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lunedì 1 marzo 2010

Bologna: un altro sfregio alla memoria dei partigiani

Nel corso della notte, alla Bolognina, la corona d'alloro che decorava la lapide in memoria di due partigiani assassinati dai fascisti nel luglio 1944 - Bruno Monterumici e Vasco Mattioli - è stata asportata e ridotta in pezzi.



[testo della lapide]
"Nel sanguinoso travaglio popolare
del secondo Risorgimento italiano
balzati dalle cellule clandestine
sono morti sapendo di morire
nella consapevole dura scelta
del sacrificio dell'onore e della dignità
Bruno Monterumici e Vasco Mattioli
8 settembre 1943 - 21 aprile 1945"



Questo sfregio si inserisce in un clima - favorito dal pernicioso "sdoganamento" del fascismo e della sua apologia - in cui si intensificano i tentativi (istituzionali e/o "militanti) di "riabilitare", legittimare e, per così dire, "abbellire" le imprese fasciste, affiancati da una recrudescenza delle aggressioni fasciste e razziste.
E da atti di squadrismo simbolico, che trovano una delle loro forme principali nell'oltraggio, nell'asportazione, distruzione e/o danneggiamento delle tracce di memoria in onore della Resistenza.

* * *

In memoria di Bruno Monterumici e Vasco Mattioli


[foto di: Incidenze]
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per un precedente in Bolognina, vedi archivio blog AAP:
1 maggio 2007
La nostra risposta


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post correlati:
"vi si sfaccia la casa..."

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sabato 5 dicembre 2009

antifascismo oggi


«
Al di là dei fatti, serve una riflessione complessiva su cosa significa essere antifascisti oggi. E la prima interpretazione da cui bisogna culturalmente distaccarsi è che l’antifascismo sia una pratica che appartiene solo ad un’avanguardia che si reputa tale. L’antifascismo è una pratica quotidiana che ha successo laddove l’antifascista con la sua presenza nei quartieri, nelle lotte per la casa, il lavoro, la salute riesce a creare un tessuto politico e sociale coeso che sappia respingere la presenza fascista in modo automatico senza bisogno che ciò sia ogni volta onere o responsabilità di un gruppo ristretto di militanti. I fascisti portano violenza e intolleranza e rappresentano forze fresche al servizio dei potenti nei momenti di maggiore crisi o di conflittualità sociale. E’ un dato storico e politico che deve sempre essere chiaro
».


[un brano che condivido, tratto da un articolo su
Senza Soste]

mercoledì 23 settembre 2009

T : tenerezza [rif. i ragazzi di ...]

E n c i c l o p e d i a
d e l l a
n e o l i n g u a
.
T
.
Tenerezza

[rif: i ragazzi di...]


«A metà della via ... c'è un presidio di ragazzi di Forza nuova. Fanno tenerezza questi fascistelli che incorporano un triste clichè di provincia, le testoline rasate e gli sguardi finto truci, non fanno paura. Anzi, invece provocano in me della tenerezza. Ognuno a quell'età trova una scusa per liberare i suoi istinti bestiali ...»

A. Ferracuti, ,“Ronde anomale”, il manifesto, 22 settembre 2009

martedì 1 settembre 2009

Uno di noi : blog antifa internazionale



Alla fine dell'anno scorso nella città di Bochum è stato realizzato un graffito dedicato a 7 giovani antifascisti assassinati negli ultimi anni da neonazisti.
La realizzazione del graffito è diventata ora un documentario "Uno di noi" nel quale vengono anche raccontate le storie dei giovani compagni antifascisti assassinati.
Sul sito del progetto, realizzato in tedesco, inglese, spagnolo, italiano, francese e russo, sono ospitati testi, gallerie fotografiche ed è possibile scaricare il film ed i sottotitoli.


antifa,arte,writers,internazionale


Uno di Noi:
Davide Cesare, alias “Dax” (26 anni), accoltellato a morte il 16 marzo 2003 da fascisti a Milano.
Thomas Schulz, alias “Schmuddel” (31 anni), assassinato il 28 marzo 2005 da un nazi-skin a Dortmund.
Timur Kacharava ( 20 anni), assassinato il 13 novembre 2005 da un gruppo di nazisti a San Pietroburgo.
Renato Biagetti, alias “Renoize” (26 anni), accoltellato a morte il 28 Agosto 2006 da fascisti a Roma
Carlos Palomino, alias “Pollo” (16 anni) accoltellato a morte l’11 Novembre 2007 da un falangista spagnolo a Madrid.
Jan Kučera (18 anni), accoltellato a morte il 18 Gennaio 2008 a Příbram, nella Repubblica Ceca, da un nazi-skin.
Fjedor „Fidei“ Filatov (27 anni), accoltellato a morte il 10 ottobre 2008 da quattro nazisti russi a Mosca.

Abbiamo scelto questi sette giovani, perché crediamo che rappresentino i giovani europei che resistono alla recrudescenza del fascismo e del razzismo. A causa della loro opposizione e della loro resistenza sono diventati vittime della violenza fascista. Di loro sappiamo che la loro opposizione/resistenza si rivolgeva anche contro la normalità del capitalismo. E per questo hanno rappresentato degli elementi di disturbo per le forze dell‘ordine, a Giustizia, la politica ufficiale e alla stampa nei rispettivi Paesi. Casi difficili da trattare per polizia, legge e media, così come per partiti ed istituzioni che hanno espresso poco interesse per loro.
Questo è chiaramente il caso, ad esempio, dell‘antifascista di Dortmund Thomas Schulz, alias Schmuddel. Fino ad oggi la città si è rifiutata di affiggere una targa commemorativa alla Stazione della Metropolitana dove era stato assassinato.
Noi pensiamo che ognuno di loro fosse “uno di noi”.
Uno di noi, ragazz* europei, che né credono a costruzioni artificiali quali la nazione, la razza, i confini nazionali, etc., né si preoccupano solo della loro “realizzazione” individuale. Uno di noi, che riusciamo ad immaginare una vita migliore, liberata dallo sfruttamento capitalista e dall‘isolamento dei singoli esseri umani e che vogliono lottare per questo.
Erano “uno di noi”. E non li dimenticheremo. Per conservare la loro memoria e ricordarli in maniera attiva abbiamo realizzato questo mural.
E, come dice lo slogan del murales: Nei nostri sogni di cambiamento sociale e nelle nostre lotte per ottenerlo Dax, Schmuddel, Renato, Pollo, Jan, Fjedor e Timur, come tutte le altre vittime del fascismo e del razzismo, continuano a vivere.
Dax, Schmuddel, Renato, Pollo, Jan, Fjedor und Timur
“Vivono ancora“ !!!

Think globally — act locally!
United we stand — divided we fall!


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venerdì 21 agosto 2009

Incredibile Almirante: «Democratico» in camicia nera


La biografia di Vincenzo La Russa, fratello del ministro Ignazio, santifica il leader del Msi. Tacendo sul bando contro i partigiani e sdoganando Salò. Una revisione piena di errori e omissioni sugli anni ’60 e ’70.

di Saverio Ferrari, il manifesto, 20 agosto 2009

Sono tali e tanti i silenzi, le reticenze e le omissioni della biografia di Giorgio Almirante curata da Vincenzo La Russa (Giorgio Almirante. Da Mussolini a Fini, Mursia, p. 247, 17 euro), che potrebbe addirittura sorgere il sospetto che si stia parlando di un’altra persona. Davvero scoperto e grossolano appare il tentativo, tutto politico, di santificare il leader del neofascismo italiano, in spregio alle conoscenze storiche pacificamente acquisite.
Dopo poche pagine iniziali in cui si concentrano le origini familiari e i primi passi compiuti da giornalista al seguito di Telesio Interlandi (un autentico invasato razzista nei confronti del quale Almirante manterrà sempre «stima e devozione»), prima al quotidiano Tevere e poi come segretario di redazione al quindicinale La difesa della razza, si passa subito a narrare del ruolo svolto dal settembre 1943 in veste di capo di gabinetto di Fernando Mezzasoma al ministero della Cultura popolare nella Rsi. Circostanza che viene presentata come frutto di un incontro del tutto fortuito a Roma con lo stesso Mezzasoma. Così la sua elezione a segretario del Msi nel giugno 1947, raccontata come un accidente non previsto, avvenuta a pochi mesi dalla costruzione della formazione politica da parte di un gruppo di nostalgici della Repubblica di Salò, che lo innalzarono a tale carica essendo loro ben più compromessi con il passato ventennio o addirittura latitanti. È il caso di Pino Romualdi, la più importante figura del neofascismo di quel periodo, costretto ad operare nella clandestinità. In realtà Almirante, come ricorderà egli stesso anni dopo, giunse a questo ruolo portando in dote al Msi un intero movimento da lui fondato, il Movimento italiano di unità sociale (Mius), «che raccoglieva l’élite direttiva del fascismo». Fu lui a sottolinearlo nella sua storia del Movimento sociale italiano, scritta con Francesco Palamenghi-Crispi nel 1958. Non proprio, dunque, come si vorrebbe, un’elezione casuale. Sul terrorismo delle Sam (Squadre d’azione Mussolini) e dei Far (Fasci di azione rivoluzionaria), che precedettero e accompagnarono la fase iniziale del Msi, in buona parte composti e diretti dagli stessi missini, non una sola parola. Eppure gli attentati furono innumerevoli, spesso tutt’altro che dimostrativi, con tanto di morti e feriti. Ma siamo solo agli inizi. Tutta la vita politica di Almirante e del Msi viene, infatti, nel complesso collocata in un contesto volutamente depurato da tutti quegli elementi che potrebbero contraddire una ricostruzione di comodo. Si cita più volte l’importante lavoro di Giuseppe Parlato Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, edito dal Mulino nel 2006, forse la miglior ricerca su quel periodo da parte di uno storico di destra, ma, ad esempio, si tralascia clamorosamente di riprenderne la parte essenziale, minuziosamente documentata anche con carte tratte dagli archivi americani, relativa agli intensi rapporti intercorsi tra i dirigenti neofascisti, Pino Romualdi in testa, e i servizi segreti americani che appoggiarono, anche economicamente, e favorirono i chiave anticomunista la nascita del Msi. Una tessitura di contatti avviata ancor prima della fine della guerra, che consentì allo stesso Romualdi, il 27 aprile del 1945, di scampare a fucilazione certa. Queste le conclusioni di Giuseppe Parlato: «Da lì discendono una serie di legami che consentono di leggere la nascita del Msi in modo totalmente diverso: non un movimento di reduci, ma una forza atlantica e nazionale nel quadro della Guerra Fredda» (dall’intervista rilasciata a Simonetta Fiori apparsa su La Repubblica del 9 novembre 2006). Nulla di tutto ciò, neanche un cenno, nel libro di Vincenzo La Russa. Un approccio teso, il suo, da un lato a rileggere, all’opposto, il neofascismo italiano come un’area posta ai margini della vita politica e vessata dalla violenza comunista, mai attraversata da spinte eversive, frustrata nei suoi tentativi di inserimento nel sistema anche a causa del peso che vi ebbero i nostalgici del fascismo repubblichino (in ciò una critica) come Almirante, comunque conquistati al metodo democratico, dall’altro lato, a cercare di “salvare” proprio questa figura da ogni sospetto riguardo alla sua buona fede democratica, non si capisce bene quando acquisita. Forse da sempre.
Che la Repubblica sociale e il fascismo fossero stati democratici? Il dubbio è lecito. Un esercizio spericolato, in definitiva, che per essere condotto ha bisogno di pesanti manipolazioni storiche. E queste davvero non mancano.
In particolare in questa biografia, salvo poche righe su Piazza Fontana, sembrerebbe non essere mai esistita la strategia della tensione con le sue stragi nere, in cui rimasero coinvolti e in alcuni casi condannati (si vedano le sentenze definitive per la strage di Peteano del 31 maggio 1972 e per la tentata strage del 7 aprile 1973 sul treno Torino-Roma) proprio quegli esponenti di Ordine Nuovo che Giorgio Almirante invitò «lui a rientrare» nel 1969 nel Msi. Ovviamente La Russa omette anche di ricordare il pesante coinvolgimento di Almirante in relazione a Peteano, quando fu rinviato a giudizio per favoreggiamento di Carlo Cicuttini (ex-segretario di una sezione missina), latitante in Spagna, al quale fece pervenire 34mila dollari affinché si sottoponesse a un’operazione alle corde vocali per vanificare il suo riconoscimento come autore della telefonata che attirò una pattuglia di carabinieri a Peteano, in provincia di Gorizia, dove aveva predisposto, insieme con Vincenzo Vinciguerra, un’autobomba che esplose all’apertura del cofano. Tre militi rimasero uccisi sul colpo. Carlo Cicuttini fu condannato all’ergastolo. Almirante evitò invece il processo beneficiando dell’amnistia nel febbraio del 1987.
Del bando rinvenuto nel giugno 1971 in un comune della provincia di Arezzo, firmato il 17 maggio 1944 dal capo di gabinetto Giorgio Almirante per conto del ministro Mezzasoma, in cui si minacciavano «gli sbandati» e gli appartenenti a bande partigiane di «fucilazione nella schiena», che suscitò nel Paese una forte ondata di sdegno, Vincenzo La Russa ne parla come di un semplice e dovuto adempimento burocratico. Come se Almirante fosse stato a Salò un semplice passacarte, quando invece collaborava con uno dei più fanatici ministri di Mussolini, e secondo diverse testimonianze era chiamato «il prete nazista» proprio dagli altri componenti del gabinetto per il suo acceso estremismo e il furore con cui si scagliava contro ogni pietismo.
Ma è proprio riguardo al nodo della violenza, «lui non incitava certo», che forse sarebbe il caso di ricordare a La Russa il famoso comizio di Almirante a Firenze, il 4 giugno 1972, in cui il segretario del Msi proclamò che i giovani di destra erano «pronti allo scontro frontale con i comunisti», e ancor prima la famosa intervista al settimanale tedesco Der Spiegel, il 10 dicembre 1969, solo due giorni prima della strage di Piazza Fontana, dove il segretario missino confessò che «le organizzazioni fasciste si preparano alla guerra civile… tutti i mezzi sono giustificati per combattere i comunisti… misure politiche e militari non sono più distinguibili». Non c’è male come “pacificatore”.
Di diversi episodi degli anni Settanta Vincenzo La Russa fa poi letteralmente strazio. Ricostruisce l’uccisione dell’agente Antonio Marino, avvenuta a Milano il 12 aprile 1973, nel corso di scontri provocati da una manifestazione missina, inventandosi di sana pianta la dinamica dei fatti. Non fu, infatti, mai lanciata una bomba contro alcuna camionetta di polizia, ma ben tre per colpire i cordoni degli agenti. Il poliziotto Marino morì perché raggiunto in pieno petto da una di queste e non perché esplose il tascapane con i candelotti lacrimogeni, che per altro non portava. Sarebbe bastato a La Russa leggere seppur sommariamente gli atti giudiziari o più semplicemente chiedere informazioni ai suoi fratelli, Ignazio e Romano, presenti alla manifestazione. Romano fu anche fermato dopo gli incidenti.
Sempre secondo l’autore, e qui siamo davvero oltre ogni limite, nell’aprile del 1975 «il giovane milanese Claudio Varalli» sarebbe stato addirittura «ucciso da estremisti di sinistra» (pag. 173, leggere per credere). Si potrebbe pensare a uno svarione, dato che Varalli militava nel Movimento lavoratori per il socialismo e che per il delitto fu condannato Antonio Braggion di Avanguardia nazionale. Ma solo poche righe più sotto troviamo scritto che nello stesso anno, a giugno, «Alceste Campanile, militante di Lotta Continua, viene trovato ucciso (si scoprirà dopo che il delitto era maturato nell’ambiente dell’estrema sinistra)».
Vale la pena di ricordare che l’assassino confesso di Alceste Campanile si chiama Paolo Bellini, ex militante di Avanguardia nazionale poi finito come killer al servizio di grandi organizzazioni criminali. Un caso ormai risolto da diversi anni. Noi non sappiamo da dove Vincenzo La Russa tragga le proprie informazioni. Qui non si tratta di spulciare polverosi archivi o di impegnarsi in estenuanti e difficili inchieste. Basterebbe a volte solo leggere i giornali.

 
Anche relativamente alle fotografie allagate al volume va citata una perla. In una di queste, a un certo punto, si ritrae Giorgio Almirante a Roma, il 16 marzo 1968, su una scalinata dell’Università La Sapienza, circondato da giovani con bastoni. La didascalia recita: «Almirante viene aggredito da alcuni studenti». L’episodio, che Vincenzo La Russa si guarda bene dal commentare, è relativo alla spedizione di circa trecento mazzieri missini, arrivati da tutta Italia, più qualche decina di bulgari reclutati nel campo profughi di Latina, guidati proprio da Almirante e Giulio Caradonna, che tentarono di sgomberare a forza alcune facoltà occupate. Una vicenda notissima, immortalata da centinaia di fotografie e più di un filmato, che ritrassero per altro Almirante sorridente attorniato dai suoi squadristi con tanto di mazze, spranghe e catene. Lui che «non incitava alla violenza». Finì semplicemente male. Gli studenti di sinistra si difesero e il nostro fu costretto a battere in ritirata protetto dalle forze di polizia. Tra i circa 160 fascisti fermati quel giorno figureranno, tra l’altro, anche Mario Merlino e Stefano delle Chiaie.
Una biografia, in conclusione, per molti versi inservibile. Forse non l’avrebbe apprezzata neanche Giorgio Almirante. Sarebbe stato davvero difficile riconoscersi anche per lui.

giovedì 2 luglio 2009

Le storie di ieri





Mio padre aveva un sogno comune
condiviso dalla sua generazione
la mascella al cortile parlava
troppi morti lo hanno tradito
tutta gente che aveva capito.
E il bambino nel cortile sta giocando
tira sassi nel cielo e nel mare
ogni volta che colpisce una stella
chiude gli occhi e si mette a sognare,
chiude gli occhi e si mette a volare.
E i cavalli a Salò sono morti di noia
a giocare col nero perdi sempre
Mussolini ha scritto anche poesie
i poeti che strane creature
ogni volta che parlano è una truffa.
Mio padre è un ragazzo tranquillo
la mattina legge molti giornali
è convinto di avere delle idee
e suo figlio è una nave pirata
e suo figlio è una nave pirata.
E anche adesso è rimasta una scritta nera
sopra il muro davanti casa mia
dice che il movimento vincerà
il gran capo ha la faccia serena
la cravatta intonata alla camicia.
Ma il bambino nel cortile si è fermato
si è stancato di seguire gli aquiloni
si è seduto tra i ricordi vicini, i rumori lontani,
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani.

sabato 30 maggio 2009

"Il sangue dei vincitori " presentazione 30 maggio - Fest antifa BO



Massimo Storchi


Il sangue dei vincitori



Saggio sui crimini fascisti e i processi del dopoguerra (1945-46)
Rastrellamenti, deportazioni, fucilazioni, torture. I venti mesi di sangue della Repubblica di Salò lasciarono una striscia di dolore e rancore che trovò come primo drammatico esito la giustizia sommaria dei giorni della liberazione e poi i processi istruiti a carico dei maggiori criminali fascisti. Utilizzando per la prima volta gli atti della Corte di Assise Straordinaria di Reggio Emilia si ripercorrono i drammatici giorni della feroce repressione antipartigiana e il tentativo fallito di dare giustizia alle centinaia di vittime della repressione dei corpi armati di Salò, al servizio dell'occupante tedesco.

presentazione
30 maggio ore 15 
 parco delle caserme rosse 
bologna




 discutono con l'autore:

 Fabrizio Billi (dell'Archivio MarcoPezzi)

e


  Rudy Leonelli

 



martedì 19 maggio 2009

Solidale con Buontempo il presidente della provincia di Roma (PD) - [da Senza Soste]

"Apprendiamo da La Nazione di Livorno di oggi che il presidente della provincia di Roma (PD, maggioranza allargata di centrosinistra) ha dato solidarietà, personale e a nome della sua amministrazione, a Teodoro Buontempo.
Non è la prima volta che il centrosinistra romano si mostra comprensivo con "il diritto ad esprimersi" dei fascisti. Durante Lazio-Livorno del 2005 l'allora sindaco Veltroni non ebbe niente da commentare in materia del gigantesco striscione "Roma è fascista" esposto in curva laziale. Si tratta di comportamenti gravi da parte del centrosinistra, che legittimano il fascismo, che rappresentano il contrario dello spirito antifascista della costituzione. Che è rigido, tende a neutralizzare ogni manifestazione di apologia del fascismo, proprio per impedire di dare cittadinanza a fenomeni che tendono alla distruzione di ogni espressione democratica ..."

[leggi l'articolo completo su Senza Soste]


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video:
la contestazione del 17 maggio


sabato 31 gennaio 2009

Valerio Morucci, l'antifascismo non è un western (da il manifesto)


Valerio Morucci, l'antifascismo
non è un western

di Francesco Raparelli

[da il manifesto, 31 gennaio 2009]


Ci sono alcune pagine di Nietzsche sulla «cattiva coscienza» che più di altre ci aiutano a capire la «questione Morucci», ma i giganti vanno scomodati di fronte alle cose serie e il caso dell’ex-Br (che sarà ospite del centro sociale neofascista Casa Pound) di certo non rientra tra queste. A cercare meglio, dietro la rabbia che immagino abbia colpito molti, c’è una biografia che per i movimenti, quelli di massa, ha avuto poco amore. Meglio i western.

Sono passati solo pochi giorni, dal divieto di Frati, pochi giorni da una questione che ha visto protagonista la Sapienza, Morucci e, suo malgrado l’Onda. Durante le feste natalizie, infatti, un docente di Scienze umanistiche ha deciso di invitare Morucci per parlare degli anni di piombo. Puntuale la replica del Rettore: l’iniziativa è stata vietata e in compenso Rettore e sindaco Alemanno hanno pensato bene di attaccare l’Onda («i trecento criminali»), di riproporre la questione del Papa e della libertà di parola. Il professore si difese chiamando in causa il consiglio poliziesco, Morucci fece finta di nulla, l’Onda rispose al meglio (era il 5 gennaio!). Oggi la musica cambia, a parlare è Iannone che presenta l’iniziativa di Casa Pound (di cui è portavoce), «oasi» del libero pensiero e della democrazia. Casa Pound e Morucci, infatti, sono accomunati da un problema comune e dallo stesso desiderio: interdetti dall’università, il problema; farla finita con «l’antifascismo ideologico», il desiderio. Sul desiderio Casa Pound ha già lavorato sodo in questi anni, con tutti gli strumenti tecnici a sua disposizione: per chi ha la memoria corta basta ricordare le cinte e i bastoni tricolore di Piazza Navona (29 ottobre 2008), quelli che colpivano con forza (altro che ideologia!) studenti e studentesse di non più di sedici, diciassette anni. Parlano le foto, parlano le ricostruzioni più oneste (Curzio Maltese primo fra tutti), parla la verità.

Ma a Morucci interessa poco la verità, tanto che – ci racconta Iannone sul
Corriere della sera di ieri ‒ dopo i fatti del 29 ottobre ha chiamato proprio i giovani di Blocco studentesco e non certo gli studenti dell’Onda per esprimere la sua solidarietà. Sulla Stampa dello scorso maggio stessa cosa: nessuna difesa per gli studenti aggrediti in via De Lollis dai neofascisti di Forza nuova, piuttosto una condanna bipartisan. Verrebbe da diventare scortesi, fortunatamente la vita e la storia di Morucci non parlano più a nessuno. Ci spiace per le sue ambizioni pretesche (Ratzinger è interessato all’acquisto?) e per quanto riguarda i movimenti appartengono ad un’altra era, un’era in cui l’antifascismo è un fatto di realtà, non una patologia da nostalgici.
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vedi inoltre: Quegli esorcisti di CasaPound...

giovedì 8 gennaio 2009

Partigiani e deportati come le truppe di Salò (di Gemma Contin)

Un progetto di legge, numero 1360, e un colpo di mano che metterà il Parlamento di fronte alla scelta di equiparare i partigiani che combatterono contro il fascismo e il nazismo, contro la guerra praticata da Benito Mussolini a fianco di Adolf Hitler, per la liberazione dell’Italia da un’infame dittatura interna ed esterna, con i miliziani della Repubblica di Salò, le truppe irriducibili che volevano continuare a tenere il Paese a ferro e fuoco, quelli che consegnarono migliaia di ragazzi italiani nelle mani dei rastrellatori tedeschi e gli ebrei del ghetto di Roma, di Venezia, di Torino, di Milano, nelle mani dei loro torturatori e di chi li avrebbe avviati ai lager e ai forni crematori.
Il progetto di legge - firmato in sostanza da parlamentari del "Popolo delle libertà" come Nicola Cristaldi, ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana, o dal vicesindaco di Milano Riccardo De Corato, noti eredi del Fuan, del Movimento sociale italiano e di Alleanza nazionale, ma anche da qualche esponente (che poi ha ritirato la firma) del Partito democratico di dubbia memoria storica come Paolo Corsini, ex sindaco di Brescia, che pure ha scritto il libro Da Salò a Piazza della Loggia ed è stato presidente del suo gruppo in Commissione Stragi - è in discussione ora, al rientro dalle vacanze natalizie, al primo punto dei lavori in corso alla Commissione Difesa della Camera dei deputati, il cui presidente Edmondo Cirielli (sì, proprio lui, anch’egli proveniente dai vertici irpini di An, nonché dall’alta formazione militare dell’Accademia della Nunziatella) ne è anche il relatore. Tanto per dire quale rilievo e importanza venga attribuito a una tale proposta dal centrodestra, più precisamente dall’"ala nera" del centrodestra, suscitando peraltro molti dubbi e distinguo, espressi in Commissione, tra le file della Lega.
Si tratta infatti di un nuovo capitolo di quel processo di omologazione (tutti ugualmente buoni oggi, tutti ugualmente cattivi ieri, o tutti eroi posti sullo stesso altarino), di ricostruzione di una verginità ideologica e di "revisionismo storico", ovvero di riscrittura della realtà storica per come quelli di noi che hanno un po’ più di sessant’anni hanno vissuto e ricordano assai bene e con molto dolore, cui hanno contribuito non poco le prese di posizione, in nome di una presunta "memoria condivisa" e declamata "riconciliazione nazionale", molti rappresentanti "al di sopra di ogni sospetto" del centrosinistra, come l’ex presidente della Camera Luciano Violante ...

[leggi l'articolo completo in Bellaciao]
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NB: L'immagine della resa fascista
è tratta da
Carnia libera

venerdì 5 dicembre 2008

Invito a non oltraggiare Bologna, medaglia d'oro della Resistenza: una lettera aperta

Poco fa,
ho spedito
via email
una lettera
ai gestori
dell'Osteria
il Moretto (Bologna).
Dato
che si tratta
di una questione
pubblica, la pubblico integralmente qui di seguito:


Ho appreso con sconcerto e disappunto che l'Osteria il Moretto intenderebbe ospitare la presentazione di un libro sul terrorista fascista Concutelli (come se non bastasse, il 13 dicembre cioè a ridosso dell'anniversario della strage di Piazza Fontana, ricordate?).

La riprovevole serata è organizzata dai fascisti dichiarati di Casapound (e del cosiddetto "Blocco studentesco"), dei quali si è molto parlato nei media in particolare in relazione all'aggressione contro giovani manifestanti "no Gelmini" a Piazza Navona, consumata con bastoni travestiti da aste di bandiere tricolore e con colpi di cinture.
Sono letteralmente trasalito, stupito, incredulo amareggiato, indignato. Sono stato per anni frequentatore di quell'Osteria, piacevole, aperta, e che sentivo un po' come un posto in cui trovavo persone interessanti, intelligenti e a dir poco di idee progressiste e di stili di vita che non contemplavano il disprezzo per gli immigrati, il razzismo più o meno velato, etc.
Pur vivendo a Bologna, non ho avuto occasione, da tempo, di recarmi in quello che ritenevo un ambiente fondamentalmente salubre, dove una serata del tipo "Io, l'uomo nero" (a me questo titolo non fa né paura né ridere, mi fa semplicemente schifo) sarebbe stata inconcepibile, inimmaginabile.
Non so se la gestione sia cambiata, ma vi garantisco, chiunque siano i gestori, che nel caso si realizzi quel riprovevole "evento", mi adopererò in ogni modo lecito, pacifico, e non illegale, invitando tutte le persone che RISPETTANO UNA CITTÀ MEDAGLIA D'ORO DELLA RESISTENZA a disertare l'Osteria.
Vi prego di capire la serietà e la gravità di quella sciagurata iniziativa e di recedere (nel caso la notizia della squallida serata che sarebbe in programma al Moretto fosse fondata, ma stento ancora a crederci) dal realizzarla e di comunicare pubblicamente il vostro ritiro o ripensamento o come volete chiamarlo.


Ringraziandovi per l'attenzione,

Rudy Leonelli
Bologna


AGGIORNAMENTO: ho appreso oggi 6/12 con piacere che i gestori dell'osteria Il Moretto, resisi conto del carattere di un'iniziativa che avevano accettato sulla base di informazioni evidentemente incomplete, hanno annullato la serata di presentazione del libro sul terrorista nero Concutelli.
Ringrazio i gestori per la sensibilità dimostrata in questo increscioso incidente, estraneo per quanto ne so alla più che rispettabile storia del locale. Ed al suo stile.

sabato 1 novembre 2008

Il lavoro nero di Blocco studentesco. Dietro le versioni ripulite di CasaPou...belle.

Il maldestro lavoro di tentata ripulitura dell'immagine del lavoro svolto dai cosiddetti "ragazzi" del Blocco studentesco a Piazza Navona, ha subito un'ulteriore smentita grazie ad alcune foto pubblicare nel sito flickr, che documentano le aggressioni fasciste precedenti allo scontro documentato da tutti i media.
Incidenze ne ripubblica velocemente due, rinviando per la serie completa e le relative didascalie alla serie completa originale.







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Una lettera

Perché lo Stato non mi ha difeso?[da www.repubblica.it]



Sono uno studente del liceo Tasso che il 29/10/08 si trovava a manifestare a piazza Navona contro la riforma Gelmini, una manifestazione pacifica con cori simpatici assolutamente non violenta quand'ecco che si avvicina un camioncino con musica a tutto volume che vuole raggiungere la testa del corteo, ma non c'è posto per avanzare gli studenti sono troppi non possono smaterializzarsi, allora ecco che la tensione cresce, inizia una discussione con questi nuovi venuti, tutti ventenni di blocco studentesco, capisco che aria tira e mi metto ad osservare la scena in una postazione più defilata anche se mi sembra assurdo che si possa arrivare ad uno scontro violento, siamo ragazzi e ragazze la maggior parte quindicenni, addirittura scolaresche accompagnate dai professori e poi questi cantano "né rossi né neri ma liberi pensieri". Ma alla fine di questo coro si scatena la violenza, lo squadrismo di questo gruppo di esaltati dichiaratamente neofascisti. I ragazzi di Blocco fanno spuntare manganelli, catene, coltelli, spranghe, un vero e proprio arsenale passato magicamente inosservato alla polizia; é il panico caricano chiunque trovino di fronte, un ragazzo prova a difendersi è circondato da 10 persone e massacrato di botte, chi può si rifugia nei bar, cerca scampo a questa violenza cieca scatenatasi tutt'ad un tratto davanti all'occhio sornione degli agenti.

Con questa prima carica Blocco si assicura la postazione migliore per governare la manifestazione, noi ragazzi siamo confusi, spaventati, il morale è a terra, ci si conta per vedere se un amico è rimasto ferito. Quelle bestie di blocco intonano ironicamente un coro: "siamo tutti studenti", i più temerari rispondono;"siamo tutti anti-fascisti" e di nuovo parte un'altra carica più feroce che ci sposta ancora più lontano dal centro di piazza navona, ancora feriti, ancora manganellate, ancora quella noncuranza da parte delle forze dell'ordine che mi sconvolge, mi atterrisce, perché in un paese democratico non posso essere difeso? E' una sensazione stranissima, di smarrimento, lo Stato che avevo sempre creduto dalla mia parte se ne fotte se prendo delle manganellate.
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Tutto torna alla "normalità", Blocco ha ottenuto la postazione che voleva ma veniamo a sapere che ragazzi dei centri sociali delle università stanno arrivando, capisco che qui tra poco sarà l'inferno e con i miei amici torno al Tasso dove, inoltre, ci si aspetta un raid di blocco studentesco ma questa è un'altra triste storia di un paese dove i politici fanno passare i partigiani per assassini e i fascisti come vittime.

PS. sono venuto a sapere che il governo ha dichiarato che siamo stati noi studenti di sinistra ad aggredire Blocco, bene o noi siamo dei deficienti a non esserci accorti che un gruppo che massacra di botte dei ragazzi innocenti che avevano la colpa di trovarsi lì, lo fa per legittima difesa oppure forse siete voi che tentate di vendere ancora una volta la vostra vergognosa verità al punto di difendere anche lo squadrismo fascista.
(Lettera firmata, 31 ottobre 2008)

giovedì 11 settembre 2008

S : Soggettivamente

E n c i c l o p e d i a
d e l l a
n e o l i n g u a

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S
Soggettivamente
(dal loro punto di vista, credendo)



«Farei un torto alla mia coscienza se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Nembo dell'esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d'Italia».



Dichiarazione del ministro della Difesa, 8 settembre 2008

venerdì 29 agosto 2008

Strade pericolose (di Franco Bergoglio)

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Strade pericolose
Tutte le vie Almirante portano a Roma *

di Franco Bergoglio

La manovra a tenaglia volta a riabilitare il segretario del MSI Giorgio Almirante non è partita con la pubblicazione dei suoi discorsi parlamentari o con la proposta di Alemanno di dedicargli una via di Roma. Per inquadrare la vicenda dobbiamo risalire al 2003, quando il presidente della Regione Lazio Storace invitò gli amministratori locali a intitolare al nostro una via in ogni comune. Viterbo, guidata da una destra zelante, gli ha consacrato addirittura una frondosa circonvallazione inaugurata alla presenza di Donna Assunta. A Corato, in Puglia, c’è una piazza; ma sono almeno una quindicina le vie Almirante italiane, che spesso hanno destato proteste di cittadini, raccolte firme, censure delle associazioni antifasciste e delle sinistre.
Da questo sguardo alla toponomastica italiana risulta evidente come la battaglia Almirante si sia già consumata e che Roma capitale sia solo la ciliegina. Si vuole Almirante tra i padri della patria, “pacificatore”, statista: ma la proposta parte sempre da esponenti di AN, ansiosi di pagare tributo alla memoria del primo segretario del mai dimenticato Movimento sociale. Per sviare le proteste, Alemanno ha corretto il tiro affermando che la via sarà dedicata al segretario del MSI solo con l’assenso della comunità ebraica romana.
Questa uscita apparentemente conciliante nasconde delle insidie.
Perché solo la comunità ebraica? Almirante nel 1938 era redattore de La difesa della razza, il giornale che invocava la persecuzione fascista degli ebrei. Nonostante la gravità dei suoi scritti antiebraici è noto che egli successivamente li abiurò con un atto di pubblico pentimento e questo fattore potrebbe addirittura rivelarsi un vantaggio. Se rimangono nell’ombra le vittime concrete, i deportati e i fucilati, si rischia di fermarsi alle scelte di campo ideali, che con una ammenda diventano peccati veniali. E’ una sottile perfidia chiamare la comunità ebraica al ruolo di arbitro unico su un personaggio che ha avuto incarichi direttivi nella Repubblica Sociale Italiana ed è stato coinvolto in vicende gravissime, costellate di lutti.


Tutta Roma e l’intera collettività italiana dovrebbe trovare un moto di sdegno e invece quasi nessuno ha avvertito l’obbligo di reagire anche solo mediante una rilettura storica della figura di Almirante mentre il ritorno in scena avviene con una strategia tanto collaudata da parere orchestrata: il più fortunato e frequente stilema è quello della par condicio viaria: una via ad Almirante, una, per ipotesi, a Berlinguer o Craxi. Anche Alemanno ha seguito la scia. Francesco Merlo, sulla Repubblica del 27 maggio, parlava con ironia di guerra civile toponomastica e nell’incipit dell’articolo, scriveva: «La via di Roma che il sindaco Alemanno devotamente vorrebbe intitolargli non solo rischia di condannarlo per sempre a quell'idea di fucilatore che a sinistra avevamo di lui». Cos’è questa storia del fucilatore cui Merlo allude senza spiegare? Buttata lì così non si capisce e nessuno pare aver voglia di alzare il sipario sui molti fatti controversi che hanno coinvolto Almirante. Partiamo dall’estate 1971. Si rinviene negli archivi di Massa Marittima un bando datato maggio 1944 con in calce la firma di Almirante: il proclama ribadiva la pena di morte per i giovani che non avessero risposto alla chiamata alle armi nell'esercito repubblichino e decretava: «Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena». All’affissione del manifesto era seguita di pochi giorni la terribile strage di minatori a Niccioleta nel Comune di Massa Marittima, proprio il luogo dove il bando era stato rinvenuto. Il testo venne fatto circolare con il commento di "Almirante Fucilatore di partigiani". Si profilava la responsabilità quanto meno morale su fatti archiviati con un rapido processo nel dopoguerra, dove gli unici condannati dal tribunale di Pisa erano stati alcuni fascisti locali. Almirante querelò con rabbia tutti coloro che avevano pubblicato la notizia, in primis l’Unità. La sua linea difensiva era improntata al negazionismo: il leader dell’Msi sosteneva fosse un falso storico costruito dalla sinistra. I processi gli diedero torto e Almirante si trovò nella scomoda posizione di passare da accusatore a imputato. Nel 1978 arrivò la sentenza definitiva della Cassazione che assolveva l’Unità e condannava Almirante al risarcimento dei danni, anche perché nel frattempo l’autenticità del bando era stata confermata dal ritrovamento negli archivi di Stato di un telegramma del maggio 1944, spedito dal ministero della Cultura Popolare alla prefettura di Lucca, che riproduceva il bando e il capo di gabinetto (Almirante) ne sollecitava l’affissione in tutti i comuni della provincia.

Il processo ebbe una appendice di sangue: il pubblico ministero che aveva istruito il caso, Vittorio Occorsio, venne freddato in un agguato per mano di terroristi neri. Carlo Ricchini - ai tempi delle vicende giornalista all’Unità - ha donato le carte di questa lunga battaglia processuale all’Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell'Età Contemporanea (ISGREC) che ha costituito un fondo.


Nonostante recentemente Repubblica (Fiori il 29 maggio 2008) abbia rilanciato le affermazioni di Ricchini: «Ci apparve subito evidente che era stata scoperta una prova della partecipazione diretta di Almirante alla repressione antipartigiana, da lui tenuta nascosta…» rimane ancora una volta in ombra la strage della Niccioleta, mai destinata agli onori della cronaca. Che sia per via del coinvolgimento di Almirante? La vicina città di Grosseto pochi anni fa voleva titolare una via ad Almirante e l’ISGREC è intervenuto nell’occasione con una memoria indirizzata alla Giunta della città, come ci ha ricordato la direttrice dell’istituto, Luciana Rocchi, firmataria del documento. In questo si poneva l’accento su un ulteriore aspetto: l’attività diretta di Almirante contro gli ebrei, provata da un documento dell’estate del 1944: lo Schema di disposizioni alla stampa e alla radio per la propaganda in materia razziale. Scrive L’ISREG: «con questo schema di disposizioni Almirante dà il suo contributo all’attuazione delle persecuzioni …» agevolando la deportazione degli ebrei dall’Italia nei campi di sterminio tedeschi che produsse oltre 6000 vittime, una trentina delle quali grossetane.

Ma torniamo ai martiri della Niccioleta. Si trattava di lavoratori della miniera di pirite situata nella omonima località che avevano organizzato turni di guardia agli impianti per scongiurare saccheggi e distruzioni ad opera dei nazifascisti in ritirata. Furono scoperti e denunciati da delatori fascisti locali. Difendevano la miniera. Quello fu il pretesto per massacrarli. Sei minatori (in odore di antifascismo) furono massacrati subito, il 13 giugno sul piazzale dello spaccio aziendale. Gli altri furono tradotti a Castelnuovo Val di Cecina e il giorno seguente ne furono assassinati 77. L’ISGREC – ci informa Luciana Rocchi ha recentemente inaugurato a Castelnuovo un museo diffuso, realizzando grandi pannelli collocati nei luoghi della memoria.

Quasi in contemporanea, per tragica ironia, AN ha tappezzato Milano di manifesti per Almirante: “un grande italiano, un esempio da seguire”. Ma come si studia a scuola con Manzoni, si può essere grandi anche nel male. Forse bisognerebbe tappezzare Milano col bando Almirante. Sul blog Incidenze due lunghi post sono consacrati alla disamina della figura di Almirante: il secondo in particolare narra attraverso i documenti gli eventi del famigerato bando e della Niccioleta.

venerdì 30 maggio 2008

Almirante, per esempio. Capitolo 2

[... continua da QUI].
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Occorre continuare. Perché le grandi manovre revisionistiche che stanno intensificandosi con l'avvento della destra al potere, in Italia e a Roma, scatenate dall'apologia di Almirante imbastita da AN come "esempio da seguire" non sono un fatto episodico, ma una strategia. Sotto i discorsetti obbligati di Fini, in sede istituzionale, di condanna di "alcune frasi" (sic!) di Almirante, continua a scorrere l'ampio fiume delle revisioni e delle rivalutazioni di questo preteso "grande italiano".
In particolare, riguardo al bando della Prefettura di Grosseto del 17 maggio 1944, circolano, ad esempio in molti siti delle destre, "post", neo o vetero fasciste, ricostruzioni che (tradendo involontariamente l'imbarazzo per i propri scheletri nell'armadio) minimizzano, negano o mistificano con i classici  espedienti dell'eufemismo, della reticenza e talvolta della falsificazione. Non solo, ma queste cose si diffondono in particolare in rete fin troppo facilmente mistificano, al punto che ne troviamo traccia anche nella voce "Giorgio Almirante" di Wikipedia, in cui (oggi) leggiamo:

Divenuto il principale simbolo della destra anticomunista, fu spesso attaccato dalle forze della sinistra soprattutto estrema, che lo accusarono anche di esser stato un "fucilatore"[citazione necessaria] durante il suo passato nella Repubblica sociale Italiana. Almirante rispose a queste accuse per vie legali ed editoriali, pubblicando Autobiografia di un fucilatore: «Un titolo doppiamente bugiardo, poiché non è un'autobiografia, né io sono un fucilatore»

Sorvolando rapidamente sul fatto che la sola versione qui fornita a smentita della qualifica  
Sorvolando rapidamente sul fatto che la sola versione qui fornita a a smentita della qualifica di fucilatore di partigiani o anche di massacratore , lanciata con forza da l'Unità  e da il manifesto((non citati) di fucilatore (o anche di massacratore, etc.) di partigiani, rivolta ad Almirante, contro l'Unità è quella dello stesso, colpisce che qui si riferisca  che intentato laconicamente, intentato su denuncia di Almirante stesso l'Unità e i giornali che avevano ripubblicato il bando del '44.

"Almirante rispose a queste accuse per vie legali", senza dire nulla del "processo per "falso". Viene totalmente taciuto che Almirante e il suo MSI scatenarono una vasta e violenta campagna sostenendo che il documento era un "falso" manipolato dai comunisti. Questo fatto, che rende la misura della statura morale, della dignità e del senso di responsabilità di questo "esempio da seguire" e della funzione revisionista e negazionista svolta del suo partito (come pure l'esito della sua denuncia) nella voce di Wikipedia, sono maldestramente nascosti sotto il tappeto striminzito di una frase reticente e vaga:

"Negli anni 70 il ritrovamento del volantino in un archivio storico susciterà roventi polemiche."


Come ogni altro utente di Wikipedia, avrei potuto modificare questa voce, ma nell'urgenza attuale, mi sembra più utile e produttivo sollevare il problema (del quale, il caso di questa voce di Wikipedia non è che un sintomo, certo, rilevante) per sollecitare una riflessione su come i revisionismi si diffondano agevolmente in rete, e chiedersi se sia possibile, e come, contrastare, nei limiti del possibile, il fenomeno.

Mi sembra prioritario, in questo momento, cercare di contribuire a chiarificare alcuni aspetti spesso trascurati legati alla vicende storiche e poi giudiziarie del bando del 1994.
A questo scopo ripropongo due testi documentati e avvincenti di Nedo Barzanti, che trovato nel sito del PdCI di Grosseto: il primo, sulla strage di Niccioleta, il secondo, sul processo intentato da Almirante contro L'Unità e i giornali che avevano ripubblicato il bando.