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mercoledì 11 febbraio 2015

Martiri delle foibe: un po' di chiarezza Quando a celebrare le tragedie della storia sono quelli che le hanno causate.




Ormai ogni anno si dedicano celebrazioni a questo argomento sempre più di matrice neofascista con parate inquietanti in Lombardia come in altre parti d’Italia. Interveniamo oggi per dire la nostra opinione critica. E crediamo che sia il caso di tornare ad affrontare in maniera un po’ più approfondita questo tema.
Nel 2004 il governo di centrodestra, con l’avallo del centrosinistra, stabilì di celebrare il 10 febbraio (anniversario del Trattato di pace che nel 1947 aveva fissato i nuovi confini con la Jugoslavia) una “Giornata del Ricordo” per celebrare “i martiri delle foibe e dell’esodo istriano, fiumano e dalmata”. Una ricorrenza situata a dieci giorni dalla “Giornata della Memoria” (istituita nel 2000 per il ricordo dalla Shoah e di tutte le vittime e i perseguitati del nazifascismo). In questi anni il senso comune ha portato a fare di tutto un polverone, cosicché si parla correntemente di “foibe” come “olocausto degli italiani”.
Noi riteniamo che in tutto questo ci sia un’operazione di confusione e di ribaltamento dei fatti. L’obiettivo di raggiungere una “memoria condivisa” attraverso una specie di “par condicio della storia”, per la quale ricordiamo “tutte le vittime”, nasconde i giudizi di valore sulle responsabilità storiche specifiche, in particolare quelle del regime fascista italiano in collaborazione con il nazismo tedesco. Chi ha provocato le tragedie della seconda guerra mondiale e chi, dopo averle subite, ha reagito, diventano la stessa cosa.
Oggi, correntemente, con il nome di “foibe” ci si riferisce a due periodi distinti: in Istria dopo l’8 settembre del 1943, fino all’inizio dell’ottobre dello stesso anno, e a Trieste nel maggio 1945, dopo la liberazione da parte delle truppe partigiane jugoslave (ufficialmente alleate del fronte antinazista) e durante i 42 giorni di amministrazione civile della città. In questi due periodi, secondo la vulgata corrente, un numero imprecisato di persone, comunque “molte migliaia”, sarebbero state uccise solo perché erano di nazionalità italiana e poi “infoibate”, ossia gettate nelle cavità naturali presenti in quelle zone. Si tratterebbe di una “pulizia etnica”, di un “genocidio nazionale”. La responsabilità principale viene in genere attribuita ai “titini”, ossia ai partigiani jugoslavi comunisti. Chi propone un esame critico di questa versione viene chiamato “negazionista” o, ben che vada, “riduzionista” (usando quindi le stesse categorie utilizzate per chi nega o sminuisce la Shoah).

venerdì 30 gennaio 2015

La vera natura di CasaPound


 Saverio Ferrari  -  il manifesto   21/01/2015



 CasaPound Cre­mona, la sezione dell’organizzazione nell’ambito lom­bardo pro­ba­bil­mente più con­si­stente, fin dalla sua nascita nel mag­gio 2013, seguendo una regola interna che a ogni sede cor­ri­sponda un’intestazione pro­pria, si è scelta il nome di «Stoc­ca­fisso». Appa­ren­te­mente un gioco. Nella città che fu del Ras Roberto Fari­nacci, gran orga­niz­za­tore di squa­dracce, que­sto par­ti­co­lare è tutt’altro che inno­cuo. La sto­ria rac­conta che sul finire del «bien­nio rosso», quando i fasci­sti della bassa val Padana si videro reca­pi­tare da alcune pre­fet­ture il divieto di dete­nere i man­ga­nelli, ricor­sero all’uso di pezzi di bac­calà, stec­che dure lun­ghe più di un metro e mezzo da uti­liz­zare come bastoni. Da qui la scelta del nome, indi­ca­tivo della natura di CasaPound, che ispi­ran­dosi al primo movi­mento fasci­sta, quello degli esordi, esalta osten­ta­ta­mente l’epopea delle aggres­sioni ai diri­genti e ai mili­tanti socia­li­sti e comu­ni­sti come degli assalti alle sedi delle camere del lavoro e delle leghe con­ta­dine. L’attacco pre­or­di­nato di dome­nica sera al cen­tro sociale Dor­doni di Cre­mona, non a caso, è stato con­dotto seguendo gli anti­chi inse­gna­menti, con­cen­trando gruppi di pic­chia­tori, anche pro­ve­nienti da altre città (Parma e Bre­scia), per col­pire in forte supe­rio­rità nume­rica, senza problemi.
Più volte CasaPound ha anche «mimato» in cor­tei per le vie di Roma le «spe­di­zioni puni­tive» del 1920–1921 sfi­lando su camion sco­perti con a bordo mili­tanti agghin­dati con tanto di Fez. Le stesse deno­mi­na­zioni con cui ha mar­chiato i pro­pri punti di ritrovo o i pro­pri siti di rife­ri­mento, dalla libre­ria La Testa di Ferro (in ricordo del gior­nale fon­dato nel 1919 da Gabriele D’annunzio al tempo dell’impresa fiu­mana) al forum inter­net Viva­ma­farka (dal romanzo-scandalo di Mari­netti del 1909, Mafarka il futu­ri­sta, sot­to­po­sto in que­gli anni a pro­cesso per oltrag­gio al pudore, in cui si decan­ta­vano le gesta imma­gi­na­rie di un re nero che amava la guerra e odiava le donne), dicono di que­sta identificazione.
Non siamo di fronte a sem­plici sug­ge­stioni cul­tu­rali. Dalle sue fila, ana­liz­zando i fatti acca­duti, solo negli ultimi tre anni, pro­ven­gono Gian­luca Cas­seri che a Firenze nel dicem­bre 2011 ha assas­si­nato a colpi di pistola due ambu­lanti sene­ga­lesi, feren­done gra­ve­mente un terzo, e Gio­vanni Ceniti, ex respon­sa­bile di Casa Pound Novara, uno dei kil­ler di Sil­vio Fanella ucciso a Roma nell’estate scorsa. Un’organizzazione che la Cas­sa­zione, il 27 set­tem­bre 2013, nell’ambito di un pro­ce­di­mento a Napoli con­tro il suoi diri­genti locali ha giu­di­cato «ideo­lo­gi­ca­mente orien­tata alla sov­ver­sione del fon­da­mento demo­cra­tico del sistema».
Prima dell’aggressione di Cre­mona, solo qual­che set­ti­mana fa, a fine dicem­bre, se ne era veri­fi­cata un’altra, con le stesse moda­lità, a Magliano Romano, dove una ven­tina di squa­dri­sti di Casa Pound con i pas­sa­mon­ta­gna, armati di spran­ghe e bastoni, ave­vano aggre­dito i tifosi dell’Ardita, un club di sup­por­ter della squa­dra romana di cal­cio del quar­tiere San Paolo. Sette i feriti, con frat­ture, esco­ria­zioni ed ecchimosi.
L’incredibile impu­nità di cui gode Casa Pound è sotto gli occhi di tutti. È tempo di porre il problema.

mercoledì 29 ottobre 2014

Con la rivoluzione libertaria del Rojava! - [BO] Sab 01/11

rojavasolidarity

Corteo sabato 1 novembre ore 16
piazza XX settembre, Bologna

Oggi la dura crisi economica su grande scala alimenta nuovamente i venti di guerra e le tentazioni autoritarie, integraliste o totalitarie degli Stati e dei ceti dirigenti che li governano.
Ne è un esempio fra tanti il cosiddetto «Stato Islamico dell’Iraq e della Grande Siria» o ISIS che fin dal 2007 ha condotto attacchi violenti e indiscriminati contro civili iracheni e attualmente conduce una guerra di espansione per ricostruire un presunto «Califfato islamico» su base religiosa, con il favore di emirati e monarchie del petrolio.
Dal 15 settembre l’ISIS sta assediando Kobanê, città al centro della regione siriana del Rojava, e ha provocato un esodo di 160 mila profughi in maggioranza kurdi e migliaia di morti.
In Siria la regione autonoma del Rojava è uno dei pochi raggi di luce a emergere dalla tragedia della Rivoluzione siriana. Dopo aver scacciato gli agenti del regime di Assad nel 2011, nonostante l’ostilità di quasi tutti i suoi vicini, il Rojava non solo ha mantenuto la sua indipendenza, ma si è configurato come un considerevole esperimento socialista e libertario. Sono state create assemblee popolari che costituiscono il supremo organo decisionale, consigli che rispettano un attento equilibrio etnico (in ogni municipalità, per esempio, le tre cariche più importanti devono essere ricoperte da un curdo, un arabo e un assiro o armeno cristiano, e almeno uno dei tre deve essere una donna), ci sono consigli delle donne e dei giovani, e c’è un’armata composta esclusivamente da donne, la milizia «YJA Star» (l’«Unione delle donne libere»), che ha condotto una larga parte delle operazioni di combattimento contro le forze integraliste dello «Stato Islamico».
Questa rivoluzione rischia di essere cancellata anche grazie al terrificante silenzio mediatico e politico nel quale è caduta questa battaglia di libertà. Da settimane la popolazione di Kobanê sta cercando di resistere in ogni modo, usando armi leggere contro gli attacchi dei fascisti dell’ISIS ben armati ed equipaggiati dai profitti del petrolio.
La cosiddetta coalizione internazionale per combattere l’ISIS non ha aiutato la resistenza kurda in modo efficace né è intervenuta dinanzi al genocidio in atto a Kobanê. Anzi, tra i supposti coalizzati ci sono inquietanti ambiguità: Turchia, Qatar e Arabia Saudita, in chiave anti-sciita, hanno dato supporto finanziario e militare alle prime attività dei fascisti dello Stato Islamico, favorendone l’ascesa. Ankara ha anche altre responsabilità: è tra i primi acquirenti del petrolio estratto dai pozzi conquistati dall’Isis, e blocca da settimane al confine i combattenti provenienti dal Kurdistan turco, impedendo l’arrivo dei rinforzi nel Rojava.
Pertanto raccogliamo l’appello delle e dei combattenti kurdi a manifestare il primo novembre in solidarietà con Kobanê e con la rivoluzione libertaria del Rojava.
Per donazioni in sostegno al popolo di Kobanê e per la difesa di un progetto di emancipazione per la società in Medio Oriente invitiamo a usare questo IBAN predisposto dagli anarcosindacalisti tedeschi:

Destinatario: PM
Parola chiave “Rojava”
NR: 506155858
BLZ: 76010085
IBAN: DE70760100850506155858
BIC: PBNKDEFF

Ovunque Kobanê, ovunque resistenza!
Circolo Anarchico Berneri Nodo Sociale Antifascista Spazio Pubblico Autogestito XM24
 

Leggi anche:
– L’appello internazionale Save Kobane
– I comunicati della Comunità Curda dell’Emilia Romagna e di Tpo – Ya Basta – Làbas_
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venerdì 16 maggio 2014

Testa per Dente, una mostra sull'occupazione italiana dei Balcani - BO 16 maggio


Venerdì 16 maggio, alle ore 20,30, le Sezioni Anpi Corticella, Lame, Pratello, San Donato
 organizzano e presentano:

“Testa per Dente, crimini dell’occupazione italiana nei Balcani, occupazione nazi-fascista e campi di internamento"

 alle Caserme Rosse, via di Corticella 147, Bologna: una mostra volta ad illustrare i temi dell'occupazione italiana dei Balcani, dei crimini commessi e della impunità di cui hanno goduto i responsabili degli stessi crimini nel dopoguerra


Si potrà inoltre assistere a una conferenza che traccerà un quadro della problematica dei tantissimi campi di internamento istituiti sotto il fascismo. Saranno presenti:
 
Alessandra Kersevan, storica e saggista, autrice dei libri "Lager italiani" e "Un campo di concentramento fascista" , Davide Conti, storico, collaboratore della Fondazione Lelio Basso, autore tra l'altro dei llibri:"Criminali di guerra italiani"  e "L'occupazione italiana dei Balcani",  Luca Alessandrini - Istituto Storico Parri Emilia-Romagna   Jadranka Bentini, Testimone, figlia di Vinka, Capitana Partigiana croata.

 
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                      thanks per la comunicazione:  mailing list di Storie in Movimento


lunedì 10 febbraio 2014

locandine marxicce di Casapound? No grazie! Preferiamo John Heartfield



 CaPa marxoide?

 NO GRAZIE! 






Alla barba posticcia di Marx esibita da Casapound
opponiamo la verità storica illustrata dal genio di
  John Heartfield:

mercoledì 22 gennaio 2014

Presentazione del volume di Dimitris Deliolanes “Alba dorata”, al Parri, BO 30 gennaio


                            
       
         presentazione del volume di Dimitri Deliolanes
                            

 Alba dorata : la Grecia nazista minaccia l'Europa
 
 Fandango libri, Roma 2013
                          



Giovedì 30 gennaio 2014 ore 18 
Sala dell’Ex- Refettorio, Via S. Isaia 20
Con il libro su Alba dorata, di Dimitris Deliolanes, l'Istituto per la storia e le memorie del '900 Parri-ER inaugura 900 storie, un nuovo ciclo di presentazioni di libri, film e altri materiali audiovisivi sulla storia del XX secolo e del tempo presente.

mercoledì 11 dicembre 2013

FN & CaPa: «Il giorno della rivoluzione» - di: Guido Caldiron

«Il giorno della rivoluzione», con Forza Nuova e Casa Pound

   il movimento. Militanti neri, produttori e "padroncini" 

   da il manifesto  -  10/12/2013


 «Saremo noi per primi a difen­derci da even­tuali infil­trati. Io per primo ho paura per­ché le infil­tra­zioni (…) non ci fanno bene, fanno un favore al sistema. Pur­troppo, però, ci sono». Era stato lo stesso lea­der del Movi­mento sici­liano dei For­coni, Mariano Ferro, ad ammet­tere che la mobi­li­ta­zione del 9 dicem­bre cor­reva il rischio di tra­sfor­marsi in una straor­di­na­ria vetrina per chi volesse cer­care visi­bi­lità. Come l’estrema destra che cerca oggi di spe­cu­lare sul males­sere ali­men­tato dalla crisi, nel ten­ta­tivo di ripo­si­zio­narsi in forme più radi­cali dopo il lungo flirt con la destra di governo berlusconiana.
Per­ciò, non deve sor­pren­dere più di tanto se tra gli esiti delle mani­fe­sta­zioni che si sono svolte ieri in molte città, dalla Sici­lia fino al Nor­dest, vi è anche quello di una rin­no­vata presenza dei neo­fa­sci­sti. Un dato da non enfa­tiz­zare, ma pur sem­pre reale.
Ultrà «neri» del cal­cio orga­niz­zati mili­tar­mente a Torino — anche se dai micro­foni di Radio Black Out, vicina ai cen­tri sociali, si invi­tava a una let­tura più arti­co­lata della com­po­si­zione della piazza -, mili­tanti di Casa Pound e Forza Nuova a Roma e in altre città del centro-sud, atti­vi­sti del Movi­mento Sociale Euro­peo, sigla di comodo in realtà legata ad alcuni diri­genti del par­tito La Destra di Sto­race a bloc­care qual­che strada sem­pre nella Capi­tale, men­tre qui e là si è visto anche qual­che espo­nente di Fra­telli d’Italia. Estre­mi­sti di destra con­fusi tra i mani­fe­stanti: una situa­zione resa pos­si­bile anche dal pro­filo poli­ti­ca­mente inde­fi­nito dell’iniziativa.

mercoledì 4 dicembre 2013

CaPa & Alba Dorata



 Casa Pound, dal Cavaliere ad Alba Dorata

    di  Guido Caldiron e Giacomo Russo Spena 

                                                                        da MicroMega online
                                                                             (4 dicembre 2013)                                                                                  


Venerdì scorso i Fascisti del Terzo Millennio hanno ospitato nel loro quartier generale i neonazisti greci, un'evidente svolta a destra: l'intento è unire tutti i movimenti nazionalisti europei. Il guru di tale svolta pare l'evergreen Adinolfi il quale contro la crisi economica propone da tempo una "nuova alchimia movimentista peronista".
  
                      
                              

Né svastiche né celtiche. Nessuna testa rasata. L’immaginario naziskin assente. Come i saluti romani: i camerati tra loro si limitano a stringersi l’avambraccio destro nel saluto del legionario. Tanti giovani di Blocco Studentesco, ben vestiti e più figli di una borghesia annoiata che fascisti di borgata. Pochi giornalisti, Casa Pound non è più sulla cresta dell’onda. Le ultime batoste subite in diverse tornate elettorali ne hanno sancito un’evidente marginalità politica. Eppure venerdì scorso ospitavano i greci più temuti del Continente: i rappresentanti del movimento di estrema destra, ma la stampa ellenica non esita a chiamarli esplicitamente neonazisti, di Alba Dorata, venuti appositamente in Italia per confrontarsi con i “fascisti del Terzo Millennio”. Un evento annunciato da migliaia di manifesti su tutti i muri della Capitale.

Centocinquanta le persone accorse nel cuore del quartiere multietnico dell’Esquilino per l’iniziativa. Lo staff comunicazione del gruppo neofascista ad accogliere i cronisti e ad accompagnarli al sesto piano del palazzone, luogo del dibattito. Ovunque camerati impettiti a controllare e scrutare facce non conosciute: disciplina e ordine, di stampo militarista, la fanno da padroni. L’ambiente è ripulito. Sui muri decine di fanzine incorniciate di Casa Pound raccontano anni di iniziative. Nulla è lasciato al caso.

Apostolos Gkletsos, ex-deputato e componente del comitato centrale di Alba Dorata, e Konstantinos Boviatsos, Radio Bandiera Nera Hellas, entrano in sala accompagnati da uno scrosciante applauso. Andrea Antonini, vicepresidente di Casa Pound Italia, introduce il dibattito. Le sue parole suonano inequivocabili: «Condividiamo il programma politico di Alba Dorata, è un’unione anche umana contro la repressione giudiziaria e di sangue». Il riferimento è agli ultimi fatti accaduti in Grecia: la magistratura conduce un’inchiesta per specifici reati criminali che ha già portato in carcere diversi esponenti di primo piano del movimento, mentre due giovani militanti sono stati uccisi da un commando rimasto senza nome, anche se è arrivata una rivendicazione firmata da uno sconosciuto gruppo di estrema sinistra.

Si ha la sensazione di assistere ad un cambio di paradigma importante per Casa Pound che implica una svolta. A destra. Estrema destra.
In Italia Alba Dorata finora aveva stretto rapporti soprattutto con Forza Nuova, mentre i Fascisti del Terzo Millennio – nel loro tentativo di rinnovare il “campo” con nuovi slogan e un immaginario a metà strada tra le sottoculture giovanili, il futurismo e Terza Posizione –, avevano prediletto altri movimenti ellenici di stampo più laico e non nazionalsocialista.

Un libro, scritto dal giornalista Dimitri Deliolanes, ripercorre la storia e l’ascesa di Alba Dorata. Per lui si tratta dell’unico partito esplicitamente neonazista presente in un parlamento nazionale dell’Unione Europea. La costruzione politico-ideologica del gruppo risale all’inizio degli anni ’80. In un editoriale del numero 5 (maggio-giugno 1981) della loro omonima rivista, si legge:

Siamo nazisti, se ciò non disturba a livello espressivo, perché nel miracolo della Rivoluzione Tedesca del 1933 abbiamo visto la Potenza che libererà l’umanità dal marciume ebraico, abbiamo visto la Potenza che ci condurrà in un nuovo rinascimento europeo, abbiamo visto la splendida rinascita degli istinti ancestrali della razza, abbiamo visto una fuga possente dall’incubo dell’uomo massa industriale verso una nuova e nello stesso tempo antica ed eterna specie d’uomo, l’uomo degli dèi e dei semidei, il puro, ingenuo e violento uomo del mito e degli istinti.

Eppure Apostolos Gkletsos precisa subito: «Non siamo nazisti, il nostro è un movimento politico e ideologico. Un movimento nazionalista e popolare». Più volte le frasi dell’ospite greco sembrano mettere in imbarazzo i militanti di Casa Pound. Come quel costante richiamo alla «razza bianca europea» o alle radici cristiane dell’Europa e alla «Grecia (che) svolge da sempre un ruolo di scudo contro l’invasione islamica: prima i persiani, ora i turchi».

martedì 4 giugno 2013

"Il sangue politico"- BO, 4 giugno: presentazione del libro di N. Orlandi Posti





Presentazione del libro "IL SANGUE POLITICO"
di Nicoletta Orlandi Posti 
Editori Riuniti

Incontro con l'autrice
Con la partecipazione di Paola Faraca

Vino& stuzzicherie a cura di Drogheria 53



martedì 4 giugno, ore 18
Casa Rude via Pietralata 83/A, Bologna (traversa di via del Pratello)
 
 

Gli anarchici della Baracca, un caso che li riassume tutti

Questa è la storia di Gianni Aricò, di Angelo Casile, di Annelise Borth, di Franco Scordo e di Luigi Lo Celso che trovarono la morte a soli vent'anni in uno strano incidente stradale sull'autostrada del Sole, nei pressi di Ferentino, la notte tra il 26 e il 27 settembre 1970. Erano partiti dalla Calabria per portare a Roma, ai compagni della Federazione Anarchica Italiana, un dossier di contro-informazione misteriosamente scomparso dal luogo dell'incidente. La loro vicenda e il dossier che avevano messo insieme si intreccia con alcune delle pagine più oscure e insanguinate della storia italiana collegate da un inquietante filo nero che parte da piazza Fontana, passa per i moti di Reggio, la strage di Gioia Tauro, il golpe Borghese. E ancora il caso Marini, l'omicidio De Mauro, la tragica fine di Mastrogiovanni. Questa è la storia di cinque anarchici che avevano scoperto cose che “avrebbero fatto tremare l'Italia”. Questa è la storia di cinque ragazzi che capirono prima di altri che l'Italia, un Paese che aveva sconfitto sul campo il fascismo, non lo aveva però estirpato, consentendo a beceri individui assetati di potere e di sangue di farlo rinvigorire e crescere fino ai giorni nostri dove convivono vecchie e nuove dittature con la loro carica di violenza e disumanità. Li hanno fermati.
 
Prefazione di Erri De Luca


sabato 18 maggio 2013

Zingari ad Auschwitz: Razza impura

                       

    
riprendo il video di Maura Crudeli
nel giorno del

presidio antifascista e antirazzista  
Bologna18/5 : ore 12

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per info e aggiornamenti vedi: staffetta

                                                       

martedì 29 gennaio 2013

«Duce, Duce», «Silvio, Silvio»



Berlusconi, a noi!


di Guido Caldiron e Giacomo Russo Spena
da MicroMega 2/2011


Dopo la svolta ‘badogliana’ di Fini, per l’estrema destra Berlusconi è diventato l’assoluto punto di riferimento. In lui i moderni camerati vedono il nuovo Mussolini, l’atteso ‘capo carismatico’ capace di scardinare le regole democratiche e costituzionali. Il razzismo del Cavaliere, il suo revisionismo storico e la sua ‘antipolitica’ li affascinano. E oggi puntano sul Pdl.

«Duce, Duce», «Silvio, Silvio». «L’antifascismo che ha portato tante disgrazie e nefandezze dal 1945 ad oggi non potrà mai essere un nostro valore. Oggi la nuova Italia di Berlusconi-Tremonti-Alemanno sta davvero cambiando in meglio la nostra nazione». «Il nostro presidente Berlusconi ancora una volta si dimostra capo popolare e carismatico, fregandosene del “politicamente corretto” e degli antifascisti vecchi e nuovi». «Berlusconi? Mai stato antifascista». «Per chi vuole incentivare politiche nazionaliste è necessario sostenere il centro-destra che si regge intorno alla figura carismatica di Silvio Berlusconi».
In queste parole ci sono più di tre generazioni di neofascisti che, divisi su tutto, si ritrovano da tempo uniti nel considerare la figura di Berlusconi come quella di un «nuovo Duce». Come è accaduto? Cerchiamo di capirlo ripercorrendo le tappe di questa attrazione fatale.

domenica 27 gennaio 2013

Consuete facezie di Berlusconi su lager, sterminio, fascismo, etc.

Riemerso fresco fresco come una salma su schermi e "cartaceo", l'invadente piazzista virtuale di Arcore, con mossa a ben guardare non propriamente sorprendente..., ha riversato sui media un'appendice al repertorio delle consuete banalizzazioni del fascismo, del nazismo, dei campi di sterminio, etc., nel cui campo si diletta, come un caricaturale "specialista"...




   Avendo da qualche anno segnalato con una certa attenzione il particolare hobby del soggetto in questione, incidenze rinuncia a commentare l'ennesima rifrittura dell'abituale paccottiglia "storica" smerciata dal pupillo di Licio Gelli.

  Del resto, ormai, il gioco è stantio, come pure il suo cascante "animatore".

lunedì 14 marzo 2011

"sono la Mamma di Valerio Verbano, ucciso a Roma il 22 febbraio 1980". Un messaggio

... ci scegliamo un compagno: non per noi, ma per qualcosa che è in noi, e al tempo stesso fuori di noi e ha bisogno del nostro venir meno a noi stessi per attraversare una linea che noi non raggiungeremo.
Maurice Blanchot, L'ultimo a parlare



Premessa
Nel corso di uno scambio di comunicazioni nato di recente in internet, Carla Verbano mi aveva scritto di salutarle Bologna, la città in cui, dopo la nascita, ha a lungo vissuto.
Incoraggiato dalla sua non comune disponibilità al confronto, le avevo risposto francamente che Bologna oggi è  meno bella di quella che aveva lasciato negli anni Sessanta: meno servizi, meno socialità e socievolezza ... E – come se non bastasse – fatta oggetto negli ultimi anni di reiterati  (e fin qui fallimentari) tentativi (o tentazioni) di replicare o scimmiottare in forma “nuova” l’obbrobrioso copione di una Bologna culla del fascismo  [vedi Luigi Fabbri, parte 1  e 2].

E, con la stessa consapevolezza di rivolgermi a chi è in grado di capire certe cose – che tanti non intendono – le ho ricordato che proprio in questi giorni di marzo, a Bologna, c’erano in programma almeno due iniziative, concentrate ciascuna su uno degli assi  assi fondamentali del contesto storico-politico in cui si è impegnato Valerio, fino alla fine.

- 11 e 12 marzo: il convegno La parola scritta. Verità resistenti verso Genova 2011 : sull'asse delle esperienze dei movimenti, delle lotte, a partire dagli anni Settanta (e in particolare dal ’77) ad oggi;
- 13 marzo: la giornata di studi “Già l’ora s’avvicina della più giusta guerra”,  sull'asse dell'antifascismo, dagli anni Venti alla specificità della situazione presente.

Nell’imminenza di quegli appuntamenti, ho proposto a Carla – se poteva interessarla, aveva tempo e se la sentiva – di inviare un saluto a chi, a Bologna, considera l’uccisione di Valerio una ferita aperta. Come  quella di Francesco Lorusso. O di Carlo  Giuliani ...

Ma il tempo è volato, e il 12 marzo ho nuovamente scritto a Carla per dirle che, se voleva scrivere e trasmettermi entro sera anche soltanto un breve e semplice messaggio di saluto alla giornata antifascista del giorno 13, lo avrei proposto volentieri alla lettura.

Ho ricevuto il messaggio di Carla in serata, e il mattino seguente l’ho proposto alla giornata di studi antifascisti di leggerlo, (corredandolo con la lettura della scheda del sito Reti invisibili dedicata a “Valerio Verbano) .
E’ stato accolto con  intensa attenzione ed  emozione.

mercoledì 1 dicembre 2010

Mario Monicelli ... l'immagine che balena una volta per tutte ...


La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza » in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza .… Lo stupore che le cose che viviamo sono «ancora» possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è l’inizio di alcuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.


Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia, § 8




Mario Monicelli
1973:
VOGLIAMO I COLONNELLI
Cronaca di un colpo di Stato






sabato 6 novembre 2010

"Giovinezza" : per chi ha ancora un po' di memoria storica

Vittorio Emiliani
Quando Toscanini non eseguì Giovinezza

A CHI ha proposto di far cantare Giovinezza a Sanremo si dovrebbe ricordare che il rifiuto di eseguirla prima delle opere opposto dal grande Arturo Toscanini fu la ragione fondamentale del suo esilio in America. Mussolini stesso lo convocò e gli chiese di eseguirla alla Scala alla prima di Turandot di Puccini il 25 aprile 1926, ma il maestro oppose un muto diniego fissando per tutto l' incontro il soffitto. Per questo rifiuto venne aggredito e malmenato a Bologna in prossimità del Teatro Comunale nel 1931 e decise che non avrebbe più diretto in Italia finché ci fosse stato il fascismo. Né diresse più a Bayreuth dopo l' avvento di Hitler, né a Salisburgo dopo l' annessione dell' Austria alla Germania nazista. Per poterlo avere sul podio in Europa gli crearono il festival di Lucerna, ma chi si mosse in auto da Milano - ricordava Camilla Cederna - venne segnalato e schedato alla frontiera. Insomma, non è questione di canzonette. Almeno per chi ha ancora un po' di memoria storica.

da: la Repubblica 5 novembre 2010



Leoncarlo Settimelli
La storia:Toscanini si era rifiutato di eseguire «Giovinezza»
al Teatro comunale.
Qualcuno lo colpì e Leo Longanesi commentò
Bologna 1931.

Schiaffo fascista a «un uomo schifoso, un rudere...»


Immaginiamoci Bologna, nel 1931, anno nono dell'era fascista. Il Teatro Comunale ha in programma un concerto diretto dal grande Arturo Toscanini, forse il più grande direttore d'orchestra del Novecento, carattere forte, scontroso, noto per il dominio ferreo dell'orchestra. La città si è preparata all'evento. Abiti da sera e divise fasciste, nero su nero, e belle dame, gente dell'alta borghesia e aristocratici. Perbacco, stasera c'è quello lì, quello che ci dà lustro all’estero, che non ha nascosto simpatie per il regime, almeno all'inizio. E stasera dirigerà la musica di Giuseppe Martucci, che a Bologna ha dato lustro e al quale il Podestà vuole rendere un grande omaggio. Bene, è tutto pronto, automobili e qualche carrozza hanno scaricato un pubblico scelto, che se ne intende. Naturalmente la serata si aprirà con la Marcia reale («Viva il Re-viva il Re-viva il Re- le trombe eroiche squillano» si cantava anche in coro) e con Giovinezza, con la quale si aprono tutte le trasmissioni radio e tutti gli eventi pubblici: «Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza» suonano le parole scritte da Salvator Gotta su una musica che il maestro Blanc aveva scritto per un’operetta che parlava di studenti. Poi Gotta aveva cambiato tutto e si incominciava con «Salve o popolo d'eroi» per finire a «Dell'Italia nei confini/son rifatti gli italiani/li ha rifatti Mussolini/ per la guerra di domani…». Evidentemente per Toscanini è troppo e fa sapere che non dirigerà quei brani. Apriti cielo! Grande trambusto e una mano che si protende a schiaffeggiare il maestro che se ne torna in albergo, seguito da grida e insulti. Chi lo ha schiaffeggiato? Una cronaca vuole che sia stato Leo Longanesi, l'inventore del motto «Mussolini ha sempre ragione». Che su Libro e moschetto dello stesso anno, sfogherà il suo livore scrivendo in prosa futurista che «il maestro celebre, dopo la sua morte sarà come tutti gli uomini destinato a marcire», «uomo schifoso… un rudere che molta gente, di dentro e di fuori, avrebbe voluto divenisse il deposito escrementizio di tutte le loro acidose e putrefacenti ire isteriche… gli osservo sulla guancia le impronte (ora metaforiche) dello schiaffo bolognese che lo fa degno del mio compassionevole sguardo e… gli sputo negli occhi». Toscanini risultò sgradito al regime quanto a lui risultò sgradito Mussolini e tutto il carnevale fascista. Se ne andò a dirigere per il mondo e in America e non tornò che a Liberazione avvenuta. L'11 maggio del 1946 dirigerà nuovamente alla Scala. Nel 1943 aveva diretto a New York l'Inno delle nazioni in cui aveva incluso anche l'Internazionale. Lo identificò come l'inno di tutti quelli che, a cominciare dall’Urss, avevano contribuito alla sconfitta del nazismo e del fascismo.
da: l'Unità, 17 gennaio 2007

mercoledì 12 maggio 2010

Riccardo Bonavita: letture critiche del razzismo italiano


Letteratura e razzismo
Riccardo Bonavita


Studente della “Pantera”, intellettuale comunista, partecipe delle mobilitazioni antirazziste prima e dopo Genova, Riccardo Bonavita (1968-2005) è stato anzitutto uno studioso di letteratura italiana, ma ha inteso coniugare la sua formazione con un’indagine acuta e originale della storia del razzismo politico italiano, partendo dalla tesi che la cultura razzista in Italia non sia una breve parentesi circoscritta alle leggi razziali fasciste del 1938, ma un accumulo di lunga durata che si struttura già nel primo Ottocento controrivoluzionario proprio attraverso la letteratura e la manipolazione dell’immaginario collettivo.

Oggi escono in volume, con il titolo “Spettri dell’altro. Letteratura e razzismo nell’Italia contemporanea”  (Bologna, il Mulino, 2010), alcuni saggi scritti tra il 1995 e il 2003 che avrebbero dovuto costituire la base di un lavoro più ampio, “I nemici immaginari”, di cui restano appunti, schede preparatorie, schemi di capitoli: il progetto era quello di uno studio dell’immaginario razzista italiano che avrebbe dovuto giungere fino al presente, allo studio delle pubblicità commerciali, dei depliant turistici, degli stereotipi dei media, ossia di quegli elementi comunicativi a larga diffusione che manipolano e orientano il senso comune di una società.

Si tratta dunque di un libro frammentario, ma capace di indagare i meccanismi costanti delle procedure razziste e della costruzione di un’identità autoritaria, suggerendo implicitamente le possibili strategie di contrasto.

Apre il volume un’analisi del riuso strumentale del pensiero di Leopardi all’interno di un periodico fascista come “La Difesa della Razza” che promosse e fomentò le violenze razziali del regime: ed è un’analisi di come la cultura conservatrice inventa la propria tradizione allineando i grandi del passato in una galleria di nobili antenati, un “mucchio indifferenziato e sacrale di roba di valore, che è il passato della patria” (F. Jesi, “Cultura di destra”), banalizzando la storia come natura e occultando i conflitti sociali che la percorrono.

Si tratta di un’operazione ripresa alla fine degli anni Novanta proprio dalla cultura berlusconiana e ora riproposta anche dai programmi scolastici del ministro Gelmini allorché esaltano gli scrittori italiani come momenti dell’“identità nazionale” e persino la tragedia greca come fondamento dell’“identità occidentale” (la rivolta di Antigone contro il potere potrà allora serenamente giustificare i crimini di guerra in Iraq, Afghanistan, ecc.). Del resto, fin dalla “discesa in campo” del 1994, Berlusconi ha insistito sul fatto che “la sinistra divide” e “la destra unisce”: un bel fascio “indifferenziato e sacrale”...

Seguono quattro saggi che prendono in esame “il razzismo nella narrativa dell’Italia fascista” e ne indagano anche le origini otto-novecentesche, nella convinzione che il razzismo sia un lento accumulo di immagini, luoghi comuni, schemi mentali, che fanno apparire “naturali” le classificazioni discriminatorie su cui si fonda l’esclusione e la violenza razzista.

Lo stereotipo dell’inferiore (l’africano) e quello dell’estraneo a ogni patria (l’ebreo) non sono dunque prodotti della legislazione coloniale fascista e delle leggi razziali del ’38, ma si producono a partire da “bacini di credenza” di lunga durata, da un “serbatoio di dispositivi retorici”, da un “giacimento di stereotipi, narrazioni, percezioni, assiologie, teorie scientifiche o pseudoscientifiche passibili di essere attualizzate, riprese e rifunzionalizzate”. Ciò implica due conseguenze che negli anni Novanta non erano affatto ovvie: 1) le procedure della “credenza” razzista dapprima diffondono una paura generica del “nemico immaginario” e poi identificano i tratti specifici, legali del soggetto da escludere, espellere, negare; 2) il “giacimento” sociale del razzismo (e sessismo) italiano, mai analizzato, mai sottoposto a critiche, resta un’energia distruttiva ancora potenzialmente funzionante e non meno aggressiva di quella del primo Novecento.

Perciò, scrive Bonavita, dinanzi all’immaginario razzista e alle politiche identitarie la prima necessità è quella della scomposizione storica e critica: “Il primo compito di chi analizza icone politiche di questo tipo consiste quindi nel compiere il processo inverso, ovvero nella decifrazione delle stratificazioni storiche accumulate dalla cultura e dalla ideologia proprio nei luoghi dove il razzista vuole mostrare all’opera la nuda natura. Solo così si può comprendere che [...] sta in realtà manipolando materiali culturali per ridisegnare i confini tra il «puro» e l’«impuro» e reinventare una nuova identità collettiva” (p. 82).

Come dimostra anche il romanzo coloniale e antisemita dell’epoca fascista, nel pensiero razzista tutto è appiattito su un “sistema di opposizioni” pseudonaturalistiche (appunto: “puro-impuro”) che struttura “l’intero campo dell’immaginario”: la costruzione autoritaria dell’identità implica sempre una “negazione dell’altro” e, per combatterla, si tratta di mostrare l’eterogeneità storica di ogni presunta “tradizione” unitaria e “credenza” indiscussa.

Resta l’esigenza di capire l’esplodere delle pratiche del razzismo di Stato in determinate fasi storiche: perché i lenti accumuli del razzismo diffuso si fanno a un tratto leggi discriminatorie e violente, si traducono in rastrellamenti di polizia, lager, deportazioni? Nell’analizzare la letteratura fascista, Bonavita offre due risposte simili e sovrapponibili.

Da una parte, fin dalla metà degli anni Venti la martellante campagna fascista per costruire l’“uomo nuovo” aveva bisogno di “controtipi” propagandistici: figure semplificate che additassero comportamenti negativi o “inferiori” attribuiti ora all’africano (scarso senso della famiglia, dell’onore, della parola data, ecc.), ora all’ebreo (rapacità economica, egoismo, ateismo, antipatriottismo, ecc.).

Così oggi, allo stesso modo, la necessità di ricomporre la famiglia tradizionale proietta le condotte predatorie e violente di mariti e fidanzati su tipi etnicamente caratterizzati: il “rumeno”, lo “straniero”, ecc. L’acutizzarsi delle pratiche razziste corrisponde a un programma di pedagogia sociale che deve occultare le contraddizioni e le diseguaglianze reali.

Ma il libro non offre solo un esame dei “controtipi” razziali. Per capire la seconda risposta, prendiamo un caso esemplare illustrato nel volume: quello di Giovanni Papini (1881-1956), da giovane incendiario anticlericale e nichilista, poi dal 1921 reazionario neocattolico e fascista.

Nel 1921 Papini pubblicava un best-seller intitolato “Storia di Cristo” riprendendo, con toni di accesa violenza verbale, la leggenda dell’“Ebreo errante” dedito solo ad accumulare “l’oro che cade dall’orifizio escrementizio di Satana”. In opere successive, dal “Dizionario dell’omo salvatico” del ’23 fino a “Gog” e alla “Leggenda del Gran Rabbino” del ’31, Papini si scagliava ossessivamente contro “negri”, “comunisti” e “giudei”, ritraendo questi ultimi come un misto di avidità, affarismo, lerciume, sadismo, depravazione: e sono testi che verranno riciclati dalla propaganda fascista per dar slancio operativo alle leggi razziali del ’38.

Eppure proprio il giovane Papini, nel lontano 1906, aveva fatto l’elogio del “vagabondaggio” e della “diversità” paragonandosi persino a un “Ebreo errante” della cultura: “l’amore della diversità, l’amore del cambiamento”, “i nostri viaggi di Ebrei erranti della cultura”, scriveva. Vi è nel razzismo un tentativo autoritario e malato di negare una parte di sé: l’apertura all’altro, la solidarietà, la conoscenza, l’eros: “attaccare l’Altro”, scrive Bonavita, “per rinnegare una parte di sé”.

Il razzismo è sempre una forza anche autodistruttiva che giunge infine a una grande, tragica festa di morte. Per combatterlo efficacemente, occorre anzitutto mostrare quanto gli “spettri dell’altro” siano il rito sacrificale e lugubre di un disciplinamento oppressivo delle identità.


Sancho Panza
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giovedì 4 febbraio 2010

Ombre nere sul terzo millennio e La controrivoluzione preventiva: un film e un libro al Vag, il 5/2/'10

Ombre nere, ieri e oggi
Venerdì 5 febbraio 2010 dalle 19 al Vag 61 in via Paolo Fabbri 110 - Bologna



Programma:

ore 19 Aperitivo rinforzato
ore 20 Cena popolare
ore 21 presentazione della riedizione de
«La Controrivoluzione Preventiva»
di Luigi Fabbri

(edizioni Zero in Condotta, 2009)
con i curatori, attivisti del Nodo Sociale Antifascista
Pubblicato per la prima volta nel 1922 e da decenni introvabile, il «saggio di un anarchico sul fascismo» delinea il formarsi a Bologna di una cultura reazionaria di massa. Per Fabbri le violenze fasciste non erano un fenomeno isolato o episodico, ma una funzione fondamentale di quella «controrivoluzione preventiva» attraverso cui la borghesia aggrediva le conquiste operaie e disciplinava la società. Una tesi che contribuì al formarsi in Europa di una coscienza antifascista rivoluzionaria può fornirci ancora oggi una chiave di lettura degli avvenimenti attuali.

h 21.30 proiezione di
«Ombre nere sul terzo millennio» (61')
di Flavio Novara (Associazione Alkemia)

Un'indagine sociale sui nuovi gruppi organizzati neofascisti come «Casa Pound» che fieramente si definiscono «fascisti del terzo millennio» e strutturano la loro base ideologica politica attraverso il rilancio dei principi basilari non solo del primo movimento fascista ma della Repubblica Sociale Italiana.
A seguire dibattito, con la partecipazione di Flavio Novara, regista del documentario.

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vedi: vag61.info

mercoledì 20 gennaio 2010

Staffetta: è nato il Nodo Sociale Antifascista




A pochi giorni di distan
za dalla comunicazione dello scioglimento dell'Assemblea Antifascista Permanente di Bologna, si è recentemente costituito il Nodo Sociale Antifascista, che raccoglie il testimone dell'AAP, riprendendo in forma rinnovata le attività politico-culturali e il lavoro di monitoraggio, mappatura e controinformazione antifascista, antirazzista e antisessista.
Le iniziative ripartono dalla pubblicazione del libro La controrivoluzione preventiva di Luigi Fabbri, e con le pubblicazioni del nuovo blog Staffetta.


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vedi anche: Marginalia, Zic
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mercoledì 6 gennaio 2010

La controrivoluzione preventiva, di Luigi Fabbri



È uscita, a cura dell'Assemblea Antifascista Permanente di Bologna, la riedizione de La controrivoluzione preventiva di Luigi Fabbri (Edizioni Zero in Condotta, Milano). Pubblicato per la prima volta nel 1922, con il sottotitolo editoriale "Saggio di un anarchico sul fascismo", il libro è riproposto ora con un'ampia introduzione.


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Nel 1922 Luigi Fabbri compiva quarantacinque anni, era maestro elementare a Bologna e militante anarchico da oltre vent'anni. Aveva subìto per questo intimidazioni e bastonature e la sua riflessione sul fascismo è anzitutto quella di un testimone che ha visto una città «rossa» come Bologna diventare in pochi mesi la «culla» della reazione antiproletaria.
Dinanzi a un fenomeno nuovo e difficile da interpretare, La controrivoluzione preventiva delinea il formarsi di una cultura reazionaria di massa promossa dallo Stato e dalla borghesia «con la triplice azione combinata della violenza illegale fascista, della repressione legale governativa e della pressione economica derivante dalla disoccupazione». Per Fabbri le violenze fasciste non sono un evento isolato, ma una funzione primaria della «controrivoluzione preventiva» attraverso cui la borghesia aggrediva le conquiste operaie e le libertà sociali.
La tesi di quel saggio, riproposto ora a cura dell'Assemblea Antifascista Permanente di Bologna, ebbe fin da subito larga risonanza e contribuì al formarsi di una coscienza antifascista rivoluzionaria: il concetto di «controrivoluzione preventiva» attraversa infatti per intero la storia intellettuale del Novecento fino a Marcuse e Debord e può fornirci ancora oggi una chiave di lettura degli avvenimenti attuali.