venerdì 9 marzo 2007

Nadine Fresco: Fabrication d’un antisémite




Nadine Fresco, Fabrication d’un antisémite
Éditions du Seuil, Paris 1999



La volontà di sapere che anima questa ricerca viene da lontano. Nel 1980 Nadine Fresco scriveva: “Conoscere Rassinier è indispensabile se si vogliono capire il funzionamento e le differenti correnti del pensiero revisionista” (“Les redresseurs de morts. Chambres à gaz: la bonne nouvelle. Comment on révise l'histoire”, Les Temps modernes, juin 1980, pp. 2164-2165).

In rapporto a tutti i lavori precedenti – anche i più importanti e utili – sul padre fondatore del negazionismo, il libro di Fresco opera uno spostamento decisivo, aggredendo direttamente il cuore della questione: tutti hanno incontrato come ostacolo invalicabile e si sono limitati a riprodurre, intatto e intangibile, il mistero, il segreto, o l’enigma Rassinier. Superare le colonne d'Ercole è necessario e possibile: “forse –osserva sobriamente l'autrice – c’è mistero laddove non c’è storia” (p. 67).

Se la monografia di Florent Brayard, Comment l’idée vint à M. Rassinier (Paris, Fayard, 1997, da me recensita in Altreragioni, n. 7, 1998) descriveva la fabbrica della negazione e, concentrando la propria attenzione su Rassinier autore “revisionista”, concludeva restituendo anch’essa il mistero di Rassinier, Fabrication d’un antisémite sonda il territorio fin qui sostanzialmente inesplorato della sua genealogia, la fabbricazione del fabbricante. “Ma come qualcuno diventa antisemita? Questa biografia di Rassinier analizza la fabbricazione di un antisemita in particolare… Rassinier prima di Rassinier. L’antisemita prima del negazionista. L’uomo prima dell’antisemita” (p. 69).

Questa ricerca risponde a una questione formulata dall’autrice in un intervento del 1988. Qui, l’insufficienza, l’impossibilità di una spiegazione interna al processo di conferma e intensificazione circolare – il “banale movimento di conferma tra quelli che [Rassinier] incontra a partire da ciò che produce, e ciò che produce a partire da quelli che incontra” (p. 69) – è enunciata in anticipo: “È difficile credere, leggendo Rassinier, che il suo risentimento, la sua ossessione del complotto ebraico non siano stati che la conseguenza dei suoi contatti ripetuti con degli editori antisemiti. Per esser stata così virulenta, così invadente del suo pensiero, una tale passione aveva ben dovuto preesistere a queste collaborazioni con dei ‘nemici politici’” (“Parcours du ressentiment”, Lignes, n. 2, 1988, p. 68). Rompere il cerchio significa, per Fresco, lavorare a monte della formulazione dell’idea negazionista, ricostruendo la formazione della preesistente passione antisemita che la anima e la rende possibile.

Nel 1980 Fresco aveva rilevato il dozzinale idealismo che accompagna la monotona autodescrizione della genesi della concezione negazionista, narrante l’ascesa dello spirito umano alla rivelazione della verità: “Molti autori revisionisti inaugurano i propri scritti con una nota autobiografica del resto stranamente simile da un'opera all’altra. Una certezza: non si nasce revisionisti. Si diventa” ["Les redresseurs de morts", art. cit., p. 2175]. Indagando il presupposto di questa “rivelazione”, Fabrication d’un antisémite focalizza in una ricerca storica specifica una questione che, nella sua formulazione generale, possiamo far risalire agli “Elementi dell'antisemitismo” della Dialettica dell'illuminismo: “Non c'è antisemitismo ‘genuino’: non esistono, comunque, antisemiti di nascita”. Il problema diventa, ora, “capire come si fabbrica un pensiero antisemita. Comprendere come l'antisemitismo viene alla gente. Si è studiata la deriva verso l’antisemitismo d’estrema destra di personaggi importanti [*]. Rassinier, lui, era un uomo senza importanza. È quel che mi è importato. Era un uomo senza interesse. È quel che mi è interessato” (pp. 71-72). Con una formulazione sintetica, potremmo dire che si tratta di “rovesciare” il paradosso Rassinier, un salto dal “mito” alla storia che ha richiesto una ricerca paziente, meticolosa, difficile, spessa.

È al momento dell'epilogo che la vita di Paul Rassinier (1906-1967) insegnante nel Territorio di Belfort; pacifista integrale; consecutivamente militante comunista, socialista, anarchico; resistente, torturato e deportato; divenuto con i suoi scritti il capostipite della pretesa “scuola storica” che nega la realtà del genocidio degli ebrei perpetrato dal regime nazionalsocialista – si condensa in una biografia tramandata, fissando i tratti di quella che diverrà, per gli amici e gli epigoni, una mistica e, per la generalità dei critici, un mistero. Gli elementi più banali dell’elogio funebre – i cliché del defunto come “uomo retto integro e coraggioso” (p. 12) – assumono nelle commemorazioni di Rassinier caratteri specifici. Specificità dell’opera di questo paladino della verità, evidentemente, ma specificità, anche, della collocazione politica dei locutori e soprattutto del loro convenire, con la presenza personale e/o il necrologio scritto, intorno alla figura dello scomparso. Le esequie di Rassinier, con cui si apre il libro di Fresco, hanno una forma singolarmente e sintomaticamente sdoppiata. Al capolinea, Bermont, luogo di nascita e di sepoltura, un discorso di Émile Bauchet, direttore dell’organo del pacifismo integrale La Voie de la paix, viene letto da Alfred Tschann, presidente dell’unione dipartimentale del sindacato Force ouvrière. Sul luogo di morte, Asnières, la partenza della salma è stata invece accompagnata dall’elogio funebre di ben altro personaggio: Maurice Bardèche, editore di Rassinier e autore di testi precursori delle “tesi” negazioniste; uno dei dirigenti del Movimento sociale europeo (Mse), fondatore e direttore della rivista Défense de l’Occident, il quale partecipa alla cerimonia a nome degli “amici parigini” di Rassinier (più o meno celebri neofascisti e antisemiti).
I due necrologi – pubblicati nelle rispettive riviste – fanno parte di una nebulosa più estesa: un ricordo meno elogiativo e più laconico della rivista libertaria Défense de l’homme, fondata dall’anarchico e antimilitarista Louis Lecoin, e il breve, ma sconcertantemente eloquente, pezzo stilato da Maurice Dommanget, autore di numerose opere sul movimento operaio e rivoluzionario, che su L’École émancipée, correda con un “Nota bene” di condoglianze la segnalazione immancabilmente apologetica dell’ultimo libro del “nostro compagno” Rassinier, Les Responsables de la Seconde Guerre mondiale, un testo intriso di rancido antisemitismo pubblicato dalle Nouvelles Éditions Latines, di Ferdinand Sorlot.

La materia di questa nebulosa è singolarmente uniforme: nel variare delle sfumature e nella dispersione dei luoghi di enunciazione, gli stessi fili si intrecciano più o meno estesamente, tessendo un ritratto sostanzialmente omogeneo dello scomparso: uomo onesto e coerente, resistente della prima ora, socialista incrollabilmente fedele alle proprie convinzioni, amante disinteressato e imparziale della verità fino al martirio, ignobilmente calunniato dagli interessati e meschini sostenitori delle menzogne che ha imperturbabilmente e coraggiosamente combattuto. Un quadretto che – come Rassinier, i suoi scritti e la sua stessa salma – circola tra diversi e opposti bordi politici, fornendo uno schermo (inverosimile ma, prima di Fresco, mai smontato dalle fondamenta) all'impresa negazionista. Conoscere Rassinier è impossibile senza aggirare questo schermo, sbrogliando la trama della sua costituzione e ricostruendo le vicende che esso copre e deforma. L’apologetico (auto)ritratto non è altro che il travisamento ideale, l’abbellimento sistematico e la falsificazione deliberata della storia effettiva, umana troppo umana, che l’ha prodotto.

Cercare di riassumere in poche pagine l’enorme e meticoloso lavoro di smontaggio e ricostruzione di Fresco sarebbe vano e forse particolarmente rischioso nel caso di quest’opera scrupolosamente restia alle semplificazioni, attenta ai dettagli e alle differenze apparentemente più insignificanti, avvertita e vigilante rispetto al rischio dell’amalgama e della cancellazione della specificità storica dei fenomeni e dei contesti analizzati. Quel che è fin d’ora chiaro è che ci sarà, nella storia del negazionismo, un prima e un dopo Fabrication d’un antisémite. L’importanza del testo non si riduce all’ampliamento e alla puntuale (e spesso implicita) correzione delle nostre lacunose conoscenze sul capostipite del negazionismo, ma attiene alla complessità della costruzione. Un’articolata connessione di diversi piani: l’individuo, le sue vicende familiari, professionali, politiche, i luoghi d’origine – così importanti per un uomo che adotterà come pseudonimo il nome del paese natale (Bermont), in un territorio (Belfort) fortemente sensibile, per storia, statuto e posizione, alle vicende belliche – sullo sfondo dei grandi eventi francesi e internazionali, le guerre, il movimento operaio, il nazismo, la collaborazione, la resistenza, il dopo. Per intensità, estensione e precisione, ma anche – e, forse, soprattutto – per grado di elaborazione, questa ricerca su Rassinier non ha precedenti.

Fresco ricostruisce nello spessore della storia la singolarità di un tracciato, ritrova le stratificazioni successive che si sedimenteranno nell'opera del Rassinier “revisionista”: una successione di elementi dispersi, analizzati in una prospettiva attenta a non proiettare su di essi la conoscenza retrospettiva del loro esito. E individua un momento di condensazione: l’impossibile ritorno dalla deportazione, la mancata integrazione di un uomo fisicamente distrutto e inseguito dall'ombra della propria partecipazione, nel ‘42, alla collaborazionista Le Rouge et le Bleu. Revue de la pensée socialiste française, con un articolo che manipola citazioni da Notre Jeunesse (1910) di Péguy per adeguarlo opportunamente all’aria del tempo. Un impossibile ritorno che si concretizza in un'impressionante raffica di sconfitte elettorali: due volte nel '45 e due nel '46, Rassinier è definitivamente battuto dal candidato radicale, Dreyfus-Schmidt (lo stesso che aveva già battuto Rassinier nelle elezioni del '36), nel fuoco di una polemica altamente personalizzata, feroce e senza esclusione di colpi, che vede riemergere la collaborazione giornalistica di Rassinier, il quale replica stigmatizzando l’avversario in quanto ebreo. È in seguito alla débâcle elettorale, irrimediabilmente frustrate le ambizioni di carriera politica e di riconoscimento locale che hanno fin lì informato la vita e tutta e tutta l’attività politica di Rassinier, che questi abbandona il “suo” Territorio. È qui che l’insieme di elementi eterogenei minuziosamente dipanati da Fresco precipita per cristallizzarsi nella costruzione “revisionista”.

Fondamento e collante, motore e insegna di questa costruzione sarà la pratica rassinieriana dell'autorevisione: la fabbricazione ad hoc, l’abbellimento e l’esagerazione del proprio ruolo e la complementare cancellazione (sovente il rinnegamento) delle figure che potrebbero sminuirlo. Un insieme di espedienti che Rassinier aveva già precedentemente impiegato nella propria attività politica e giornalistica, ma che nel “revisionismo” faranno sistema: autolegittimazione mediante la metodica falsificazione della propria storia (sapientemente dosata secondo la varietà degli interlocutori) e proiezione sugli altri (i resistenti, i comunisti e finalmente soprattutto gli ebrei) di questa procedura. Una costruzione tortuosa, animata da un meccanismo semplice, che Fresco aiuta a rendere intelligibile.


Rudy M. Leonelli
in   Razzismo & Modernità, n.1, gennaio-giugno 2001




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[*] Vedi in particolare il libro di Philippe Burrin, La Dérive  fasciste: Doriot, Déat, Bergery. 1933-1945, Paris, Éditions du Seuil, 1986 [nota di N. Fresco]

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