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giovedì 13 agosto 2009

Razzismo di Stato: un attacco neufeudale

Bossi e il razzismo di stato,
un attacco neofeudale all'unità

di Alberto Burgio
il manifesto, 12 agosto 2009




Ormai è chiaro a tutti che la Lega guida il governo con mano sicura e chiarezza d’intenti. Varato (complice l’«opposizione») il federalismo fiscale, incassato il reato di immigrazione clandestina e istituite le ronde, è tornata al primo amore: la disunità d’Italia, il dagli al terrone parassita. Ieri la metafora gentile era il tricolore nel cesso. Oggi sono l’esame di dialetto, la purezza anagrafica dei dirigenti scolastici, il boicottaggio dell’anniversario della prima Unità. E le gabbie salariali, alle quali i nostri capitani d’industria e lo statista di palazzo Chigi hanno subito concesso il benestare. Il punto è sempre quello: sancire la superiorità dei padani e la non redimibile inferiorità dei sudici, parenti ai migranti.

Non è pura propaganda. Non è solo guerra di nervi dentro il governo, lucrando sulla debolezza del «consumatore finale». E non si tratta nemmeno soltanto di quattrini, che pure evidentemente c’entrano, sia col federalismo, sia con le gabbie e con la distruzione del contratto collettivo nazionale. La posta è più alta, ma si ha l’impressione che pochi lo intendano.

Stiamo sottovalutando gli effetti (intellettuali e morali oggi, politici e materiali domani) della sistematica picconatura dell’unità nazionale. In un Paese di recentissima e squilibratissima unificazione. In un quadro politico privo di argini al dilagare della destra. In un paesaggio sociale devastato dalla crisi e dall’emarginazione del movimento operaio. In un contesto culturale regredito (dove il senso comune è calibrato dai reality, dai centri commerciali e dal gossip): gli insulti razzisti di Bossi e dei suoi all’Italia e al Mezzogiorno sono percepiti come il nulla-osta per giudizi e comportamenti distruttivi senza limiti.

Si prepara un autunno amaro per milioni di poveri vecchi e nuovi. Ma ai poveri del nord si concede ora una nuova via di fuga: non solo qualche spicciolo in più in un tessuto economico un po’ meno arretrato, ma anche la soddisfazione di fargliela finalmente pagare a quei pezzenti del sud, fannulloni e ignoranti, usi a vivere a sbafo a carico del nord alacre e operoso.

Difficile dire dove possa portare la distruzione del senso di appartenenza a una comunità nazionale. Ma si deve sapere che nulla è scontato e nulla impossibile. Chi, trent’anni fa, avrebbe immaginato di dover fare i conti nuovamente col razzismo di Stato?

Non c’è niente di naturale nell’idea di essere uguali e niente di irreversibile nella sua faticosa acquisizione. Dopo due decenni di sistematica sottovalutazione del pericolo della destra, sarebbe il caso, ora, di fare molta attenzione. Lo diciamo a quella parte della sinistra che sa distinguere tra lo Stato e la sua degenerazione nazionalista, che conosce la funzione progressiva (socialmente unificante) dello Stato costituzionale e può quindi decifrare l’attacco neofeudale della destra all’unità nazionale. Rifletta e corra ai ripari, prima che sia troppo tardi.


giovedì 6 agosto 2009

Tutta un'altra strage. La strategia della destra per cancellare le proprie responsabilità (di Saverio Ferrari)



La strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, la più grave nell'Italia del dopoguerra, smentendo un luogo comune, non è stata l'unica conclusasi con una sentenza di condanna nei confronti di neofascisti. Altre due, infatti, pur con un cammino giudiziario assai tormentato, sono approdate a esiti analoghi: quella di Peteano, in provincia di Gorizia, del 31 maggio 1972, riguardante l'assassinio di tre carabinieri attirati in una trappola e fatti saltare in aria con un'autobomba, e quella del 17 maggio 1973 davanti alla Questura di Milano con il lancio, al termine dello scoprimento di un busto in onore del commissario Luigi Calabresi, di una bomba a mano che mancando l'obiettivo delle autorità esplose tra i passanti causando quattro morti e 45 feriti.

Per la prima furono condannati all'ergastolo due esponenti di Ordine nuovo, Vincenzo Vinciguerra e Carlo Cicuttini, ancora oggi detenuti, per la seconda, invece, Gianfranco Bertoli fu arrestato in flagrante, risultando alla fine, come da sentenza di Cassazione, non un anarchico, ma un collaboratore dei servizi segreti in stretti rapporti con ambienti dell'eversione di destra.

Ma l'importanza di Bologna risiede in primo luogo nell'altissimo numero delle vittime, 85 morti e oltre 200 feriti, colpite indiscriminatamente tra la folla in attesa di partire per le vacanze. Un eccidio di gente comune. Non come a Peteano, dove si decise scientemente di fare strazio di rappresentati delle forze dell'ordine o, come a Milano, dove si cercò di eliminare un'alta carica governativa: l'allora ministro dell'Interno Mariano Rumor. Per questo la strage di Bologna, soprattutto per questo, è diventata una macchia infamante che il neofascismo italiano ha cercato di allontanare da sé, in ogni modo. Spesso maldestramente.
Per sostenere l'innocenza di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari), ambedue condannati all'ergastolo nel novembre 1995 dalla Cassazione a sezioni penali unite, si è in un primo momento cercato di avvalorare la tesi dell'incomprensibilità del gesto, si disse e si sostiene ancora oggi, privo di una sensata collocazione all'interno di un reale disegno politico destabilizzante, omettendo di rilevare come in realtà la strage fosse attesa, che nell'ambiente della destra eversiva se ne parlasse con insistenza già da mesi. Diverse le testimonianze. Frenetica fu anche l'attività di recupero di grosse quantità di esplosivo. Addirittura un alto esponente di Ordine nuovo, Massimiliano Fachini, avvisò della tragedia imminente una sua amica, invitandola a lasciare Bologna. Va solo detto che tra i membri di Ordine nuovo e i Nar intercorrevano intensi rapporti. E' stato più volte dimostrato.
Non solo, in una relazione, del tutto sottovalutata, dei servizi informativi del giugno precedente si scrisse della «pericolosità del terrorismo di destra» in grado di realizzare «imprese con alta potenzialità distruttiva».
Ma c'è di più: il 10 settembre 1980 venne sequestrato a Carlo Battaglia, referente a Latina di Paolo Signorelli, uno dei massimi dirigenti di Ordine nuovo, un documento manoscritto in cui si parlava apertamente di «arrivare al punto che non solo gli aerei, ma le navi e i treni e le strade siano insicuri: bisogna ripristinare il terrore... Al di fuori di noi, con le nostre idee ci sono milioni di uomini… essi ci aspettano… Diamo un segno inequivocabile della nostra presenza... Occorre un'esplosione da cui non escano che fantasmi».
Questa idea del massacro indiscriminato mediante attentati apocalittici per provocare "la disintegrazione" del sistema non era affatto il parto della mente malata di qualche farneticante neofascista. Era il frutto di una visione che, per quanto disperante e insensata potesse apparire, attraversava davvero l'estrema destra eversiva di quegli anni. A riprova il ritrovamento solo un mese dopo la strage, il 31 agosto, di un altro e precedente documento di 26 fogli, proprio a Bologna, elaborato da Mario Tuti, già protagonista di tentate stragi, tra il dicembre 1974 e il gennaio 1975, sulla linea ferroviaria Chiusi-Arezzo. Una specie di risoluzione strategica indicante la necessità di «iniziare la lotta armata fondandosi su piccoli nuclei operativi», senza essere minimamente frenati «dalle norme della cosiddetta morale borghese», perseguendo «un terrorismo indiscriminato». «Con specifici attacchi» - concludeva il documento - «non necessariamente rivendicati dalla nostra parte si potranno aumentare sino a un limite insostenibile per il tessuto dello Stato le tensioni politiche… causando già di fatto uno scollamento irreparabile del tessuto sociale… in un clima di guerra civile».
Per tornare ai tentativi di depistaggio operati dalla Destra anche dopo la sentenza definitiva di Cassazione, si è in seguito anche sostenuta la tesi, avvalorata autorevolmente dall'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, dell'esplosione accidentale di una partita di esplosivo in fase di trasporto. Fatto già di per sé impossibile a realizzarsi, come confermato a più riprese da periti ed esperti, data la natura della bomba, 23 kg in prevalenza composti da T4, un tritolo militare, bisognoso necessariamente di un innesco, nella circostanza probabilmente chimico a tempo.
Va infine annotata la campagna ancora in corso, animata da alcuni ex esponenti di An, letteralmente inventata nell'ambito della commissione Mitrokhin durante il secondo governo Berlusconi, tendente a incolpare la resistenza palestinese, segnatamente il Fronte per la liberazione della Palestina (Fplp), in combutta con l'organizzazione Separat guidata dal terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos. All'origine «una ritorsione nei confronti dell'Italia» per la condanna ad alcuni anni di carcere di Abu Azeh Saleh, arrestato dalla polizia stradale a Bologna il 13 novembre 1979 per il trasporto, unitamente a Daniele Pifano e altri due esponenti dell'Autonomia romana, di due lanciamissili Strela di fabbricazione sovietica, destinati ad essere imbarcati al porto di Ortona a Mare e diretti in Libano.
Il tutto inizialmente sulla base di un'intervista rilasciata da Marco Affatigato nel settembre 1999 a Gian Paolo Pelizzaro, consulente della commissione Mitrokhin, pubblicata sul periodico Area , organo ufficiale in quegli anni della "Destra sociale", corrente di An capitanata da Alemanno e Storace. «Negli archivi di Stato della Germania è conservato un documento dell'ex-Stasi, mai arrivato in Italia» - così disse Affatigato - «in cui si fa cenno della presenza a Bologna del noto terrorista internazionale Carlos nei giorni precedenti la strage, a capo di una cellula palestinese. Su questo versante nessuno ha voluto mai indagare. Perché?».
Basti solo dire che presto si appurò che il documento della Stasi, citato da Affatigato, semplicemente non era mai esistito. Un grossolano tentativo di falsificazione della realtà da parte di un personaggio già membro di Ordine nuovo, condannato per ricostituzione del Partito fascista, per sua stessa ammissione fonte informativa della Cia, non nuovo a questo genere di cose. Fu, tra l'altro, già coinvolto in un precedente tentativo di inquinamento delle indagini, sia su Ustica che direttamente su Bologna.
Va oltretutto ricordato come Alfredo Mantovano, uno dei massimi dirigenti di Alleanza nazionale, già sottosegretario al Ministero degli interni, rispondendo ad un'interrogazione, il 16 ottobre 2003, sulla supposta presenza di Carlos a Bologna ufficialmente concludeva che: «l'ipotetica presenza negli anni Settanta e Ottanta a Bologna o in Italia del terrorista venezuelano Ilich Vladimir Ramirez Sanchez, detto Carlos, attualmente detenuto in Francia, non ha trovato alcun riscontro».
E' noto invece, citiamo l'ultimo cavallo di battaglia utilizzato per sostenere con piste alternative l'innocenza dei Nar, che il 2 agosto del 1980 a Bologna fosse presente un terrorista di nome Thomas Kram. Un esperto in falsificazione di documenti e non in esplosivi, componente delle Cellule rivoluzionarie (Rz), un gruppo che rivendicò 180 azioni terroristiche nella Repubblica federale tedesca dal 1973 al 1995, ma che non fece mai parte di Separat. Giunse a Bologna il primo agosto 1980. Al valico di frontiera fu fermato e identificato da agenti di polizia ai quali mostrò un documento di identità valido a suo nome. Pernottò nella notte, tra l'1 ed il 2 agosto, nella stanza 21 dell'albergo Centrale in via della Zecca, presentando la sua patente di guida, anch'essa non contraffatta e con i suoi estremi. La Questura di Bologna segnalò i suoi movimenti all'Ucigos, che già all'epoca era a conoscenza dei suoi spostamenti in città. Dunque nulla di nuovo, data la comprovata mancanza di legami tra Thomas Kram, che per altro non viaggiava in incognito e pernottava in alberghi con documenti regolari a proprio nome (un ben strano terrorista) e la strage.
Si evocano dunque complotti invisibili, scenari insondabili. Nei tempi in cui viviamo trovano terreno fertile. La Destra ha bisogno di liberarsi al più presto dello scheletro della strage alla stazione di Bologna posto nel suo armadio, il più ingombrante in assoluto. Dopo aver seminato dubbi e intossicato l'opinione pubblica, come sta accadendo, verrà poi anche il tempo, qualche accenno si scorge già, per sostenere che la strage di piazza Fontana fu in verità opera degli anarchici. La storia va riscritta.

Saverio Ferrari - Liberazione, 2 agosto 2009

giovedì 30 luglio 2009

Due Agosto: Noi sappiamo. Noi non dimentichiamo








NOI SAPPIAMO

NOI NON DIMENTICHIAMO



«Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene  chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere). 


Io so i nomi dei responsabili della strage di i Milano del 12 dicembre 1969. 

Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. 

Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia, infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.»

Così incominciava il “Romanzo delle stragi” di Pasolini (1975). Ma in anni recenti, anche e soprattutto negli appelli alla verità fatti dai palchi e dagli scranni istituzionali, assistiamo al tentativo di trasformare la memoria delle stragi in una commedia, dove vengono messi in scena personaggi improbabili e continui depistaggi. Non potendo tutto negare, le dichiarazioni di rappresentanti di governo, così come i tanti libri recenti scritti da postfascisti e le cicliche rivelazioni giornalistiche al soldo del regime, tendono ad accreditare una verità dimezzata: furono alcune “menti bacate” neofasciste a promuovere la “strategia della tensione” e la violenza stragista degli anni Settanta.

Ma noi sappiamo qual è il loro gioco: nascondere e far dimenticare i mandanti e la finalità delle stragi, la loro genesi nelle istituzioni opache dello Stato italiano, dimostrata in tanti processi. Dalla strage di piazza Fontana del 1969 fino a quella di Bologna del 1980, l’Italia ha sperimentato infatti una lunga “strategia delle stragi” condotta da uomini degli apparati dello Stato e da neofascisti da essi personalmente organizzati, indirizzati, finanziati e protetti. Quelle bombe contribuirono a reprimere il movimento operaio e studentesco: il loro scopo era quello di spaventare, di manipolare l’opinione pubblica, di promuovere con la violenza un “ritorno all’ordine”. E quei crimini sono effettivamente serviti per costruire un mondo più ingiusto, ipocrita e violento. Oggi è importante ricordare che lo stragismo fu di Stato. Non solo contro tutti i tentativi di depistaggio e di revisionismo, ma soprattutto perché la memoria diffusa è l’unico antidoto contro la possibilità che certi eventi possano ripetersi.
Per questo, in occasione dell’anniversario della strage di stato del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, vogliamo ribadire, con Pasolini, che noi sappiamo e non dimentichiamo. Vogliamo ribadirlo soprattutto oggi che la repressione della diversità, delle lotte sociali, dei desideri di liberazione, dei diritti delle persone si fa sempre più violenta. E non intendiamo essere complici di chi, ancora una volta, utilizzerà l’anniversario di una strage per sdoganare il proprio criminale revisionismo e negare le complicità con il fascismo di ieri e di oggi.


Invitiamo le donne e gli uomini che considerano la memoria e l’antifascismo valori etici irrinunciabili a lasciare, dopo il suono della sirena alle 10.25, il piazzale della stazione e proseguire con noi nel “corteo della memoria” verso piazza dell’Unità.


Antifasciste e antifascisti
(riunit* in assemblea il 27 luglio)



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venerdì 24 aprile 2009

Bologna 25 aprile: Catilina parla


Nell’ambito delle attività di produzione culturale dell'Assemblea Antifascista Permanente, è in corso la riedizione di un saggio notevole e scintillante sul fascismo, edito “a caldo” nel 1922: La controrivoluzione preventiva di Luigi Fabbri.

Nel 1922 Luigi Fabbri compiva quarantacinque anni, era maestro elementare a Corticella in provincia di Bologna e militante anarchico da oltre vent’anni. La sua voce è anzitutto quella di un testimone che ha visto un’area «rossa» come Bologna e l’Emilia-Romagna diventare, nel volgere di pochi mesi, una roccaforte e anzi la «culla» del fascismo e della reazione antiproletaria. Si tratta di un’inchiesta a tutto campo che dalla cronaca minuta, narrata con gusto vivo del racconto, cerca di risalire alla forma sociale del fascismo come «controrivoluzione preventiva».

Nonostante alla fine del 1922 i fascisti distruggessero le copie ancora invendute del libro, tanto che oggi sopravvivono nelle biblioteche italiane meno di una trentina di esemplari dell’edizione originale, le tesi di quel saggio scritto in fretta negli ultimi tumultuosi mesi del 1921 ebbero fin da subito larga risonanza. Così, mentre il nome di Fabbri cade nell’oblio, il concetto di «controrivoluzione preventiva» attraversa invece per intero la storia intellettuale del Novecento fino a Marcuse e a Debord.

Ma, prima della ristampa de La Controrivoluzione preventiva, abbiamo pensato di portare in giro per Bologna quel testo con una lettura pubblica di vari brani, quelli che raccontano più vivacemente fatti ed episodi della violenza e dell’idiozia fascista (con breve introduzione e intermezzi musicali). Qualcosa a metà tra la presentazione di un libro che ancora non c’è e uno spettacolo di dilettanti.

sabato 25 aprile, alle ore 19
al VAG 61, via Paolo Fabbri 110




Catilina parla

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Letture da
La controrivoluzione preventiva
di Luigi Fabbri


interventi musicali:
Marco Coppi - flauto


leggono:
Antonella, Cristina, Giorgio, Nerio, Rudy



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Bologna culla del fascismo:

I - autunno 1920

II - 21 novembre 1920

mercoledì 18 marzo 2009

La primavera delle culture antifasciste: 5 giorni di incontri alle Caserme Rosse



Il Festival Sociale che si svolgerà a Bologna dal 29 maggio al 2 giugno, avrà come sede principale il Parco delle Caserme Rosse. Pubblico di seguito ampi brani del testo della convocazione, risultato (probabilmente provvisorio) di un diffuso reticolo di incontri, scambi, riunioni etc. che cooperano alla formazione e trasformazione dell'iniziativa.


. . . Ora che, con la crisi economica, il benessere va scemando, resta solo la stupidità, l’incultura, il perbenismo, l’arroganza, il grigiore di violenze e soprusi quotidiani. La marea dello “sviluppo” si ritira e lascia solo scorie e detriti. In questo quadro, il neofascismo si manifesta con nuove forme, alcune evidenti, altre molto più subdole e mascherate, tutte aggressive e violente. Cerca di ricostruirsi una legittimità sociale, utilizzando immaginari e slogan dell’ideologia politico-istituzionale della “sicurezza” che semplifica, nasconde, mistifica, propaganda miti razzisti e istiga all’odio sociale...
La reazione della società civile diventa più difficile e complessa e, certamente, molte delle forme note dell’attivismo e della contestazione antifascista risultano superate dall’evolversi del panorama sociale. Diventa forte il bisogno di confrontare percorsi e condividere risorse e saperi con tutti coloro che sentono la necessita di opporsi ad una delle peggiori derive razziste, xenofobe e sessiste della politica e della società italiana. Portiamo nel cuore e nella mente l’impegno e il sacrificio di ieri dei nostri partigiani, i valori di giustizia sociale, di libertà ed eguaglianza che hanno animato la loro resistenza. Da qui il desiderio di rispondere, con le armi della cultura e della critica, alla violenza predicata e praticata... Sentiamo forte la necessità di non rimanere in silenzio in un clima generale di smobilitazione dei valori della Resistenza, dei diritti fondamentali dell’uomo e delle stesse basi della convivenza civile...
invitiamo fin da ora singoli, gruppi, associazioni e movimenti a collaborare alla costruzione di questo festival sociale. Un grande momento di condivisione per socializzare percorsi, condividere e confrontare idee, proposte e ris
orse; l’occasione per sperimentare nuovi linguaggi e ridisegnare immaginari collettivi; per stimolare la nascita di nuove relazioni e dotarci di una “scatola degli attrezzi” per analizzare e agire nei confronti del fascismo che minaccia il nostro tempo...
Vogliamo sperimentare un metodo nuovo già nella costruzione dell’evento, decentrato e partecipato, aperto ai contributi di quanti si riconoscono
nella cultura e nei valori dell’Antifascismo...


[leggi il testo completo in fest-antifa.net]


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Ma quel che è più importante sottolineare da subito, è che il luogo prescelto per i cinque giorni di incontri ed iniziative antifasciste, ha un'importanza storica enorme, non ancora sufficientemente conosciuta. Le Caserme Rosse sono state un grande e poco noto centro di detenzione, smistamento ed anche di eliminazione dei rastrellati. Il 27 febbraio di quest'anno, alla commemorazione di Caserme Rosse (tenuta ad un mese di distanza dal giorno della memoria, in modo da non sovrapporsi a quell'appuntamento fondamentale) sono state deposte corone di fiori su quello che ormai viene chiamato "il muro dei fucilati": un lato del muro di mattoni che perimetrano l'area in cui sono stati rinvenuti in aree circoscritte, diversi fori di proiettili, soparati ad altezza d'uomo, a distanza ravvicinata. In quell'occasione Armando Sarti, presisente della sezione ANPi Bolognina, ha reso pubblica la notizia del rinvenimento di un secondo muro, che aveva scoperto una ventina di giorni prima: il 9 febbraio. Ci ha accompagnato sul posto: è un muro di mattoni che per molti metri è crivellato di colpi, la maggior parte dei quali è concentrata in punti specifici. Zone in cui si è evidentemente sparato molto, ad altezza d'uomo, in certi punti, contro il muro... Superata l'emozione, ho cercato di documentare come potevo , ed ho fatto qualche foto con il cellulare. La meno peggiore, è questa:


Per fare il punto sullo stato delle ricerche e della ricostruzione di quanto è avvenuto a Caserme Rosse, pubblico - con la cortese autorizzazione dell'autore, che ringrazio vivamente - un testo scritto da Armando Sarti per il 65° anniversario dell'inizio delle deportazioni.


A 65 ANNI DALLE PRIME DEPORTAZIONI
DA
CASERME ROSSE
Il lager nazifascista di Bologna

Il 9 settembre 1943, già dal giorno seguente l’armistizio con gli Alleati, i tedeschi avevano occupato gran parte dell’Italia centrosettentrionale. A Roma l’8 settembre 1943 si svolsero combattimenti fra Carabinieri, militari italiani e civili da una parte, contro i tedeschi dall’altra. Questi ultimi in breve ebbero la meglio, infatti contro poche centinaia di uomini armati solo di armi leggere, i tedeschi poterono fare uso di carri armati e pezzi di artiglieria. Quegli episodi a Porta S. Paolo ed alla Magliana furono i primi atti di Resistenza. Epico è stato l’eccidio di Cefalonia, dove migliaia di soldati e di ufficiali italiani non si arresero ai tedeschi, non si fecero disarmare. Per questo Adolf Hitler diede ordine di fucilarli tutti quelli di Cefalonia: truppa, ufficiali, generali compresi. Altri coraggiosi atti di ribellione e di combattimento si svolsero a Trento, presso il ponte dei Cavalleggeri: reparti di fanteria italiani contro i tedeschi. Alcuni combattimenti si svolsero a Bologna, presso la stazione centrale fra militari italiani e tedeschi. Ma la mancanza di ordini di dettaglio e l’impreparazione portarono alla rapida sconfitta di ogni forma di resistenza ai nazisti, così i tedeschi catturarono interi reparti senza combattere ed iniziarono il rastrellamento sistematico delle vie di comunicazione sud-nord per catturare i militari italiani, anche quelli che si erano già privati della divisa. Il “tutti a casa” per molti si tradusse in “tutti al lager”. Già dal 9 settembre, a Caserme Rosse di Bologna, in via di Corticella alla Bolognina, tutta la grande caserma, in precedenza adibita a scuola allievi ufficiali, era completamente in mano ai tedeschi, come erano già in mano dei nazisti tutte le stazioni ferroviarie, le caserme, i centri di potere del Regno d’Italia (prefetture, questure, province e comuni). A Caserme Rosse iniziarono ad essere ammassati ogni giorno, a centinaia, a migliaia, uomini di tutte le armi dell’esercito, Carabinieri, uomini della marina e dell’aeronautica. Tutti questi uomini erano accomunati da un sentimento di ripulsa della guerra fascista a fianco dei tedeschi, che, da alleati, si erano prontamente trasformati in occupanti nemici, in feroci esecutori degli ordini provenienti da Berlino, dal quartier generale di Adolf Hitler. Il trattamento dei rastrellati di Caserme Rosse era disumano. Ogni atto di resistenza o tentativo di fuga o ribellione era punito con la fucilazione. Fra le camerate i nazisti passavano ed operavano delle selezioni, delle vere e proprie decimazioni. Per dare l’esempio ed intimidire gli uomini i tedeschi mettevano in fila i prigionieri, poi, passando in rivista gli uomini schierati sceglievano chi fucilare, anche senza ragiona alcuna, ma solo per alimentare il terrore. Questo avveniva prima della deportazione. Una realtà che si ripeteva nel tempo. Partiti con i vagoni bestiame i primi uomini, ne arrivavano altri, a sostituire i militari deportati in Germania e così via, per mesi, dal settembre a fine novembre-dicembre 1943. Ai tedeschi poi si affiancarono fra fine settembre e i primi di ottobre 1943 i primi uomini della repubblica di Salò. A fine 2006, sulla base di testimonianze di ex deportati e di segnalazioni di civili che sentivano sparare da fuori Caserme Rosse, è stato cercato e trovato il luogo dove venivano eseguite le fucilazioni: il “muro dei fucilati ignoti”, così abbiamo chiamato un tratto del muro di recinzione sul lato interno, a nord-est del campo. Un muro crivellato di colpi, davanti il quale è certo, che a perdere la vita è stato un numero imprecisato, ma molto alto, di prigionieri italiani. Scoperto il muro è stata avviata una ricerca delle salme delle vittime. Un primo momento di ricerca è stato presso il cimitero della Certosa di Bologna. Sono stati esaminati gli elenchi di tutti i morti dal settembre 1943 all’ottobre 1944, alla ricerca di morti ignoti o non riconosciuti. La ricerca è stata infruttuosa, perché -in effetti- sono state individuate vittime in un primo tempo sconosciute, ma risultate poi appartenenti ai fucilati del Poligono di Tiro di via Agucchi, dove un plotone di fascisti era sempre in servizio, soprattutto in servizio dei tedeschi, per servirli delle fucilazioni di partigiani ed antifascisti di cui loro avevano bisogno. Al Poligono, con una viltà infinita, i fascisti fucilarono per conto dei tedeschi -soprattutto- 270 uomini e donne, operai, contadini, preti, militari e civili, Carabinieri, austriaci e tedeschi (gente che aveva indossato la divisa nazista), tutti oppositori del regime, tutti antifascisti, nel periodo che è andato dall’8 settembre alla Liberazione. Successivamente la ricerca è stata rivolta al ritrovamento ed all’esame di immagini scattate dall’alto dai ricognitori Alleati. Gli angloamericani, ma anche i francesi, i sudafricani ed i brasiliani fotografarono Bologna, prima e dopo le decine di bormbardamenti che colpirono la città. Nel maggio scorso, all’Istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna è stata trovata una foto inglese della prima parte del 1944, della RAF, in cui ben si vede Caserme Rosse. Un archeologo dell’Università di Bologna, Xabier Gonzalez Muro, spagnolo di etnia Basca, con specializzazione in topografia antica ha individuato sul terreno all’interno del campo di Caserme Rosse, a poca distanza dal muro dei fucilati, un’area di circa 800 metri quadri, parallela alla recinzione del campo, a lato di via Saliceto vecchia, una serie di 16-18 scavi, lunghi 15-20 metri, larghi 2-2,5 metri ed altrettanto distanti fra loro. Sedici scavi erano già chiusi al momento dello scatto della fotografia, mentre due risultavano ancora aperti, evidentemente in attesa di altri corpi. Nell’agosto scorso il procuratore della repubblica di Bologna, dott. Luigi Persico ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di omicidio plurimo con sevizie (aggravante quest’ultima che impedisce la prescrizione del reato). Attendiamo quindi che l’inchiesta possa chiarire gli esatti contorni della tragedia di Caserme Rosse, il “lager di Bologna” come è stato chiamato nelle pubblicazioni degli scritti di don Giulio Salmi, che fu cappellano dei prigionieri fra la fine del febbraio 1944 ed i primi di ottobre dello stesso anno, qualche giorno prima del bombardamento del 12 ottobre che provocò morti e feriti in Caserme Rosse ed un totale di 400 morti in tutta Bologna. Don Giulio Salmi conteggiò in oltre 35.000 i prigionieri transitati da Caserme Rosse nel solo periodo maggio-settembre 1944. Questi erano per la massima parte civili, donne e uomini, anche partigiani rastrellati durante le stragi nazifasciste, fra cui quelle di S. Anna di Stazzema e di Marzabotto. Nel primo periodo settembre-dicembre 1943 passarono per Caserme Rosse un altissimo numero di militari, fra cui anche i Carabinieri. Venne poi l’accanimento verso le classi ‘23, ‘24 e ‘25 le ultime leve di Salò, anche per loro Caserme Rosse riservò un trattamento bestiale: anche questi uomini diventarono schiavi di Hitler, non in Germania ma in Italia, militari senza paga a fianco della organizzazione di lavori nazista Todt. Se non obbedivano prontamente agli ordini tedeschi, anche per loro era minacciata e prevista la fucilazione, pur essendo militari di Salò in divisa, comandati dai loro ufficiali italiani. Da una idea di Danilo Caracciolo e Roberto Montanari, autori e registi di documentari storici, sono già partite le riprese di un film-documentario su questa terribile storia, dal titolo “A Bologna c’era un lager... il campo di concentramento delle Caserme Rosse” che percorrerà i 13 mesi di funzionamento del più grande ed imponente campo in Italia per la selezione ed il transito di prigionieri da deportare in Germania, con una ferocissima repressione dell’opposizione, del dissenso, della Resistenza, che solo recentemente è iniziata ad emergere in tutta la sua tragica verità. Anche da Caserme Rosse, dal sacrificio degli oppositori del regime fascista sono venute, con la Resistenza e la Liberazione, le conquiste della democrazia, della libertà, della Repubblica e della Costituzione, la legge fondamentale di tutti gli italiani; una Costituzione profondamente antifascista in cui ben chiari sono i diritti ed i doveri del cittadino.
settembre 2008 - Armando Sarti

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post correlati:
Caserme Rosse: il lager di Bologna (12 ottobre 1944 -2008)

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domenica 25 gennaio 2009

Giovanni Cesareo: Possiamo ripartire da Conchetta (da: il manifesto)


Giovanni Cesareo
Possiamo ripartire da Conchetta

Avverto una certa aria di rassegnazione, anche se rabbiosa, attorno al violento e vergognoso sgombero di Conchetta. Come se ormai fossimo giunti alla fine di una epoca, lunga bella forte, per molti aspetti unica, e non rimanesse che prenderne atto, purtroppo. Qualcuno lo ha perfino scritto che ormai siamo in un'altra epoca e che non c'è più che coltivare semmai il ricordo del glorioso passato.
E se invece proprio questo sgombero si trasformasse in un nuovo inizio? Se si ricominciasse proprio da qui, opponendosi in tutti i modi alla chiusura di Conchetta? Se si chiamassero a raccolta tutte le forze - vecchie e nuove - per dimostrare che, sia pure in una Milano diversa e una Italia abbuiata, non c'è nessuna fine, ma anzi ci sono modi nuovi di praticare le tradizioni che sono state costruite per decenni e decenni? I simboli hanno sempre avuto un grande valore e Conchetta è un simbolo forte, come è già stato testimoniato su queste pagine.

«Lotta dura senza paura» scriveva ieri su queste pagine Ivan Della Mea, che ha 66 anni. Io ne ho 82, ma ho la stessa inesausta voglia. E se la abbiamo noi, certamente ci sono tantissimi giovani e ragazzini che non saranno da meno. Si tratta, oltre tutto, di una lotta piena di significati, perché Conchetta evoca non soltanto un obiettivo politico ma anche, e forse soprattutto, un obiettivo culturalmente assai alto. Non per caso non si è ancora, ripeto ancora, avuto il coraggio di toccare l'archivio di Primo Moroni, che contiene anche materiali donati da molti di noi perché pensavamo che quello fosse il posto più fecondo per la loro utilizzazione.

La cultura di Conchetta non è, in gran parte, assimilabile ad altre - in primo luogo perché si è sempre fondata sulle relazioni e poi perché ha raccolto i contributi di persone che concepivano la cultura come fondamentale nutrimento della vita, della vita quotidiana di ciascuno. Ricordo, su questo piano, quando, insieme con Franco Fortini, Sergio Bologna, Primo Moroni e un gruppo di altri fondammo Altre Ragioni [altreragioni], il cui titolo fu proposto proprio da Fortini. Fu lì, a Conchetta, che quella rivista nacque ed era naturale che fosse così. E ricordo che quando riuscii a fare invitare Primo Moroni alla trasmissione Parlato Semplice - rubrica della mattina prodotta da Rai Educational - i suoi interventi rappresentarono una riconosciuta novità, una riconosciuta novità culturale per il programma.

Sì, è importante ricordare che Conchetta è stata la sede del Cox 18 di Primo Moroni e che questo ha segnato la sua storia, peraltro costruita anche a fatica da tanti altri, anche prima di lui. Dunque oggi non solo difendere Conchetta ma ricominciare da Conchetta può essere, tra l'altro, il modo giusto per dimostrare che, nonostante tutte le controversie e le sconfitte che conosciamo, la sinistra - la vera sinistra - può tuttora camminare e anzi è capace di rinnovare il suo passo. E come meglio potrebbe farlo se non partendo da un luogo che porta sulle spalle tanto passato ed è al contempo capace di tuffarsi nel futuro?

[da: il manifesto, 25 gennaio 2009]

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Vedi inoltre: Da Conchetta a
CasaPound

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* La foto della libreria Calusca in via Conchetta (1997) è tratta
dal sito dell'Archivio Primo Moroni

domenica 21 dicembre 2008

Bologna culla del fascismo - II. 21 novembre 1920

Bologna culla del fascismo
II.
21 novembre 1920:
l'assalto a Palazzo d'Accursio
da: Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva



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I fatti del 21 novembre a Bologna precipitarono questo processo di reazione.
Che qualcosa di grave si preparasse lo si sentiva nell’aria. Già durante i comizi elettorali si capiva che l’intransigenza formale ed elettorale dei socialisti a tendenza estremista avrebbe vinto, ma inutilmente. Il programma annunciato a Bologna era stravagante e impossibile, dato l’ambiente e l’atmosfera già mutati in tutta Italia; era un vero castello sulla sabbia. Inoltre la borghesia bolognese, non più timorosa dei socialisti e degli operai, non credeva più. Da più d’un mese non si facevano scioperi, e qualcuno tentato era apparso stentato e senza effetto. Durante la campagna elettorale un oratore radicale (poi divenuto fascista) mi assicurano che abbia in un comizio senza ambagi dichiarato, che se i bolscevichi avessero conquistato il comune, non si sarebbe permesso alla loro amministrazione di funzionare.
Dopo l’esito delle elezioni, che avevan dato una strabocchevole maggioranza ai socialisti estremi, questi erano assai preoccupati per la cerimonia dell’insediamento. Rinunciarvi, rinunciare all’esposizione della loro rossa bandiera, al loro comizio di vittoria oggi sembrerebbe facile; allora sarebbe parsa vigliaccheria, e sarebbe stata agli occhi di tutti la prima rinuncia al pomposo programma nel cui nome s’era vinto. Ma proprio questo volevano i fascisti: cacciare dalle piazze la folla operaia, far abbassare in segno di resa la bandiera rossa. Come uscirne?
Alcuni socialisti, che allora tenevano il mestolo in mano, scesero a indecorosi patteggiamento con la questura, e forse promisero p di ciò che i loro seguaci avrebbero mantenuto; ma parve alla vigilia del 21 novembre, giorno convenuto per l’insediamento, che le cose potessero passar lisce, quando fu noto in questura e affisso alle cantonate un manifestino a macchina, in cui i fascisti annunciavano battaglia per l’indomani, avvertendo le donne e i ragazzi di star lontani dal centro e dalle vie principali. I socialisti ormai non potevan più ritirarsi decentemente; è naturale che i più bollenti (e furon purtroppo anche i più scriteriati, stando almeno ai risultati) pensassero ad improvvisare una qualche difesa contro gli annunciati ed eventuali assalti. Ormai solo un miracolo poteva evitare la tragedia. Il miracolo non avvenne; al contrario!
















venerdì 31 ottobre 2008

L'antifascismo dei fascisti (da Umanità Nova)

La vecchia intuizione secondo cui più la democrazia si fascistizza, più i fascisti si democratizzano, sta trovando ormai piena conferma: dopo il neofascismo divenuto postfascismo, siamo giunti al paradosso dell'antifascismo fatto proprio da chi fino ad ieri lo combatteva.
Per questo può essere utile chiedere soccorso alla storia recente.
In qualche archivio della Rai è sicuramente conservat
a la registrazione di una vecchia Tribuna Politica, se il ricordo non inganna, risalente al 1972 in cui l'allora segretario del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Almirante, rispose polemicamente ad un giornalista affermando di essere "antifascista" ed anzi "il primo antifascista d'Italia". Giorgio Almirante, al quale oggi s'intitolano persino strade, aveva alle spalle una significativa carriera sotto il segno del fascio, contrassegnata in particolare dal suo impegno come segretario di redazione de La difesa della razza su cui, tra l'altro, ebbe a scrivere che "in fatto di razzismo e antigiudaismo gli italiani non hanno avuto né avranno bisogno di andare a scuola da chicchessia". Firmatario quindi nel 1938 del Manifesto del Razzismo Italiano, durante la Repubblica di Salò fu capo di gabinetto del Ministero della cultura popolare e nel 1944 si rese responsabile di un bando repubblichino in cui si prometteva la fucilazione per "gli sbandati e gli appartenenti alle bande". Nel dopoguerra, era stato uno dei principali artefici della ripresa delle attività squadriste e della riorganizzazione neofascista (formalmente vietata dalla Costituzione), tanto da essere stato quasi ininterrottamente per un quarantennio il segretario del principale partito erede del ventennio mussoliniano e della Repubblica Sociale, l'Msi (1).
La sua dichia
razione di "antifascismo" provocò all'epoca un certo scalpore, ma anche ovvie proteste tra i nostalgici del littorio e i più oltranzisti dell'estrema destra. Da allora la tesi della "pacificazione nazionale" e dell'equiparazione morale dei partigiani e dei militi fascisti come ugualmente patrioti è stata portata avanti dalla destra in modo pressoché corale, proprio sulla falsariga almirantiana. Simile processo è stato comunque possibile anche grazie alla costante criminalizzazione della Resistenza e alla parallela indulgenza verso i crimini nazifascisti: operazione questa a cui si è perfettamente adattata la storia romanzata di Giampaolo Pansa. Questa pagina di storia serve per meglio inquadrare e comprendere le recenti professioni di "antifascismo" recitate da Gianfranco Fini che, tra l'altro, proprio Almirante designò come successore alla guida del Msi, poi divenuto Alleanza Nazionale e quindi oggi componente del PdL.

Continua a leggere nel sito uenne.

     [N. B. : L'inserimento di link e di immagini che corredano questo post è opera di incidenze]

domenica 14 settembre 2008

Fascisti: Lo sberleffo di La Russa (di G. De Luna)

Fascisti
Lo sberleffo di La Russa

di Giovanni De Luna

da il manifesto, 10 settembre 2008



Sono passati più di dieci anni e i ragazzi di Salò sono diventati i paracadutisti veterani del Battaglione Nembo. Era ovvio il tentativo di Ignazio La Russa di legittimare il suo discorso invocando l'autorevole precedente di Luciano Violante nel suo discorso di insediamento a presidente della Camera. Ma è altrettanto ovvio che questa volta lo strappo è molto più radicale e violento. Con quella espressione, nel 1996, Violante lasciava aleggiare sulla repubblica di Salò una sorta di irresponsabilità adolescenziale, o meglio di deresponsabilizzazione.
Spalancando così la strada a una visione assolutoria di quell'esperienza e facendo precipitare in una sorta di fanciullesca ingenuità gli eventi tragici che scandirono il percorso della militanza nella Repubblica sociale italiana (la complicità nella deportazione degli ebrei, la partecipazione diretta alle stragi dei civili, la ferocia della repressione antipartigiana). Era comunque - quello di Violante - un riferimento ai singoli, alle motivazioni soggettive, ai percorsi individuali di quelli che preferirono allearsi con i tedeschi e misero la propria giovinezza al servizio dello sterminio nazista. Questa volta c'è qualcosa di più e di ben peggiore. La Russa ha citato un reparto militarmente organizzato della Repubblica di Salò, consentendosi un'affermazione che mai si era sentita all'interno dei nostri recinti istituzionali e della nostra memoria «ufficiale» in sessanta anni di storia repubblicana. Il battaglione Nembo non era fatto di «ragazzi»; era una unità regolare che - tanto per togliere ogni dubbio sulla sovranità del governo fantoccio della repubblica di Mussolini - si schierò sul fronte di Anzio inserito organicamente nei quadri della Whermacht. I 350 paracadutisti comandati dal capitano Corradino Alvino, furono infatti utilizzati nell'ambito dei reggimenti 10˚ e 11˚ d'assalto della 4˚ Divisione Paracadutisti germanica. Altro che difesa della patria italiana! Quei militari funzionarono come ausiliari dell'esercito tedesco, obbedirono a una strategia che mirava a fare del nostro territorio nazionale un immenso e sanguinoso campo di battaglia nell'intento di ritardare il più possibile l'avanzata degli anglo-americani verso i «sacri» confini del Terzo Reich. Fu una guerra con i tedeschi e per i tedeschi quella combattuta dai paracadutisti del battaglione Nembo. Fu una scelta riassunta nella tragica parola d'ordine «onore e fedeltà al camerata tedesco». Ignazio La Russa sembra rivendicarla ancora oggi, quando è ormai accertato che quello slogan significò il prolungarsi delle sofferenze del nostro popolo, la possibilità per i nazisti di completare le loro razzìe contro gli ebrei e i partigiani, il protrarsi dell'incubo delle rappresaglie e delle stragi che causarono la morte di quindicimila civili italiani. Il fatto che La Russa abbia scelto per il suo strappo la celebrazione dell'8 settembre e il ricordo dello scontro sostenuto a Porta San Paolo da patrioti italiani contro le truppe tedesche configura poi un paradosso che segnala anche un sinistro corto circuito tra la memoria storica di questo paese e le istituzioni che lo rappresentano. Un ministro della Repubblica celebra le vittime di quello scontro, considerato la data d'inizio della resistenza, elogiando quelli che si schierarono con i loro carnefici! Sembra quasi un tragico sberleffo.

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martedì 29 luglio 2008

2 agosto 1980




A g o s t o
di Claudio Lolli

(per la strage dell'Italicus, del 4 agosto 1974)


Agosto. Improvviso si sente
un odore di brace.
Qualcosa che brucia nel sangue
e non ti lascia in pace,
un pugno di rabbia che ha il suono tremendo
di un vecchio boato:
qualcosa che urla, che esplode,
qualcosa che crolla,
un treno è saltato.
Agosto. Che caldo, che fumo,
che odore di brace.
Non ci vuole molto a capire
che è stata una strage,
non ci vuole molto a capire che niente,
niente è cambiato
da quel quarto piano in questura,
da quella finestra
Un treno è saltato.
Agosto. Si muore di caldo
e di sudore.
Si muore anche di guerra
non certo d'amore,
si muore di bombe, si muore di stragi
più o meno di Stato,
si muore, si crolla, si esplode,
si piange, si urla.
Un treno è saltato._____________________________


2 agosto, strage di Stato
mercoledì 30 luglio,
ore 21, assemblea presso il Circolo Berneri Assemblea Antifascista Permanente - Bologna