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lunedì 12 agosto 2013

della ripresa degli studi marxiani nel mondo

Una geografia cangiante per il filosofo di Treviri




RIVISTE · L'ultimo numero del Ponte dedicato alla ripresa degli studi marxiani nel mond


Da Pechino a Parigi, da Brasilia a Mosca. Una raccolta di saggi sul rinnovato interesse per Marx «Il Ponte», una delle poche riviste militanti ancora esistenti nel nostro paese, ha dato alle stampe un numero speciale dedicato all'attualità di Marx, curato da Roberto Fineschi, Tommaso Redolfi Riva e Giovanni Sgro'.
Karl Marx 2013 - questo il titolo della raccolta (Il Ponte editore, pp. 288, euro 20) - si segnala come uno strumento importantissimo per comprendere l'odierna ricezione del pensiero marxiano. Il volume restituisce una mappa orientativa del marxismo globale, ripartita per aree geografiche, alcune di queste sconosciute a gran parte del dibattito italiano: possiamo leggervi, a titolo d'esempio, una sintesi dello stato degli studi marxiani in Russia (a firma di Alekcandr V. Buzgalin e Andrei I. Kolganov), una ricognizione interessante delle posizioni in campo nel marxismo accademico in Cina e del loro rapporto con la politica governativa (redatta da Hu Daping), un resoconto della riflessione su Marx prodotta in Brasile (secondo l'ottica di Joao Quartim Moraes). Non mancano le ricostruzioni del marxismo occidentale, con analisi relative alla situazione del marxismo in Giappone, Francia, Germania, Inghilterra e Italia, scritte da Sergio Cámara Izquierdo e Abelardo Mariña Flres, Guglielmo Carchedi, Frank Engster e Jan Hoff, Stéphane Haber, Reyuji Sasaki e Kohei Saito, oltre che dai tre curatori.

Tutti gli scritti, come nota Fineschi nelle pagine introduttive, dimostrano un interesse vivo per l'opera di Marx, specie in un momento storico contrassegnato dalla crisi del capitalismo e dall'inasprirsi delle lotte sociali. Alcuni motivi della tradizione marxista sembrano aver ritrovato cittadinanza nel dibattito odierno. All'interesse specificamente culturale per Marx non sembra però, almeno per il momento, accompagnarsi «un uso più esplicitamente politico del suo pensiero». E, in effetti, rileggendo le diverse ricognizioni proposte dal volume, è facile constatare come i diversi marxismi in campo risentano - come è giusto che sia - della propria appartenenza nazionale, che ovviamente ha conformato, secondo limitati aspetti e interessi, il dibattito e la discussione. Così, pare evidente constatare che almeno nei paesi europei la riflessione resta in qualche modo bloccata sul doppio crinale, spesso non convergente, di una considerazione storicistica dell'esperienza teorica-politica di Marx e di un'analisi logico-categoriale dei concetti messi in campo dalla sua opera; oppure risulta ferma allo scontro tra un marxismo dialettico, dunque sensibile a una logica della continuità tra Hegel e Marx, e un marxismo di stampo postoperaista, legato in qualche modo alle esperienze filosofiche franco-italiane.

Diverso, forse, il caso di paesi come la Cina, dove il perenne confronto con l'ortodossia ideologica del Partito si accompagna a una curiosità evidente per le sorti del marxismo occidentale più recente, che produce di certo curiose sinergie e letture inaspettate (la piega ontologico-esistenziale di certo marxismo cinese, ad esempio). E tutto ciò si colloca - nota ancora Fineschi - in un quadro storico che non può tener conto di una novità rilevante per gli studi marxiani: la pubblicazione della nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels, la cosiddetta seconda Mega , che ha, in alcuni casi, ribaltato molte delle acquisizioni consolidatesi in decenni di interpretazione e commento. Si pensi all'Ideologia tedesca - di cui, nel nostro poco informato paese, continuano a stamparsi edizioni «unitarie», anche di recente -, che «si è dimostrata non essere altro che una serie di articoli raccolti per un progetto di rivista poi mai realizzato e rimasti insieme, non una «opera».

La disomogeneità geografica delle ricezioni di Marx nel mondo riflette ovviamente la crisi del marxismo come strumento politico. Se ne restituisce la vitalità nei termini di approfondimento filologico e scientifico, il volume segnala però quest'inefficienza sul piano della pratica. C'è da chiedersi dunque se, in tempi di diffusione radicale della testualità e della cultura in tutti gli ambiti della realtà - con evidente svalutazione dell'una e dell'altra -, anche Marx e il marxismo siano diventati beni culturali da far rivivere solo nelle pagine di un'accademia separata dal mondo.

Esiste, forse, una deriva culturalista che rischia di rendere sterile il portato politico del marxismo, ed essa rappresenta una pericolosa forma d'integrazione nel sistema culturale del tardo capitalismo. È auspicabile, anche grazie ai nuovi strumenti bibliografici a nostra disposizione, che all'aggiornamento della teoria marxista si leghi un'autocoscienza critica della propria posizione e presenza nel mondo capitalistico: e ciò potrà essere possibile in un'ottica capace di tenere assieme le diverse realtà del marxismo, senza che queste si riducano a una sorta di corpo in frammenti incapace di ricostruire la sua originaria unità.
Marco Gatto, il manifesto, 10 agosto 2013  

lunedì 17 dicembre 2012

Manifestoon: A spectre is haunting ...


The Communist Manifesto illustrated by Cartoons





                          vedi, nel sito MIA, le traduzioni: 
        
 

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mercoledì 7 novembre 2012

Bologna - Presentazione del I libro del Capitale, 9 novembre


martedì 26 giugno 2012

Karl Marx: Vita nova





La seconda vita di Karl Marx
di Marcello Musto
da l'Unità, 24/6/2012 


Nuovi manoscritti smontano dogmatismi antichi e offrono analisi attuali sulla crisi. Dopo anni di lodi sperticate alla logica di mercato, è molto utile analizzare la sua opera e i suoi appunti

Se la perpetua giovinezza di un autore sta nella sua capacità di riuscire a stimolare sempre nuove idee, si può allora affermare che Karl Marx possiede, senz’altro, questa virtù.

Nonostante, dopo la caduta del Muro di Berlino, conservatori e progressisti, liberali ed ex-comunisti, ne avessero decretato, quasi all’unanimità, la definitiva scomparsa, con una velocità per molti versi sorprendente, le sue teorie sono ritornate di grande attualità. Di fronte alla recente crisi economica e alle profonde contraddizioni che dilaniano la società capitalistica, si è ripreso a interrogare il pensatore frettolosamente messo da parte dopo il 1989 e, negli ultimi anni, centinaia di quotidiani, periodici, emittenti televisive e radiofoniche, di tutto il mondo, hanno celebrato le analisi contenute ne Il capitale.


Nuovi sentieri per la ricerca 
Questa riscoperta è accompagnata, sul fronte accademico, dal proseguimento della nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels, la MEGA². In essa, le numerose opere incompiute di Marx sono state ripubblicate rispettando lo stato originario dei manoscritti e non, come avvenuto in precedenza, sulla base degli interventi redazionali cui essi furono sottoposti. Grazie a questa importante novità e tramite la stampa dei quaderni di appunti di Marx (precedentemente quasi del tutto sconosciuti), emerge un pensatore per molti versi differente da quello rappresentato da tanti avversari e presunti seguaci. Alla statua dal profilo granitico che, nelle piazze di Mosca e Pechino, indicava il sol dell’avvenire con certezza dogmatica, si sostituisce l’immagine di un autore fortemente autocritico che, nel corso della sua esistenza, lasciò incompleta una parte significativa delle opere che si era proposto di scrivere, perché sentì l’esigenza di dedicare le sue energie a studi ulteriori che verificassero la validità delle proprie tesi.

martedì 10 agosto 2010

Marx lo scienziato impaziente di rivoltare il mondo



Marx lo scienziato impaziente
di rivoltare il mondo

Tonino Bucci, per Liberazione, 20.07.2010





Nicolao Merker, Karl Marx Vita e opere
Laterza, 2010

«Un tipaccio nero imperversa pieno di furore, come se volesse afferrare l’ampia volta celeste e tirarla sulla Terra». Cimentandosi con un poemetto satirico Friedrich Engels tratteggiava con questi rapidi, ma efficaci versi un giovane studente di filosofia, uno dei tanti hegeliani di sinistra che allora –siamo all’incirca nel 1841 – circolavano per l’università di Berlino, capitale di una Prussia autocratica e in pieno clima di Restaurazione. Il nome di quello studente era Karl Marx. Tra lui ed Engels – rampollo di una famiglia di industriali tessili, arrivato nella capitale prussiana per il servizio militare – non si era ancora stabilito il celebre sodalizio di amicizia e di idee che sarebbe durato una vita. Eppure quelle parole dettate da un innocente esercizio d’ironia non si sarebbero rivelate del tutto fuori luogo. Una certa brama di rivoltare il mondo, un certo titanismo di derivazione romantica, quel giovane studente li avrebbe mantenuti anche negli anni a venire della sua esistenza.
Del resto, intere generazioni di lettori e studiosi marxisti hanno ritenuto di dover distinguere tra un Marx scienziato e un Marx politico: l’uno, autore di sobrie analisi economiche, meticoloso fino all’eccesso, ossessivo nella raccolta di fonti e documenti; l’altro, impetuoso e impaziente di passare ai fatti, frettoloso di vedere nella propria epoca i segni premonitori della nuova società post-borghese al punto da scorgere in ogni insurrezione l’inizio della rivoluzione proletaria. Il più delle volte, questa distinzione ha avuto la funzione di far giocare un Marx contro l’altro, con l’implicito presupposto che un pensiero possa farsi scienza solo a condizione di tener lontana ogni commistione con la politica. Non è il caso, questo, della nuova biografia su Marx – era da tanto che non se ne vedevano qui in Italia a differenza che in altri paesi – appena uscita in libreria a firma di Nicolao Merker, Karl Marx. Vita e opere (edizioni Laterza, pp. 268, euro 18). Di primo acchito si potrebbe restare sorpresi che a distanza di quasi centotrenta anni dalla morte (avvenuta l’11 gennaio 1883) ci sia ancora di che scrivere sulla vita di Marx. Dalla fine dell’Ottocento in poi il suo nome è circolato nei movimenti operai di ogni paese del mondo. Sindacati, partiti, interi Stati si sono appropriati a torto o a ragione di Marx, cercando nel suo pensiero una fonte di legittimazione. Una quantità indescrivibile di pubblicazioni si è accumulata nel tempo, gran parte delle quali però dedicate alla dottrina. «Molto minore fortuna – scrive Merker – ha avuto l’interesse per l’uomo. Le buone biografie di Karl si sono sempre contate sulle punte delle dita», mentre «i “teorici del marxismo” (o chi presumeva si esserlo, o comunque si occupava del Marx della “teoria”) erano moltitudine». Marx, questo sconosciuto, poteva dire lo storico Maximilien Rubel, quando ben altra era la circolazione del suo nome, a maggior ragione lo si può dire all’inizio del XXI secolo. «Oggi spesso, riguardo alle cose attendibili su di lui, Marx sembra diventato un parente dell’uomo di Neanderthal». Non che manchino lavori attendibili, Merker ne cita alcuni: ad esempio il Karl Marx. Storia della sua vita del 1918, a firma del socialdemocratico Franz Mehring, il primo ad essere «sganciato da limiti tattici di partito» e ad aver consultato documenti inediti, soprattutto il carteggio con Engels, seguito da Blumenberg, Nikolajevsky e Maenchen-Helfen, Rubel, Friedenthal, fino a Berlin e McLellan, tutti ormai diventati a modo loro dei “classici”.
Una biografia non è solo una collezione di fatti privati o una ricerca di aneddoti che ancora attendono d’essere raccontati da qualcuno. Né, peggio ancora, una “psicografia”, un viaggio senza capo né coda, senza metodo, nella psicologia e nel carattere dell’uomo Marx. Non è tutto il privato di Marx che conta, ma quelle vicende che nella sua biografia e nei suoi scritti spiccano come segni evidenziali. Che Marx abbia fatto un figlio con la domestica di casa o che sia stato eterno debitore di denaro all’amico Engels sono tratti casuali. Altri eventi della sua vita, invece, testimoniano di come le teorie marxiane nascano e si sviluppino come risposta originale alle grandi sollecitazioni culturali della sua epoca.
Fin dalle avventure giovanili all’università – prima a Bonn, poi a Berlino dove finirà a studiare filosofia contro la volontà paterna di fame un laureato in giurisprudenza – per proseguire nelle prime esperienze di giornalista politico alla Gazzetta Renana, sotto il segno di un democraticismo radicale, Merker restituisce l’immagine di un Marx assillato dall’idea di fare della filosofia una scienza rigorosa dei fatti, al punto da scrivere: «Desideriamo costruire esclusivamente su dati di fatto e ci sforziamo, per quanto è in noi, di sollevare solo i fatti a una significazione generale». Anche la resa dei conti con Hegel, della cui filosofia Marx è negli anni universitari un seguace, avviene in nome della ricerca di una scienza dei fatti che non andasse a discapito dei fatti medesimi. Di una scienza capace di leggere i fatti non attraverso interpretazioni costruite indipendentemente dai dati e, successivamente, a questi sovrapposte. «Marx rintracciò i difetti di Hegel partendo dal modo in cui il filosofo aveva mediato i fatti, ossia il molteplice concreto. Dall’incapacità hegeliana e idealistica in genere di spiegare i fatti, Marx concluse che le deduzioni speculative, mancano di funzionalità conoscitiva». La filosofia hegeliana aveva trattato l’uomo reale, i fenomeni della vita reale, la società e lo Stato come estrinsecazioni dell’Idea, come tappe di una narrazione logica: a prezzo, però, di dover “riempire” l’Idea, forma vuota, «con contenuti empirici senza però filtrarli attraverso un’adeguata analisi critica». Anche il Marx talvolta più attaccato dai suoi critici, quello autore nel 1846 – assieme a Engels – dell’Ideologia tedesca, un manoscritto che uscì in edizione postuma solo nel 1932, è a giudizio di Merker un Marx impegnato in una lotta senza quartiere contro le distorsioni ideologiche della realtà. Dove altri interpreti marxisti hanno visto all’opera un materialismo esasperato, un’esaltazione dell’homo faber e dell’attività materiale a discapito della teoria – liquidata a semplice riflesso capovolto della realtà – Merker descrive Marx ed Engels come due autori tutt’altro che inconsapevoli dell’importanza delle ideologie nella storia, tutt’altro che ignari della «complessità delle griglie attraverso cui la realtà giunge alla coscienza». C’è da tener presente che la ricerca di una conoscenza scientifica della realtà va di pari passo con la polemica contro quelle che a Marx ed Engels, nel panorama dei giovani hegeliani di sinistra appaiono fantasie individuali, fughe nell’individualismo anarchico se non recrudescenze irrazionalistiche. Del resto, il materialismo cui i due approdano, è ormai un congegno più raffinato di quel che si pensi. «La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva – scrive Marx nelle Tesi su Feuerbach – non è questione teoretica bensì una questione pratica», essendo nella prassi che «l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere del suo pensiero».
Non distorcere la realtà, non anteporre i propri desideri allo studio scientifico dei fatti, non limitarsi a denunce moralistiche diventa il leit motiv nella polemica di Marx contro i socialisti utopisti conosciuti nell’esilio in Francia, primo fra tutti Proudhon. Nonostante il fallimento delle rivoluzioni democratiche del 1848, nonostante i patimenti e la miseria che l’esule Marx conosce negli oltre due decenni di soggiorno a Londra, questo richiamo a una conoscenza scientifica e a un metodo rigoroso non verrà mai meno. È però, questo, il nodo sul quale si è innestata la leggenda di un Marx affetto da economicismo, che si concentra nello studio dell’economia capitalistica, disinteressandosi del tutto della politica e di ciò che accade al di fuori della fabbrica. Emerge, invece, un autore consapevole della differenza tra il momento puramente economico, di quando, ad esempio, si cerca di «costringere i singoli capitalisti in singole fabbriche o anche in singole officine tramite scioperi ecc. a concedere una diminuzione dell’orario di lavoro», e il movimento politico «per la conquista di una legge per le otto ore». Anche se più rarefatto rispetto allo “scienziato”, il Marx politico emerge in momenti cruciali, per esempio quando sotto la pressione degli eventi si accinge a riconoscere nella Comune di Parigi del 1871, nata da un’insurrezione, il primo esempio di governo della classe operaia. Così come non mancano gli accenni a una teoria dello Stato, per quanto frammentata in scritti di varia natura. Però è proprio nelle riflessioni politiche che emerge un dissidio interiore di Marx, per un verso incline da scienziato a parlare di strutture e tempi lunghi, per nulla disposto a lanciarsi da futurologo in ricette per la società futura; e dall’altra però disposto in certi passaggi epocali a scommettere sull’accelerazione della storia, come se la rivoluzione proletaria fosse dietro l’angolo, anche quando, come nel caso dei comunardi parigini, mancava del tutto una classe operaia capace di agire su scala nazionale. «In Marx l’utopia, in realtà, non stava in primo piano. Negli accenti utopici, quando c’erano, si esprimeva il desiderio che le teorie dell’emancipazione si avverassero in un futuro ancora visibile; e venivano quasi regolarmente bloccati non appena subentravano la analisi scientifiche».
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