauro Raspanti
Roberto Sassi


i funerali si svolgeranno mercoledì 13 aprile
dalle ore 9,30 alle 11,30
alla sala Pantheon - Certosa di Bologna





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mercoledì 6 aprile 2011

Gli amici - Die Freunde - Bertolt Brecht

Bertolt Brecht


Gli amici

Se tu venissi, portato in carrozza
e io avessi una giubba da contadino
e ci incontrassimo un giorno cosi per la strada
tu scenderesti e ti inchineresti.
E se tu vendessi acqua
e io venissi a passeggiare montato a cavallo
e ci incontrassimo un giorno cos
ì per la strada
io smonterei dinanzi a te.



Poeta cinese ignoto (intorno al 100 a. C.)

domenica 12 dicembre 2010

Ragazzo mio, un giorno ti diranno ...

Luigi Tenco
Ragazzo mio



Ragazzo mio,
un giorno ti diranno che tuo padre

aveva per la testa grandi idee
ma in fondo poi
non ha concluso niente.
Non devi credere, no, vogliono far di te

un uomo piccolo, una barca senza vela

Ma tu non credere, no,
che appena s'alza il mare

gli uomini senza idee
per primi vanno a fondo.

Ragazzo mio
un giorno i tuoi amici ti diranno

che basterà trovare un grande amore

e poi voltar le spalle a tutto il mondo.

No, no, non credere, no, non metterti a sognare

lontane isole che non esistono.

Non devi credere,
ma se vuoi amar l'amore

tu non gli chiedere
quello che non può dare.


Ragazzo mio,
un giorno sentirai dir dalla gente

che al mondo stanno bene solo quelli
che passano la vita a non
far niente
No, non, non credere no,
non essere anche tu
un acchiappanuvole che sogna di arrivare.
Non devi credere,
no, no, no non invidiare chi
vive lottando invano
c
ol mondo di domani.
.

domenica 17 maggio 2009

Jenny Marx a Karl Marx - agosto 1844



Jenny Marx a Karl Marx

a Parigi


Treviri, tra l’11 e il 18 agosto 1844

Non scrivere con troppa stizza e troppa ira. Tu sai quanto più effetto abbiano avuto gli altri tuoi saggi. Scrivi con lucidità ed eleganza oppure con ironia e levità. Ti prego, cuore mio, lascia scorrere la penna sulla carta, anche se talvolta dovesse inciampare e zoppicare e con lei una frase… I tuoi pensieri stanno tuttavia ben diritti come granatieri della vecchia guardia, altrettanto nobili e prodi, e come essi potrebbero dire elle meurt mais elle ne se rend pas [muore ma non si arrende]. Che importanza ha se l’uniforme qualche volta è lenta e non è allacciata tanto rigidamente. Come è gradevole nei soldati francesi l’aspetto disinvolto e leggero. Paragonali ai nostri prussiani. Non ti fanno paura? Allarga la cintura e togliti la cravatta e lo sciaccò; lascia correr i particìpi e colloca le parole come aggrada loro stesse. Un simile esercito non deve poi marciare in perfetto ordine. Ma le tue truppe si apprestano alla battaglia? La fortuna sia col condottiero, col mio nero signore.


Da: Karl e Jenny Marx, Lettere d’amore e d’amicizia,
Roma, Savelli, 1979, p. 78-79,

traduzioni dal tedesco di A. Barbanelli
.

lunedì 16 marzo 2009

Michel Foucault - Parresia e pericolo

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… quando un filosofo si rivolge a un sovrano, a un tiranno, e gli dice che la sua tirannide è pericolosa e spiacevole, perché la tirannide è incompatibile con la giustizia, in quel caso il filosofo dice la verità, crede di stare dicendo la verità, e ancor più, corre un rischio (giacché il tiranno può adirarsi, può punirlo, può esiliarlo, può ucciderlo). Fu questa esattamente la situazione in cui si trovò Platone con Dionigi di Siracusa – sulla quale ci sono interessantissimi riferimenti nella Lettera settima di Platone, e anche nella Vita di Dionigi di Plutarco.
Quindi, come vedete, il parresiastes è qualcuno che corre un rischio. Naturalmente, non è sempre il rischio della vita. Quando, per esempio, qualcuno vede un amico che sta commettendo un errore e rischia di incorrere nelle sue ire dicendogli che sta sbagliando, costui sta agendo da parresiastes. In tal caso, certo, non rischia la vita, ma può irritare l’amico coi suoi rilievi, e conseguentemente l’amicizia può risentirne. Se, in una discussione politica, un oratore rischia di perdere la sua popolarità perché la sua opinione è contraria a quella della maggioranza, o perché può condurre ad uno scandalo politico, egli sta usando la parresia. La parresia dunque è legata al coraggio di fronte al pericolo: essa richiede propriamente il coraggio di dire la verità a dispetto di un qualche pericolo. E nella sua forma estrema, dire la verità diventa un «gioco» di vita o di morte.

Michel Foucault, Discourse and Truth. The Problematization of Parresia, 1985; trad. it. a c. d. Adelina Galeotti, Discorso e verità nella Grecia antica, Donzelli, Roma, 1996, p. 7.

martedì 27 gennaio 2009

À la mémoire de Desnos


Alena Kaluskova Tesarova:

À la mémoire de Desnos
Alla memoria di Desnos

Terezin è uno dei nomi che nessuno, nel nostro paese, saprebbe pronunciare con indifferenza. Durante l’Occupazione, la Gestapo, che affollava ancora troppo le prigioni della capitale, aveva fatto della fortezza una prigione, mentre la città veniva trasformata in ghetto. E migliaia di esseri umani continuavano il loro viaggio verso i tribunali del Reich, verso i campi di concentramento o, più semplicemente, verso la morte se un prode nazi aveva voglia di provare la sua giberna nuova. Verso la fine della guerra, man mano che avanzava il fronte occidentale, lunghe file di prigionieri sfilavano in marce della morte verso le prigioni più a est e anche verso Terezin.
Robert Desnos era tra questi.

Dopo la Rivoluzione di maggio, la città e la fortezza furono trasformati in un immenso ospedale. In ciascuna delle sue baracche sud in cui lavoravo, c’arano quatto file di letti primitivi. All’inizio, il numero degli scheletri, vivi o morti, che combattevano o no contro il tifo, la dissenteria, la tubercolosi ed altre malattie oltrepassava il centinaio in ogni baracca. Si conversava in yiddish francese, polacco, ungherese, romeno, greco. Eravamo in numero insufficiente per apportare loro le nostre cure e il lavoro non era né semplice né facile. Arrivavamo a dimenticare che esisteva un’altra vita da quella fatta dei giorni e delle notti trascorsi al capezzale dei malati e di qualche ora di sonno su un materasso di carta. Il quattro giugno, verso le cinque del mattino, un nome mi catapultò nell’anteguerra: il mio collega che quella notte lavorava per la prima volta nella baracca vicina alla nostra, venne ad annunciarmi che esisteva, tra i malati, un certo Desnos. Quando gli chiedemmo se conosceva il poeta francese Robert Desnos, rispose: «Sì, sì! Robert Desnos, poeta francese, sono io!».

Robert Desnos era come gli altri, smagrito, sfinito, i grandi occhi languidi nelle orbite profondamente infossate, le mani, lunghe e belle, straniere, e già morte sulla coperta. Ma gli occhi brillavano d’altro che di febbre e la sua bocca stupita sorrideva, sorrideva…
Chiamava quest’alba grigiastra il suo «mattino più mattinale», esprimeva la sua gioia di sentire il mio francese non molto meraviglioso, e di smettere di essere un animale numerato per ridiventare il poeta Robert Desnos. Cosa tanto più curiosa in quanto accadeva in un paese straniero, in cui non pensava di incontrare lettori ed amici al di fuori del mondo letterario. Non si lamentava, chiedeva soltanto più da bere.

La conversazione volse alla letteratura, ci raccontava quel che sapeva dei suoi amici, ci interrogava sulla letteratura ceca e si divertiva a immaginare l’uomo e l’opera in base alle risonanze dei nomi dei nostri poeti. Dopo il suo ritorno in Francia, di cui non dubitava,voleva andare in campagna e compiere un lavoro piuttosto fisico. E non è che più tardi, «quando tutto quel che egli avrà visto e vissuto sarà ben maturo in lui», che avrebbe cominciato a considerare di iniziare a scrivere una nuova opera. Ma prima di tutto, bisognava vivere e ci prometteva di essere un altro Desnos «quando verremo a vederlo, un giorno». Del suo lavoro nella Resistenza, non ci parlò che una sola volta, ci confidò che i nazisti non erano venuti a sapere il suo più importante «crimine».

I giorni successivi, facemmo tutto quel che era in nostro potere per alleviare le sue sofferenze fisiche e morali. Cercammo di distrarlo: il più delle volte mi chiedeva di «raccontargli delle storie». E io rievocai i miei ricordi, inventai al bisogno, tentai di evocare un mondo di bellezza, dove è normale essere vivi oggi e domani, dove una parola, un’armonia, un colore possono diventare dei problemi importanti perché il vostro stomaco non vi costringe a pensare alla fame, il vostro dolore alle piaghe, il passo dei nazisti alla morte.
Ascoltava e sorrideva di tempo in tempo, voltava coraggiosamente, e con quella nobiltà che gli è peculiare, la schiena alla miseria. Si mostrava degno, fiero, grande.

Un giorno, gli portai una povera piccola rosa, unica testimonianza della bellezza che avevo potuto scoprire dietro il filo spinato. Amava quel fiore con tutta la sua speranza. Non voleva che la portassi via, benché essa l’indomani fosse avvizzita. Fu incenerita col suo corpo…
Perché tutto era vano. La dissenteria era troppo forte per il suo corpo stremato. Dopo una lunga agonia, l’alba dell’otto giugno sentiva l’ultimo battito del suo cuore.


In Signes du temps, n. 5, 1950. Rieditato in Robert Desnos, Œuvres, a cura di Mairie-Claire Dumas, Paris, Gallimard 1999
[traduzione italiana di Rudy M. Leonelli, per il giorno della memoria, 2009]

giovedì 23 ottobre 2008

Un premio da Marginalia


Che incidenze abbia una grande considerazione del blog Marginalia non è una sorpresa per chi visita questo blog.
E' stata invece una gradita sorpresa il premio che Marginalia ha scelto di assegnare (tra gli altri) ad incidenze, che si trova così in buona compagnia, in una lista di blog scelti con perizia da Vincenza Perilli.

E adesso, stando alle regole del gioco, tocca me.
Il premio
Brillante weblog live specifica:
1) nel ricevere il premio, devi scrivere un post mostrando il premio e citando il nome di chi ti ha premiato, e il link del suo bloglive;
2) scegli un minimo di 7 bloglive (o di più) che credi siano brillanti
nei loro temi o nei loro design.
Esibisci il loro nome e il loro link.
Quindi avvisali di aver ottenuto il premio
"brillante WEBLOGLIVE"
.


Ci ho messo un po' a decidere, ma ecco le mie scelte.

Assegno il premio al blog di Alessandro Portelli che, conosciuto per i suoi testi, saggi, interventi e per il suo insegnamento di letteratura americana alla Sapienza, non ha bisogno di presentazione. Un blog (e un intellettuale) che hanno saputo esercitare con stile ed intelligenza una ininterrotta attenzione critica alla recrudescenza del razzismo, del neofascismo e dei revisionismi, per incidenze, sta senza dubbio nei primi posti.
E [un po' come ha fatto Paola Guazzo ne la nuova towanda, "rubando" una citazione da incidenze] "rubo" a mia volta al blog di Portelli una citazione da aggiungere al mio "arsenale":
Il lavoro culturale è spinto così dalla logica della non integrazione a costruirsi le armi per difendere la possibilità di sopravvivere; il lavoro culturale non può che trasformarsi in lotta politica per propria difesa e perché la lotta politica diventa il livello più alto di ogni lavoro culturale.
(Gianni Bosio)


Ancora sul filo tra lavoro letterario e critica dei revisionismi e dei rinfocolati razzismi, assegno il premio a letturalenta, di Luca Tassinari, una testata spiegata da questa frase programmatica (di Nietzsche, se la mia labirintica memoria non m'inganna): Non scrivere più nulla che non porti alla disperazione ogni genere di gente frettolosa.

A letturalenta devo la conoscenza del terzo blog che voglio premiare. Ha un bel nome, tra storia, memoria e attualità: Rosalucsemblog. Cito soltanto un post di non comune lucidità critica: memoria per dimenticare, ma amo anche certi suoi post graffianti o e/o tagienti sul nostro tempo e sulla vita quotidiana.

E, in tema di lucidità critica, non posso non ricordare un post breve che, nel tempo, continua a riaffiorarmi alla memoria: Meglio Vladimir che Mussolini, e una sua postilla, sulle ... quote (di fascismo) rosa...

Tra memoria e attualità, un premio al blog Carlo (chissà - detto per inciso - se il "carlo-carlo" dell'indirizzo web evoca Marx, o Cafiero, o Giuliani, o tutti e tre...). E' un blog sobrio, con una bella cura delle immagini, con testi e canzoni (da "deandriano" della prima ora - e irriducibile - ho apprezzato il rilancio de La domenica delle salme, un capolavoro della maturità, una diagnosi formidabile e implacabile della "nuova era"). E come perdesi un gioiellino come La Zekka Komunista? Negli ultimi bagliori dei movimenti degli anni Settanta -il fin troppo celebrato e svuotato '77, in particolare bolognese - quando ancora ci si incontrava spesso, ci si conosceva un po' tutti, si condividevano esperienze, correva, scritto sui muri, uno slogan, che recitava più o meno:
Che la morte ci trovi vivi - che la vita non ci trovi morti
E' un raro piacere, trent'anni dopo, incrociare nuovamente un compagno di quei tempi, tuttora capace di non farsi trovare "morto", dalla vita.

Un premio ad una mia "scoperta" recente: il blog Tic (Talk is cheap), che lo meriterebbe anche soltanto per il post Il sangue dei nonni.

E (ritornando all'intersezione tra letteratura, e più in generale scrittura, e antifascismo oggi, con cui ha preso inizio questo "catalogo" delle mie scelte) premio senza indugi il blog di Riccardo Uccheddu. Guardando le ruote.
Riccardo - per ora, una conoscenza in rete - ha tra l'altro curato un'edizione delle Lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Devo ad un commento di Riccardo la riscoperta della forza attuale del termine controrivoluzione. Un concetto che incontravo nelle mie ricerche, che, ora che ci penso, ho iniziato a riutilizzare - in rapporto all'attualità - proprio qui, a proposito del revisionismo toponomastico, appunto, a proposito di Gramsci...

Inoltre - anche in ricordo di Dodi, che è stato fino alla fine il principale animatore - premio il blog del Circolo Iqbal Masih di Bologna, dal quale riprendo una frase del testamento di Iqbal:
Mi batterò non solo per liberare me stesso e i miei compagni di sventura dalle catene in cui mi trovonon solo quelle che colpiscono i bambini, ma anche gli adulti,perché non può esserci benessere per i bambini finché gli adulti saranno offesi e sfruttati.Vi abbraccio, vostro Iqbal.


Infine, un premio, con tutta ma mia solidarietà, al blog in ricordo di "Aldro": Federico Aldrovandi. Una delle tante vittime degli eccessi di "sicurezza". Che non sia dimenticato, che dia almeno la forza di combattere altre ingiustizie, altri abusi di potere nascosti e minimizzati, che aiuti ad evitare altri soprusi, altre vittime, anonime, "insignificanti", ma non per noi.


Ma chi avrà interesse a conoscere altri blog interessanti, ne troverà tanti altri nelle diverse rubriche nella barra laterale di incidenze.
Citarli tutti, sarebbe stato come non citarne nessuno, e ho dovuto scegliere, sicuramente rinunciando ad altri, che ho volta a volta linkato, convinto che meritino di essere conosciuti, visitati, letti...

martedì 27 febbraio 2007

Maurice Blanchot: Michel Foucault come io l'immagino

Maurice Blanchot
Michel Foucault come io l’immagino, Genova, Costa & Nolan 1988 [Michel Foucault tel que je l’imagine, Montpellier, Fata Morgana 1986]  
 
1. L’immagine non è, in Blanchot, confortata dalla credenza nel “profondo di un sogno felice che l’arte troppo spesso autorizza”.
“Vivere un avvenimento in immagine – citiamo ancora, e necessariamente a lungo, da Lo spazio letterario – non vuol dire disimpegnarsi da questo avvenimento, disinteressarsene, come vorrebbero la versione estetica dell’immagine e l’ideale sereno dell’arte classica, ma vuol dire non più impegnarvisi con una decisione libera: vuoi dire lasciarsi prendere, passare dalla regione del reale, in cui ci teniamo a distanza dalle cose per meglio disporne, a quest’altra regione in cui la distanza ci tiene, questa distanza è allora profondità non viva, indisponibile, lontananza inapprezzabile divenuta come la potenza suprema e ultima delle cose ... Vivere un avvenimento in immagine, non vuol dire avere di questo avvenimento una immagine, e neppure conferirgli la gratuità dell’immaginano. L’avvenimento, in questo caso, avviene veramente; e tuttavia avviene ‘veramente’? Ciò che accade ci afferra, come ci afferrerebbe l’immagine, vale a dire ci priva, di esso e di noi, ci tiene al di fuori, fa di questo di fuori una presenza in cui ‘Io’ non ‘si’ riconosce”.
L’evocazione straniante dell’incontro anonimo e aleatorio con Foucault nel ’68, che apre Michel Foucault come io l'immagino, presenta quel carattere di esteriorità irriducibile dell’avvenimento, che costituisce un luogo cruciale dell’opera (sia “critica”, sia letteraria”) di Blanchot. “Non è una
finzione benché non sia capace di pronunciare a proposito di tutto ciò la parola verità. Gli è successo qualcosa, e non può dire che sia vero, né il contrario. Più tardi, pensò che l’avvenimento consistesse in questa maniera di non essere né vero, né falso” (L'attesa, l’oblio). E ancora, ne La comunità inconfessabile (a proposito di Acéphale): “Coloro che vi hanno partecipato non sono sicuri di avervi avuto parte”.

2. “Esprimere soltanto quello che non può esserlo. Lasciarlo inespresso” (L‘attesa, l’oblio).