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giovedì 14 novembre 2013

Metamorfosi di Marx (1994)






                                          Rudy M. Leonelli
 
        in altreragioni, n.3, 1994
        su:

Étienne Balibar,
 La philosophie de Marx
La Découverte, Paris 1993


Con questo “piccolo” libro, Étienne Balibar si propone di «comprendere e far comprendere perché si leggerà ancora Marx nel XXI secolo: non soltanto come un momento del passato, ma come un autore ancora attuale, per le questioni che pone alla filosofia e per i concetti che le propone» 1, e di fornire al contempo uno strumento per orientarsi nei testi di Marx e nei dibattiti che suscitano. La formulazione del primo (principale) obiettivo non è semplicemente un pronostico, ma un performativo, essendo l’eventuale sparizione di una teoria non «un destino, ma l’effetto di un rapporto di forze»2.
  «Molto nuova e così antica – scrive Derrida – la congiura sembra al tempo stesso potente e, come sempre, inquieta, fragile, angosciata. Il nemico da scongiurare (conjurer), per i congiurati (conjurés) si chiama certo il marxismo. Ma si ha ormai paura di non riconoscerlo più. Si trema di fronte all’ipotesi che grazie a una di queste metamorfosi di cui Marx ha tanto parlato (“metamorfosi” fu per tutta la sua vita una delle sue parole preferite) un nuovo “marxismo” non abbia più la figura sotto la quale sotto la quale ci si era abituati a identificarlo e a metterlo in rotta. Non si ha forse più paura dei marxisti, ma si ha paura di certi non-marxisti che non hanno rinunciato all’eredità di Marx, paura dei cripto-marxisti, degli pesudo- o dei para- marxisti che sarebbero pronti a dare il cambio sotto dei tratti o delle virgolette che gli esperti angosciati dell’anticomunismo non sono allenati a smascherare»3.
 Credo – è il compito che vorrei assegnate a queste note – che sia possibile rilevare l’apertura di un nuovo spazio per la filosofia: un rientro esplicito di Marx (in nessun caso un semplice “ritorno a”) che, fuori e contro la sempre più insicura “euforia trionfante” della democrazia liberale, permetterà di pensare altrimenti: il tempo, i conflitti, le possibilità di resistenza e di trasformazione. La scrittura dovrebbe, in questa congiuntura, avvicinarsi al movimento di un sismografo: registrare, con un tratto minimo, uno spostamento più grande. E segnare alcune rilevazioni provvisorie: i sintomi, ancora dispersi, delle modificazioni di territori non uniformi, ma interessati da un generale processo di cambiamento.
 Per Balibar, la chiusura del ciclo storico in cui il marxismo ha funzionato come dottrina d’organizzazione apre inedite possibilità di leggere Marx: «Liberati da un’impostura, guadagniamo un universo teorico» 4. La negazione dell’esistenza di una “dottrina” filosofica marxista non dissolve le determinazioni né sfocia su un pensiero “debole”; consente al contrario di delimitare i concetti, di sottolinearne le tensioni e gli spostamenti interni, di costruire un diagramma delle biforcazioni e delle “rettifiche”, dei possibili luoghi di dissidio e linee di fuga.: una prospettiva ai limiti del marxismo che cerca di cogliere, insieme, ciò che nel pensare – non solo “con”, ma anche eventualmente “contro” Marx – è ancora marxiano 5.
  Leggendo Marx nella congiuntura, notiamo che Marx stesso «ha scritto nella congiuntura»; i suoi concetti solo ad un tempo rigorosi e «incompatibili con la stabilità delle conclusioni». La possibilità di un approccio di questo tipo è evidentemente data dal fatto che nel marxismo, e in particolare nel marxismo degli anni Sessanta e Settanta, di sono prodotti avvenimenti, aperture, spostamenti che, retroagendo sui testi di Marx, hanno irreversibilmente modificato il modo in cui possiamo leggerli. C’è un rapporto forte tra questo Marx «filosofo dell’eterno ricominciamento» 6 e «una caratteristica significativa dei concetti “althusseriani”: questi concetti sono sempre già “autocritici”. Contengono sempre già un elemento di negazione che li mette in pericolo, che fa vacillare il loro senso nel momento stesso in cui pretendono al più grande rigore. Contengono dunque in anticipo, un elemento che si oppone al fatto che il loro uso, il loro sviluppo, sfoci nell’univocità di una teoria “infine trovata”. Sono così sin dalla loro origine, un modo discorsivo di porsi essi stessi in disequilibrio, di assicurarsi contro la sicurezza di una “tesi” nel momento in cui la si sostiene» 7. In modo più specifico: la precedente problematizzazione, da parte di Balibar, del concetto di rottura epistemologica in Althusser, tesa a sottolinearne il carattere di rottura continuata, al tempo stesso irreversibile e incompiuta 8, presiede direttamente a questo attraversamento della «totalità aperta» 9 degli scritti di Marx, come tracciato costellato da ripetute oscillazioni, punti di crisi, focolai di instabilità. Questo andamento sismico o scismatico della teoria non è semplicemente uno “svolgimento” interno ad essa, ma l’effetto della sua costante messa in tensione con altre pratiche, della sua “programmatica” implicazione in congiunture storiche.
  Quanto alla congiuntura attuale, – in cui il libro si iscrive – il marxismo «è oggi una filosofia improbabile. Ciò attiene al fatto che la filosofia di Marx è nel corso del lungo e difficile processo di separazione dal “marxismo storico”, che deve attraversare tutti gli ostacoli accumulati da un secolo di utilizzazione ideologica. Ora, non si tratta per essa di ritornare al suo punto di partenza, ma al contrario di imparare dalla sua propria storia e  di trasformarsi nel corso della traversata. Chi vuole filosofare oggi in Marx non viene soltanto dopo di lui, ma dopo il marxismo: non può accontentarsi di registrare la cesura provocata da Marx, ma deve anche riflettere sull’ambivalenza degli effetti che essa ha prodotto – sui suoi sostenitori come sui suoi avversari»10.
  Ma, se l’impossibilità di «funzionare come impresa di legittimazione» è indicata come «una condizione quanto meno negativa» della vitalità del marxismo, sarà la condizione positiva a decidere della rilevanza presente e a venire di Marx. Essa «dipende dalla parte che i concetti di Marx giocheranno nella critica di altre impresa di legittimazione»11.

giovedì 20 settembre 2012

Étienne Balibar: l’aspect le plus «foucaldien» de l’œuvre de Marx




Il y a ... bien conversion locale de la violence en formes sociales plus «avancées» de l’exploitation – plus «civilisées», et éventuellement plus «productives». Mais c’est au prix, en fait, de son déplacement ou de sa délocalisation. D’autre part, c’est à ce sujet que Marx propose une analyse de la lutte de classes comme un rapport de force évolutif qu’on peut rétrospectivement considérer comme l’aspect le plus «foucaldien» de son œuvre [*]: le «pouvoir» en effet n’y figure pas comme un terme univoque, référant à une instance qui viendrait de l’extérieur contraindre le processus social, mais plutôt comme le rapport lui même, c’est-à-dire le résultat complexe et instable du conflit qui se déploie dans le temps entre discipline et résistance, techniques d’exploitation de la force de travail humaine (que Marx appelle «méthodes d’extraction du surtravail») qui sont aussi, en un sens, des «techniques de gouvernement», et luttes individuelles ou collectives qui incarnent une forme de liberté dès leurs manifestations le plus élémentaires (et non pas seulement préparent une libération «finale») ...

   E. Balibar, Violence et civilité. Welleck Library Lectures et autres essais de philosophie politique, Paris, Galilée 2010, p. 133, «Deuxième conférence. Une violence “inconvertible”? Essai de topique».

sabato 14 febbraio 2009

Howl - Urlo. Per Cox 18.


Togliete le serrature dalle porte!

Togliete anche le porte
dai cardini!


Allen Ginsberg






Finalmente, il centro sociale Conchetta di Milano è stato nuovamente occupato

"Attualmente - sottolinea un testo degli occupanti: Altroché San Valentino! Il nostro cuore batte per Cox 18 - solo la libreria Calusca e l’archivio Primo Moroni rimangono sigillati, decisione presa per salvaguardare il grande valore culturale lì dentro racchiuso, nei suoi volumi e nei rarissimi materiali che sono la nostra memoria storica e quella dei movimenti, del quartiere Ticinese e di tutta la città".
*       *       *


Quell'insolita fucina di esperienze e di ricerche ha, tra l'altro, ospitato a più riprese le riunioni del gruppo di discussione della rivista altreragioni, al quale partecipava lo stesso Primo Moroni.

Lungo il decennio di vita della rivista, da varie parti d'Italia, confluivamo al Cox 18 per riunirci, in quel ribollente crocevia di saperi e percorsi che, credo, sarebbe stato impossibile anche soltanto immaginare senza l'apporto dell'intelligenza (direi, quasi, della vivace saggezza) e dell'inesauribile disponibilità all'esperienza di Primo Moroni. Un vero "poliglotta" della trasformazione.


Questa mattina, aprendo la posta elettronica, ho trovato, proveniente da da diverse mailing list, la notizia del lieto evento della riapertura di Conchetta.



Un po' dovunque, oggi, molti cuori battono all'unisono per Cox 18.


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* La foto della riapertura del Conchetta è tratta da Indymedia Lombardia

domenica 25 gennaio 2009

Giovanni Cesareo: Possiamo ripartire da Conchetta (da: il manifesto)


Giovanni Cesareo
Possiamo ripartire da Conchetta

Avverto una certa aria di rassegnazione, anche se rabbiosa, attorno al violento e vergognoso sgombero di Conchetta. Come se ormai fossimo giunti alla fine di una epoca, lunga bella forte, per molti aspetti unica, e non rimanesse che prenderne atto, purtroppo. Qualcuno lo ha perfino scritto che ormai siamo in un'altra epoca e che non c'è più che coltivare semmai il ricordo del glorioso passato.
E se invece proprio questo sgombero si trasformasse in un nuovo inizio? Se si ricominciasse proprio da qui, opponendosi in tutti i modi alla chiusura di Conchetta? Se si chiamassero a raccolta tutte le forze - vecchie e nuove - per dimostrare che, sia pure in una Milano diversa e una Italia abbuiata, non c'è nessuna fine, ma anzi ci sono modi nuovi di praticare le tradizioni che sono state costruite per decenni e decenni? I simboli hanno sempre avuto un grande valore e Conchetta è un simbolo forte, come è già stato testimoniato su queste pagine.

«Lotta dura senza paura» scriveva ieri su queste pagine Ivan Della Mea, che ha 66 anni. Io ne ho 82, ma ho la stessa inesausta voglia. E se la abbiamo noi, certamente ci sono tantissimi giovani e ragazzini che non saranno da meno. Si tratta, oltre tutto, di una lotta piena di significati, perché Conchetta evoca non soltanto un obiettivo politico ma anche, e forse soprattutto, un obiettivo culturalmente assai alto. Non per caso non si è ancora, ripeto ancora, avuto il coraggio di toccare l'archivio di Primo Moroni, che contiene anche materiali donati da molti di noi perché pensavamo che quello fosse il posto più fecondo per la loro utilizzazione.

La cultura di Conchetta non è, in gran parte, assimilabile ad altre - in primo luogo perché si è sempre fondata sulle relazioni e poi perché ha raccolto i contributi di persone che concepivano la cultura come fondamentale nutrimento della vita, della vita quotidiana di ciascuno. Ricordo, su questo piano, quando, insieme con Franco Fortini, Sergio Bologna, Primo Moroni e un gruppo di altri fondammo Altre Ragioni [altreragioni], il cui titolo fu proposto proprio da Fortini. Fu lì, a Conchetta, che quella rivista nacque ed era naturale che fosse così. E ricordo che quando riuscii a fare invitare Primo Moroni alla trasmissione Parlato Semplice - rubrica della mattina prodotta da Rai Educational - i suoi interventi rappresentarono una riconosciuta novità, una riconosciuta novità culturale per il programma.

Sì, è importante ricordare che Conchetta è stata la sede del Cox 18 di Primo Moroni e che questo ha segnato la sua storia, peraltro costruita anche a fatica da tanti altri, anche prima di lui. Dunque oggi non solo difendere Conchetta ma ricominciare da Conchetta può essere, tra l'altro, il modo giusto per dimostrare che, nonostante tutte le controversie e le sconfitte che conosciamo, la sinistra - la vera sinistra - può tuttora camminare e anzi è capace di rinnovare il suo passo. E come meglio potrebbe farlo se non partendo da un luogo che porta sulle spalle tanto passato ed è al contempo capace di tuffarsi nel futuro?

[da: il manifesto, 25 gennaio 2009]

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Vedi inoltre: Da Conchetta a
CasaPound

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* La foto della libreria Calusca in via Conchetta (1997) è tratta
dal sito dell'Archivio Primo Moroni

martedì 15 gennaio 2008

Questioni di metodo. A proposito di Kulturkampf

Mark Terkessidis
Kulturkampf. L'Occidente e la Nuova Destra, Marco Tropea Editore, Milano 1996.
[
Kulturkampf. Volk, Nation, der Westen und die Neue Rechte, Kiepenheuer & Witsch, Köln 1995]

La tempestiva traduzione italiana di questo lavoro offre un’importante testimonianza della nascita, anche in ambito tedesco, di un percorso critico che ha posto al centro dell’attenzione le affermazioni mediatiche della Nuova destra, il revisionismo storico, il nuovo razzismo differenzialista. Chi, all’inizio degli anni Novanta, partendo da momenti di mobilitazione e discussione quali il blocco della conferenza di Nolte nell'ateneo bolognese[1] o da altri percorsi convergenti, ha maturato analoghi interessi, ha la possibilità di confrontarsi con un tracciato in qualche modo parallelo, nato in Germania negli stessi anni. La prefazione di Terkessidis mostra bene che la genesi di questo spazio di attività e ricerca non è, come spesso si crede o si vorrebbe far credere, riconducibile ad una ideologia “residua”, ma si colloca nel cuore dei problemi imposti dall’attualità.
Insieme, la prefazione sottolinea alcune decisive scelte teoriche e analitiche che informano il testo. Una critica del paradigma della “guerra culturale” deve affrontare il difficile compito di smarcarsi dal proprio oggetto, e ha bisogno, per questo, di individuare un diverso spazio teorico, un’altra immagine del pensiero:
“Concordo – scrive Terkessidis – con lo psicoanalista sloveno Slavoj Zizek, il quale ha scritto che l’intellettuale dovrebbe porsi in un buco che non si chiude. Zizek alludeva a una foto scattata dopo la caduta di Ceausescu: due rumeni innalzavano una bandiera nella quale al posto dell’emblema del comunismo, evidentemente tagliato via, si apriva un buco. Il più alto dovere dell’intellettuale sarebbe quello di ‘rimanere imperterrito, anche e soprattutto quando ormai si è stabilito un nuovo ordine (una ‘nuova armonia’) al posto di quel buco, per mantenere una distanza rispetto al simbolo predominante’”[2].
Il rifiuto di assumere il punto di vista di una superiore “verità”, “al di sopra delle parti”, opera uno scarto non solo nei confronti dei modelli di trascendenza della sfera culturale propri della Nuova destra, ma anche verso l’ingannevole obiettività di esperti attestati su un modulo di analisi normativa che, semplificando, potrebbe essere così schematizzato: fissati due termini, da una lato il fascismo nostalgico (o, con maggior vaghezza, il “totalitarismo”) che designa il posto in cui la Nuova destra non è più, dall’altro la conformità alla democrazia, termine prestabilito del percorso, si pone la Nuova destra come una entità “in cammino” tra il primo e i secondo punto fermo, e si procede a rilevare i gradi di pro-gresso, variamente compitando “evoluzioni” e (ri)cadute, “passi avanti”, soste ed eventuali scivoloni. Kulturkampf rovescia la prospettiva: non commisurare la Nuova destra ad un modello di “democrazia” concepito come norma inamovibile, ma descrivere il viraggio o la deriva dei fattori che definiscono un paese democratico “normale” per effetto di un insieme combinato di processi con cui la Nuova destra interagisce. La confortevole semplicità dello schema lineare va in frantumi: non una retta, ma una reticolo.
Aprire questo reticolo significa non limitarsi a considerare una singola esperienza – come la Nouvelle droite, o uno dei suoi omologhi nazionali –, ma allargare lo sguardo in più direzioni: mentre focalizza la specificità dell’esperienza tedesca, Terkessidis riesce a mantenere una continua attenzione alle dimensioni internazionali del fenomeno e, al tempo stesso, non circoscrive l’analisi alla Neue Rechte in senso stretto, ma prende in esame un complesso di gruppi e tendenze, che permettono di vedere quel filone come una componente rilevante, ma tutt’altro che isolata, di un insieme più vasto: dalle testate vicine all’impostazione del Grece agli storici “post-Nolte” e oltre, fino all’area che si è raccolta attorno al Manifesto degli intellettuali conservatori[3]. Di qui la necessità di spaziare non solo tra tempi e autori distanti, ma anche tra materiali eterogenei: dal libro alla rivista, dal giornale alla fanzine: il filo conduttore non è l’omogeneità di “livello”, non si tratta di optare tra i cieli rarefatti della “cultura” e il “basso” materiale underground, ma di leggere diagonalmente i concatenamenti enunciativi, le linee di articolazione di una strategia.
Ma questa strategia non può essere efficacemente criticata mutuandone più o meno implicitamente i presupposti. Se quella opera mettendo “sistematicamente in ombra tutti gli aspetti del dominio (politico-economico) e analizzando la situazione solo sotto l’aspetto strategico del potere ideologico”[4], la critica deve tornare, con Marx, a parlare la “lingua della vita reale”[5]: cogliere le complesse articolazioni tra l’affermarsi del paradigma che “costruisce” i conflitti sociali in chiave di “lotta tra le culture” e i processi di segmentazione gerarchica interni al “mercato mondiale indiviso”. Il testo effettua una ricognizione vasta delle funzioni svolte dal razzismo culturalista ad ogni livello. Dai conflitti Nord-Sud, alla concorrenza tra stati o aree produttive, alle esigenze interne delle nazioni, il paradigma della “battaglia tra culture” adempie a funzioni strategiche . La costruzione di un quadro d'insieme, anche su questo piano, è forse l’aspetto più importante del libro.
Relativamente ai temi, agli stili e ai moduli culturali della Nuova destra il libro può essere letto come un grande repertorio, e utilizzato come una rubrica intelligente, una rassegna che riordina e permette di riconoscerne i topoi. Non sfuggirà, ad una lettura così orientata, la parabola che connette trasgressione e normalità: “Dobbiamo incanalare verso destra l’inquietudine diffusa nelle file della sinistra stessa – scriveva Gerd Waldmann sulla rivista Nation Europa nel 1969 –. ‘Di destra’ in futuro, non dovrà significare reazionario, ma volto al progresso, non borghese, ma incline alla rivoluzione sociale, non antintellettuale, ma impegnato a introdurre la razionalità nella politica, non legato a un nazionalismo improntato alla concezione di stato, ma a un moderno nazionalismo europeo”[6]. Ora, con il definirsi di uno spazio “al di là” della distinzione destra/sinistra, nell’incontro tra “personalità creative” provenienti dall’uno e dall’altro campo, si procede alla costituzione di un nuovo “centro libero dalle ideologie”: “Oggi - asserisce Antie Vollmer su Der Spiegel nel 1993 - ci sarebbe seriamente bisogno degli intellettuali per predisporre un nuovo consenso sociale”[7]. Il gesto “ribelle” della trasgressione delle “vecchie appartenenze” prepara una nuova normatività[8].
La movenza critica che anima il testo, conducendo alla problematizzazione o alla rottura di nuovi luoghi comuni, è probabilmente ascrivibile al suo nascere da un bilancio di sconfitta delle sottoculture, in entrambi gli orientamenti : sovversione e autonomia[9]. Nella prima, dall'inizio degli anni Novanta “tutti gli elementi caratteristici – confusione, ambiguità, ricerca dell'evento – rimanevano, ma ormai era impossibile trovare contenuti politici, cosicché la ‘strategia’ si trasformava in linea di massima in un vuoto pronto ad accogliere qualsiasi contenuto”[10], la seconda sembra destinata ad occupare la sacca prefigurata già dal 1979 da Peter Glotz (Spd), che Terkessidis così sintetizza: “Il patto è chiaro: se voi ci lasciate governare in pace, se non mettete più in discussione la questione del potere, noi vi lasciamo la cultura; se poi i ‘normali’ vi odiano, non è colpa nostra”[11].
Il collocare la riflessione “in buco”, il gesto di distanziamento critico dei processi di culturalizzazione dei movimenti di contestazione, presiede a un più generale spostamento di prospettiva, che conduce al nucleo “caldo” del libro: il confronto tra l’etnopluralismo della destra e il suo termine antitetico: il multiculturalismo. Interrogata nei suoi presupposti teorici, l’opposizione tra questi termini trova le proprie condizioni di possibilità in un processo di etnicizzazione della politica, che pretende di spiegare (e propone di affrontare) i problemi sociali in chiave etnica: la “differenza culturale” rinvia circolarmente a se stessa, è assunta come un “dato” non ulteriormente problematizzabile, assurge a paradigma interpretativo, diviene principio per formulare (diverse) tecniche di amministrazione dei processi di inclusione/esclusione.
Kulturkampf elabora l’esigenza di uscire da questo circolo, in direzione di quello che - con espressione bella e desueta - chiama materialismo.

Rudy M. Leonelli
in altreragioni, n. 6, 1997




[1] Avevo ricordato la rilevanza di quell'evento come segno di apertura di uno spazio critico nel mio primo articolo per questa rivista (cfr. Gli eruditi delle battaglie. Note su Foucault e Marx, “Altreragioni”, n. 2, 1993, p. 147 n.).
[2] Mark Terkessidis, Kulturkampf. L’Occidente e la Nuova Destra, p. 14.
[3] Ibid., p. 15.
[4] Ibid., p. 29.
[5] Ibid., p. 14.
[6] Ibid, p. 27.
[7] Ibid., p. 171. Oltre alle diverse declinazioni della “fine” della dicotomia destra/sinistra esaminate da Terkessidis, potrebbe essere interessante considerare la letteratura apologetica delle nuove tecnologie dell'informazione. È al riguardo eloquente un brano tratto dalla rivista statunitense Wired: “La sinistra è morta. La destra è morta. Senza che ci sia stato bisogno di proclamarlo ufficialmente , siamo ormai nel pieno di un'economia globale di reti” (Mark Stahlman, “Wired”, ottobre 1994, cit. in Herbert I. Schiller,I profeti dell’era digitale. L'ideologia della rivista “Wired”, “Le Monde Diplomatique/il manifesto”, novembre 1996, p. 27).
[8] Ho cercato di delineare questo problema ne Le sventure della virtù. Per la critica del post-antirazzismo, "Altreragioni", n. 4, 1995.
[9] Cfr. Kulturkampf, pp. 11-12.
[10] Ibid., 12.
[11] Ibid., p. 68. Come si vede, non dovrebbe essere arduo trovare corrispondenze nella situazione italiana.

giovedì 17 maggio 2007

Negazionismo virtuale: prove tecniche di trasmissione (1998)

Rudy M. Leonelli, Luca Muscatello, Vincenza Perilli, Leonardo Tomasetta
Negazionismo virtuale: prove tecniche di trasmissione, altreragioni, n. 7, 1998, pp. 175-181 *

In un recente studio Alain Bihr indica tra le condizioni che, negli ultimi anni, hanno permesso al verbo e al credo revisionista di uscire dai circoli ristretti in cui era costretto, l'affermarsi di una sorta di relativismo generalizzato:

"tutti i punti di vista si equivalgono, non c'è più criterio che permetta di distinguere chiaramente il vero dal falso, il reale dall'illusorio, il bene dal male; a ciascuno forgiarsi la sua opinione, e d'altronde tutte le opinioni sono accettabili quando sono sincere. Questa assenza di criteri è del resto celebrata dall'ideologia postmodernista come una liberazione, come l'accesso a un mondo in cui l'individuo può moltiplicare i punti di vista, simultaneamente o successivamente: intrecciarli senza curarsi della loro coerenza, o praticare una sorta di nomadismo identitario, cambiando di 'visione del mondo' come di camicia"
[1].



Le reti telematiche sono diventate uno dei luoghi privilegiati di riproduzione e sperimentazione di questo relativismo, popolarizzato da riviste come Wired: "All'improvviso, la tecnologia ci ha dato poteri che ci permettono di manipolare non solo la realtà esterna, il mondo che ci circonda, ma anche e soprattutto noi stessi. Potete diventare tutto quello che volete essere".[2]
Per questo sarebbe sbrigativo e troppo facile liquidare l'utilizzo delle reti da parte del revisionismo telepragmatico come un semplice epifenomeno. Non si tratta di un effetto collaterale, ma di una reale deriva del nomadismo identitario.
"L'ideologia contemporanea della comunicazione è caratterizzata dall'effimero, dalla dimenticanza della storia e del perché degli oggetti e del loro assemblaggio sociale".[3] Il revisionismo si articola facilmente, e in modo quasi "naturale", con questa ideologia.
Abbiamo per ora sollevato il problema. Qui, non affronteremo il fenomeno globale dei file e dei web revisionisti nel mondo,[4] ma ci limiteremo all'analisi di alcuni aspetti di un episodio specifico, che può essere letto come caso limite nel contesto del revisionismo virtuale.
Nell'ottobre del 1990 si diffonde in Italia, dopo una breve fase sperimentale la rete telematica antagonista European counter network (Ecn). Se inizialmente la rete era espressione diretta di una struttura già esistente - il Coordinamento nazionale antinucleare antimperialista - nella quale le realtà locali svolgevano funzione di verifica preliminare dei messaggi immessi,[5] in seguito si apre un dibattito che, nel confronto-scontro con altre esperienze, porterà Ecn a divenire rete "aperta" al contributo di singoli, senza nessuna restrizione e forma di controllo.
Questo processo è in un primo tempo animato dalla tensione verso un nuovo modello di relazioni politiche e comunicative: si cerca di chiudere, o superare, una impostazione in qualche modo "autocentrata" su alcuni nuclei militanti che hanno "resistito", nell'intento di innescare una dinamica espansiva, caratterizzata dall'apertura ad una pluralità di "soggetti" e situazioni.
Le possibilità offerte dalla telematica e dal suo uso alternativo e/o antagonista sembrano rilanciare a vent'anni di distanza e ad un nuovo e più alto livello le potenzialità aperte dalle radio libere. Il parallelo tra le due esperienze è ricorrente e in certo senso spontaneo. Ma il confronto con le radio degli anni Settanta che - dato il carattere quanto meno non generalizzabile di quell'esperienza - potrebbe suggerire una riflessione critica, è spesso sviluppato in termini autocelebrativi, che appiattiscono il dibattito sulle posizioni più viete.
Nella gestione quotidiana di questo passaggio prevale, a scapito delle sollecitazioni più problematiche, un senso comune di impronta dualistica che - in ossequio alla logica binaria - contrappone coppie terminologiche antagonistiche quali: chiuso/aperto, rigido/fluido, verticale/orizzontale, spesso riassunte nell'onnicomprensiva e futile dicotomia vecchio/nuovo, tatuata sulla pelle subculturale di una supposta comunicazione a/ideologica. Non sarà raro reperire in testi teorici e in messaggi ordinari le tracce di un impianto che taglia il mondo in due parole-chiave inconciliabili (o distingue due mondi storicamente sfalsati): lo "stalinismo" e la deregulation.
L'esperienza effettiva dell'uso della rete Ecn mostrerà presto nuovi limiti: al primitivo uso "militante" - spesso ridotto ad una sorta di utile, ma limitato "bollettino" - e alla diffusione di contributi teorici, italiani e non, si affianca un tipo di "comunicazione" atomistica, dove la pregiudiziale apertura espone al permanente rischio di ridondante dispersione, e (in particolare nel caso che esaminiamo) iniziano a comparire discussioni che degradano in scambi di invettive. Lontano dall'essere prerogativa esclusiva della rete Ecn, si tratta di un fenomeno normale nella "comunicazione" telematica, tanto che negli Usa è stato coniato il termine electronic harassment (in gergo flame): "a mano a mano che cresce il traffico in rete, aumentano messaggi osceni, insulti, minacce, una versione postmoderna delle vecchie lettere anonime".[6]
A dispetto delle visioni dei profeti dell'era digitale, si va configurando nel cyberspazio uno scenario implosivo. Ai limiti strutturali della comunicazione telematica - riduzione della funzione linguistica alla reazione stimolo-risposta, divieto di replica e di circolarità dello scambio comunicativo, sussunzione dei filtri e dei selettori alle finalità autoreplicative del sistema binario, ecc. - si aggiungono, con l'espandersi della rete, quegli effetti di "ridondanza" e di "rumore" (Luhmann) che, ove non si riesca a governare l'accresciuta complessità dell'informazione circolante, porterà ad una soluzione autistica della stessa comunicazione telematica.
Ma veniamo al negazionismo. Nel novembre 1992, certamente al di fuori di molte speranze puntate sul progetto Ecn, vengono immessi nella rete i primi messaggi revisionisti ad opera del collettivo "Transmaniacon" di Bologna.[7] Il file che inaugura questo esperimento, La provocazione revisionista, è la trascrizione di una intervento transmaniaco trasmesso della neonata Radio K Centrale (Rkc). Spicca, in questo testo, la lapidaria frase di Faurisson:


Le pretesecamere a gas hitleriane e il preteso genocidio degli ebrei formano una sola e medesima menzogna storica, che ha aperto la via ad una gigantesca truffa politico-finanziaria, i cui principali beneficiari sono lo stato d'Israele e il sionismo internazionale, e le cui principali vittime sono il popolo tedesco, ma non i suoi dirigenti, il popolo palestinese tutto intero e, infine, le giovani generazioni ebraiche che la religione dell'Olocausto chiude sempre di più in un ghetto psicologico e morale".

È con queste idee "nuove" che la periferia padana cerca di allungare il passo per raggiungere il "centro" dell'impero. Spingendo al parossismo la violazione dei "tabù"[8] si può forse saltare sul carro della costituenda nazione digitale: "Il mondo collegato è la più libera comunità d'America. I suoi membri possono fare cose inaccettabili altrove nella nostra cultura".[9]
Ha inizio un gioco che continuerà a lungo, con l'immissione di file firmati con soprannomi, acronimi e vari pseudonimi.[10] Rispetto all'uso storico di questo espediente in ambito revisionista,[11] la sperimentazione telematica del nomadismo identitario introduce nuove possibilità di gioco. Usando contemporaneamente diversi pseudonimi uno stesso soggetto può costruire in tempo reale un discorso su diversi livelli, inscenando un personaggio A che collabora all'introduzione del discorso revisionista, un personaggio B che, pur non condividendo a pieno tale discorso, lo ritiene un'utile sollecitazione, e un personaggio C che, mentre ostenta distacco per le dinamiche che ha contribuito a scatenare, solidarizza con A in nome della tolleranza e della libertà di espressione.[12] La presunta "dissoluzione del soggetto" nel cyberspazio si rovescia in un protagonismo indiscriminato, spinto fino al sintomatico genere della (auto)intervista; mentre la celebrata pluralità dei punti di vista diviene mera simulazione. Il carattere duttile e segmentario della comunicazione non manifesta una intrinseca potenza liberatoria: il concatenamento flessibile di una serie di segmenti rigidi può funzionare a cingolo di carrarmato.

sabato 10 febbraio 2007

altreragioni 1992 - 2000



“Una ho portato costante figura,
storia e natura, mia e non mia, che insiste
- derisa impresa, ironia che resiste,
e contesa che dura,”

Franco Fortini, 1956





In questi anni sono fiorite molte riviste che hanno sfidato la diffusa apatia politica. Esse sono state importanti, anche perché sono spuntate fin sotto i fili spinati dei “vincenti”. Dunque, raccogliersi per una riflessione collettiva è stato possibile; ma come fare perché questa non sia effimera? Molte pubblicazioni hanno chiuso, poche continuano. Tra queste ultime, “Altreragioni”, titolo che dobbiamo a Franco Fortini. Con i primi quattro numeri abbiamo cercato di dimostrare che una continuità è possibile, anche se ardua. La rivista non si appoggia né a partiti né a corporazioni. Essa è autofinanziata dal gruppo di discussione che la firma e che rimane una redazione aperta.
Scorrendo i sommari dei primi quattro numeri, lettrici e lettori si accorgeranno che “Altreragioni” si pone a sinistra, ma non vi siede: non fa parte della sinistra istituzionale, alla quale non concede sconti né per i suoi trascorsi, né per il suo presente. E’ una rivista che intende criticare l’esistente, cercando di sprovincializzare dibattiti che sovente si esauriscono in discorsi prevedibili. “Altreragioni” è uno strumento di riflessione per chi vuole connettere temi che di solito rimangono separati: come la ricerca può aiutare a costruire un punto di vista critico contro le pretese del liberalismo di porsi come linguaggio politico universale, contro la ferocia del mercato, del darwinismo sociale, e dei loro inevitabili esiti di guerra? Quali sono le conseguenze dello sfruttamento in tutte le sue sfaccettature (per colore, sesso, età, istruzione) compresa la spoliazione dell’ambiente? Quali sono i dispositivi che di fatto ci governano? Tra di loro quali sono i più incontrollati? Come demistificare le favole dei mezzi di comunicazione che ci bombardano quotidianamente? E’ possibile scorgere tendenze nell’attività umana che già oggi si contrappongano alla schiavitù salariale? Erano questi alcuni degli interrogativi che ci ponevamo all’inizio di questa rivista …


Il gruppo di discussione di altreragioni, 1995



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Sommario dei dieci numeri di
altreragioni




altreragioni   1/92

Sergio Bologna Problematiche del lavoro autonomo in Italia (I)
Michela Bianchi Sistema previdenziale e caduta della solidarietà
Franco Graziani Partecipazione sotto sforzo
Riccardo Bellofiore Piano, capitale e democrazia. I termini di una discussione
Delio Cantimori Lettere inedite
Valerio Marchetti, Antonella Salomoni Una perestrojka della storia. Urss 1985-1991
Michele Pacifico Umberto Segre: la filosofia in presa diretta
Ferruccio Gambino Migranti nella tempesta: flussi di lavoratori senza diritti e di petrodollari nel Golfo Persico



altreragioni   2/93     

Lapo Berti L'Europa di Maastricht
Lapo Berti Moneta e unità europea
Andrea Fumagalli Gli accordi di Maastricht e l'economia italiana
Suzanne de Brunhoff Sette domande
Jean-Pierre Poitier Gli aspetti monetari del Trattato di Maastricht: alcune note sul dibattito in Francia prima del referendum del 20 settembre 1992
Gianni Losito La rappresentazione del processo di integrazione europea nei mezzi di comunicazione
Flaminia Cardini Rivedere Maastricht: l'Europa nelle televisioni
Marina Forti Migranti e immigrati nell'Europa di Schengen
Virgilio Ilari L'Europa di Maastricht e la questione della "Difesa europea"
Cronologia: dall’“Atto unico” al Trattato di Maastricht
Lo straniero Cultura dell’opposizione: si torna agli anni Cinquanta?
Giovanna Procacci Storie di rivoluzioni
Rudy Leonelli Gli eruditi delle battaglie. Note su Foucault e Marx
Dario Da Re, Rossana Mungiello, Dario Padovan Intellettuali, sinistra e conflitto del Golfo: un'interpretazione retrospettiva del dibattito
Germano Lombardi Ricordo
Giulia Contri Piscopo Freud e le guerre mondiali
Bruno Cartosio Stati Uniti: crisi sociale e mutazione capitalistica *
Sergio Bologna Problematiche del lavoro autonomo in Italia (II)


altreragioni   3/94

Lapo Berti Effetti disgregativi dell'integrazione economica europea
Robert Castel Una repubblica di piccoli azionisti
Andrea Fumagalli Il nuovo, il vecchio e le mistificazioni del presente
Ferruccio Gambino Senza alzare lo specchio sull’Italia
Le lotte degli studenti africani per il diritto al l'istruzione: Dario Padovan Premessa
Silvia Federici Le radici economiche della repressione della libertà universitaria in Africa
Comitato per la libertà accademica in Africa Una cronologia delle lotte degli studenti universitari africani: 1985 - 1993
Dalla ex-Jugoslavia: Nicole Janigro Presentazione
Rada Ivekovic Nazioni e ragioni*
Zarana Papic Nazionalismo, patriarcato e guerra
Ferruccio Gambino Industria e finanze estreme
Rudy Leonelli Metamorfosi di Marx
Mavì De Filippis Altri comunismi



altreragioni    4/95

George Caffentzis Rompiamo il silenzio sulla fine della Banca mondiale e del Fmi
Silvia Federici, George Caffentzis Fmi e Banca mondiale: cinquant’anni bastano! Proposta di manifesto per una rete antagonista internazionale
Ismael Ruíz Mocambo L’altra “terziarizzazione”: l’amazzonica. Banca mondiale e impresa a rete in Amazzonia orientale
Maristela Sena, Valter Zanin La parola a un ex-dannato della terra. Intervista con un ex-schiavo in Amazzonia
Devi Sacchetto Macchine elettorali e macchine da cucire nell'America centrale e dintorni
Andrea Fumagalli La politica economica del post-fordismo
Andrea Scacchi Sindacati confederali e governo: le ragioni dello scontro
Franco Graziani Per una sinistra di destra
Lavoro e non-lavoro: Andrea Fumagalli Presentazione
Enrico Pirovano Fabbrica integrata e flessibile
Cristina Morini Lavoro autonomo e settore editoriale in Italia
Franco Graziani Modelli organizzativi e relazioni industriali
Gino Tedesco L’autorganizzazione tra crisi e progetto
Dario Padovan Grande stampa statunitense su sottile ghiaccio italiano
Mavì De Filippis Franco Fortini “faber”
Massimiliano Tomba Adorno e il moderno
Rudy Leonelli Le sventure della virtù. Per la critica del post-antirazzismo
Mavì De Filippis La fabbrica del consenso



altreragioni   5/96

Andrea Fumagalli Lavoro e piccola impresa nell'accumulazione flessibile in Italia (I)
Devi Sacchetto Nodi di autonomia controllata: il tessile e abbigliamento nel Veneto
Mauro Moretto Una zona di esportazione di rango alto e precario
Luca Queirolo Palmas Toyota City e River Rouge nel cuore della Lucania. Voci operaie sul post-fordismo
Elena Mezentseva Le politiche dell'occupazione femminile in Russia fra ideologia ed economia
William Mc Tell Dinamica della crisi politica e mutamento della composizione di classe negli Stati Uniti
Joel Gilbert Chi ha perso un americano?
Giovanna Procacci Muri che crollano, speranze che restano
Sandro Mezzadra Da Seul a Brema e ritorno
Icspmo Dichiarazione di intenti dell'Istituto coreano per gli studi e la politica del movimento operaio
Mavì De Filippis Leggere scrivere raccontarsi



altreragioni   6/97

Rossana Mungiello Lavoro coatto a fine secolo in quattro grandi aree economiche
Lia Toller Gli sbarchi di migranti senza documenti al sud: modelli di differenzialismo nella fortezza europea
Stefano Visentin Umani, troppo umani. I diritti dell’uomo e la sovranità dello stato
Laura Corradi L’Internazionale della speranza. Taccuino dal Chiapas
Su-Dol Kang Corea del sud. Rivolta contro il liberismo
Antonio Casano La crisi e il governo della pace sociale
Andrea Fumagalli Lavoro e piccola impresa nel modello di accumulazione flessibile in Italia (II)
Massimiliano Tomba, Valter Zanin Fare storia per scagionare il presente
Rudy Leonelli Questioni di metodo. A proposito di Kulturkampf
Franco Graziani Angelo Dina. La partecipazione: un'utopia?
Altreragioni In memoria di John Merrington



altreragioni   7/98

Maurizio Merlo Sul residuo lavoro come forma industriale dell’attività
Devi Sacchetto Cuciture e strappi verso Est
Andrea Scacchi La contrattazione collettiva in Europa tra corporativismo conflittuale e corporativismo consociativo
• David Abraham Libertà senza uguaglianza: il legame tra diritti e proprietà in un regime di “cittadinanza negativa” (I)
Livio Quagliata Scomodi fantasmi
Alfredo Alietti Assalto all’Africa: i Grandi Laghi
George Caffentzis Il regime di proprietà intellettuale e la recinzione del sapere africano
Silvia Federici Sul futuro dell’università africana
Franco Graziani Virtuale e reale
Massimiliano Tomba, Valter Zanin Storia e sterminio. Per una critica del revisionismo storico
Rudy Leonelli, Luca Muscatello, Vincenza Perilli, Leonardo Tomasetta Negazionismo virtuale. Prove tecniche di trasmissione
Rudy Leonelli La fabbrica della negazione
Dario Padovan Teoria e prassi del razzismo italiano tra le due guerre



altreragioni   8/99

Giovanna Procacci La cittadinanza sociale di fronte alla crisi del welfare
David Abraham Libertà senza uguaglianza: il legame tra diritti e proprietà in un regime di “cittadinanza negativa” (II)
Alexander Brentel, Luigi Enzo, Stefano Mestriner, Graziano Merotto La subordinazione invisibile: lavorare nelle cooperative nel trevigiano
Andrea Fumagalli, Gino Tedesco Quattro schede sulla forma cooperativa: la situazione nel milanese
Davide Bubbico Natuzzi: “crescere insieme” per lavorare divisi
Valter Zanin Chi mangerà la prossima tigre?
Franco Graziani Risparmiare inquinando
Eugenia Parise Note su democrazia e globalizzazione
Dario Padovan Bio-politica, razzismo e scienze sociali. Politiche totalitarie e disciplinamento sociale durante il fascismo
Ab Incunabulis Documenti del Sessantotto
Ferruccio Gambino Forza-invenzione e forza-lavoro. Ipotesi
Vincenza Perilli L’innocenza di Eva
Ferruccio Gambino Guido Bianchini lungo i gironi del movimento operaio
Edoarda Masi Saluto a Primo Moroni
Laura Corradi In ricordo di Primo Moroni
Ferruccio Gambino Dal sottosuolo alla guerra
Louis Bridgeman, Dario Padovan, Valter Zanin Juguslavia: cronologia delle inavvertenze umanitarie (I)



altreragioni   9/99

Graziano Merotto, Devi Sacchetto, Valter Zanin Navi da crociera in zona di guerra
Beatrice Donini La via veneta all'equilibrio sociale: l'Ente bilaterale per l’artigianato veneto
Francesco Faiella Ruanda e Burundi: conflitti etnici e politiche imperiali nella regione dei Grandi Laghi (I)
Alfredo Alietti Tra comunità e globalizzazione: prospettive dell’economia informale in America Latina
Alberto Airoldi Lo sviluppo del lavoro per conto proprio a Cuba
Luigi Lollini Poesie ai nipoti
Rudy M. Leonelli Fonti marxiane in Foucault
Laura Corradi Comiso-Kosova, andata e ritorno
Paul Parin Saluto
Valter Zanin Nato e Jugoslavia: il Protettorato delle idee
Louis Bridgeman Kossovo: cronologia delle inavvertenze umanitarie (II)
Bernard Friot Quali risorse per i disoccupati?
Mavì De Filippis I barbari alle porte
Mavì De Filippis Il Centro studi Franco Fortini



altreragioni   10/00

Marco Antonio Pirrone Sociologia delle migrazioni e Mediterraneo. Un caso poco esplorato: il Medio Oriente (I)
Alessandro Simoncini Migranti, frontiere, spazi di confine. I lavoratori migranti nell’ordine salariale
Francesco Faiella Ruanda e Burundi: conflitti etnici e politiche imperiali nella regione dei Grandi Laghi (II)
Lauso Zagato La guerra jugoslava, ovvero: il sistema westfaliano è davvero morto in Kosovo?
Maurizio Fontana Dell’estendersi del lavoro precario
Maria Grazia Rossilli Modernizzazione europea: quali opportunità e quali diritti per le cittadine dell’Unione?
Liliane Kandel La parità: progresso, trappola o esca?
Toshi Kayano, Vincenza Perilli Confortanti silenzi
Ralph Raschen La bambina-lavavetri e gli altri undici discepoli dell’incrocio
Mavì De Filippis Il poeta di nome Fortini