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L'Europa dell'apartheidÉtienne Balibar:
«Gli immigrati capri espiatori»
«Gli immigrati capri espiatori»
«Si è cittadini europei per diritto genealogico. Gli immigrati, ventottesima nazione fantasma, sono degli esclusi. Il razzismo è specchio dell'ostilità tra europei. Le colpe del nazionalismo di sinistra»
È pessimista sull'avanzata delle destre, anche estreme, in Europa. E sul fatto che i cittadini dell'Unione desiderino realmente la democrazia. Ma si affida a Gramsci per dire che in questo momento bisogna avere l'ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione. Confessa che oggi non direbbe no ad un referendum sulla Costituzione europea. E pensa che nei confronti degli immigrati, il «ventottesimo stato dell'Ue», esista una vera e propria «apartheid europea», in cui il razzismo rispecchia i conflitti interni tra gli stessi cittadini comunitari. Conflitti dei quali i migranti rappresentano solo il capro espiatorio. Incontriamo Étienne Ballibar, filosofo della politica e intellettuale critico della costruzione europea, di passaggio a Roma per alcune conferenze proprio mentre divampa in Italia un clima xenofobo e razzista.
In Italia ha vinto la Lega sulla base della difesa del territorio, perfino i movimenti pensano di ripartire dallo stesso principio, sia pur declinato in maniera opposta. Forse che in Europa il principio del territorio si sta sostituendo a quello di nazione?
Quello del territorio è un concetto plastico che non ha un referente univoco.Leggevo qualche giorno fa un editoriale del manifesto sulle violenze al Pigneto: si faceva una critica, giustificata ma che non offre una soluzione immediata, del modo in cui tende a svilupparsi un mito del microterritorio che fa sì che gli abitanti di un quartiere o di una regione si percepiscano come difensori di uno spazio minacciato da cui espellere tutti gli stranieri. È la prova che la nozione di territorio può funzionare a vari livelli. Nelle periferie francesi le guerre tra bande di giovani proletari immigrati, disoccupati e non scolarizzati sono anch'esse dei fenomeni di difesa del territorio nel senso fantasmatico del termine. È a questo livello che bisogna proporsi non solo una critica della nozione di territorio, ma una vera politica d'apertura o di deterritorializzazione dell'appartenenza comunitaria. La sacralizzazione dei piccoli territori può essere molto violenta ma è limitata. Ciò che preoccupa è la generalizzazione di questi fenomeni su una scala più ampia. Si è verificato con il fascismo, che era una trasformazione immaginaria del territorio nazionale in proprietà di un popolo o di una razza. Ci sarebbero delle conseguenze disastrose se questo fenomeno si sviluppasse nell'insieme dell'Europa, in particolar modo su base culturale, come sembra suggerire Benedetto XVI, quando sostiene che essa è un territorio cristiano e di conseguenza i musulmani sono dei corpi estranei.
Possiamo dunque concludere che il principio di territorialità può essere la base di una cittadinanza europea?
La costruzione europea ha una base territoriale per definizione, ma a seconda se la concepiamo come fissa o evolutiva, come chiusa o aperta, si apre una direzione storica diversa. Oggi il territorio non è la base della cittadinanza europea, ma dovrebbe diventarlo. Quella che definisco come una vera e propria «apartheid europea» è data dal fatto che è cittadino europeo solo chi ha la nazionalità di uno degli Stati membri. Gli immigrati stabilitisi da una o più generazioni sul suolo europeo sono la ventottesima nazione fantasma dell'Ue e costituiscono circa un ottavo della sua popolazione. Non sono semplicemente persone che in Francia non sono francesi, in Germania non sono tedeschi o in Italia non sono italiani. È a livello dell'intera Europa che gli immigrati sono degli esclusi, a maggior ragione con la libera circolazione all'interno delle frontiere europee. L'allargamento dell'Unione europea produce forme qualitativamente nuove d'esclusione. Il diritto alla cittadinanza europea non è territoriale: è genealogico. Nella maggior parte degli stati membri la nazionalità si acquisisce con lo jus soli, ma a livello dell'insieme dell'Europa la cittadinanza è genealogica nel senso dell'appartenenza originaria alla nazione. Questo evoca dei ricordi e pone problemi inevitabili. Ci sono delle analogie tra lo sviluppo di quest'esclusione e il fatto che nella storia ci sono state e ci sono sempre, almeno a livello simbolico, delle popolazioni transnazionali trattate come nemici interni o corpi estranei alla civiltà europea. È stato il caso degli ebrei; oggi non lo è più. Rimane il caso dei rom. Il fenomeno di cui parlo è tuttavia molto più vasto.
Oggi in Europa non si sentono istanze di partecipazione dal basso a livello comunitario, mentre nei singoli stati le istanze di partecipazione si esprimono in un linguaggio nazionalistico e identitario. Che rapporto vede fra queste due tendenze?
La domanda di partecipazione a livello locale e la domanda di controllo popolare a livello nazionale e sovranazionale non si escludono. Forse c'è bisogno di un'accelerazione delle cose perché i cittadini ne prendano coscienza. La responsabilità di questa situazione è da attribuire alle istanze intermedie, come i partiti politici, che oggi sono drammaticamente assenti e ci si dovrebbe chiedere il perché. Secondo Gramsci, le istanze intermedie sono la trama statale del funzionamento della società civile e, reciprocamente, i conflitti della società civile si traspongono nella struttura dello stato. Le costituzioni nate dalla resistenza in Francia e in Italia infatti affidano ai partiti il ruolo di costituire l'opinione pubblica. Dove sono oggi i partiti politici in Europa?
La legittimità degli Stati nazionali e quella dell'Unione europea secondo lei vanno di pari passo?
Il momento attuale è caratterizzato, in modo preoccupante, da una perdita di legittimità democratica degli Stati nazione e da una diminuzione della legittimità del progetto politico europeo. Non si tratta di assumere una posizione di difesa della sovranità nazionale, al contrario. Io adotto la definizione di legittimità di Max Weber, che mi pare vicina al concetto foucaultiano di potere: una nozione pragmatica e realista che si articola in termini di probabilità, d'obbedienza al potere pubblico e dunque d'efficacia di questo stesso potere. Da questo punto di vista, non possiamo ritornare indietro rispetto a quel poco di struttura politica che esiste su scala europea, ma siamo obbligati a progredire. Ne consegue che la legittimità delle istituzioni europee è diventata una condizione di legittimità delle istituzioni nazionali stesse. Non tarderemo a vedere concretamente gli effetti di questa relazione, che si manifesteranno con forza man mano che le difficoltà economiche e sociali legate agli choc petroliferi si ripercuoteranno in Europa. Solo delle politiche europee comuni hanno una minima possibilità di essere efficaci di fronte a questo tipo di situazione, ma devono essere approvate dai cittadini degli Stati nazionali, che rimangono la fonte ultima di legittimità.
Intanto in Europa assistiamo a una crescita delle destre, anche quelle più estreme. Perché, secondo lei?
In questo momento sono pessimista e mi riconosco nella massima di Gramsci dell'ottimismo della volontà e pessimismo della ragione. Per principio le situazioni difficili sono quelle in cui bisogna immaginare delle soluzioni e delle forme d'azione collettiva e non lasciarsi andare a seguire la tendenza naturale delle cose. I sistemi politici relativamente democratici nei quali viviamo o abbiamo vissuto sono in questo momento gravemente minacciati ed indeboliti. Ai miei occhi, i problemi del nazionalismo e dell'avanzamento della destra non coincidono. Tra le due correnti ideologiche ci sono delle interferenze molto forti, ma esse non si riducono l'una all'altra. Il nazionalismo nei vari Paesi europei non è monopolio della destra. Faccio parte - lo devo confessare, ma i lettori del manifesto lo sanno - delle persone che tre anni fa in Francia hanno votato «no» al referendum sulla costituzione europea. Ho creduto di farlo per ragioni che non erano né di destra né nazionaliste. Sono oggi costretto a constatare che questa scommessa è stata persa e che l'aspetto transnazionale e il richiamo a un federalismo europeo sono stati completamente neutralizzati da una dominante nazionalista a sinistra, o meglio nella vecchia sinistra. Ciò che è inquietante è la convergenza del nazionalismo di destra e del nazionalismo di sinistra. I suoi effetti si fanno sentire a livello dei governi nella forma di un sabotaggio permanente delle politiche europee comuni. Ma la convergenza tra le due forme di nazionalismo a livello dell'opinione pubblica e dell'ethos delle classi popolari in Europa è ancora più preoccupante. Meno gli stati nazionali sono capaci di rispondere alle sfide economiche, sociali e culturali del mondo contemporaneo, più i discorsi populisti e nazionalisti fanno presa su una parte delle classi popolari in Europa. Bisogna interrogarsi sulle cause strutturali di questa situazione, non ci si può accontentare del discorso elitista dell'ignoranza del popolo. Di certo è una situazione molto pericolosa per il futuro della democrazia in Europa, senza parlare delle conseguenze sullo sviluppo del razzismo.
Lei parla di un nazionalismo di sinistra. Si può dire che la sinistra oggi pensi da un lato lo spazio mondiale e dall'altro quello nazionale, e sia perciò incapace di vedere quello europeo come uno spazio eterogeneo rispetto agli altri due? È forse un lascito dell'internazionalismo di Marx?
Calandoci nell'epoca in cui Marx ha scritto, potremmo dire esattamente il contrario. Il pensiero di Marx era legato a un momento rivoluzionario che investiva l'Europa intera. Rileggendo gli articoli di Marx del 1848, vediamo che il nazionalismo democratico si allea con il socialismo e le prime forme di lotta di classe. In quel momento Marx e Engels hanno probabilmente pensato che una repubblica democratica europea o un'alleanza di repubbliche democratiche europee era al contempo la forma nella quale si preparava o poteva realizzarsi il superamento del capitalismo. Oggi la situazione è diversa e il senso di parole come nazionalismo si è ribaltato. È vero che certe forme di anticapitalismo teorico, che pescano in parte nell'eredità di Marx e che io non disprezzo ma trovo un po' arcaiche ed unilaterali, trascurano il problema della politica europea. La prospettiva altermondialista ha tuttavia il vantaggio di affermare che pensare l'Europa come uno spazio chiuso è illusorio. Al contempo, le costituzioni democratiche sono radicate nella risoluzione dei conflitti storici passati. Costruire uno spazio politico europeo è importante perché dobbiamo ricomporre il nostro passato a livello continentale: una cultura politica comune deve emergere dalle differenze culturali e storiche dell'Europa. Vi è un legame profondo tra la mancata rielaborazione del nostro passato e l'immigrazione. Gli immigrati sono i capri espiatori dell'ostilità fra gli europei. E' la loro stessa incapacità di pensarsi come un'unità che impedisce agli europei di trattare il problema dell'immigrazione in termini progressisti. I francesi non vi diranno mai che detestano i tedeschi o gli inglesi che non possono sopportare l'idea di formare un popolo comune con gli spagnoli, però questa diffidenza non è stata superata, anzi si è rafforzata con l'allargamento dell'Europa ad Est.
La Costituzione europea è stata affossata, ma in parte viene recuperata con il Trattato di Lisbona. Come giudica la strategia dei leader politici europei di procedere comunque, nonostante il rifiuto dei cittadini dell'Unione?
Non m'interessa, dubito che gli stessi leader europei ci credano loro stessi. Possiamo invece tornare sulla questione del rifiuto del Trattato europeo. I casi francese ed olandese, come ha scritto Helmut Schmidt su Die Zeit, non erano isolati. Il malessere era generale. Questo malessere resta da interpretare e analizzare ed è sempre d'attualità. All'epoca ho difeso la posizione un po' troppo idealista, che oggi non sosterrei più allo stesso modo, secondo la quale la Costituzione europea non era abbastanza democratica. Pensavo che essa non presentasse una prospettiva sufficientemente chiara di progresso generale della democrazia per l'insieme del continente. Tendevo dunque a considerare che la sola possibilità, molto fragile, per l'Europa di diventare uno spazio politico nuovo e superiore al vecchio sistema degli stati-nazione e delle alleanze nazionali, era di apparire come un momento di creazione democratica. Continuo a pensarlo, ma c'è qualcosa d'idealista in questo modo di vedere le cose che la realtà attuale ci obbliga a guardare in faccia. L'idealismo consiste nell'immaginare che le masse vogliano la democrazia, mentre purtroppo siamo in un periodo molto difficile e conflittuale. Ci sforziamo di aprire nuovamente delle prospettive democratiche a livello transnazionale, però allo stesso tempo dobbiamo provare a trovare i mezzi di resistere passo per passo all'avanzata del populismo e del nazionalismo nei paesi europei.
_____________________In Italia ha vinto la Lega sulla base della difesa del territorio, perfino i movimenti pensano di ripartire dallo stesso principio, sia pur declinato in maniera opposta. Forse che in Europa il principio del territorio si sta sostituendo a quello di nazione?
Quello del territorio è un concetto plastico che non ha un referente univoco.Leggevo qualche giorno fa un editoriale del manifesto sulle violenze al Pigneto: si faceva una critica, giustificata ma che non offre una soluzione immediata, del modo in cui tende a svilupparsi un mito del microterritorio che fa sì che gli abitanti di un quartiere o di una regione si percepiscano come difensori di uno spazio minacciato da cui espellere tutti gli stranieri. È la prova che la nozione di territorio può funzionare a vari livelli. Nelle periferie francesi le guerre tra bande di giovani proletari immigrati, disoccupati e non scolarizzati sono anch'esse dei fenomeni di difesa del territorio nel senso fantasmatico del termine. È a questo livello che bisogna proporsi non solo una critica della nozione di territorio, ma una vera politica d'apertura o di deterritorializzazione dell'appartenenza comunitaria. La sacralizzazione dei piccoli territori può essere molto violenta ma è limitata. Ciò che preoccupa è la generalizzazione di questi fenomeni su una scala più ampia. Si è verificato con il fascismo, che era una trasformazione immaginaria del territorio nazionale in proprietà di un popolo o di una razza. Ci sarebbero delle conseguenze disastrose se questo fenomeno si sviluppasse nell'insieme dell'Europa, in particolar modo su base culturale, come sembra suggerire Benedetto XVI, quando sostiene che essa è un territorio cristiano e di conseguenza i musulmani sono dei corpi estranei.
Possiamo dunque concludere che il principio di territorialità può essere la base di una cittadinanza europea?
La costruzione europea ha una base territoriale per definizione, ma a seconda se la concepiamo come fissa o evolutiva, come chiusa o aperta, si apre una direzione storica diversa. Oggi il territorio non è la base della cittadinanza europea, ma dovrebbe diventarlo. Quella che definisco come una vera e propria «apartheid europea» è data dal fatto che è cittadino europeo solo chi ha la nazionalità di uno degli Stati membri. Gli immigrati stabilitisi da una o più generazioni sul suolo europeo sono la ventottesima nazione fantasma dell'Ue e costituiscono circa un ottavo della sua popolazione. Non sono semplicemente persone che in Francia non sono francesi, in Germania non sono tedeschi o in Italia non sono italiani. È a livello dell'intera Europa che gli immigrati sono degli esclusi, a maggior ragione con la libera circolazione all'interno delle frontiere europee. L'allargamento dell'Unione europea produce forme qualitativamente nuove d'esclusione. Il diritto alla cittadinanza europea non è territoriale: è genealogico. Nella maggior parte degli stati membri la nazionalità si acquisisce con lo jus soli, ma a livello dell'insieme dell'Europa la cittadinanza è genealogica nel senso dell'appartenenza originaria alla nazione. Questo evoca dei ricordi e pone problemi inevitabili. Ci sono delle analogie tra lo sviluppo di quest'esclusione e il fatto che nella storia ci sono state e ci sono sempre, almeno a livello simbolico, delle popolazioni transnazionali trattate come nemici interni o corpi estranei alla civiltà europea. È stato il caso degli ebrei; oggi non lo è più. Rimane il caso dei rom. Il fenomeno di cui parlo è tuttavia molto più vasto.
Oggi in Europa non si sentono istanze di partecipazione dal basso a livello comunitario, mentre nei singoli stati le istanze di partecipazione si esprimono in un linguaggio nazionalistico e identitario. Che rapporto vede fra queste due tendenze?
La domanda di partecipazione a livello locale e la domanda di controllo popolare a livello nazionale e sovranazionale non si escludono. Forse c'è bisogno di un'accelerazione delle cose perché i cittadini ne prendano coscienza. La responsabilità di questa situazione è da attribuire alle istanze intermedie, come i partiti politici, che oggi sono drammaticamente assenti e ci si dovrebbe chiedere il perché. Secondo Gramsci, le istanze intermedie sono la trama statale del funzionamento della società civile e, reciprocamente, i conflitti della società civile si traspongono nella struttura dello stato. Le costituzioni nate dalla resistenza in Francia e in Italia infatti affidano ai partiti il ruolo di costituire l'opinione pubblica. Dove sono oggi i partiti politici in Europa?
La legittimità degli Stati nazionali e quella dell'Unione europea secondo lei vanno di pari passo?
Il momento attuale è caratterizzato, in modo preoccupante, da una perdita di legittimità democratica degli Stati nazione e da una diminuzione della legittimità del progetto politico europeo. Non si tratta di assumere una posizione di difesa della sovranità nazionale, al contrario. Io adotto la definizione di legittimità di Max Weber, che mi pare vicina al concetto foucaultiano di potere: una nozione pragmatica e realista che si articola in termini di probabilità, d'obbedienza al potere pubblico e dunque d'efficacia di questo stesso potere. Da questo punto di vista, non possiamo ritornare indietro rispetto a quel poco di struttura politica che esiste su scala europea, ma siamo obbligati a progredire. Ne consegue che la legittimità delle istituzioni europee è diventata una condizione di legittimità delle istituzioni nazionali stesse. Non tarderemo a vedere concretamente gli effetti di questa relazione, che si manifesteranno con forza man mano che le difficoltà economiche e sociali legate agli choc petroliferi si ripercuoteranno in Europa. Solo delle politiche europee comuni hanno una minima possibilità di essere efficaci di fronte a questo tipo di situazione, ma devono essere approvate dai cittadini degli Stati nazionali, che rimangono la fonte ultima di legittimità.
Intanto in Europa assistiamo a una crescita delle destre, anche quelle più estreme. Perché, secondo lei?
In questo momento sono pessimista e mi riconosco nella massima di Gramsci dell'ottimismo della volontà e pessimismo della ragione. Per principio le situazioni difficili sono quelle in cui bisogna immaginare delle soluzioni e delle forme d'azione collettiva e non lasciarsi andare a seguire la tendenza naturale delle cose. I sistemi politici relativamente democratici nei quali viviamo o abbiamo vissuto sono in questo momento gravemente minacciati ed indeboliti. Ai miei occhi, i problemi del nazionalismo e dell'avanzamento della destra non coincidono. Tra le due correnti ideologiche ci sono delle interferenze molto forti, ma esse non si riducono l'una all'altra. Il nazionalismo nei vari Paesi europei non è monopolio della destra. Faccio parte - lo devo confessare, ma i lettori del manifesto lo sanno - delle persone che tre anni fa in Francia hanno votato «no» al referendum sulla costituzione europea. Ho creduto di farlo per ragioni che non erano né di destra né nazionaliste. Sono oggi costretto a constatare che questa scommessa è stata persa e che l'aspetto transnazionale e il richiamo a un federalismo europeo sono stati completamente neutralizzati da una dominante nazionalista a sinistra, o meglio nella vecchia sinistra. Ciò che è inquietante è la convergenza del nazionalismo di destra e del nazionalismo di sinistra. I suoi effetti si fanno sentire a livello dei governi nella forma di un sabotaggio permanente delle politiche europee comuni. Ma la convergenza tra le due forme di nazionalismo a livello dell'opinione pubblica e dell'ethos delle classi popolari in Europa è ancora più preoccupante. Meno gli stati nazionali sono capaci di rispondere alle sfide economiche, sociali e culturali del mondo contemporaneo, più i discorsi populisti e nazionalisti fanno presa su una parte delle classi popolari in Europa. Bisogna interrogarsi sulle cause strutturali di questa situazione, non ci si può accontentare del discorso elitista dell'ignoranza del popolo. Di certo è una situazione molto pericolosa per il futuro della democrazia in Europa, senza parlare delle conseguenze sullo sviluppo del razzismo.
Lei parla di un nazionalismo di sinistra. Si può dire che la sinistra oggi pensi da un lato lo spazio mondiale e dall'altro quello nazionale, e sia perciò incapace di vedere quello europeo come uno spazio eterogeneo rispetto agli altri due? È forse un lascito dell'internazionalismo di Marx?
Calandoci nell'epoca in cui Marx ha scritto, potremmo dire esattamente il contrario. Il pensiero di Marx era legato a un momento rivoluzionario che investiva l'Europa intera. Rileggendo gli articoli di Marx del 1848, vediamo che il nazionalismo democratico si allea con il socialismo e le prime forme di lotta di classe. In quel momento Marx e Engels hanno probabilmente pensato che una repubblica democratica europea o un'alleanza di repubbliche democratiche europee era al contempo la forma nella quale si preparava o poteva realizzarsi il superamento del capitalismo. Oggi la situazione è diversa e il senso di parole come nazionalismo si è ribaltato. È vero che certe forme di anticapitalismo teorico, che pescano in parte nell'eredità di Marx e che io non disprezzo ma trovo un po' arcaiche ed unilaterali, trascurano il problema della politica europea. La prospettiva altermondialista ha tuttavia il vantaggio di affermare che pensare l'Europa come uno spazio chiuso è illusorio. Al contempo, le costituzioni democratiche sono radicate nella risoluzione dei conflitti storici passati. Costruire uno spazio politico europeo è importante perché dobbiamo ricomporre il nostro passato a livello continentale: una cultura politica comune deve emergere dalle differenze culturali e storiche dell'Europa. Vi è un legame profondo tra la mancata rielaborazione del nostro passato e l'immigrazione. Gli immigrati sono i capri espiatori dell'ostilità fra gli europei. E' la loro stessa incapacità di pensarsi come un'unità che impedisce agli europei di trattare il problema dell'immigrazione in termini progressisti. I francesi non vi diranno mai che detestano i tedeschi o gli inglesi che non possono sopportare l'idea di formare un popolo comune con gli spagnoli, però questa diffidenza non è stata superata, anzi si è rafforzata con l'allargamento dell'Europa ad Est.
La Costituzione europea è stata affossata, ma in parte viene recuperata con il Trattato di Lisbona. Come giudica la strategia dei leader politici europei di procedere comunque, nonostante il rifiuto dei cittadini dell'Unione?
Non m'interessa, dubito che gli stessi leader europei ci credano loro stessi. Possiamo invece tornare sulla questione del rifiuto del Trattato europeo. I casi francese ed olandese, come ha scritto Helmut Schmidt su Die Zeit, non erano isolati. Il malessere era generale. Questo malessere resta da interpretare e analizzare ed è sempre d'attualità. All'epoca ho difeso la posizione un po' troppo idealista, che oggi non sosterrei più allo stesso modo, secondo la quale la Costituzione europea non era abbastanza democratica. Pensavo che essa non presentasse una prospettiva sufficientemente chiara di progresso generale della democrazia per l'insieme del continente. Tendevo dunque a considerare che la sola possibilità, molto fragile, per l'Europa di diventare uno spazio politico nuovo e superiore al vecchio sistema degli stati-nazione e delle alleanze nazionali, era di apparire come un momento di creazione democratica. Continuo a pensarlo, ma c'è qualcosa d'idealista in questo modo di vedere le cose che la realtà attuale ci obbliga a guardare in faccia. L'idealismo consiste nell'immaginare che le masse vogliano la democrazia, mentre purtroppo siamo in un periodo molto difficile e conflittuale. Ci sforziamo di aprire nuovamente delle prospettive democratiche a livello transnazionale, però allo stesso tempo dobbiamo provare a trovare i mezzi di resistere passo per passo all'avanzata del populismo e del nazionalismo nei paesi europei.
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12 commenti:
Denunciati gli affittuari nordafricani
E' scattato nella Bergamasca il primo sequestro di appartamenti affittati a clandestini da quando è entrato in vigore il pacchetto sicurezza emanato il 23 maggio. I carabinieri hanno messo i sigilli a due abitazioni di Zingonia, affittate a cinque marocchini dediti allo spaccio di sostanze stupefacenti. I 5 immigrati, arrestati, pagavano "in nero" i proprietari degli immobili - anche loro nordafricani, ma regolari - che sono stati denunciati.
L'operazione è stata portata a termine dai carabinieri della Compagnia di Treviglio. I cinque marocchini pagavano circa 500 euro al mese per ciascun appartamento. I proprietari degli appartamenti sono stati denunciati per favoreggiamento e sfruttamento dell'immigrazione clandestina. Le abitazioni potrebbero essere presto confiscate, così come previsto dalla nuova normativa.
Le indagini proseguono in queste ore per verificare l'eventuale attività di un'organizzazione criminale finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. La zona di Zingonia, in provincia di Bergamo, è nota per la concentrazione di immigrati irregolari e già più volte alla ribalta delle cronache per episodi di criminalità.
Mi auspico che questa operazione sia la prima di molte,perchè , a differenza di chi gli extracomunitari li vede alla festa della "straminchia equa e solidale" , io vivo in un condominio degradato, so quindi di cosa si tratta e di cosa si parla.
Si tratta di convivere con " caporali " che acquistano o affittano appartamenti , per poi subaffittare " posti letto " . Si tratta di convivere con un " turn over " di immigrati del 100% e spesso con ubriaconi e violenti , quando non criminali.
Si tratta di convivere NON con persone che vengono a mettere radici nel nostro paese e quindi cercano di integrarsi,che meritano di essere aiutati ad integrarsi , ma con avventurieri, che ( fino a poco tempo fa ) sapevano di trovare nel nostro paese una tolleranza di natura ideologica slegata da ogni pragmatismo.
I "caporali " e i loro " clienti" hanno potuto spadroneggiare , in barba alle Leggi della Repubblica, per una malintesa idea dell'integrazione basata sulla tolleranza di gesti criminali o antisociali compiuti dai " migranti " , messa in atto " senza se e senza ma " in nome della " diversità culturale" .
Questo approccio imbecille, di matrice catto-comunista ha contribuito a creare xenofobia, facendo quasi passare l'idea che i migranti sono al di sopra delle Legge.Da proteggere quasi fossero il panda gigante cinese, da proteggere sempre e comunque, anche quando delinquono e anche quando sono chiaramente non VITTIME ma CRIMINALI.
Vivere in un condominio degradato , nel quale i " caporali " affittano i posti letto, costringe alle volte, in concreto a pulire il vomito o la piscia dell'immigrato e/o migrante , che s'è ubriacato ed ha avuto la bella idea di pisciare o vomitare sotto la tue finestre.E se gliel'hai fatto notare, magari t'ha pure mandato affanculo.
Le astrazione sono belle, i principi sono bellissimi.Ma talvolta cozzano la la puzza di piscia e l'odore di vomito, meno belli ma ahime, spesso ben più concreti e di tante belle parole che si dicono , alla festa della straminchia equa e solidale.
LE TUE SONO ASTRAZIONI.
COME RISPONDI A QUESTI FETORI , PIUTTOSTO REALISTICI?
caposkaw
Rispondo che ripubblicare da anonimo qui - come "commento" - un copia incolla di un articolo ad altra "firma", tratto da un sito neofascista, aggiungendo al termine del doppione queste poche righe "capitali" : "LE TUE SONO ASTRAZIONI. COME RISPONDI A QUESTI FETORI , PIUTTOSTO REALISTICI?"
è un'azione miserabile, al di sotto di ogni commento possibile.
"è un'azione miserabile, al di sotto di ogni commento possibile."
oddio, quello che l'ha scritto è un mio amico , e sicuramente non si sentirà defraudato.
a parte che hai letto(?) e non hai capito niente , dato che lo scrivente denuncia una situazione reale e non razzista....
la tua risposta non risolve il problema, quindi la domanda resta:
LE TUE SONO ASTRAZIONI.
COME RISPONDI A QUESTI FETORI , PIUTTOSTO REALISTICI?
e non rispondi in modo costruttivo, vuol dire che non lo sai fare.
quelli come me , che sono la maggioranza degli italiani, sono indifferenti alle ideologie, ma detestano la puzza di piscia e merda, e detestano anche la criminalità.
noi non abbiamo nessun problema con chi lavora e vuole vivere con noi, a prescindere dal colore della pelle e da quello che pensa...
caposkaw
Ormai i fascisti coperti da troppi media, dal governo ecc. alzano la cresta e non hanno paura nemmeno del ridicolo.
Il caso del tipo che ha mandato un messaggio copiato pari pari da un sito fascista e aveva taciuto la provenienza è istruttivo sui loro metodi.
metodi, metodi....
siete veramente patetici!
sul serio!
la puzza di merda e di piscia la annasate pure voi o no?
volete trovare una soluzione ai problemi reali o dire che tutti sono fascisti perchè non gli piace la puzza di merda e piscia?
allora?
caposkaw
Per @ut: sono d'accordo.
Il signor "caposkaw", ha già abusato a sufficienza di questo spazio. Vada a pubblicare altrove.
Come dice Balibar alla fine della sua intervista dobbiamo provare a trovare i mezzi di resistere passo per passo all'avanzata del populismo e del nazionalismo nei paesi europei.
E qui in Italia, specialmente adesso c'è molto da fare
Trasmetto il comunicato stampa di StoriAmestre.
Campo sinti di Mestre: è urgente una risposta democratica dei cittadini veneziani
L’associazione storiAmestre pensa che la vicenda del nuovo insediamento per i sinti di Mestre che si sta costruendo a Mestre in via Vallenari rappresenti una questione molto importante per quale sia urgente e necessario intervenire. La rumorosa protesta della Lega Nord rischia infatti di vanificare lo sforzo faticoso di anni da parte dei sinti, oltre che di singoli, operatori sociali, insegnanti, volontariato, amministratori pubblici, sforzo tendente a dare una sistemazione dignitosa a un gruppo di cittadini che da decenni risiede nel comune di Venezia.
L’opposizione al nuovo insediamento alimenta un clima d’intolleranza e di xenofobia, che ormai sta avvelenando il nostro paese, tanto da suscitare le allarmate reazioni della stessa comunità internazionale.
Di fronte a questo degrado morale civile e politico, pensiamo che chi abita in questa città, la pensa diversamente e guarda con paura a questa deriva, debba far sentire la propria voce, portando una testimonianza personale.
StoriAmestre sta lanciando in questi giorni un appello proponendo ad amici e conoscenti di far sentire una voce di solidarietà ai cittadini sinti, oggetto di attacchi razzisti, e di sostegno alla scelta dell’amministrazione comunale per la costruzione del nuovo campo, attraverso una mail personale indirizzata all’amministrazione comunale e alla stampa.
Qui di seguito una proposta di mail da inviare al sindaco e alla stampa (naturalmente sono auspicabili anche testi personali)
storiAmestre
6 giugno 2008
Al Sindaco e alla Giunta Municipale di Venezia
riprendendo l’invito di storiAmestre – associazione per la storia di Mestre e del territorio, desidero esprimere la mia solidarietà ai cittadini Sinti di Mestre, oggetto di attacchi razzisti, e dichiarare il mio sostegno alla scelta dell’amministrazione di costruire il nuovo insediamento di Via Vallenari, che consentirà una sistemazione dignitosa a un gruppo di cittadini che da decenni risiedono nel comune di Venezia. Mi unisco in questo modo a quanti fanno sentire la propria voce per contrastare il preoccupante clima d'intolleranza alimentato attorno a questa vicenda.
Mandare le mail a:
sindaco@comune.venezia.it
assessore.simionato@comune.venezia.it
assessore.fincato@comune.venezia.it
prosindacomestre@comune.venezia.it.
Giornali:
mestrecronaca@gazzettino.it
nuovavenezia@nuovavenezia.it
lettori@epolisve.it
corriereveneto@corriereveneto.it
redazione@telechiara.it
bruno.borghi@radiobase.net
mestre@epolisve.it
Ringrazio mm86 per aver postato questo comunicato.
I tentativi di Lega PdL e AN di intralciare o impedire la realizzazione di una sistemazione dignitosa per i sinti - cittadini italiani che vivono e lavorano regolarmente da generazioni a Venezia - sono veramente indegni e pretestuosi: l'attività di un aberrante comitato «No ai campi nomadi nei centri abitati» ha incontrato la giusta resistenza di quanti/e, a Venezia, rifiutano le manovre populiste e razziste di chi, agitando lo slogan demagogico "Venezia ai veneziani", cerca di rendere "estranei" ed espellere dalla città una parte dei suoi cittadini discriminandoli in base alla loro "etnia".
Come si vede, la resistenza all'avanzata populista è tutt'altro che "astratta"...
Eh sì, come dice @ut, i fascisti alzano la cresta e troppa gente fa finta di non vedere.
Ma è una realtà che dobbiamo combattere, cercando anche di fare informazione.
Complimenti per il lavoro antifa del blog.
Lascio un articolo preso da Toscana Indymedia:
Pisa, i fascisti rialzano la cresta!!!
Dopo la creazione di Casa Pound Pisa, oggi la prima iniziativa
Vi ricordate il lontano 28 marzo 2001 ?
In quella occasione una squadraccia di una ventina di persone guidate dai conigli D. DM e A.M. si presentò durante le elezioni universitarie alla facoltà di lettere mandando in ospedale 5 persone e ferendo anche il Preside....
( Link: http://italy.indymedia.org:666/news/2001/03/1441.php )
Oggi la feccia fascista, spalleggiata dal clima politico nazionale, ha deciso di rimettere il muso fuori dalla fogna....
L'occasione è una iniziativa sul mutuo sociale organizzata per questo pomeriggio alle ore 18 presso il quartiere S.Ermete dalla neo nata Casa Pound Pisa, Amore per Pisa e Laboratorio99 rivista dove scrive lo stesso A.M. organizzatore ed esecutore del pestaggio ( naturalmente rimasto impunito ) del 2001....
Al vostro buon cuore!!!!!!
Sempre ANTIFA!!!!!!
Ciao Rudy,come va'? Ti leggo sempre volentieri e a volte mi "illumini" appofondendo argomenti da me mal digeriti.Stop ai complimenti che poi ti gasi.In quanto a caposkaw alias caffenero è un povero imbecillotto fascistoide privo anche di qella minima cultura che esiste anche nella destra,ho già avuto con lui uno scambio di opinioni,tempo perso.In quanto alle puzze che lui"dice"di dover subire nel suo quartiere trovo strano che le noti visto che i topi di fogna come lui non dovrebber avere questo problemi visto gli ambienti che frequentano.
Sì, antifa x, i fascisti, come notava più sopra @ut, rialzano la cresta, ringalluzziti dalla vittoria elettorale della destra (alcuni di loro sono nella coalizione o si propongono di entrarci, gli altri sono comunque "coperti" dalla stessa), dal revisionismo imperante a destra e a manca, dal clima di guerra tra poveri che si va estendendo, e dalle spinte xenofobe e razziste che attraversano anche, appunto, strati popolari, ceti sfavoriti e/o sfruttati.
Non è un caso che un "fascio" sia spuntato qui, in incidenze, tentando goffamente di mettere "gli stivali sul tavolo", proprio in "reazione" ad una notevole intervista sul razzismo anti-immigrati.
Ho l'impressione che questi figuri, guazzino nel razzismo anche perché sanno e "sentono" di "andare con la corrente".
Ma qui, come ovunque è possibile, si tratta semplicemente di far capire chiaramente anche ai più imbecilli - o pseudo "furbi" - e arroganti tra di loro che possono impattare in controcorrenti.
E poi questo blog - ed anche il tuo, Carlo - non sono "bipartisan". Ah, una certa pagina "partigiana" di Gramsci che ci accomuna, come un filo rosso che attraversa incidenze , e il tuo blog e tanti altri...
Ed anche a me, come a te, Carlo, era venuto in mente di rispondere al rozzo e "scaltro" fascistello di turno che si era affacciato qui che il fetore che mi ripugna profondamente, inesorabilmente, è quello che emanano e spandono i movimenti usciti dalle fogne in cui si erano rintanati alla Liberazione. Ma mi interessava di più "staccare la spina" perché anch'io, come te, non ho interesse, né voglia, né piacere ad intavolare dialogi con tipi, posizioni ed argomentazioni del genere.
Riguardo all' "illuminare" (forse anche sulla scia di antiche e precoci passioni antiautoritarie condivise) credo che ci "illuminiamo" un po' tutti a vicenda, ciascuno secondo i suoi interessi, competenze, sensibilità, modi di esprimere.
Continuiamo a muoverci, insieme, "in direzione ostinata e contraria".
Be', i fasci devono rassegnarsi al fatto che non possono spadroneggiare dappertutto.
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