venerdì 30 maggio 2008

Almirante, per esempio. Capitolo 2

[... continua da QUI].
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Occorre continuare. Perché le grandi manovre revisionistiche che stanno intensificandosi con l'avvento della destra al potere, in Italia e a Roma, scatenate dall'apologia di Almirante imbastita da AN come "esempio da seguire" non sono un fatto episodico, ma una strategia. Sotto i discorsetti obbligati di Fini, in sede istituzionale, di condanna di "alcune frasi" (sic!) di Almirante, continua a scorrere l'ampio fiume delle revisioni e delle rivalutazioni di questo preteso "grande italiano".
In particolare, riguardo al bando della Prefettura di Grosseto del 17 maggio 1944, circolano, ad esempio in molti siti delle destre, "post", neo o vetero fasciste, ricostruzioni che (tradendo involontariamente l'imbarazzo per i propri scheletri nell'armadio) minimizzano, negano o mistificano con i classici  espedienti dell'eufemismo, della reticenza e talvolta della falsificazione. Non solo, ma queste cose si diffondono in particolare in rete fin troppo facilmente mistificano, al punto che ne troviamo traccia anche nella voce "Giorgio Almirante" di Wikipedia, in cui (oggi) leggiamo:

Divenuto il principale simbolo della destra anticomunista, fu spesso attaccato dalle forze della sinistra soprattutto estrema, che lo accusarono anche di esser stato un "fucilatore"[citazione necessaria] durante il suo passato nella Repubblica sociale Italiana. Almirante rispose a queste accuse per vie legali ed editoriali, pubblicando Autobiografia di un fucilatore: «Un titolo doppiamente bugiardo, poiché non è un'autobiografia, né io sono un fucilatore»

Sorvolando rapidamente sul fatto che la sola versione qui fornita a smentita della qualifica  
Sorvolando rapidamente sul fatto che la sola versione qui fornita a a smentita della qualifica di fucilatore di partigiani o anche di massacratore , lanciata con forza da l'Unità  e da il manifesto((non citati) di fucilatore (o anche di massacratore, etc.) di partigiani, rivolta ad Almirante, contro l'Unità è quella dello stesso, colpisce che qui si riferisca  che intentato laconicamente, intentato su denuncia di Almirante stesso l'Unità e i giornali che avevano ripubblicato il bando del '44.

"Almirante rispose a queste accuse per vie legali", senza dire nulla del "processo per "falso". Viene totalmente taciuto che Almirante e il suo MSI scatenarono una vasta e violenta campagna sostenendo che il documento era un "falso" manipolato dai comunisti. Questo fatto, che rende la misura della statura morale, della dignità e del senso di responsabilità di questo "esempio da seguire" e della funzione revisionista e negazionista svolta del suo partito (come pure l'esito della sua denuncia) nella voce di Wikipedia, sono maldestramente nascosti sotto il tappeto striminzito di una frase reticente e vaga:

"Negli anni 70 il ritrovamento del volantino in un archivio storico susciterà roventi polemiche."


Come ogni altro utente di Wikipedia, avrei potuto modificare questa voce, ma nell'urgenza attuale, mi sembra più utile e produttivo sollevare il problema (del quale, il caso di questa voce di Wikipedia non è che un sintomo, certo, rilevante) per sollecitare una riflessione su come i revisionismi si diffondano agevolmente in rete, e chiedersi se sia possibile, e come, contrastare, nei limiti del possibile, il fenomeno.

Mi sembra prioritario, in questo momento, cercare di contribuire a chiarificare alcuni aspetti spesso trascurati legati alla vicende storiche e poi giudiziarie del bando del 1994.
A questo scopo ripropongo due testi documentati e avvincenti di Nedo Barzanti, che trovato nel sito del PdCI di Grosseto: il primo, sulla strage di Niccioleta, il secondo, sul processo intentato da Almirante contro L'Unità e i giornali che avevano ripubblicato il bando.


Niccioleta:
i giorni della strage dei minatori

I primi di giugno del 1944, la ritirata tedesca era in pieno corso sulle strade della Maremma; il fascismo - repubblichino era in sfacelo. Il presidio fascista di Massa Marittima tagliò la corda la notte del 9. Quello stesso giorno una squadra di partigiani era entrata a Niccioleta, ma si limitò a disarmare i carabinieri e al sequestro delle armi reperite nelle case dei fascisti.
Nella massa degli operai i fascisti costituivano a Niccioleta una esigua minoranza. I repubblichini erano in tutto sedici; con loro e con le loro famiglie la popolazione evitava di avere rapporti di sorta. Consapevoli del loro isolamento i fascisti si riunivano tra loro quasi ogni sera in casa del siciliano Pasquale Calabrò, o di suo cognato Aurelio Nucciotti, o della guardia giurata Luigi Torrini. Calabrò, Torrini, Nucciotti si assentavano spesso da lavoro; erano in stretto contatto con il comando tedesco di stanza a Pian di Mucini e con i fascisti di Massa Marittima. Essi odiavano Niccioleta e tutti i suoi abitanti anche perché si sentivano circondati dalla diffidenza e dal disprezzo.
Nel mese di maggio del 1944, esattamente il 25 alle ore 24, era scaduto il termine stabilito dai fascisti tramite un infame manifesto affisso in tutto il Comune di Marittima, che imponeva la presentazione ai posti di polizia fascisti e tedeschi degli sbandati o appartenenti a bande, pena la fucilazione nella schiena per quanti non si fossero presentati.
Il manifesto era firmato, per il Ministro Mezzasoma, dal Capo Gabinetto del Governo fantoccio di Salò, GIORGIO ALMIRANTE, ex Segretario del MSI. Scaduto il termine nessuno degli interessati (renitenti alla leva, sbandati, appartenenti a bande,ecc) si era presentato. I giovani del Comune di Massa Marittima erano in gran numero nelle formazioni partigiane e combattevano i tedeschi e i fascisti con le armi in pugno. Il fallimento del bando fu totale,come dimostra la vasta documentazione dell’epoca e soprattutto le lettere inviate alla prefettura fascista che aveva sede a Paganico, dai comandi militari dei vari presidi che operavano nella zona di Massa Marittima In tutti questi documenti si può infatti leggere: “ fino alle ore 24 ( l’ora della scadenza del bando), non si è presentato nessuno.”
I processi intentati dal fascista Almirante negli anni 70 contro l’Unità, il quotidiano del PCI che aveva pubblicato il manifesto firmato dal segretario del MSI, ritrovato in copia originale nell’archivio storico del Comune di Massa M., dimostrarono, anche grazie alla testimonianza decisiva del compianto compagno GINO ZUCCHELLI, comunista di Massa Marittima che vi era stato un legame più stretto di quanto potesse sembrare all’inizio tra il fallimento del bando di Almirante e la strage di Niccioleta.

Nella sostanza fascisti e tedeschi erano furibondi per il fallimento del bando; Niccioleta, covo di antifascisti e di comunisti si prestava bene per attuare una misura di ritorsione e di repressione.
Questa fu senza alcun dubbio una delle ragioni, unitamente ad altre, che fece scattare nei fascisti l’idea della strage.
Gli operai avevano istituito presso la miniera un controllo armato di avvistamento e di vigilanza.
Si sapeva infatti, che i tedeschi, coadiuvati dai fascisti lasciavano dietro le linee della ritirata gruppi di guastatori, che avevano il compito di distruggere gli impianti industriali. I minatori di Niccioleta erano decisi a salvare la miniera, fonte essenziale del loro lavoro. Purtroppo il sistema di sicurezza messo in atto dai minatori non funzionò. Nella notte dal 12 al 13 Giugno reparti di fascisti e di SS tedeschi si erano portati nelle vicinanze del villaggio e lo avevano circondato.
La mattina del 13 verso le ore 5,30 i reparti nazi-fascisti irruppero a Niccioleta. Il piano per sorprendere gli operai funzionò cosi come era stato elaborato: pochissimi furono coloro che accortisi della manovra, ebbero il tempo di fuggire. La maggior parte dei minatori e delle loro famiglie rimasero dentro la tenaglia. Il paese si risvegliò al rumore degli spari. Ebbe inizio un rastrellamento casa per casa. Gli uomini furono fatti uscire e concentrati nello spiazzo davanti al dopolavoro. Tutti furono perquisiti e privati dei documenti di identità e poi spinti dentro il rifugio antiaereo.
Naturalmente i fascisti Calabrò, Nucciotti e Torrini si erano subito uniti ai militi nazi-fascisti e li accompagnavano in giro. Ultimato il rastrellamento un ufficiale tedesco s’istallò nella caserma dei carabinieri e procedette all’interrogatorio di diversi minatori Il Vice-Direttore della miniera, Ing. Boeklin ebbe il compito di fare da interprete. Mentre stavano procedendo a questa operazione di cernita, di perquisizioni e di intimidazioni, alcuni militi fascisti arrivarono scortando cinque operai e precisamente Sargentoni Ettore con i figli Aldo e Alizzardo, Barabissi Bruno e Chigi Antimo,ai quali fu aggiunto Baffetti Rinaldo.
I sei operai furono le prime vittime immolate alla rabbia assassina dei nazi-fascisti. I primi tre,vale a dire Sargentoni ed uno dei suoi figli insieme a Baffetti furono sospinti dentro un piccolo cortile dietro il forno della dispensa. Una specie di trincea scoperta, larga non più di tre metri, Appena giunti la dentro furono crivellati da una scarica di mitragliatrice sparata dall’alto. Poi fu il turno di Chigi e Barabissi i quali costretti ad entrare nel cortiletto si arrestarono dall’orrore della visione ma una nuova scarica li abbatteva sui corpi degli altri assassinati. L’ultima vittima fu Sargentoni Alizzardo, giovane di 23 anni, che aveva assistito all’esecuzione a qualche passo di distanza. Anche lui fu costretto ad incamminarsi nello stretto passaggio che immetteva nel cortile e si gettò gridando sul corpo di suo padre nel momento che veniva colpito alla schiena dal fuoco dei mitragliatori. In questa azione infame si distinse un ufficiale medico italiano di cui non conosciamo il nome.
La scena di orrore dava alla popolazione la percezione del pericolo che incombeva su tutti loro.
Tra i primi sei fucilati doveva esserci anche un altro minatore e precisamente GAI GIOVANNI.
Gai, era stato preso armato mentre usciva dal turno di guardia ed affidato ad un fascista che vigilava su di lui in attesa dell’esecuzione. Per spavalderia questo aguzzino disse a Gai: “ a te lo posso dire tanto non potrai rivelarlo a nessuno perché tra poco sarai fucilato”, io mi chiamo Aurelio Picchianti ,di Porto Santo Stefano”. Anche alcune donne e lo stesso Gai avevano letto il nome del Picchianti inciso nella cinghia del moschetto. Ma Gai approfittando del fatto che il milite fascista lo aveva derubato del pacchetto del tabacco che teneva nella tasca della camicia e si era messo il fucile in spalla per arrotolarsi una sigaretta, con uno scatto improvviso si lanciò verso la vicina macchia, invano seguito dagli spari dei fascisti, riuscendo a mettersi in salvo. Tutti gli operai arrestati furono lasciati nel rifugio antiaereo ammucchiati come bestie in un caldo soffocante fino alle nove di sera. In alcuni momenti i guardiani armati facevano circolare notizie di fucilazione immediata, in altri momenti di prossima liberazione. Era una terribile doccia scozzese alla quale intenzionalmente venivano sottoposti questi prigionieri rinchiusi ormai da molte ore nel rifugio antiaereo, oppressi da mille sofferenze.
Fuori le madri,le mogli,i figli piangenti attendevano in preda al terrore l’epilogo della situazione. La giornata passò cosi in una atmosfera di provocazione e di tragedia. Verso sera i fascisti e i tedeschi avvertirono le famiglie di preparare,per gli arrestati, i viveri per tre giorni perchè sarebbero stati portati tutti a Castelnuovo Val di Cecina. Alle ventuno e trenta, tra i pianti dei congiunti, una colonna composta da circa 150 operai,scortata da un reparto di nazi-fascisti, si incamminò sulla strada per Castelnuovo. Dopo una breve sosta di venti minuti in località Martinozzi e dopo una marcia di altri due chilometri, sopraggiunsero alcuni autocarri che caricarono gli uomini trasportandoli a Castelnuovo. Alle ore 1 di notte i minatori imprigionati erano rinchiusi e sorvegliati nella sala del cinematografo di Castelnuovo trasformata in luogo di segregazione. Deposti i loro piccoli bagagli, cominciarono a scambiarsi qualche impressione su quanto era accaduto.
In fondo alla sala soldati tedeschi e fascisti impietriti guardavano con ghigno satanico quella folla di uomini perplessa e stanca. Dai palchetti del cinema due mitragliatrici erano puntate sui prigionieri. Alcuni giovani, vinti dalla stanchezza, si stesero sul pavimento e il sonno quietò per alcune ore le loro apprensioni. Gli altri, la grande maggioranza, rimasero insonni, in piedi, in attesa delle prime luci dell’alba del giorno 14 Giugno 1944.
Nella mattinata in prossimità del Cinema, furono fucilati tre partigiani. Uno di questi tre patrioti fu fatto passare diverse volte davanti al cinematografo; aveva un atteggiamento fiero come se non si fosse trattato di lui ed i tre morirono coraggiosamente senza rivelare la loro identità.
Contati e ricontati, divisi e suddivisi fino a quando attorno alle ore 18 entrarono nella sala del cinema una diecina di soldati. Un ufficiale cominciò a leggere un elenco ed i chiamati furono messi da una parte e tutto il gruppo suddiviso in questo modo: il primo,composto da 79 uomini era destinato allo sterminio. Il secondo di 21, alla deportazione in Germania. Il terzo di 50, comprendeva gli uomini più anziani,che avrebbero dovuto essere rilasciati. I 79 erano stati scelti in base ai nomi contenuti in un elenco della suddivisione dei turni di guardia alla miniera che gli stessi operai avevano fatto e il giorno prima a Niccioleta, all’arrivo dei fascisti e dei tedeschi, nascosero dentro il rifugio dove furono rinchiusi e li purtroppo ritrovato. I fascisti ebbero la facoltà di rimaneggiare la lista dei condannati a morte, includendo o togliendo chi a loro parve meglio. In particolare Calabrò, questa sporca figura di delatore e di aguzzino, fu autorizzato a liberare sei uomini.
Egli ne liberò due, e cosi i 79 divennero 77. Poi finse di volerne liberare un altro e chiamò fuori dalle file Cicaloni, ma appena questo si face avanti Calabrò le disse : “ tu una volta hai sputato in faccia a mia moglie e a mia figlia, e con uno spintone venne rimandato indietro. Durante l’appello degli uomini destinati alla fucilazione, quando fu chiamato Mastacchini Agostino,rispose per errore il suo figlio Raffaello, diciassettenne, il quale non aveva fatto nessun turno di guardia e non era nell’elenco. Gli chiesero se era il figlio di Agostino e alla risposta affermativa fu inserito nel gruppo dei condannati a morte ed anche lui come il giovane Sargentoni Alizzardo e come il Beni, fu trucidato insieme al padre. Alle ore 19 un comando secco e la colonna dei 77 minatori venne fatta uscire dalla sala.
Il corteo, inquadrato da militi fascisti e tedeschi, avanza con passo spedito sulla strada che porta a Larderello. Fatto circa un chilometro, venne imboccata una piccola strada a destra che scende verso la centrale, geo-termoelettrica dove erano alcuni soffioni fuori servizio e gli impianti industriali. All’improvviso aeroplani inglesi apparvero nel cielo limpido della sera. Gli uomini vennero fatti nascondere in un canneto dietro la strada; passati gli aerei la marcia riprese. I soffioni urlano rabbiosi e assordanti. Ogni scambio di parola è impossibile. Ancora un comando e una piccola parte del gruppo, circa 15 uomini è forzata a mettersi in marcia a braccia alzate. Su tutta questa massa umana passa un fremito, l’inquietudine si fa certezza: tutti comprendono che la loro fine è imminente.
Questo primo gruppo di uomini marcia sul breve pendio di un campo, passando sotto, curvandosi ad una grossa tubazione e si affacciano ad una sottostante grotta, una sorta di vallino profondo dove fumacchiano alcuni affioramenti di vapore geotermico. Viene fatto loro segno di scendere giù per il pendio Ma il cammino fu breve. Due mitragliatrici piazzate di fronte, ai bordi opposti di questo cratere entrarono in azione falciando il gruppo dei minatori.
I cadaveri e i feriti precipitarono giù per il terreno scosceso per finire in fondo gli uni su gli altri,bagnando di sangue quei sassi irti e taglienti.
E’ ora la volta del gruppo più numeroso.
Il gruppo è sospinto brutalmente in basso dalla parte opposta dove esiste una sorta di entrata naturale nella grotta,in fondo al vallino.
Appena entrati essi videro in tutto il suo orrore il tragico scenario: i loro compagni sono la attorcigliati gli uni su gli altri.
Ogni tentativo di fuga è impossibile.
Si strinsero allora insieme come in un estremo abbraccio.
Le mitragliatrici aprirono il fuoco da distanza ravvicinata massacrando quel gruppo di uomini con lunghe raffiche.
Dei gemiti,delle invocazioni si levarono dal quel mucchio di morti e morenti.
Gli assassini scesero nel vallino con le armi in mano scrutarono, voltarono e rivoltarono quei corpi, spararono ancora per spengere le invocazioni e i lamenti poi se ne andarono cantando.
La rappresaglia nazi-fascista, il più grave eccidio di operai che la resistenza ricordi, era compiuto.
Le vittime di questa strage furono quindi 83, compresi i sei minatori assassinati il giorno prima a Niccioleta. A tanto giunse l’odio contro persone che non avevano fatto niente di male a nessuno.
Erano minatori, circa 200 famiglie giunte a Niccioleta per lavorare dalla vicina Massa Marittima, da Castellazzara, da Santa Fiora, da altri paesi del Monte Amiata.
In grande maggioranza erano antifascisti, molti comunisti.
Per questo motivo e per il fallimento del bando di Almirante vennero assassinati.
Nedo Barzanti


La strage di Niccioleta:
Gino Zucchelli inchioda Almirante.
La drammatica testimonianza

Alla fine degli anni “ 60 “ ero responsabile della “ Zona Mineraria “, la struttura organizzativa e politica nella quale si articolava il Partito Comunista Italiano. La sede di questo importante organismo era Massa Marittima e presto divenni anche il Segretario di quella sezione. La vita politica della Città era molto intensa. Le miniere, e particolarmente quella di Niccioleta, erano in piena attività; i minatori costituivano l’ossatura essenziale del PCI che aveva un’organizzazione capillare e possente. Il ricordo della tragedia di Niccioleta, dell’assassinio di Norma Parenti e in generale della resistenza, era molto forte e vivo. I fascisti, dal dopo-guerra, non avevano più messo piede a Massa Marittima. In quegli anni provarono, una volta, ad organizzare un comizio ma furono cacciati a furor di popolo.
Accadde che uno studioso di Pisa, Professore di storia, nell’esaminare una serie di documenti relativi al 1944 nell’archivio storico del Comune di Massa Marittima, si ritrovò tra le mani un manifesto piegato in quattro parti e spillato. Una volta aperto risultò essere il famigerato bando che decretava la fucilazione nella schiena per i giovani renitenti alla leva, sbandati o appartenenti alle formazioni partigiane, firmato da Almirante come capo – gabinetto di Mezzasoma, ministro del governo fantoccio costituito da Mussolini a Salò e asservito alla Germania nazista. Il professore fotocopiò il manifesto, ma siccome la fotocopiatrice era piccola, fu costretto a stamparlo in quattro parti. Giunto a Pisa ricompose il documento e si accorse che il rigo centrale, in virtù delle piegature, non era stato stampato; non trovò altra soluzione che aggiungere quel rigo a penna dopo di che inviò il manifesto all’Unità e ad altri giornali nazionali. L’Unità, il glorioso quotidiano organo del PCI, pubblicò il manifesto con la firma di Almirante – a quel tempo Segretario nazionale del MSI – in prima pagina. Il fatto creò enorme clamore anche perché Almirante era impegnato ad accreditarsi come un anziano signore in doppio petto, senza macchie e senza ombre provenienti dal suo passato. Poiché il manifesto pubblicato dall’UNITA’, con la firma di Giorgio Almirante, aveva, come si è detto il rigo centrale scritto a penna, il MSI e lo stesso Almirante fecero partire una violenta campagna di stampa gridando che quel documento era un falso inventato dai comunisti ed in ragione di ciò fu presentata una dettagliata denuncia alla magistratura contro L’UNITA’ e contro tutti i giornali che avevano pubblicato il Bando.

A seguito della denuncia di Almirante, fui invitato dal partito ad accertare se esisteva davvero l’originale del manifesto.

Chiesi alla Società archivistica di Firenze l’autorizzazione ad esaminare i documenti custoditi nell’archivio storico del Comune di Massa Marittima per ragioni di studio. Ottenuta l’autorizzazione mi recai all’archivio, presi il fascicolo che conteneva i documenti relativi l’anno 1944 ed iniziai a sfogliarli con estrema attenzione. All’improvviso mi apparve il manifesto con la firma di Almirante, non conteneva nessun rigo scritto a penna e risultava essere stato stampato nel 1944 dalla Tipografia Vieri di Roccastrada: si trattava di una copia originale, l’unica esistente.
Unitamente al manifesto vi erano la lettera di accompagnamento inviata dalla Prefettura fascista che aveva sede a Paganico, un’ulteriore lettera della Prefettura firmata dal prefetto fantoccio, Alceo Ercolani, con la quale il “ capo della Provincia “, chiedeva di sapere dopo la scadenza del bando quanti degli interessati si erano presentati. Assieme a questi documenti vi erano anche le copie originali di altre tre lettere di risposta alla richiesta del cosiddetto capo della provincia. Una di queste fu inviata dal comando dei carabinieri e comunicava che alla scadenza del bando non si era presentato nessuno. La seconda proveniva dal comando della Guardia Nazionale Repubblichina ed era del solito tenore della prima; non si era presentato nessuno. La terza l’aveva spedita il Comando di un reparto di artiglieria contraerea che era all’epoca acquartierato nella zona di Massa e anche questo organismo informava che non si era presentato nessuno.
Ebbi dentro di me una sensazione di orgoglio e di ammirazione per quei giovani del Comune di Massa Marittima che con tanta determinazione avevano rifiutato di servire i fascisti e i tedeschi. Ultima verifica da fare era quella di accertare se nel libro protocollo del comune relativo al 1944 risultava registrato l’arrivo della lettera e del manifesto di Almirante dalla Prefettura di Paganico. E, infatti, la registrazione fu fatta e risultava regolarmente protocollata. Informai il partito e fu stabilito cosa si doveva fare in previsione del processo contro l’Unità intentato da Almirante. La prima cosa era di impedire che quei documenti in qualche modo finissero per sparire dall’Archivio, nonostante la ferrea vigilanza che avevamo attuato fin dal primo momento.
Fu cosi deciso di prendere un fotografo e un notaio e fare di tutto il materiale ritrovato un atto legale, con allegate le fotografie dei documenti debitamente autenticate e conservate dallo stesso notaio a Grosseto. Fatto questo si doveva trovare qualcuno che ricordava di avere visto affisso quel manifesto sui muri di Massa Marittima e che fosse disponibile a testimoniare al processo. Nel corso di una riunione di partito il compagno GINO ZUCCHELLI, c’informò con dovizia di particolari, che lui ricordava di avere visto affisso quel manifesto e persino il luogo dove si trovava e che lui che era disponibile a testimoniare al processo. Predisponemmo tutto con i compagni avvocati Malagugini e Fiore nel corso di alcune riunioni nella sede del gruppo del PCI alla Camera dei Deputati e in casa del compianto Avvocato Fiore a Roma. Venne il giorno del processo. Partimmo per Roma in quattro. Eravamo attesi in una zona prossima al Palazzo di giustizia, il famoso “ Palazzaccio “ come lo chiamano i romani. Il Partito aveva predisposto un ferreo servizio di protezione; in pratica eravamo come inpacchettatti per impedire qualsiasi provocazione e l’eventuale furto dei documenti che portavamo con noi. Entrammo cosi nel “ Palazzaccio “ fino a raggiungere l’aula presso la quarta sezione, nota – si mormorava – per avere simpatie filo fasciste. Dopo poco arrivò Almirante, anche lui circondato da un imponente servizio di sicurezza. L’aula era stracolma di persone: Almirante e il MSI avevano mobilitato tutta la stampa romana, giornalisti, avvocati, parlamentari, ecc.
Il processo doveva essere l’occasione per il lancio di una grossa campagna propagandistica del MSI tutta centrata sul quel famoso rigo scritto a penna sulla copia del manifesto che dimostrava, appunto, la montatura, il falso organizzato dal PCI e dall’UNITA’. Almirante era difeso, tra gli altri, da un famoso avvocato, il Sen. NENCIONI, che si soffermò a lungo sulla tesi del falso chiedendo la condanna dell’Unita’. Venne il turno dell’interrogatorio di GINO ZUCCHELLI, ammesso a testimoniare come persona a conoscenza dei fatti. In quell’aula piena fino all’inverosimile, Zucchelli appariva calmo, quasi rilassato, con un filo di ironia sulle labbra forse perché pensava a quello che avrebbe provocato la sua testimonianza. Il Presidente – finiti i preliminari – chiese a Zucchelli: “ Lei,sig. Zucchelli Gino, dichiara di avere visto nel giugno del 1944 questo manifesto affisso sui muri della sua città, Massa Marittima. E’ cosi, vero? E, preso dal tavolo un foglio, lo apri mostrandolo a tutti; era la copia del manifesto ingrandita, esatta in tutti i dettagli di stampa con il famoso rigo centrale scritto a penna, identico al testo pubblicato dall’Unità.
Zucchelli, senza scomporsi, apri una capiente borsa che aveva posato in terra vicino al posto dove era seduto, estrasse un voluminoso fascicolo legato con dei treccioli; la grossa cartella conteneva tutto il carteggio che il Comune di Massa Marittima aveva avuto nel 1944, la apri e prese un manifesto verde, un pò consunto dal tempo ma sempre in ottime condizioni, e, rivolgendosi al Presidente le disse: no, Sig. Presidente, non conosco il documento che lei mi sta mostrando; io conosco questo ed è questo quello che io ho visto affisso sui muri di Massa Marittima. Un addetto prese il manifesto dalle mani di Zucchelli e lo consegnò al Presidente il quale, dopo avere tolto uno spillo che lo teneva ripiegato in quattro, lo aprì interamente e lo mostrò a tutti. Zucchelli aggiunse: “ questo manifesto è custodito nell’archivio storico di Massa Marittima ed è l’unico che rimane degli originali che furono affissi “.
Assieme ad esso, a prova inequivocabile della sua autenticità, le consegno anche il libro protocollo del Comune di Massa Marittima dove è registrata l’avvenuta spedizione dalla Prefettura di Paganico e tutti gli altri documenti comprese le lettere d’accompagnamento e le risposte dei vari presidi militari che operavano nella zona. Vidi chiaramente il Sen. Nencioni sbiancare in volto ed anche Almirante ebbe come un gesto di stizza.Lo sgomento dei fascisti era palpabile. La tensione si tagliava a fette: Almirante, nel giro di pochi minuti da accusatore si ritrovava ad essere accusato. L’avvocato Nencioni si decise a parlare. Chiese un immediata perizia cartografica del manifesto e degli altri documenti. Chiese di accertare se la Tipografia Vieri di Roccastrada era esistita veramente e naturalmente l’acquisizione di tutta la documentazione. L’imbarazzo era fortissimo; la testimonianza di Zucchelli aveva fatto crollare l’intera montatura di Almirante.
Dopo una lunga pausa il Presidente chiese a Zucchelli con un tono molto più cordiale: “ Sig. Zucchelli, ma come fa a ricordare proprio il nome di Almirante dopo cosi tanto tempo? “. E Zucchelli rispose: “ Lo ricordo bene, Sig. Presidente perché negli anni “ 30 “ un certo Almirante era un attore abbastanza affermato, faceva spettacoli teatrali (era proprio il padre di Giorgio Almirante) ed io essendo stato un appassionato non potevo dimenticarmi quel cognome.
Chiese ancora il Presidente: “ secondo lei, Sig. Zucchelli, questo manifesto provocò delle conseguenze? Si, “ Sig. Presidente e signori della Corte, provocò la strage di Niccioleta, cioè la fucilazione di 83 minatori perché nessuno si era presentato alla scadenza del bando e i fascisti e i tedeschi scatenarono la loro rabbia su Niccioleta, covo di antifascisti e di comunisti. Terminò cosi il primo processo intentato da Almirante. Successivamente ve ne furono molti altri contro giornali della sinistra, l’Avanti e Il Manifesto in particolare. In tutti questi processi testimoniò con fermezza e grande capacità dialettica, GINO ZUCCHELLI e Almirante e i suoi famosi avvocati uscirono sconfitti. La parola di Gino Zucchelli si alzò forte, implacabile; fu un atto d’accusa terribile contro il fascismo, responsabile della più orrenda strage di operai, quella di Niccioleta, di tutta la storia della resistenza. Dedico questo ricordo – per molti inedito – ai giovani, a quanti non hanno saputo e non sanno, ai cittadini tutti della Città e del Comune di Massa Marittima e alla memoria di Gino Zucchelli, comunista, antifascista, indimenticabile compagno e amico carissimo.
Nedo Barzanti


Vedi inoltre, su incidenze:

Strade pericolose (di Franco Bergoglio)


Le fotografie del cippo ai martiri di Niccioleta inserite in questo post, opera di Giovanni Baldini, sono tratte dal sito ResistenzaToscana.it

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Da il manifesto del 01 Giugno 2008
l'intervento
Neo-fascismo e antifascismo, un'Italia senza memoria
Raul Mordenti


Il manifestarsi aperto e ripetuto del neofascismo a Roma porta alla luce la devastazione politico-culturale che l'ha reso possibile. Non si tratta solo del fatto si sono attesi i pogrom contro gli zingari, i pestaggi contro i gay e i diversi, le spedizioni squadristiche armate contro gli studenti per accorgersi che, forse, nella Roma felix veltroniana qualcosa non andava. Si tratta soprattutto di capire quale fascista immagine del fascismo sia stata lasciata passare in questi anni, fino a che essa è potuta diventare senso comune, egemonia. Ha detto tutto, a questo riguardo, il bellissimo fondo di Sandro Portelli sul Manifesto del 27/5.
Vorrei solo aggiungere qualche considerazione da testimone oculare di un'altra epoca in cui il neofascismo manifestava egemonia (un'egemonia che, anche allora come ora, si trasformava in violenza): mi riferisco all'Università di Roma quale fu fino all'assassinio di uno studente ventenne, Paolo Rossi, il 27 aprile 1966 sulle scale di Lettere. E prima di quell'omicidio a Ferruccio Parri era stato impedito, a sputi, di partecipare a un seminario; i neo-fascisti del Fuan (anche allora!) avevano vinto le elezioni universitarie, con i liberali e i democristiani di destra; e anche allora non si contavano le violenze: studenti colpevoli di avere in tasca Paese Sera (impensabile farsi vedere con l'Unità) picchiati a sangue, studentesse ebree insultate e minacciate; e anche allora Polizia, Magistratura e «libera» stampa minimizzavano e nascondevano, e parlavano di «risse». Per questo mi corrono brividi nella schiena vedendo in questi giorni riproporsi identiche la viltà del nascondimento e l'infamia dell'equiparazione fra aggressori e aggrediti.
Occorre ricordare che maturò proprio intorno agli ambienti romani del Fuan (di cui Gianfranco Fini era dirigente nazionale) la strategia della tensione che avrebbe insanguinato l'Italia: proprio lì il Msi di Rauti, Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale di Delle Chiaie, reclutarono i futuri attori della strategia della tensione, delle azioni terroristiche e dei rapporti più sordidi con i servizi segreti. Noi ventenni antifascisti di allora possiamo testimoniare tutto ciò a un Paese privo di memoria (perché è privo di coscienza civile) e potremmo anche testimoniare, nome per nome, che proprio i ventenni squadristi e neofascisti di allora si ritrovano adesso nei posti di responsabilità del Governo e del Comune, nei giornali, nella Rai, nei luoghi di potere dell'Italia berlusconiana.
Per questo è imperdonabile che il dibattito su Almirante cancelli del tutto e rimuova il neo-fascismo degli anni Sessanta e Settanta, di cui Almirante fu guida e protagonista. E prima si era cancellato il fascismo stesso, riducendo le sue colpe alle sole leggi razziali; così che la questione delle colpe dei fascisti sembra appartenere soltanto alla comunità ebraica romana, la quale, francamente, nei suoi attuali dirigenti non si dimostra all'altezza di tanta responsabilità etico-politica (e Dio perdoni l'on. Fiano del Pd per l'equiparazione proposta fra Almirante e Togliatti, entrambi per lui egualmente indegni della titolazione di una via).
Ma il fascismo è stato fascista e infame sia prima del '38 che dopo il 25 aprile del '45: lo è stato prima del potere, quando impediva gli scioperi, devastava e bruciava le sedi e i giornali del movimento operaio, massacrava di botte gli antifascisti o li ammazzava; e lo è stato dopo il '22, quando distruggeva sistematicamente le libertà, esiliava, corrompeva, confinava, uccideva gli oppositori coi suoi sicari o con il carcere. E il fascismo è stato infame e razzista già in Africa (prima di Hitler!) con i gas e le stragi di civili e con leggi razziali che punivano la contaminazione dei dominatori italici con l'impuro sangue africano. Così anche il neo-fascismo è stato fascista e infame negli anni Sessanta e Settanta: io ricordo Giorgio Almirante, con il cappellino piumato - lo ha ricordato in un prezioso commento Tommaso Di Francesco sul Manifesto del 30/5 - guidare nel '68 un sanguinoso assalto squadrista, ma sono centinaia gli attentati e le aggressioni di cui il suo partito si rese responsabile; e (chissà perché?) finivano tutti senatori del Msi i golpisti e i capi dei servizi «deviati», da De Lorenzo a Miceli. Insomma: se anche Almirante non fosse stato il redattore capo della «Difesa della razza» e non avesse mai firmato bandi per fucilare i partigiani, egli sarebbe stato egualmente un nemico giurato della democrazia italiana, da condannare eticamente e politicamente (altro che «padre della Patria» da omaggiare unanimi in Parlamento!).
Ma per osare dire oggi questa semplice e incontestabile verità occorre mettere in discussione oltre che il fascismo anche il neo-fascismo, cioè il Msi, cioè l'intera storia dei suoi ex-giovani che oggi ci governano: c'è qualcuno che ha il coraggio etico-politico di sollevare questo problema, magari fra una cena con Donna Assunta e l'altra?

Anonimo ha detto...

E' dufficile commentare un post così ben documentato e pieno di passione civile e democratica.
Che dire? Chi sembrava sepolto dalla Storia vuol riprendere, col solito, insopportabile miscuglio di ignoranza, violenza ed odio il "suo" posto: che come sempre, ha sempre rubato a coloro a cui spettava cioè la gente onesta, i lavoratori e chi vive per il progresso e l'uguaglianza.
La borghesia che come diceva Gramsci, trovò nel fascismo la sua naturale espressione, continua a non perdere il vizio. E purtroppo, non si tratta di una favola.
Però, no pasaran! (neanche stavolta) A tutti noi, comunque, il dovere politico, morale e culturale di saper combattere questa battaglia. A volte, anche la rete internet può aiutare a fare un po' di sana controinformazione, perchè come dice antifa, il fascismo sta diventando davvero "senso comune"

Unknown ha detto...

Ringrazio antifa per aver riproposto qui l'articolo di Raul Mordenti, che solleva molti problemi cruciali. Avrei voluto svilupparli, ma il tempo passa e mi rendo oramai conto che, per varie ragioni, non ce l'ho fatta a farlo qui ed "ora" (quasi un mese!).
Rilancio, dunque, fornendo qualche riferimento:

L'articolo di Alessandro Portelli indicato da Mordenti, che potete trovare qui.

E tre articoli sul tema (tra i vari che ho linkato nella rubrica "Posizioni" di "incidenze3):

Sull'Almirante de dopoguerra, segnalo un testo forte di Gennaro Caronenuto: Via Giorgio Almirante, terrorista, e sui temi in questione con una pagina da antologia sull'onnipresente Assunta Almirante, Allarmi siam fascisti di Vincenza Perilli. Molto interessante, a proposito dei tentativi di isolare come unico male del fascismo le leggi razziali, per salvarne e valorizzarne "tutto il resto", Memoria per dimenticare di Rosalucsemblog.

Riguardo al pericolo di una destra post-neo (o neo-post) fascista "che – avendo letto e 'rovesciato' Gramsci – ha imparato a ragionare e muoversi in una prospettiva di egemonia" rinvio al mio Il Grande Dialogo.

Per Riccardo Uccheddu: ti ringrazio per il tuo intervento. Ho visitato il tuo blog, ed ho visto con interesse che hai, tra l'altro, lavorato ad un'edizione delle Lettere dal carcere di Gramsci e che fai una lucida diagnosi della sorte riservata a questo autore da una cultura (dominante) italiana in cui - come scrivi nel tuo blog - celebrato e rimosso...
E persino, aggiungerei, "rovesciato" o ridotto a feticcio bipartisan

Anonimo ha detto...

Il revisionismo toponomastico ormai è scatenato e si spande perfino nella ex Emila Romagna ex rossa a Ravenna con l'appoggio del PD e di e di Rifondazione.

Da Emilia Romagna Indymedia:



NO ALLA VIA IN MEMORIA DEL FASCISTA CALVETTI A RAVENNA

La decisione della Circoscrizione del mare di intitolare una strada al fascista Calvetti, votata dal PD e da Rifondazione, non solo ha dell’incredibile ma mette in evidenza come i valori della Resistenza non appartengano in alcun modo alle forze politiche che governano questa città!
Da diversi anni è in atto un opera di revisionismo storico che volendo mettere sullo stesso piano fascisti assassini e Partigiani eroi cerca di realizzare quello che viene definito un processo di pacificazione. In realtà questo significa solo affossare la memoria storica e riscrivere la storia dell’Italia e delle masse protagoniste della Liberazione, attaccando la guerra di Liberazione e i Partigiani si vuole attaccare il diritto dei popoli alla ribellione.
La nostra città, medaglia d’oro alla Resistenza, rifiuta e combatte qualsiasi rigurgito fascista, sia esso espressione delle istituzioni sia esso proveniente da forze esplicitamente di estrema destra, così come avvenuto a Lido Adriano il 15 giugno quando si è impedito alla Fiamma Tricolore di ostacolare l’esercizio del diritto di voto agli immigrati .
Tra politiche di allarme sociale che volgono verso la militarizzazione della città, provvedimenti restrittivi delle libertà, criminalizzazione degli immigrati e dei giovani, cancelli antimmigrati ai giardini Speyer, concessione di permessi a forze fasciste per manifestare davanti i seggi elettorali degli immigrati, ronde da Marina a Punta della Fiamma Tricolore….crediamo che sia necessario anziché intitolare una via al fascista Calvetti recuperare e dare forza ai valori della Resistenza che oggi più che mai sono urgenti e necessari a contrastare e combattere questa deriva moderno fascista.
Proponiamo che venga intitolata una strada o una piazza anziché ad un fascista ad un giovane operaio che cercava di farsi una vita ma che gli è stata portata via il suo primo giorno di lavoro al porto di Ravenna l’ 1-9-06.
Ravenna e le istituzione dovrebbero ricordare Luca Vertullo e gli altri operai morti sul lavoro piuttosto che riesumare dalla fossa un sindaco fascista sepolto!

Red Block Ravenna

Unknown ha detto...

La dedica di una via al fascista Celso Calvetti, approvata a Ravenna da PD e PRC, conferma che la contestata proposta di una via Almirante a Roma avanzata da Alemanno è la punta di un iceberg.
Se si fa attenzione a fenomeni apparentemente "modesti", meno "clamorosi", al tessuto "ordinario" delle decisioni amministrative, si vede chiaramente che questa è in realtà una tendenza bipartisan, egemonizzata, certo, dalla destra "neo" e/o "post" fascista, ma con ampie collaborazioni attive da parte di forze che si vorrebbero eredi dell'antifascismo.

Integro l'informazione che mi hai trasmesso (grazie:-), rinviando ad un post pubblicato oggi blog dell'AAP di Bologna che fornisce inoltre informazioni storiche-politiche e relativi link.

Anonimo ha detto...

Ci riprovano ...
Ti giro articolo de L'Arena
v.

Da L'Arena del 9 agosto 2008

IL DIBATTITO. La proposta, da discutere a settembre, riguarda l?intitolazione di un?area verde a Borgo Venezia. Ma Massimo Mariotti (An) rilancia «Parco Almirante? In centro»Il presidente dell?Amt: «Una dedica periferica è riduttiva per un uomo del suo spessore»


Elisa Pasetto «C?è qualcuno a cui non piace l?idea di intitolare un parco di Borgo Venezia a Giorgio Almirante? Io invece trovo che un?area in una zona periferica della città sia riduttiva per un personaggio del suo spessore. Servirebbe una via del centro». Così Massimo Mariotti, presidente di Amt ed esponente di An, interviene nel dibattito sull?eventualità di dedicare al leader del Movimento sociale un parco nel territorio della sesta circoscrizione, così come proposto dal consigliere di Alleanza Nazionale Davide Danzi. Decisione che, slittata dal consiglio circoscrizionale di fine luglio a una delle prime sedute di settembre, fa discutere prima ancora di essere presa. «Non mi spiego queste reazioni negative», commenta Mariotti riferendosi a quella del presidente della Comunità ebraica veronese, che aveva scritto al presidente della circoscrizione Mauro Spada opponendosi alla dedica a un personaggio che definisce «non degno di una tale onorificenza». «Almirante è stato per 50 anni protagonista della scena politica italiana», continua il presidente Amt, «ha il merito di aver traghettato la Destra storica, attraverso l?Msi, verso la nascita di Alleanza Nazionale. Per questo è stata persona benvoluta anche dai suoi avversari». E Mariotti sottolinea come anche a Verona, di fronte alla proposta, nessuno degli esponenti politici di spicco del centrosinistra abbia avuto da ridire: «A reagire sono stati solo i centri sociali e la comunità ebraica. Esprimo quindi solidarietà ai consiglieri di An della sesta circoscrizione e auspico che questa proposta sia accolta bene anche dai nostri alleati». Intanto Mauro Spada precisa: «Qualsiasi consigliere della circoscrizione può presentare un ordine del giorno e io, in quanto presidente, se non è offensivo o blasfemo, non posso non considerarlo. Ma la decisione finale sta ovviamente al Consiglio». E a proposito della lettera inviatagli dal presidente della Comunità ebraica Carlo Rimini, aggiunge: «L?ho ricevuta qualche giorno dopo il Consiglio in cui era prevista la discussione sull?intitolazione, ma non ho risposto perché, con l?assessore alla Cultura della Comunità ebraica Roberto Israel, avevamo già in programma un incontro al rientro dalle ferie per discutere su questa e altre questioni». In primis, spiega Spada, l?idea di organizzare alcune iniziative all?interno del cimitero degli israeliti in occasione della Giornata della Memoria. La proposta, ovviamente, sarà sempre sottoposta all?approvazione del «parlamentino» della Sesta. «Ne ho già parlato con Israel, ne riparleremo a fine agosto. Quanto all?intitolazione, per il momento preferisco non esprimermi: sarà il mio voto a parlare per me».

Anonimo ha detto...

Pietrasanta(LU): violenza fascista al caffé la Versiliana

(segnalato ad infoantifa il 19 agosto 2008)

Violenza fascista alla Versiliana

Ancora una volta il volto violento della destra viene fuori. Al caffè la Versiliana di Marina di Pietrasanta lo squadrismo fascista colpisce esponenti antifascisti locali che dopo l’ennesima affermazione apologetica protestavano pacificamente.
L’affermazione "state facendo apologia di reato” fa scatenare la rabbia dei nostalgici del fucilatore Giorgio Almirante che lanciano seggiole contro gli antifascisti e la polizia che si era frapposta. Negli episodi un giovane compagno viene colpito al naso da un cazzotto.
Al caffè la Versiliana la violenza fascista passa dalla teoria alla pratica mostrando che un simile caffè ha ormai connotati apertamente anticostituzionali.

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Da
Il Tirreno


Alla Versiliana seggiolate e pugni agli antifascisti che contestavano
Finisce a botte l’incontro su Almirante

Luca Basile Donatella Francesconi


Volantini e cori partigiani contro il talk show sulla figura dell’ex leader Msi PIETRASANTA. Finisce in rissa e con due identificati l’incontro dedicato a Giorgio Almirante, leader storico della destra, ieri pomeriggio al Caffè della Versiliana di Marina di Pietrasanta. Un incontro duramente contestato da esponenti della sinistra e che è poi degenerato in calci, pugni e tafferugli davanti a una platea sconcertata e impaurita. L’episodio chiave è stato un’aggressione iniziale, anche a colpi di sedie.
C’era allerta per il tema dell’incontro, con carabinieri e polizia, presenti in discreto numero; il conduttore, Romano Battaglia, ha raccontato che intorno alle 17 la Digos aveva controllato palco e platea, dopo due telefonate anonime che annunciavano la presenza di una bomba.
Quando l’incontro è iniziato, su un lato si sono radunati una trentina fra attivisti di Rifondazione, Pdci e esponenti di Dada Viruz Project impegnati a distribuire volantini dove Almirante veniva definito «fascista, razzista e assassino», per un Caffè della Versiliana definito «sempre più nero». Poi il piccolo corteo si è trasferito a bordo palco, dove dibattevano il senatore Franco Servello, il giornalista Aldo Di Lello e il costituzionalista Paolo Armaroli, coordinati da Battaglia. A margine di un commento di Armaroli sul ruolo politico di Almirante si è levato un grido: «Questa è apologia di reato». Sull’istante, è parso l’annuncio dell’abbandono dell’incontro da parte della sinistra. Invece quelle parole hanno innescato una gazzarra.
Due spettatori si sono alzati dalla platea. Uno di questi, brandendo una sedia, si è scagliato contro uno dei contestatori. La sedia però ha colpito - come confermato dalla polizia - un poliziotto in borghese della Digos di Lucca. A quel punto il caos è degenerato in tafferugli sparsi; due persone sono finite per terra fra calci e pugni, poi divise dai poliziotti con fatica. Poi insulti, accuse reciproche, appellativi vari, “fascisti”, “comunisti di merda” e cori partigiani a conferma della delicatezza di un appuntamento che aveva lasciato i più perplessi, fin dal primo momento in cui era stato inserito in cartellone.
Alla fine del dibattito i due spettatori protagonisti dell’episodio iniziale sono stati identificati dagli agenti del commissariato di Forte dei Marmi.
Si tratta di due professionisti campani; uno di loro si sarebbe qualificato come un dirigente di An. Alla polizia ha detto: «Farò intervenire dei senatori che conosco bene». Dura la reazione dei due, davanti agli agenti: «Ci chiedete i documenti davanti a tutti - ha detto uno dei due rivolgendosi al dirigente di Ps - abbiamo dovuto ascoltare quelle insolenze e voi stavate a proteggerli...». Sull’altro versante, toni opposti. Secondo Dada Viruz Project, negli scontri un giovane dei contestatori è stato ferito al naso da un pugno.
Impegnato a Torre del Lago dove presiede il Festival Pucciniano, il presidente della Fondazione Versiliana, Massimiliano Simoni, coordinatore territoriale di An, è arrivato quando tutto era già finito. «Se a vent’anni dalla morte di Almirante non si può nemmeno parlarne in pubblico - è stato il suo commento - allora non mi preoccupa la deriva giovanile dei contestatori, ma il clima creato e sostenuto da persone come l’ex vicepresidente del Senato, Milziade Caprili, che con le sue dichiarazioni sulla stampa è il responsabile di quanto accaduto». Accompagnati dai poliziotti all’uscita, i contestatori hanno preannunciato una denuncia contro i due identificati. «Abbiamo ascoltato per 10 minuti, in silenzio: all’ennesimo intervento teso a celebrare la figura di Almirante, che - lo dice la storia - avallò le leggi razziali, ci siamo limitati a gridare “fate apologia di reato”. E’ bastato questo per scatenare la reazione di alcune persone presenti in platea e uno di questi ci ha aggredito. Questo è fascismo».
(20 agosto 2008)

Unknown ha detto...

Ringrazio V. e antifa. E' importante mappare il reticolo diffuso di iniziative e/o provocazioni tese a riabilitare Almirante (e altri fascisti o neofascisti), al punto che ho esitato a rispondere ai vostri commenti, chiedendomi se non fosse caso il caso di preparare un altro capitolo di "Almirante, per esempio".
Ma richiederebbe una riorganizzazione, un "rilancio" del discorso che, anche per motivi tempo, non sarei ora in grado di fare.

Il caso di Verona - segnalato da v., che ancora una volta ha saputo portare l'attenzione su un focolaio strategico - è un nodo rilevante (strategicamente e simbolicamente).
Sì, ci hanno riprovato, sfacciatamente, anche a Verona (caput fasci). Oltraggiosamente, a pochi mesi dall'uccisione di Nicola Tommasoli.
Ci hanno provato, ma hanno incontrato forti resistenze. Notizie recenti riferiscono che hanno dovuto fare retromarcia (almeno per il momento...).
Come riferisce il comunicato del circolo Pink di Verona, Peoposta indecente che riproduco di seguito:

"Lunedì 26 agosto, ore 23.00: il pubblico antifascista presente in 6a circoscrizione applaude dopo che il consigliere di AN Danzi ha ritirato dall'ordine del giorno la proposta di intitolare a Giorgio Almirante la Piazza angolo Via Verdi Via Ponchielli.
Forse è stata la prima (e anche ultima?) volta che un consigliere di AN è stato applaudito da antifascisti veronesi, e probabilmente se ne ricorderà.
Evidentemente, la presenza di tanta gente in circoscrizione ha funzionato: non si poteva accettare l'idea che a un fascista come Almirante si intitolasse una piazza o una strada di Verona. Di fascisti ne abbiamo già tanti che girano per la città, non si sente proprio il bisogno di ricordare un personaggio che ha appoggiato le leggi razziali e ha firmato bandi contro i partigiani durante la Resistenza.
Quella del consigliere Danzi era una proposta indecente, ma purtroppo in linea con il corso della attuale Amministrazione della città di Verona. Ritirarla è stata una decisione di buon senso, anche perché forse non tutti erano in accordo con Danzi (quelli della sua parte, naturalmente).
Dopo la morte di Nicola Tommasoli le cose a Verona pare non siano ancora cambiate, e questa proposta (dopo le scritte filonaziste comparse sul cimitero ebraico poche settimane fa) ne è il segno più tangibile. I continui tentativi di richiamare le pagine più buie della storia d'Italia per tentare di legittimarle stanno a significare come i comportamenti fascisti e razzisti continuino ad essere il pane quotidiano di molte persone nella nostra città, nonostante ciò che sosteneva la petizione delle 10.000 firme di solidarietà consegnate al Sindaco dopo la morte di Nicola Tommasoli, e come invece denunciavano le 10.000 persone che hanno manifestato sabato 17 maggio, senza ricevere alcuna risposta".

La provocazione della Versiliana - segnalata da antifa - mostra fin troppo bene l'essenza della "pacificazione" che AN cerca di imporre.
Persino l'apparentemente patetico atteggiamento del dirigente di AN, che vanta aderenze in alto loco [«Farò intervenire dei senatori che conosco bene»] manifesta brutalmente, ma efficacemente, la sensazione (e/o la consapevolezza) di un'impunità garantita e incoraggiata dalle forze attualmente al potere.