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lunedì 20 giugno 2011

Gianni : "E' una questione di gusto ..."

E libereremo la nostra Bologna. In città faremo una festa che non finirà mai…

ricordando l'autore della frase scelta come esergo del
Festival sociale delle culture antifasciste 2011,
ri
produciamo la memoria  dedicata a questo giovane partigiano,
dal
Museo Virtuale della Certosa
[curata da Nazario Sauro Onofri]




Giovanni B. Palmieri, "Gianni"

Giovanni Battista Palmieri, nome di battaglia "Gianni", da Giovanni Giuseppe e Nerina Pietra; nato il 16 dicembre 1921 a Bologna; ivi residente nel 1943. Studente in Medicina all'università di Bologna. Richiamato alle armi nel 1941, frequentò la scuola allievi ufficiali degli alpini di Aosta, dove la vita era talmente monotona che, in una lettera alia madre, arrivò a scrivere "Io invidio di cuore quelli fra noi che hanno il diritto di andare al fronte: almeno loro faranno dei sacrifici forse molto piu grandi di questi, ma avranno anche delle soddisfazioni". Fu congedato prima di ricevere i gradi per cui potè riprendere gli studi e dimostrare le sue grandi doti intellettuali. Tutti i suoi insegnanti gli preconizzarono una brillante carriera professionale. Quando venne nuovamente chiamato alle armi dalla RSI, nella primavera 1944, non si presentò e venne dichiarato disertore. Per le insistenti preghiere della famiglia non potè aggregarsi subito, com'era suo desiderio, a una formazione partigiana. "Gianni - ha scritto il padre - non si sarebbe mai lasciato prendere dai nazisti e neppure dai repubblichini: piuttosto si sarebbe dato alla macchia". Nel periodo in cui fu sfollato a Monte San Pietro non collaborò, ma ebbe contatti con la brigata Stella rossa Lupo, e forse si sarebbe aggregato a quella formazione, se nel frattempo gli eventi bellici non avessero mutato la situazione per cui si nascose, provvisoriamente, a Bologna nell'abitazione di un amico di famiglia e quindi nei sotterranei dell'Istituto del radio all'ospedale Sant'Orsola, del quale suo padre era direttore. Per questo motivo potè seguire da vicino la vicenda che portò alla razzia, da parte dei tedeschi, di metà della dotazione di radio dell'istituto. Dopo la consegna del radio a Mario Bastia il 27 luglio 1944, decise di non seguire il padre a Firenze, ma di restare. Resistendo alle implorazioni del padre, scelse di non partire. Il 24 luglio fu ospitato nell'abitazione di Gino Onofri, alla quale facevano capo le staffette che tenevano il collegamento tra la città e le brigate Giustizia e Libertà che operavano sull'Appennino tosco-emiliano. Per l'arresto di una staffetta non potè raggiungere nè la Iª brigata Giustizia e Libertà Montagna, che operava nell'Alta Valle del Reno, nè la 2ª brigata Jacchia Giustizia e Libertà, operante nella valle del Sillaro e comandata da Gilberto Remondini, suo compagno di studi. II 29 luglio lasciò Bologna con Romeo Giordano diretto a Imola per aggregarsi alla 36ª brigata Bianconcini Garibaldi nell'Alta Valle del Santerno. Entrò a far parte del servizio sanitario della brigata diretto da Giordano, pur partecipando attivamente a tutti i combattimenti che la formazione sostenne nell'estate-autunno. In uno di questi, verso la metà di settembre, restò ferito a un piede e dovette fare ricorso alle cure di un agricoltore che molti anni prima aveva seguito, ma non concluso gli studi in medicina. II 15 settembre la brigata venne divisa in 4 battaglioni, in vista di quella che si riteneva l'imminente insurrezione partigiana. Alcuni reparti avrebbero dovuto dirigersi verso Imola, altri verso Bologna e altri ancora a sud per andare incontro alle truppe alleate. Fu aggregato al battaglione di Guerrino De Giovanni, con destinazione Bologna. Il 26 settembre, durante una sosta in una casa colonica a Cà di Guzzo in localita Belvedere (Castel del Rio) il battaglione, passato il giorno prima sotto il comando di Umberto Gaudenzi, venne circondato da paracadutisti e SS tedeschi. Dopo aver resistito per tutta la notte, infliggendo gravi perdite al nemico, la mattina del 28 i superstiti riuscirono, sia pure a costo di dure perdite, ad aprirsi un varco e a mettersi in salvo. Quando venne invitato a lasciare la posizione e a tentare la sortita, rispose: "Il mio combattimento è qui, fra i miei feriti e io non li abbandono fintanto che ne vedo uno respirare". Quando i tedeschi riuscirono a penetrare nella casa colonica, quasi completamente smantellata dai mortai, gli fecero curare i loro feriti. Poi lo invitarono a raggiungere il comando della brigata per proporre uno scambio: avrebbero risparmiato i civili trovati nella casa, se una ventina di partigiani si fossero consegnati. Si recò in una casa colonica, distante un paio d'ore a piedi, dove sino al giorno prima aveva avuto sede il comando della brigata, ma la trovò vuota. Quando tornò a Cà di Guzzo, vide i corpi inanimati dei partigiani feriti e dei civili. Erano stati uccisi con un colpo alla nuca da un maresciallo delle SS. Solo le donne erano state risparmiate. II giorno stesso, anche perchè le artiglierie alleate avevano cominciato a battere la posizione, i tedeschi abbandonarono Cà di Guzzo. Lo portarono con loro, forse per continuare a fargli curare i feriti. Alcuni giorni dopo, quando gli alleati liberarono la zona, il suo cadavere venne trovato in un bosco, in località Le Piane a pochi chilometri di distanza. Si ritiene che sia stato torturato e ucciso il 30 settembre 1944. Pochi giorni prima, quando la brigata era stata divisa, quasi presagisse la sorte che lo attendeva, aveva sentito l'esigenza di salutare Luciano Bergonzini - con il quale aveva stretto una fraterna amicizia - consegnandogli questa lettera che resta il suo testamento spirituale. "Caro Luciano, mi e parsa giusta la decisione del comandante Bob di dividere la Brigata in quattro battaglioni d'assalto e di passare all'offensiva su Bologna e Imola. Penso, però, e la cosa mi addolora, che non tutti ci ritroveremo dopo la battaglia. E' inutile illudersi: sarà dura, molto dura e i fatti ci metteranno ancora una volta alla prova. Al di là di queste montagne, si dice, c'è la libertà Io personalmente ne dubito. Sarebbe meglio dire che vi sarà la libertà se noi sapremo esserne i portatori e se riusciremo a trasferire nelle città e in tutto il paese i principii di lealtà e di amicizia che qui abbiamo saputo istituire e difendere. E poi, te lo dico con tutta franchezza, io ho paura che questa nostra libertà si disperda nei compromessi e nelle lotte politiche non sempre pulite: le notizie che a tal proposito si hanno dal sud mi intristiscono; mi sembra che si rimettano i destini della libertà nelle mani di coloro che al fascismo non hanno opposto che una ben miserevole resistenza! So che tu sei fiducioso ed ottimista. Discutevo di queste cose con Bergami* e anche lui, da bravo comunista, vedeva tutto un avvenire di civiltà e di pulizia: avremmo dovuto riparlarne ancora; ma poi, come tu sai, il mortaio gli ha squarciato la testa proprio alla fine della battaglia della Bastia. Non lo dimenticherò mai. Ma ora ci sono i problemi dell'immediato domani e converrà pensare a quelli. Ritorneremo all'attacco, questo è l'importante. E libereremo la nostra Bologna. In citta faremo una festa che non finirà mai e cacceremo via di torno gli attesisti e i vili. Quelli che non hanno preso posizione sono i veri e permanenti nemici della libertà: basterà un niente per farli ridiventare fascisti. So che molti miei amici di ieri saranno fra questi e la cosa mi avvilisce. II tempo stringe. Anch'io avrò la mia arma: una fiammante rivoltella tedesca che Giorgio, il nostro mitragliere, ha recuperato dopo uno scontro nella strada. Mi aveva offerto anche un paio di scarpe tedesche quasi nuove, ma io le ho rifiutate. E' una questione di gusto: non voglio pestare questa terra con le scarpe tedesche! Preferisco continuare con i miei vecchi, e una volta elegantissimi scarponi di Aosta, anche se ormai fanno acqua di sopra e di sotto. Ci rivedremo? Lo spero tanto. E ora, caro Luciano, ti abbraccio. I primi si sono gia avviati e cantano ancora quell'inno anarchico che a me piace tanto e che so che ti irrita. Addio. Gianni". Riconosciuto partigiano dal 20 aprile 1944 al 30 settembre 1944. Il suo nome e stato dato a una strada di Bologna e a un plotone di ex partigiani delle brigate 36ª e 62ª che, dopo il passaggio del fronte, si erano arruolati nel gruppo Legnano. In località Croda da Lago di Cortina d'Ampezzo gli è stato intestato un rifugio alpino del CAI. L'università di Bologna gli ha conferito la laurea honoris causa in medicina. Gli è stata concessa la medaglia d'oro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione: "Studente universitario del 6° anno di medicina, volontariamente si arruolo nella 36ª Brigata Garibaldina, assumendo la direzione del servizio sanitario. Durante tre giorni di aspri combattimenti contro soverchianti forze tedesche, si prodigò incessantemente ed amorevolmente per curare i feriti, e quando il proprio reparto riuscì a sganciarsi dall'accerchiamento nemico, non volle abbandonare il suo posto e, quale apostolo di conforto, conscio della fine che l'attendeva, restò presso i feriti affidati alle sue cure. Ma il nemico sopraggiunto non rispettò la sublime altezza della sua missione e barbaramente lo trucidò. Esempio fulgido di spirito del dovere e di eroica generosità." Cà di Guzzo (Romagna), 30 settembre 1944.

sabato 11 giugno 2011

Carla Verbano: Sia folgorante la fine - Presentazione, BO 16 giugno


.



Nella bocca della fontanella

Quasi ogni notte sogno di essere in strada con Valerio, in un viale alberato: mezzogiorno, estate, una giornata caldissima. C’è una fontanella e lui si avvicina. Alcune volte è più alto della fontanella, altre più basso. Ma sempre, per arrivare all’acqua si sporge e poco dopo si scioglie, Valerio, diventa liquido e scompare giù, nella bocca della fontanella.

«L’inizio deve essere folgorante Carla» mi dicono quelli ai quali racconto del libro.
   Capirai, folgorante, alla mia età.
   Io come inizio ho scelto la cosa più innocua che ci sia, un sogno.
  Perché quando mi sveglio, ogni mattina da trent’anni, voglio una cosa: scendere nella bocca della fontanella.
   E solo una cosa mi ripeto, mentre mi alzo, ogni mattina da trent’anni: sia folgorante la fine, di questa storia.

Carla Verbano


Festivalsocialedellecultureantifasciste 2011
Libera la città   >>

16 Giugno 2011
Presentazione del libro di
Carla Verbano:
Sia folgorante la fine
Rizzoli, 2010

ore 19  Tpo, Via Casarini 17/5 - Bologna

Saranno presenti
l‘autrice Carla Verbano
Luca Blasi (Horus Project Roma)

___________   

sabato 21 maggio 2011

Stalingrado

Stalingrado
 Stormy Six
[1975]






Fame e macerie sotto i mortai
Come l'acciaio resiste la città
Strade di Stalingrado di sangue siete lastricate
Ride una donna di granito su mille barricate

Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa
D'ora in poi troverà Stalingrado in ogni città

L'orchestra fa ballare gli ufficiali nei caffè
l'inverno mette il gelo nelle ossa
ma dentro le prigioni l'aria brucia come se
cantasse il coro dell'armata rossa

La radio al buio e sette operai
sette bicchieri che brindano a Lenin
e Stalingrado arriva nella cascina e nel fienile
vola un berretto un uomo ride e prepara il suo fucile

Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa
D'ora in poi troverà Stalingrado in ogni città

lunedì 9 maggio 2011

«Sparate su chi protesta» - Mussolini: un documento inedito

Mussolini disse:
«Sparate su chi protesta»

di Pantaleone Sergi [*]
l'Unità - 7 maggio 2011


[*]  Pantaleone Sergi, giornalista, scrittore e storico, ha rintracciatonell'Archivio di Stato di Matera una direttiva finora sconosciuta.

Sparare su chi protesta. L'imperativo di Mussolini a un gruppo di neo prefetti non si prestava a equivoci. Era il dicembre 1926, la dittatura agli esordi, la lira svalutata, la stampa d'opposizione neutralizzata, le leggi fascistissime da poco in vigore, tribunali speciali e commissioni provinciali per il confino pronti all'opera per colpire ogni dissenso al neonato regime. «Vi devo dire parole chiare e precise», aveva iniziato il Duce incontrando i prefetti delle 17 nuove «province del Littorio»: «L'ordine pubblico deve essere mantenuto a qualunque costo, anche a costo di far fuoco sopra chi lo turbasse». Stesso trattamento alle gesta dello squadrismo alla Farinacci: per il Capo del fascismo e del Governo andavano represse.
  Nessun tentennamento, raccomandava: «Chi si rendesse colpevole deve essere arrestato e dovete pregare le autorità giudiziarie di procedere per direttissima e di condannare al massimo della pena». Fuoco sugli oppositori, dunque, e condanne esemplari per gli squadristi in ritardo. Il regime fascista è un regime autoritario, spiegò Mussolini, e si regge solo dando il senso della giustizia e dell'equità. Oltre che «della inviolabilità del pubblico danaro».

giovedì 31 marzo 2011

Bologna: il Comune dà lo sfratto ad Atlantide. Un'archeologia

Palazzo d’Accursio accusa: “disturbo alla quiete pubblica”, e mette a bando il cassero di S.Stefano. La replica da Atlantide: “Mai verbali o multe, non crediamo di essere un problema nel quartiere”
[ leggi articolo completo su Zic » ] 


*     *      *
 
un'archeologia:
 


Fino dall'otto aprile dell'anno 1583, l'Illustrissimo ed Eccellentissimo signor don Carlo d'Aragon, Principe di Castelvetrano, Duca di Terranova, Marchese d'Avola, Conte di Burgeto, grande Ammiraglio, e gran Contestabile di Sicilia, Governatore di Milano e Capitan Generale di Sua Maestà Cattolica in Italia, pienamente informato della intollerabile miseria in che è vivuta e vive questa città di Milano, per cagione dei bravi e vagabondi, pubblica un bando contro di essi. Dichiara e diffinisce tutti coloro essere compresi in questo bando, e doversi ritenere bravi e vagabondi ...  A tutti costoro ordina che, nel termine di giorni sei, abbiano a sgomberare il paese, intima la galera a renitenti, e dà a tutti gli ufficiali della giustizia le più stranamente ampie e indefinite facoltà per l'esecuzione dell'ordine. Ma, nell'anno seguente, il 12 aprile, scorgendo il detto signore, che questa Città è tuttavia piena di detti bravi... tornati a vivere come prima vivevano, non punto mutato il costume loro, né scemato il numero, dà fuori un'altra grida, ancor più vigorosa e notabile,

lunedì 28 marzo 2011

Et moi, et moi, et moi

Jacques Dutronc
 testo:
Jacques Lanzmann 

1966



 Ed io, ed io, ed io
 

Settecento milioni di cinesi
Ed io, ed io, ed io
Con la mia vita, la mia casetta.
Il mio psi.
Ci penso e poi dimentico.
E’ la vita, è la vita

Ottanta milioni d'indonesiani
Ed io, ed io, ed io
Con la mia auto e il mio cane
Il suo Canigou quando abbaia.
Ci penso e poi dimentico
È la vita, è la vita

Tre o quattrocento milioni di neri
Ed io, ed io, ed io
Che vado al brunitoio
Alla sauna per perdere peso
Ci penso e poi dimentico
È la vita, è la vita

lunedì 14 marzo 2011

"sono la Mamma di Valerio Verbano, ucciso a Roma il 22 febbraio 1980". Un messaggio

... ci scegliamo un compagno: non per noi, ma per qualcosa che è in noi, e al tempo stesso fuori di noi e ha bisogno del nostro venir meno a noi stessi per attraversare una linea che noi non raggiungeremo.
Maurice Blanchot, L'ultimo a parlare



Premessa
Nel corso di uno scambio di comunicazioni nato di recente in internet, Carla Verbano mi aveva scritto di salutarle Bologna, la città in cui, dopo la nascita, ha a lungo vissuto.
Incoraggiato dalla sua non comune disponibilità al confronto, le avevo risposto francamente che Bologna oggi è  meno bella di quella che aveva lasciato negli anni Sessanta: meno servizi, meno socialità e socievolezza ... E – come se non bastasse – fatta oggetto negli ultimi anni di reiterati  (e fin qui fallimentari) tentativi (o tentazioni) di replicare o scimmiottare in forma “nuova” l’obbrobrioso copione di una Bologna culla del fascismo  [vedi Luigi Fabbri, parte 1  e 2].

E, con la stessa consapevolezza di rivolgermi a chi è in grado di capire certe cose – che tanti non intendono – le ho ricordato che proprio in questi giorni di marzo, a Bologna, c’erano in programma almeno due iniziative, concentrate ciascuna su uno degli assi  assi fondamentali del contesto storico-politico in cui si è impegnato Valerio, fino alla fine.

- 11 e 12 marzo: il convegno La parola scritta. Verità resistenti verso Genova 2011 : sull'asse delle esperienze dei movimenti, delle lotte, a partire dagli anni Settanta (e in particolare dal ’77) ad oggi;
- 13 marzo: la giornata di studi “Già l’ora s’avvicina della più giusta guerra”,  sull'asse dell'antifascismo, dagli anni Venti alla specificità della situazione presente.

Nell’imminenza di quegli appuntamenti, ho proposto a Carla – se poteva interessarla, aveva tempo e se la sentiva – di inviare un saluto a chi, a Bologna, considera l’uccisione di Valerio una ferita aperta. Come  quella di Francesco Lorusso. O di Carlo  Giuliani ...

Ma il tempo è volato, e il 12 marzo ho nuovamente scritto a Carla per dirle che, se voleva scrivere e trasmettermi entro sera anche soltanto un breve e semplice messaggio di saluto alla giornata antifascista del giorno 13, lo avrei proposto volentieri alla lettura.

Ho ricevuto il messaggio di Carla in serata, e il mattino seguente l’ho proposto alla giornata di studi antifascisti di leggerlo, (corredandolo con la lettura della scheda del sito Reti invisibili dedicata a “Valerio Verbano) .
E’ stato accolto con  intensa attenzione ed  emozione.

venerdì 11 marzo 2011

“Già l’ora s’avvicina della più giusta guerra” - Giornata di Studi - 13 marzo [BO]













Domenica 13 marzo, presso il Circolo anarchico Camillo Berneri, Piazza di Porta S. Stefano 1, Bologna, si terrà una giornata di riflessione sull’antifascismo anarchico e libertario per ragionare insieme su declinazioni, percorsi, prospettive di un antifascismo che rifiuti a un tempo le logiche dell’autorità statale, della delega, delle discriminazioni e dello sfruttamento.

“Già l’ora s’avvicina della più giusta guerra”
L’antifascismo anarchico 1921-2011

 
Giornata di studi
Domenica 13 marzo 2011



La giornata intende dare conto di varie ricerche sul movimento anarchico e il suo apporto all’antifascismo, coprendo un arco cronologico ampio e arrivando fino all’oggi. L’approfondimento e la comprensione di alcune dinamiche storiche del passato saranno così una possibilità di auto-formarsi, al di là di e al di fuori di una istituzione, quella universitaria, sempre più a pezzi e asservita alle logiche di potere e di mercato. Studenti e studentesse, operai e operaie, precari e precarie socializzeranno i risultati delle proprie ricerche con l’intento di offrire nuovi elementi di interpretazione del passato e chiavi di lettura di un presente se non totalitario sicuramente oppressivo.



Inizio lavori ore 10:30



- Il 25 aprile non è una ricorrenza, ora e sempre resistenza! Contro ogni fascismo
  Giorgio, Nodo Sociale Antifascista

–  Gli Arditi del Popolo 1921-1922: la prima opposizione armata al fascismo
  Andrea Staid, autore del libro Gli Arditi del Popolo, Circolo dei Malfattori Milano

- Il fuoriuscitismo: l’esilio degli antifascisti nella Francia negli anni Venti
  Toni, redazione locale di Umanità Nova, settimanale anarchico

- La Resistenza sconosciuta: gli anarchici nella lotta di liberazione
  Marabbo, archivio popolare Antonio Rubbi, Medicina

Pranzo a buffet



- Dopoguerra e ricostruzione: l’antifascismo a Bologna
  Dawit S., ANPI Savena


- Fra strategia della tensione e antifascismo militante: gli anni ’70 e il caso Marini
  Jacopo F., Circolo Berneri

- L’incomparabile antifascismo
   Rudy Leonelli, Nodo Sociale Antifascista, incidenze

A seguire aperitivo libertario


[con il patrocinio del Nodo Sociale Antifascista]

martedì 8 marzo 2011

Liberazione: il Settantasette di Valerio Verbano, tornano le carte perdute


Personale e politico di un sedicenne dell’Autonomia. Ecco cosa c’è nel “dossier”

Giorgio Ferri e Nicola Macò, per Liberazione, 8 marzo 2011




Ci sono i voti del semestre appena concluso, l’orario delle lezioni, il testo della canzone di De André, Il bombarolo, e poi in stampatello sul frontespizio: «Portare l’attacco al cuore dello Stato», con una falce e martello e un mitra sovrapposti e sotto la sigla Ccr, collettivo comunista rivoluzionario quarta zona, composto dagli studenti del liceo scientifico Archimede. E’ la copia fotostatica dell’agenda rossa 1977, edita dalla Savelli, appartenente a Valerio Verbano, allora studente appena sedicenne, riemersa da un buio lungo 31 anni. Ai lati dei fogli la firma di Rina Zapelli, nome da ragazza di Carla Verbano, madre di Valerio, apposta al momento del sequestro la sera del 20 aprile 1979.
L’inchiesta sui fascisti
Tra le pagine che abbiamo potuto consultare, poco meno della metà dei 379 fogli che sembrano comporre quanto resta del “dossier Verbano”, ci sono anche 41 fogli di una rubrica nei quali sono riportati circa 900 nomi di attivisti di estrema destra corredati da indirizzi e in alcuni casi con numero di telefono. Redatti tutti con la grafia di Verbano. Altri 16 fogli, trascritti da più mani, riportano appunti, minute di schede, appartenenza politica, piantine e altre informazioni, come alcuni luoghi di ritrovo dell’estrema destra. Carla Verbano vi ha già riconosciuto quella di un amico di Valerio deceduto nel frattempo. Un accurato lavoro di mappatura delle diverse realtà del neofascismo romano dove lucide intuizioni e scoperte anzitempo si sommano anche ad imprecisioni e approssimazioni notevoli. Alcune schede collimano solo in parte con quelle riportate nel recente libro di Valerio Lazzaretti, Valerio Verbano, ucciso da chi, come e perché, Odradek 2011. Questa circostanza conferma quanto ricordato nei giorni scorsi da Carla Verbano sulla esistenza di più versioni del dossier, «realizzato da Valerio insieme ad altri sei o sette amici».

venerdì 4 marzo 2011

4 marzo 1943 - Lucio Dalla

Lucio Dalla
4 marzo 1943





 

«La canzone che ha segnato una svolta nella carriera di Lucio Dalla, e la sua ripartenza, è un notissimo esempio di pezzo che ha avuto guai con la censura ...

lunedì 21 febbraio 2011

La parabola di Benigni a Sanremo: "buoni" consigli - "cattivo" esempio?

Les vieillards aiment à donner des bons préceptes,
pour se consoler de n'être plus en état de  donner des mauvais exemples.
François de  La Rochefoucauld, Maximes

   *     *     *

Benigni e «Fratelli d'Italia», dubbi su una lezione di storia

Alberto Maria Banti - il manifesto, 20 gennaio 2011

Roberto Benigni a Sanremo: ma certo, quello che voleva bene a Berlinguer! Quello che - con gentile soavità - insieme a Troisi scherzava su Fratelli d'Italia ...




Che trasformazione sorprendente!


Eh sì, giacché giovedì 17 febbraio «sul palco dell'Ariston», come si dice in queste circostanze, non ha fatto solo l'esegesi dell'Inno di Mameli. Ha fatto di più. Ha fatto un'apologia appassionata dei valori politici e morali proposti dall'Inno. E - come ha detto qualcuno - ci ha anche impartito una lezione di storia. Una «memorabile» lezione di storia, se volessimo usare il lessico del comico.

Bene. E che cosa abbiamo imparato da questa lezione di storia? Che noi italiani e italiane del 2011 discendiamo addirittura dai Romani, i quali si sono distinti per aver posseduto un esercito bellissimo, che incuteva paura a tutti. Che discendiamo anche dai combattenti della Lega lombarda (1176); dai palermitani che si sono ribellati agli angioini nel Vespro del lunedì di Pasqua del 1282; da Francesco Ferrucci, morto nel 1530 nella difesa di Firenze; e da Balilla, ragazzino che nel 1746 avvia una rivolta a Genova contro gli austriaci. Interessante. Da storico, francamente non lo sapevo. Cioè non sapevo che tutte queste persone, che ritenevo avessero combattuto per tutt'altri motivi, in realtà avessero combattuto già per la costruzione della nazione italiana. Pensavo che questa fosse la versione distorta della storia nazionale offerta dai leader e dagli intellettuali nazionalisti dell'Ottocento. E che un secolo di ricerca storica avesse mostrato l'infondatezza di tale pretesa. E invece, vedi un po' che si va a scoprire in una sola serata televisiva.

Ma c'è dell'altro. Abbiamo scoperto che tutti questi «italiani» erano buoni, sfruttati e oppressi da stranieri violenti, selvaggi e stupratori - stranieri che di volta in volta erano tedeschi, francesi, austriaci o spagnoli. E anche questa è una nozione interessante, una di quelle che cancellano in un colpo solo i sentimenti di apertura all'Europa e al mondo che hanno positivamente caratterizzato l'azione politica degli ultimi quarant'anni.

Poi abbiamo anche capito che dobbiamo sentire un brivido di emozione speciale quando, passeggiando per il Louvre o per qualche altro museo straniero, ci troviamo di fronte a un quadro, che so, di Tiziano o di Tintoretto: e questo perché quelli sono pittori «italiani» e noi, in qualche modo, discendiamo da loro. Che strano: questa mi è sembrata una nozione veramente curiosa: io mi emoziono anche di fronte alle tele di altri, di Dürer, di Goya o di Manet, per dire: che sia irriducibilmente anti-patriottico?

E infine abbiamo capito qual è il valore fondamentale che ci rende italiani e italiane, e che ci deve far amare i combattenti del Risorgimento: la mistica del sacrificio eroico, la morte data ai nemici, la morte di se stessi sull'altare della madre-patria, la militarizzazione bellicista della politica. Ecco. Da tempo sostengo che il recupero acritico del Risorgimento come mito fondativo della Repubblica italiana fa correre il rischio di rimettere in circuito valori pericolosi come sono quelli incorporati dal nazionalismo ottocentesco: l'idea della nazione come comunità di discendenza; una nazione che esiste se non ab aeterno, almeno dalla notte dei tempi; l'idea della guerra come valore fondamentale della maschilità patriottica; l'idea della comunità politica come sistema di differenze: «noi» siamo «noi» e siamo uniti, perché contrapposti a «quegli altri», gli stranieri, che sono diversi da noi, e per questo sono pericolosi per l'integrità della nostra comunità.

Ciascuna di queste idee messa nel circuito di una società com'è la nostra, attraversata da intensi processi migratori, può diventare veramente tossica: può indurre a pensare che difendere l'identità italiana implichi difendersi dagli «altri», che - in quanto diversi - sono anche pericolosi; può indurre a fantasticare di una speciale peculiarità, se non di una superiorità, della cultura italiana; invita ad avere una visione chiusa ed esclusiva della comunità politica alla quale apparteniamo; e soprattutto induce a valorizzare ideali bellici che, nel contesto attuale, mi sembrano quanto meno fuori luogo.

Ecco, con la performance di Benigni mi sembra che il rischio di una riattualizzazione del peggior nazionalismo stia diventando reale: tanto più in considerazione della reazione entusiastica che ha accolto l'esibizione del comico, quasi come se Benigni avesse detto cose che tutti avevano nel cuore da chissà quanto tempo. Ora se questi qualcuno sono i ministri La Russa o Meloni, la cosa non può sorprendere, venendo questi due politici da una militanza che ha sempre coltivato i valori nazionalisti. Ma quando a costoro si uniscono anche innumerevoli politici e commentatori di sinistra, molti dei quali anche ex comunisti, ebbene c'è da restare veramente stupefatti.

Verrebbe da chieder loro: ma che ne è stato dell'internazionalismo, del pacifismo, dell'europeismo, dell'apertura solidale che ha caratterizzato la migliore cultura democratica dei decenni passati? Perché non credo proprio che un simile bagaglio di valori sia conciliabile con queste forme di neo-nazionalismo. Con il suo lunghissimo monologo, infatti, Benigni - pur essendosi dichiarato contrario al nazionalismo - sembra in sostanza averci invitato a contrastare il nazionalismo padano rispolverando un nazionalismo italiano uguale a quello leghista nel sistema dei valori e contrario a quello solo per ciò che concerne l'area geopolitica di riferimento.

Beh, speriamo che il successo di Benigni sia il successo di una sera. Perché abbracciare la soluzione di un neo-nazionalismo italiano vorrebbe dire infilarsi dritti dritti nella più perniciosa delle culture politiche che hanno popolato la storia dell'Italia dal Risorgimento al fascismo.

venerdì 4 febbraio 2011

«Compagno»

Dobbiamo confessare che  non siamo stati sorpresi dalla  notizia che il Paese ormai noto al grande pubblico per il  ruolo svolto dal popolare letto di Putin (repentinamente giunto al top delle cronache italiane e internazionali), "ha cancellato dal suo vocabolario il termine tovarish [compagno], la parola più pronunciata [in Russia] per quasi 80 anni ...".

Perché,  per noi (è un'altra storia), il termine compagno/a, non va perdendo  senso, ma - al contrario - riesce a ritrovarlo, a rinnovarlo:


 Mario Rigoni Stern
Perché dovete chiamarmi compagno
lettera all'Anpi, gennaio 2007


Cari Compagni,
sì, Compagni, perché è un nome bello e antico che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino “
cum panis” che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane.
Coloro che lo fanno condividono anche l’esistenza con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze.

È molto più bello Compagni che “Camerata” come si nominano coloro che frequentano lo stesso luogo per dormire, e anche di “Commilitone” che sono i compagni d’arme.

Ecco, noi della Resistenza siamo Compagni perché abbiamo sì diviso il pane quando si aveva fame ma anche, insieme, vissuto il pane della libertà che è il più difficile da conquistare e mantenere.

Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra di aver risolto il problema dell’esistere
e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione.


All’erta Compagni!

Non è il tempo di riprendere in mano un’arma ma di non disarmare il cervello sì, e l’arma della ragione è più difficile da usare che non la violenza.

Meditiamo su quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite.

Altri sono i problemi della nostra società: la pace, certo, ma anche un lavoro per tutti, la libertà di accedere allo studio, una vecchiaia serena; non solo egoisticamente per noi, ma anche per tutti i cittadini. Così nei diritti fondamentali della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.

Vi giunga il mio saluto, Compagni dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
e Resistenza sempre.

Vostro
Mario Rigoni Stern
 
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da:  Patria indipendente (Anpi), 27 luglio 2008

domenica 9 gennaio 2011

domenica 19 dicembre 2010

Chanson des villes - René Char - Hélène Martin, terres mutilées 1986




Mes villes en rang
Mes villes en sang
Mes villes fusillées
Mes villes bâillonnées

Ça fait si mal
Ça fait si mal

C'est Guernica c'est Varsovie
Hiroshima ou c'est Paris
Cette Alesia du sang partout
C'est Stalingrad c'est Điện Biên Phủ
C'est Điện Biên Phủ

Mes villes ouvertes
Mes villes inertes
Mes villes bombardées
Mes villes cloisonnées

Ça fait si mal
Ça fait si mal

Milliers d’otages dans le silence
C’est toi Carthage c’est Numance
C'est Entremont ce requiem
Un autre nom Jérusalem
Jérusalem

Mes villes en armes
Mes villes en larmes
Mes villes mitraillées
Mes villes mutilées

Ça fait si mal
Ça fait si mal

Et les villages oh mes amours
Tant de carnages comme Oradour
Quels sont ces cris ces trahisons
Oh mes amis oh ma maison
Oh ma maison

Ma ville orgueil
Ma ville en deuil
Un homme l’a sauvée
Ma ville délivrée

N’oubliez pas
N’oubliez pas


Mes villes en rang
Mes villes en sang
Mes villes fusillées
Mes villes bâillonnées

Ça fait si mal
Ça fait si mal

C'est Guernica c'est Varsovie
Hiroshima ou c'est Paris
Cette Alesia du sang partout
C'est Stalingrad c'est Điện Biên Phủ
C'est Điện Biên Phủ

Mes villes ouvertes
Mes villes inertes
Mes villes bombardées
Mes villes cloisonnées

Ça fait si mal
Ça fait si mal

Milliers d’otages dans le silence
C’est toi Carthage c’est Numance
C'est Entremont ce requiem
Un autre nom Jérusalem
Jérusalem

Mes villes en armes
Mes villes en larmes
Mes villes mitraillées
Mes villes mutilées

Ça fait si mal
Ça fait si mal

Et les villages oh mes amours
Tant de carnages comme Oradour
Quels sont ces cris ces trahisons
Oh mes amis oh ma maison
Oh ma maison

Ma ville orgueil
Ma ville en deuil
Un homme l’a sauvée
Ma ville délivrée
N’oubliez pas
N’oubliez pas
.

Mes villes en rang
Mes villes en sang
Mes villes fusillées
Mes villes bâillonnées

Ça fait si mal
Ça fait si mal

C'est Guernica c'est Varsovie
Hiroshima ou c'est Paris
Cette Alesia du sang partout
C'est Stalingrad c'est Điện Biên Phủ
C'est Điện Biên Phủ

Mes villes ouvertes
Mes villes inertes
Mes villes bombardées
Mes villes cloisonnées

Ça fait si mal
Ça fait si mal

Milliers d’otages dans le silence
C’est toi Carthage c’est Numance
C'est Entremont ce requiem
Un autre nom Jérusalem
Jérusalem

Mes villes en armes
Mes villes en larmes
Mes villes mitraillées
Mes villes mutilées

Ça fait si mal
Ça fait si mal

Et les villages oh mes amours
Tant de carnages comme Oradour
Quels sont ces cris ces trahisons
Oh mes amis oh ma maison
Oh ma maison

Ma ville orgueil
Ma ville en deuil
Un homme l’a sauvée
Ma ville délivrée

N’oubliez pas
N’oubliez pas