mercoledì 21 aprile 2010

Michel Foucault, il corpo vivo della filosofia

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... Quanto a coloro per i quali crearsi dei problemi, cominciare e ricominciare, cercare, sbagliare, riprendere tutto da cima a fondo, e trovare ancora il modo di esitare a ogni passo, coloro, insomma, per i quali lavorare in modo problematico e in un continuo travaglio intellettuale, equivale a una posizione dimissionaria, be’, non siamo, chiaramente, dello stesso pianeta.

… il motivo che mi ha spinto era molto semplice. Spero anzi che, agli occhi di qualcuno, possa apparire sufficiente di per sé. È la curiosità; la sola specie di curiosità, comunque, che meriti d’esser praticata con una certa ostinazione: non già quella che cerca di assimilare ciò che conviene conoscere, ma quella che consente di smarrire le proprie certezze. A che varrebbe tanto accanimento nel sapere se non dovesse assicurare che l’acquisizione di conoscenze, e non, in un certo modo e quanto è possibile, la messa in crisi di colui che conosce? Vi sono dei momenti, nella vita, in cui la questione di sapere se si può pensare e vedere in modo diverso da quello in cui si pensa o si vede, è indispensabile per continuare a guardare o a riflettere. Mi si potrà forse obiettare che questi giochetti personali è meglio lasciarli dietro le quinte, e che, nel migliore dei casi, fanno parte di quei lavori di preparazione che si estinguono spontaneamente non appena han preso forma. Ma che sa è dunque la filosofia, oggi – voglio dire l’attività filosofica – se non è lavoro critico del pensiero su se stesso? Se non consiste, invece di legittimare ciò che si sa già, nel cominciare a sapere come e fino a qual punto sarebbe possibile pensare in modo diverso? Vi è sempre un che di derisorio nel discorso filosofico quando pretende dall’esterno, di dettar legge agli altri, dir loro dov’è la loro verità o come trovarla, o quando trae motivo di vanto dall’istruir loro il processo con ingenua positività; ma è suo pieno diritto esplorare ciò che ciò che, nel suo stesso pensiero, può essere mutato dall’esercizio di un sapere che le è estraneo. La “prova” – che va intesa come prova modificatrice di sé nel gioco della verità e non come appropriazione semplificatrice di altri a scopi di comunicazione – è il corpo vivo della filosofia, se questa è ancor oggi ciò che era un tempo, vale a dire un’“ascesi”, un esercizio di sé nel pensiero.

Michel Foucault, L’usage des plaisirs, Gallimard, Paris 1984, tr. it. di L. Guarino, L’uso dei piaceri, Feltrinelli, Milano 1984, p. 13-14.
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2 commenti:

simone ha detto...

... è davvero incredibile ... stavo rileggendo e meditando sulle stesse frasi proprio ieri sera. Siccome sto approntando un piccolo scritto per un mio amico che mi ha regalato un libercolo bruttissimo di Mancuso sull'autenticità, ero arrivato proprio alla fine sulla domanda decisiva "che cos'è la filosofia" oggi, nel senso di dopo Hegel. Siccome avrei ripreso la frase che hai usato a motto del blog e ripreso per il post sul tuo libro, tratta da "L'ordne del discorso", mi piaceva approfondire e mettere qualcosa di mio, anche riprendendo la tesi. E così sono finito proprio qui ....
Una lucidità incredibile vero? Da parte di Foucault, naturalmente.

riccardo uccheddu ha detto...

E' purtroppo prevalsa anche in ambito filosofico-sociale un'impostazione (come diceva Perelman soprattutto in "Morale diritto filosofia") di tipo geometrico-matematico.
In tal modo, è stata de-strutturata la dialettica, secondo me: che della filosofia è il motore, la reale anima.
Passerò presto per un commento più organico.
Intanto, BUON 25 APRILE!
Se puoi passare, oggi sulla lotta contro il nazifascismo ho pubblicato una cosetta.
Un abbraccio!