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venerdì 30 novembre 2012

L’energia dell’errore - Viktor Šklovskij



L’energia dell’errore. Libro sul soggetto
 

Meditare milioni di possibili associazioni
per sceglier tra di esse una su un milione,
è terribilmente difficile.
s
Lev Tolstoj, lettera a Fet, 17 novembre 1870.



Queste parole sono state inserite nel titolo con l’autorizzazione di Lev Nicolaievič Tolstoj.
Nell’aprile 1878 egli scriveva a N. N. Strachov di provare un senso di impreparazione al lavoro, alla tensione; la tensione è necessaria quando si è trovato e scelto.
Egli consola N. N. Strachov, che si lagna della difficoltà del lavoro:

«Conosco molto bene questa sensazione – addirittura, ora, negli ultimi tempi, la sto provando: tutto parrebbe pronto per scrivere – per compiere il proprio dovere terreno, ma manca la spinta della fede in se stessi, nell'importanza della causa, manca l’energia dell’errore; quella spontanea energia terrena che è impossibile inventare E non si può cominciare».

Tutto questo riguarda la spontaneità delle forze della natura, che operano in modi diversi e non immediati, e creano quella confusione che chiamiamo mondo.
Una volta, sorridendo, Majakovskij scrisse sulle «cose dell’altro mondo»:

Un vecchio disegno, non si sa di chi.
Un primo disegno non riuscito di una balena.

Niente riesce senza fatica. I fiori sbocciano e gli uccelli arrivano al momento giusto solo dopo molte ore di preparazione.

sabato 2 giugno 2012

Rino Gaetano, 2/6/1981 - 2/6/2012



Rino Gaetano
29 ottobre 1950 - 2 giugno 1981


                                                Gianna (Sanremo 1978)                     

venerdì 4 novembre 2011

Venezia, il jazz e gli ex sindaci-filosofi, di Franco Bergoglio



 
Cento colpi di spazzole e Cacciari

Venezia, il jazz e gli ex sindaci-filosofi


di Franco Bergoglio

Anni passati a studiare la semanticità della musica (cioè se le note abbiano un significato altro rispetto a quello acustico) e i rapporti tra il free jazz e la politica. A giudicare da quanto comparso in rete e sui giornali negli scorsi giorni, anni spesi male. Bastava leggersi una ordinanza del Comune di Venezia, vecchia di una decina d’anni -imputabile alla giunta Cacciari, come puntigliosamente nota Mario Gamba sul Manifesto del 21 settembre scorso  per rendersi conto dell’inutilità degli sforzi.
Riassumo la vicenda ad uso dei marziani capitati in Italia per diporto. Venezia notoriamente soffre dei problemi legati ad un ecosistema delicato. Il turismo di massa ne rappresenta la fonte di sopravvivenza, pur comportando una serie di disagi legati alla quotidiana invasione di orde fameliche di monumenti, di ponti, di fotografie, di gondole. Sarebbe bello avere i soldi dei turisti, risparmiandosi gli effetti collaterali: la loro presenza fisica, il vociare rumoroso, i rifiuti, i venditori ambulanti…Alt. Da quando gli effetti collaterali con i bombardamenti americani sono politically correct e Maroni ha previsto super poteri a super sindaci, tutto questo si può risolvere.

Ci teniamo i turisti ma con una ordinanza ad hoc spazziamo via quanto non sembra lucroso. Via i lavavetri da Firenze, il divieto di nomadismo ad Assisi, no al rovistare nei cassonetti a Roma. Niente ideologia: i sindaci sceriffi di destra sono più creativi, quelli del centrosinistra più burocrati, ma la fabbrica delle ordinanze gira a pieno regime (sic!). Alcune ordinanze avrebbero mosso a invidia un poeta surrealista: non si possono scavare buche nella sabbia sulla spiaggia di Eraclea o indossare zoccoli a Capri. Queste ordinanze puzzano di visione classista: i colpiti sono i migranti, i barboni, i poveri, gli artisti da strada, i giovani. Il leghista Tosi di Verona ha ordinato che agli accattoni vengano sequestrati i beni e inflitta una multa: non gli rimane che distribuire latte più e aizzargli contro la banda di Arancia Meccanica


In un paese che non riesce a mandare in galera i corrotti, a far pagare le tasse ai dentisti o a far rispettare una fila, i sindaci vorrebbero normare l’universo. Gobetti ci aveva avvertito: un po’ di fascismo ce lo portiamo nel dna; sommato a un aberrante conservatorismo straccione. Magari il vicino di casa dell’assessore di Forte dei Marmi deve fare la pennichella di sabato e spunta il veto dell’amministrazione: non si può usare il tagliaerba nei pomeriggi festivi. In uno stato dove il Presidente del Consiglio dispone di un corpus di leggi ad personam, perché negarsi una ordinanza sindacale? Il vanto occidentale della libertà individuale si sbriciola nel Lombardo-veneto leghista. Non si può mangiare il Kebab a Cittadella o giocare a cricket a Brescia.

Peccato che oggi il kebab si faccia anche con la carne di fassone piemontese e che il cricket, oltre a pachistani e indiani poveri piaccia anche a inglesi, sudafricani, e australiani. Torniamo a Venezia, dove una summa di divieti colpisce i “poveri” rei di voler cogliere le briciole del turismo. Divieto di elemosina, accattonaggio, portare borsoni (quelli dei venditori ambulanti) e fare pic nic. Sia il turista spartano che la famigliola borsafrigo devono farsi rapinare in un bar di Piazza San Marco.

E anche per il problema di inquinamento acustico la giunta Cacciari si era attivata. Il cruccio è reale, la soluzione trovata all’epoca una grottesca “ordinanza creativa” che regolamentava i generi musicali ammissibili in città, tanto che oggi, dopo una rivolta del web che ha rinfocolato lo sdegno per quel vecchio provvedimento mai decaduto, l’attuale assessore Tiziana Agostini ha promesso dalle pagine del settimanale La Nuova di Venezia di correggere il pasticcio: “La malattia era reale – l’inquinamento acustico – la medicina avvelenata: stiamo riscrivendo la delibera cancellando le prescrizioni di tipo culturale, figurarsi se mi sogno di proibire una musica rispetto ad un’altra”. Quali erano dunque le musiche proibite? Il rock, che non viene nominato tra i generi ammessi, cancellando con un colpo di spugna cinquant’anni di storia. Invece sotto la voce jazz/dixieland, accettato in via teorica, si legge:“E’ escluso il jazz sperimentale, quale il free jazz, che essendo dissonante potrebbe essere di disturbo” ...
 
continua:  articolo completo su Nazione indiana

domenica 14 novembre 2010

Deleuze - Boulez - Berg


Gilles Deleuze
Vincennes, 1975-1976


La storia fatta dai grandi compositori non è una storia conservatrice ma al contrario una storia di distruzione pur amando l'oggetto che si distrugge. Boulez lo dice a proposito delle forme musicali in Berg.





L'histoire faite par les grands compositeurs est non pas une histoire conservatrice mais une histoire de destruction tout en cherissant l'objet quo'n detruit. Boulez le dit à propos des forrmes musicales chez Berg.
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mercoledì 30 settembre 2009

Viktor Šklovskij - «originale»


Un mio amico del «Lef»
[*], uomo curioso e con abilità insospettate, mi raccontava la teoria della vendita di cravatte.
Si offrono al compratore alcune scatole si cravatte. Fra queste, una non assomiglia a nessuna delle altre. Viene detta originale. Il compratore cerca a lungo quella che soddisfi il suo spirito. Sceglie la cravatta originale.
La fabbrica produce in serie unicamente cravatte originali. Le altre, quelle non originali, esisto solo per mettere il compratore sulla giusta traccia. Così i battitori portano l'orso verso il fucile.




Viktor Šklovskij, Majakovskij (1940)
trad. it di M. Olsufieva,
Majakovskij. Futurismo, strutturalismo e formalismo,
Il Saggiatore, Milano, 1967



________________

[*] Lef - rivista pubblicata Majakovskij a Mosca dal 1923 al 1925, il « Nuovo Lef» uscì dal 1927 al 1928. la sigla sta per «Fronte sinistro delle arti». Facevano parte del gruppo non soltanto poeti futuristi ma anche critici e narratori «formalisti».

domenica 15 luglio 2007

Agnolo Poliziano: Fabula di Orfeo, regia di Stefano Armati (1986)

Lo stato dei Giardini del Guasto di Bologna, situati nel cuore della zona universitaria, dal finire degli anni 70 ha subito un andamento per così dire "pendolare", alternando stagioni di notevole produttività artistica e culturale ad altre di completo abbandono. Oggi, un po' nel solco della felice invenzione di aperture pomeridiane con accesso consentito ai soli "adulti accompagnati da bambini" (era il 2002) i Giardini presentano un rinnovato ad intenso programma di iniziative.

Vorrei salutare questo rilancio rievocando un primo (forse il primo) tentativo non poliziesco (e riuscito) di sgomberare il terreno dei Giardini dalle siringhe e dall'incuria, era l'ormai lontano '86, e fu un incrociarsi di persone, di opere, di idee, di percorsi, saperi, esperienze. Tra le cose per me indimenticabili - e non dimenticate - la realizzazione della Fabula di Orfeo curata dal multiforme ingegno di Stefano Armati [qui, in foto(copia...), nei panni di Orfeo]. Ripubblico qualcosa dalla presentazione e dal libretto della serata del quale avevo curato la redazione e la realizzazione grafica.






Mercurio annunziatore della festa:

"Silenzio, Udite. El fu già un pastore
figliuol d’Apollo, chiamato Aristeo:
costui amò con sì sfrenato ardore
Euridice che moglie fu di Orfeo
che seguendola un giorno per amore
fu cagion del suo caso acerbo e reo
perché fuggendo lei vicina all’acque,
una biscia la punse e morta giacque.
Orfeo cantando all’inferno la tolse,
ma non poté servar la legge data,
che ‘l poverel tra via drieto si volse;
sì che di nuovo ella gli fu rubata;
però mai più amar donna non volse.
e dalle donne gli fu morte data."







“Solo uno sa che, in tutte le esperienze più
intense e produttive della nostra vita, felicità e
tormento sono la stessa cosa: l’uomo creativo.
Ma molto tempo prima di lui una creatura umana,
che amava, ha già teso le mani verso una stella
senza sapere se chiedeva piacere o sofferenza.”


Lou Andreas-Salomé


È molto bello che – in una circostanza come questa – venga proposta un’opera nata in un’epoca in cui “la letteratura vien fuori tra danze, feste e conviti (De Sanctis) e scritta “in tempo di dui giorni, intra continui tumulti, in stilo vulgare perché dagli spettatori meglio fussi intesa (Poliziano).

Arte d’occasione, certo, ma di alto livello; rapida composizione che ha, tra le sue condizioni di possibilità, un’assidua e sapiente frequentazione dei classici, un’intensa e rigorosa attività filologica e storica, una raffinata conoscenza ed esperienza della scrittura in lingua volgare.

La Fabula di Orfeo, che il Poliziano – fin quasi alla fine della vita – era propenso a sopprimere, così come era in uso tra i Lacedemoni “quando alcuno loro figliuolo nasceva o di qualche membro impedito o delle forze debile”, è venuta a costituire, malgrado il giudizio e le aspettative dell’autore, un capitolo fondamentale – il primo – del teatro erudito del Rinascimento.

Secondo l’interpretazione tradizionale – tuttora diffusamente accolta – la Fabula, conservando le apparenze esteriori del teatro medievale, ne sovvertirebbe i termini, sostituendo figure pagane a quelle della tradizione cattolica.

Diversamente, D’Amico, rileva che questa composizione è, anche dal punto di vista formale, altra cosa dal dramma sacro, in quanto gli eventi non sono posti materialmente di fronte allo spettatore, ma “‘riferiti’ da narratori aggraziati, attraverso racconti più o meno dialogati ed effusioni sospirose ed elegiache”. In questa chiave la fabula è “meglio che un dramma, un seguito di scene […] da gustare soprattutto per ‘pezzi’, come oggi certe opere in musica”.

Possiamo leggere la Fabula come una serie di “esercizi di stile”, una composizione (in un significato molto vicino a quello che il termine ha in musica): la scrittura cita le narrazioni classiche del mito di Orfeo, inserisce espressioni del parlato popolare, traduce, riorganizza, riscrive, ordina i materiali e i frammenti che sceglie dalla tradizione, in diverse forme poetiche e mutandone – insieme – il tono e il colore.

Il risultato non ha, evidentemente, né la gravità, né lo spessore, né l’intensità dei luoghi di Ovidio e di Virgilio che il Poliziano ha presenti, e che ripete, variati.

La Fabula è tremendamente superficiale: “eterea”, “impalpabile”, adolescenziale”, “rarefatta”: i termini costituiscono il linguaggio corrente, e quasi obbligato, della letteratura critica.

Ed è probabilmente questo il segreto del suo fascino, non disgiunto dalla assoluta innocenza degli eventi che compongono lo schema narrativo.

Nietzsche: si può essere “superficiali, per profondità!”

Rudy M. Leonelli, 1986


*      *      *


La prima rappresentazione della Fabula di Orfeo risale ai tumulti del carnevale mantovano, “con esatta probabilità ad un banchetto che il cardinale offrì ai fratelli la sera del martedì grasso. 15 febbraio 1840.
Il cardinale in questione è Francesco Gonzaga, che ospitò il Poliziano dopo la sua caduta in disgrazia presso Lorenzo il Magnifico, è colui “al cui sfarzo conviviale dobbiamo la creazione della Fabula di Orfeo”.
Nel riproporla, non si inteso farne realizzazione filologica, bensì si è cercato di recuperare il clima “giovale e carnascialesco”, che sta all’origine dell’opera.
Un Orfeo “di occasione” come allora, che ricerca nella propria struttura originaria “a Fregio” la possibilità di svolgersi in una successione di quadri, secondo una struttura narrativa, quasi da “strip-cartoon”, dove i personaggi si muovono come graffiti metropolitani, nello scenario “post-atomico” dei Giardini del Guasto.
Ho operato sul testo di Poliziano sopprimendo i brani in lingua latina e inserendo l’aria cantata, di Antonio Cesti: Intorno all’idol mio.
Grazio la dottoressa Margherita Sergardi, del Dipartimento di Italianistica dell’Università degli Studi di Bologna, per avermi iniziato al testo del Poliziano, e per avermi dato, nel giugno scorso, l’opportunità di realizzare – nei giardini di Palazzo Hercolani – una prima bozza registica ed interpretativa della Fabula.
Ringrazio inoltre le amiche della palestra Isadora per l’ennesimo, indispensabile contributo, il circolo Massarenti, tutti coloro – enti e persone – che hanno contribuito alla realizzazione di questa rappresentazione e il pubblico presente a questa serata.

Stefano Armati



La Compagnia:

Mercurio……...….annunziatore della festa…….….Roberto Sabattini
Il pastore Schiavone…………………….…………….Roberta Casadei
Mopso…………..….vecchio preveggente…..……....Paolo Franceschi
Aristeo…,,,,,..giovane pastore innamorato di Euridice…..Claudio Cavina
Tirsi……………………..servo di Aristeo………..…Antonio Obino

Euridice………….infa sposa di Orfeo…….…Ilaria Sala
Orfeo…………..mitico cantore……..Stefano Armati

Plutone………….Re degli Inferi…….Pino Bianchini
Minosse …………massimo giudice infernale………………Maurizio Babini
Proserpina…….Regina degli Inferi…..Annamaria Pierfederici

Le Furie…..spiriti infernali:
Gianna Beduschi, Tania Pizzuti, Francesca Campanaro, Roberta Raimondi

Le Baccanti……seguaci di Bacco:
voci recitanti……………………………Patrizia Piccinini, Roberta Casadei
danzatrici……Susanna Quaranta, G. Beduschi, T. Pizzuti, F. Campanaro, R. Raimondi, P. Piccinini

Cerbero…..cane infernale…..Anna Batoli, P.Piccinini, S. Quaranta

Arpista…………………………………………………Emanuela Degli Esposti
Violoncellista…………………..Nicola Baroni

Interventi scenografici…..Giano Castagnoli, Maja Becheret, Eleonora Straub
Adattamento scenico e regia……………………..Stefano Armati
Assistenti alla regia……….A. Pierfederici, G. Beduschi
Suono…………………………Guido Tabone
Luci……………Mario Chemello
Sartoria………..Pamela e Luisa Muratori
Decorazioni in metallo……..Maurizio Sterchele
Progetto grafico e realizzazione libretto di sala……….Rudy M. Leonelli