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giovedì 29 settembre 2011

ri - ecce Eccher

Non essendo riuscito a condurre in porto la sua proposta di eliminare dalla Costituzione la dodicesima disposizione transitoria e finale che vieta la la riorganizzazione del partito fascista, il senatore post-squadrista (oggi nel PdL, of course) Cristiano de Eccher,  ripiega provvisoriamente su una navigazione di più modesto corso:  "una crociera sul lago di Garda, su di un piroscafo dal nome evocativo, con tappa in quel di Salò", in compagnia di noti cervelli del calibro di un Maurizio Gasparri.


venerdì 25 marzo 2011

L: Lontana [forse]

E n c i c l o p e d i a
d e l l a
n e o l i n g u a

L
lontana [forse]

 «... è insensato, "a prescindere", presidiare la libreria Mondadori per la presentazione del libro "Nessun dolore - Una storia di CasaPound" ...
 Abbiamo letto tutte le pagine di "Nessun dolore" il libro del fondatore di CasaPound pubblicato da Rizzoli per cercare tra le pieghe quei contenuti "fascisti" che fanno andare il sangue alla testa dei ragazzi dei centri sociali ...
 Un'ideologia la loro forse lontana da quel fascismo che gli viene rimproverato (e di cui si dicono seguaci)»

Tano Gullo "Che follia...", per  la Repubblica Palermo, 23 marzo 2011

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approfodimenti:

venerdì 25 febbraio 2011

Lo stronzio del terzo millennio



CasaPound
annuncia un convegno sul ritorno all'atomo e il nucleare italiano.


Rifiutiamo l'ennesimo ritorno dello stronzio!



Questo post è frutto di una profonda meditazione di Incidenze e Marginalia

domenica 21 febbraio 2010

"un paese più normale": il revisionismo incoronato a Sanremo


L'obiettivo di divenire una "nazione normale", che istituisce un rapporto "armonico" col proprio passato, è da tempo una posta in gioco decisiva del revisionismo storico tedesco:
 
La storia non deve più essere oggetto di scontro, deve essere integrata come un elemento 'normale' all'interno della nazione e deve costituire una stabile "identità nazionale".[16]

La sutura della memoria, chiudere le lacerazioni aperte e latenti nella storia moderna, e quelle più specifiche della "storia patria", è ormai divenuto, anche in Italia, un programma statale.






E. Filiberto: Io credo nella mia cultura e nella mia religione, per questo io non ho paura, di esprimere la mia opinione. Io sento battere più forte, il cuore di un’Italia sola, che oggi più serenamente, si specchia in tutta la sua storia.
...
Pupo: Io credo ancora nel rispetto, nell’onestà di un ideale, nel sogno chiuso in un cassetto e in un paese più normale

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video da Liberazione
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giovedì 24 settembre 2009

Ascanio Celestini - Lanciano il sasso e mostrano la mano



Lo squallido "attacco murale" orchestrato a Viterbo da Casapound contro la presentazione dello spettacolo di Ascanio Celestini, Il razzismo è una brutta storia - che l'autore-interprete ha messo a disposizione della campagna nazionale contro il razzismo promossa dall'Arci -, meriterebbe molte considerazioni.
Ma, nell'urgenza, preferisco limitarmi a qualche osservazione (temporalmente) "a caldo", e a mente fredda.

Nella notte prima dello spettacolo - riferisce Carta - "Casapound ha strappato tutti i manifesti della prima e ha imbrattato i muri della città con insulti contro l’Arci e Ascanio Celestini". La prosa murale [scritte nere, quasi tutte firmate CPI (Casapound Italia ) o CPVT (Casapound Viterbo)] toccano l'apice della volgarità e della demagogia), con "perle" di questo genere: "Celestini fa li sordi sull'immigrato", "Ascanio Celestini bamboccio", "Tutto esaurito per la prima di un fallito", "Celestini boia", e via imbrattando...

Tanta e tale rozzezza dei neri writers notturni, non è che l'elemento più eclatante di un'operazione mirata, che non è, e non va, ridotta a mero episodio locale : mettere in scena (anche grazie allo "scalpore" suscitato delle offese), l'esistenza di una "contro-campagna" nazionale - organizzata e avallata dal "centro" (i volantini affissi a Viterbo di Casapound, a firma e con l'indirizzo della centrale romana), il cui nucleo "teorico" è il ribaltamento dell'imputazione di "razzismo" su chi difende i diritti degli immigrati. E' il classico procedimento di ritorsione, da tempo collaudato nei laboratori della Nouvelle droite. E, nella palude del paradigma bipartisan,imperante da anni in Italia, la presentazione di due "pareri" speculari tesa a suscitare un'improbabile impressione di equivalenza tra un parere pro e uno contro l'immigrazione, che si pretendono entrambi antirazzisti, potrebbe servire a estendere le tenebre di questa lunga notte in cui tutte le vacche sono nere.

Ma torniamo ad Ascanio Celestini: penso che quel che i fascisti odiano e vorrebbero boicottare (oltre, ovviamente, alla campagna contro il razzismo) è la straordinaria lucidità di questo regista-interprete, capace di diagnosticare con precisione, e spesso con anticipazione, i pericoli e i conflitti del presente.

Al punto che, una provocazione come quella di Viterbo, in cui fascisti del terzo millennio lanciano il sasso e rivendicano, mostrano la mano, non può sorprendere Celestini e chi conosce e apprezza il suo lavoro che, al riguardo, ha fatto anticipatamente chiarezza.


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co-incidenze: ANPI Barona
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martedì 15 gennaio 2008

Questioni di metodo. A proposito di Kulturkampf

Mark Terkessidis
Kulturkampf. L'Occidente e la Nuova Destra, Marco Tropea Editore, Milano 1996.
[
Kulturkampf. Volk, Nation, der Westen und die Neue Rechte, Kiepenheuer & Witsch, Köln 1995]

La tempestiva traduzione italiana di questo lavoro offre un’importante testimonianza della nascita, anche in ambito tedesco, di un percorso critico che ha posto al centro dell’attenzione le affermazioni mediatiche della Nuova destra, il revisionismo storico, il nuovo razzismo differenzialista. Chi, all’inizio degli anni Novanta, partendo da momenti di mobilitazione e discussione quali il blocco della conferenza di Nolte nell'ateneo bolognese[1] o da altri percorsi convergenti, ha maturato analoghi interessi, ha la possibilità di confrontarsi con un tracciato in qualche modo parallelo, nato in Germania negli stessi anni. La prefazione di Terkessidis mostra bene che la genesi di questo spazio di attività e ricerca non è, come spesso si crede o si vorrebbe far credere, riconducibile ad una ideologia “residua”, ma si colloca nel cuore dei problemi imposti dall’attualità.
Insieme, la prefazione sottolinea alcune decisive scelte teoriche e analitiche che informano il testo. Una critica del paradigma della “guerra culturale” deve affrontare il difficile compito di smarcarsi dal proprio oggetto, e ha bisogno, per questo, di individuare un diverso spazio teorico, un’altra immagine del pensiero:
“Concordo – scrive Terkessidis – con lo psicoanalista sloveno Slavoj Zizek, il quale ha scritto che l’intellettuale dovrebbe porsi in un buco che non si chiude. Zizek alludeva a una foto scattata dopo la caduta di Ceausescu: due rumeni innalzavano una bandiera nella quale al posto dell’emblema del comunismo, evidentemente tagliato via, si apriva un buco. Il più alto dovere dell’intellettuale sarebbe quello di ‘rimanere imperterrito, anche e soprattutto quando ormai si è stabilito un nuovo ordine (una ‘nuova armonia’) al posto di quel buco, per mantenere una distanza rispetto al simbolo predominante’”[2].
Il rifiuto di assumere il punto di vista di una superiore “verità”, “al di sopra delle parti”, opera uno scarto non solo nei confronti dei modelli di trascendenza della sfera culturale propri della Nuova destra, ma anche verso l’ingannevole obiettività di esperti attestati su un modulo di analisi normativa che, semplificando, potrebbe essere così schematizzato: fissati due termini, da una lato il fascismo nostalgico (o, con maggior vaghezza, il “totalitarismo”) che designa il posto in cui la Nuova destra non è più, dall’altro la conformità alla democrazia, termine prestabilito del percorso, si pone la Nuova destra come una entità “in cammino” tra il primo e i secondo punto fermo, e si procede a rilevare i gradi di pro-gresso, variamente compitando “evoluzioni” e (ri)cadute, “passi avanti”, soste ed eventuali scivoloni. Kulturkampf rovescia la prospettiva: non commisurare la Nuova destra ad un modello di “democrazia” concepito come norma inamovibile, ma descrivere il viraggio o la deriva dei fattori che definiscono un paese democratico “normale” per effetto di un insieme combinato di processi con cui la Nuova destra interagisce. La confortevole semplicità dello schema lineare va in frantumi: non una retta, ma una reticolo.
Aprire questo reticolo significa non limitarsi a considerare una singola esperienza – come la Nouvelle droite, o uno dei suoi omologhi nazionali –, ma allargare lo sguardo in più direzioni: mentre focalizza la specificità dell’esperienza tedesca, Terkessidis riesce a mantenere una continua attenzione alle dimensioni internazionali del fenomeno e, al tempo stesso, non circoscrive l’analisi alla Neue Rechte in senso stretto, ma prende in esame un complesso di gruppi e tendenze, che permettono di vedere quel filone come una componente rilevante, ma tutt’altro che isolata, di un insieme più vasto: dalle testate vicine all’impostazione del Grece agli storici “post-Nolte” e oltre, fino all’area che si è raccolta attorno al Manifesto degli intellettuali conservatori[3]. Di qui la necessità di spaziare non solo tra tempi e autori distanti, ma anche tra materiali eterogenei: dal libro alla rivista, dal giornale alla fanzine: il filo conduttore non è l’omogeneità di “livello”, non si tratta di optare tra i cieli rarefatti della “cultura” e il “basso” materiale underground, ma di leggere diagonalmente i concatenamenti enunciativi, le linee di articolazione di una strategia.
Ma questa strategia non può essere efficacemente criticata mutuandone più o meno implicitamente i presupposti. Se quella opera mettendo “sistematicamente in ombra tutti gli aspetti del dominio (politico-economico) e analizzando la situazione solo sotto l’aspetto strategico del potere ideologico”[4], la critica deve tornare, con Marx, a parlare la “lingua della vita reale”[5]: cogliere le complesse articolazioni tra l’affermarsi del paradigma che “costruisce” i conflitti sociali in chiave di “lotta tra le culture” e i processi di segmentazione gerarchica interni al “mercato mondiale indiviso”. Il testo effettua una ricognizione vasta delle funzioni svolte dal razzismo culturalista ad ogni livello. Dai conflitti Nord-Sud, alla concorrenza tra stati o aree produttive, alle esigenze interne delle nazioni, il paradigma della “battaglia tra culture” adempie a funzioni strategiche . La costruzione di un quadro d'insieme, anche su questo piano, è forse l’aspetto più importante del libro.
Relativamente ai temi, agli stili e ai moduli culturali della Nuova destra il libro può essere letto come un grande repertorio, e utilizzato come una rubrica intelligente, una rassegna che riordina e permette di riconoscerne i topoi. Non sfuggirà, ad una lettura così orientata, la parabola che connette trasgressione e normalità: “Dobbiamo incanalare verso destra l’inquietudine diffusa nelle file della sinistra stessa – scriveva Gerd Waldmann sulla rivista Nation Europa nel 1969 –. ‘Di destra’ in futuro, non dovrà significare reazionario, ma volto al progresso, non borghese, ma incline alla rivoluzione sociale, non antintellettuale, ma impegnato a introdurre la razionalità nella politica, non legato a un nazionalismo improntato alla concezione di stato, ma a un moderno nazionalismo europeo”[6]. Ora, con il definirsi di uno spazio “al di là” della distinzione destra/sinistra, nell’incontro tra “personalità creative” provenienti dall’uno e dall’altro campo, si procede alla costituzione di un nuovo “centro libero dalle ideologie”: “Oggi - asserisce Antie Vollmer su Der Spiegel nel 1993 - ci sarebbe seriamente bisogno degli intellettuali per predisporre un nuovo consenso sociale”[7]. Il gesto “ribelle” della trasgressione delle “vecchie appartenenze” prepara una nuova normatività[8].
La movenza critica che anima il testo, conducendo alla problematizzazione o alla rottura di nuovi luoghi comuni, è probabilmente ascrivibile al suo nascere da un bilancio di sconfitta delle sottoculture, in entrambi gli orientamenti : sovversione e autonomia[9]. Nella prima, dall'inizio degli anni Novanta “tutti gli elementi caratteristici – confusione, ambiguità, ricerca dell'evento – rimanevano, ma ormai era impossibile trovare contenuti politici, cosicché la ‘strategia’ si trasformava in linea di massima in un vuoto pronto ad accogliere qualsiasi contenuto”[10], la seconda sembra destinata ad occupare la sacca prefigurata già dal 1979 da Peter Glotz (Spd), che Terkessidis così sintetizza: “Il patto è chiaro: se voi ci lasciate governare in pace, se non mettete più in discussione la questione del potere, noi vi lasciamo la cultura; se poi i ‘normali’ vi odiano, non è colpa nostra”[11].
Il collocare la riflessione “in buco”, il gesto di distanziamento critico dei processi di culturalizzazione dei movimenti di contestazione, presiede a un più generale spostamento di prospettiva, che conduce al nucleo “caldo” del libro: il confronto tra l’etnopluralismo della destra e il suo termine antitetico: il multiculturalismo. Interrogata nei suoi presupposti teorici, l’opposizione tra questi termini trova le proprie condizioni di possibilità in un processo di etnicizzazione della politica, che pretende di spiegare (e propone di affrontare) i problemi sociali in chiave etnica: la “differenza culturale” rinvia circolarmente a se stessa, è assunta come un “dato” non ulteriormente problematizzabile, assurge a paradigma interpretativo, diviene principio per formulare (diverse) tecniche di amministrazione dei processi di inclusione/esclusione.
Kulturkampf elabora l’esigenza di uscire da questo circolo, in direzione di quello che - con espressione bella e desueta - chiama materialismo.

Rudy M. Leonelli
in altreragioni, n. 6, 1997




[1] Avevo ricordato la rilevanza di quell'evento come segno di apertura di uno spazio critico nel mio primo articolo per questa rivista (cfr. Gli eruditi delle battaglie. Note su Foucault e Marx, “Altreragioni”, n. 2, 1993, p. 147 n.).
[2] Mark Terkessidis, Kulturkampf. L’Occidente e la Nuova Destra, p. 14.
[3] Ibid., p. 15.
[4] Ibid., p. 29.
[5] Ibid., p. 14.
[6] Ibid, p. 27.
[7] Ibid., p. 171. Oltre alle diverse declinazioni della “fine” della dicotomia destra/sinistra esaminate da Terkessidis, potrebbe essere interessante considerare la letteratura apologetica delle nuove tecnologie dell'informazione. È al riguardo eloquente un brano tratto dalla rivista statunitense Wired: “La sinistra è morta. La destra è morta. Senza che ci sia stato bisogno di proclamarlo ufficialmente , siamo ormai nel pieno di un'economia globale di reti” (Mark Stahlman, “Wired”, ottobre 1994, cit. in Herbert I. Schiller,I profeti dell’era digitale. L'ideologia della rivista “Wired”, “Le Monde Diplomatique/il manifesto”, novembre 1996, p. 27).
[8] Ho cercato di delineare questo problema ne Le sventure della virtù. Per la critica del post-antirazzismo, "Altreragioni", n. 4, 1995.
[9] Cfr. Kulturkampf, pp. 11-12.
[10] Ibid., 12.
[11] Ibid., p. 68. Come si vede, non dovrebbe essere arduo trovare corrispondenze nella situazione italiana.