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domenica 14 settembre 2008

Fascisti: Lo sberleffo di La Russa (di G. De Luna)

Fascisti
Lo sberleffo di La Russa

di Giovanni De Luna

da il manifesto, 10 settembre 2008



Sono passati più di dieci anni e i ragazzi di Salò sono diventati i paracadutisti veterani del Battaglione Nembo. Era ovvio il tentativo di Ignazio La Russa di legittimare il suo discorso invocando l'autorevole precedente di Luciano Violante nel suo discorso di insediamento a presidente della Camera. Ma è altrettanto ovvio che questa volta lo strappo è molto più radicale e violento. Con quella espressione, nel 1996, Violante lasciava aleggiare sulla repubblica di Salò una sorta di irresponsabilità adolescenziale, o meglio di deresponsabilizzazione.
Spalancando così la strada a una visione assolutoria di quell'esperienza e facendo precipitare in una sorta di fanciullesca ingenuità gli eventi tragici che scandirono il percorso della militanza nella Repubblica sociale italiana (la complicità nella deportazione degli ebrei, la partecipazione diretta alle stragi dei civili, la ferocia della repressione antipartigiana). Era comunque - quello di Violante - un riferimento ai singoli, alle motivazioni soggettive, ai percorsi individuali di quelli che preferirono allearsi con i tedeschi e misero la propria giovinezza al servizio dello sterminio nazista. Questa volta c'è qualcosa di più e di ben peggiore. La Russa ha citato un reparto militarmente organizzato della Repubblica di Salò, consentendosi un'affermazione che mai si era sentita all'interno dei nostri recinti istituzionali e della nostra memoria «ufficiale» in sessanta anni di storia repubblicana. Il battaglione Nembo non era fatto di «ragazzi»; era una unità regolare che - tanto per togliere ogni dubbio sulla sovranità del governo fantoccio della repubblica di Mussolini - si schierò sul fronte di Anzio inserito organicamente nei quadri della Whermacht. I 350 paracadutisti comandati dal capitano Corradino Alvino, furono infatti utilizzati nell'ambito dei reggimenti 10˚ e 11˚ d'assalto della 4˚ Divisione Paracadutisti germanica. Altro che difesa della patria italiana! Quei militari funzionarono come ausiliari dell'esercito tedesco, obbedirono a una strategia che mirava a fare del nostro territorio nazionale un immenso e sanguinoso campo di battaglia nell'intento di ritardare il più possibile l'avanzata degli anglo-americani verso i «sacri» confini del Terzo Reich. Fu una guerra con i tedeschi e per i tedeschi quella combattuta dai paracadutisti del battaglione Nembo. Fu una scelta riassunta nella tragica parola d'ordine «onore e fedeltà al camerata tedesco». Ignazio La Russa sembra rivendicarla ancora oggi, quando è ormai accertato che quello slogan significò il prolungarsi delle sofferenze del nostro popolo, la possibilità per i nazisti di completare le loro razzìe contro gli ebrei e i partigiani, il protrarsi dell'incubo delle rappresaglie e delle stragi che causarono la morte di quindicimila civili italiani. Il fatto che La Russa abbia scelto per il suo strappo la celebrazione dell'8 settembre e il ricordo dello scontro sostenuto a Porta San Paolo da patrioti italiani contro le truppe tedesche configura poi un paradosso che segnala anche un sinistro corto circuito tra la memoria storica di questo paese e le istituzioni che lo rappresentano. Un ministro della Repubblica celebra le vittime di quello scontro, considerato la data d'inizio della resistenza, elogiando quelli che si schierarono con i loro carnefici! Sembra quasi un tragico sberleffo.

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venerdì 29 agosto 2008

Strade pericolose (di Franco Bergoglio)

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Strade pericolose
Tutte le vie Almirante portano a Roma *

di Franco Bergoglio

La manovra a tenaglia volta a riabilitare il segretario del MSI Giorgio Almirante non è partita con la pubblicazione dei suoi discorsi parlamentari o con la proposta di Alemanno di dedicargli una via di Roma. Per inquadrare la vicenda dobbiamo risalire al 2003, quando il presidente della Regione Lazio Storace invitò gli amministratori locali a intitolare al nostro una via in ogni comune. Viterbo, guidata da una destra zelante, gli ha consacrato addirittura una frondosa circonvallazione inaugurata alla presenza di Donna Assunta. A Corato, in Puglia, c’è una piazza; ma sono almeno una quindicina le vie Almirante italiane, che spesso hanno destato proteste di cittadini, raccolte firme, censure delle associazioni antifasciste e delle sinistre.
Da questo sguardo alla toponomastica italiana risulta evidente come la battaglia Almirante si sia già consumata e che Roma capitale sia solo la ciliegina. Si vuole Almirante tra i padri della patria, “pacificatore”, statista: ma la proposta parte sempre da esponenti di AN, ansiosi di pagare tributo alla memoria del primo segretario del mai dimenticato Movimento sociale. Per sviare le proteste, Alemanno ha corretto il tiro affermando che la via sarà dedicata al segretario del MSI solo con l’assenso della comunità ebraica romana.
Questa uscita apparentemente conciliante nasconde delle insidie.
Perché solo la comunità ebraica? Almirante nel 1938 era redattore de La difesa della razza, il giornale che invocava la persecuzione fascista degli ebrei. Nonostante la gravità dei suoi scritti antiebraici è noto che egli successivamente li abiurò con un atto di pubblico pentimento e questo fattore potrebbe addirittura rivelarsi un vantaggio. Se rimangono nell’ombra le vittime concrete, i deportati e i fucilati, si rischia di fermarsi alle scelte di campo ideali, che con una ammenda diventano peccati veniali. E’ una sottile perfidia chiamare la comunità ebraica al ruolo di arbitro unico su un personaggio che ha avuto incarichi direttivi nella Repubblica Sociale Italiana ed è stato coinvolto in vicende gravissime, costellate di lutti.


Tutta Roma e l’intera collettività italiana dovrebbe trovare un moto di sdegno e invece quasi nessuno ha avvertito l’obbligo di reagire anche solo mediante una rilettura storica della figura di Almirante mentre il ritorno in scena avviene con una strategia tanto collaudata da parere orchestrata: il più fortunato e frequente stilema è quello della par condicio viaria: una via ad Almirante, una, per ipotesi, a Berlinguer o Craxi. Anche Alemanno ha seguito la scia. Francesco Merlo, sulla Repubblica del 27 maggio, parlava con ironia di guerra civile toponomastica e nell’incipit dell’articolo, scriveva: «La via di Roma che il sindaco Alemanno devotamente vorrebbe intitolargli non solo rischia di condannarlo per sempre a quell'idea di fucilatore che a sinistra avevamo di lui». Cos’è questa storia del fucilatore cui Merlo allude senza spiegare? Buttata lì così non si capisce e nessuno pare aver voglia di alzare il sipario sui molti fatti controversi che hanno coinvolto Almirante. Partiamo dall’estate 1971. Si rinviene negli archivi di Massa Marittima un bando datato maggio 1944 con in calce la firma di Almirante: il proclama ribadiva la pena di morte per i giovani che non avessero risposto alla chiamata alle armi nell'esercito repubblichino e decretava: «Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena». All’affissione del manifesto era seguita di pochi giorni la terribile strage di minatori a Niccioleta nel Comune di Massa Marittima, proprio il luogo dove il bando era stato rinvenuto. Il testo venne fatto circolare con il commento di "Almirante Fucilatore di partigiani". Si profilava la responsabilità quanto meno morale su fatti archiviati con un rapido processo nel dopoguerra, dove gli unici condannati dal tribunale di Pisa erano stati alcuni fascisti locali. Almirante querelò con rabbia tutti coloro che avevano pubblicato la notizia, in primis l’Unità. La sua linea difensiva era improntata al negazionismo: il leader dell’Msi sosteneva fosse un falso storico costruito dalla sinistra. I processi gli diedero torto e Almirante si trovò nella scomoda posizione di passare da accusatore a imputato. Nel 1978 arrivò la sentenza definitiva della Cassazione che assolveva l’Unità e condannava Almirante al risarcimento dei danni, anche perché nel frattempo l’autenticità del bando era stata confermata dal ritrovamento negli archivi di Stato di un telegramma del maggio 1944, spedito dal ministero della Cultura Popolare alla prefettura di Lucca, che riproduceva il bando e il capo di gabinetto (Almirante) ne sollecitava l’affissione in tutti i comuni della provincia.

Il processo ebbe una appendice di sangue: il pubblico ministero che aveva istruito il caso, Vittorio Occorsio, venne freddato in un agguato per mano di terroristi neri. Carlo Ricchini - ai tempi delle vicende giornalista all’Unità - ha donato le carte di questa lunga battaglia processuale all’Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell'Età Contemporanea (ISGREC) che ha costituito un fondo.


Nonostante recentemente Repubblica (Fiori il 29 maggio 2008) abbia rilanciato le affermazioni di Ricchini: «Ci apparve subito evidente che era stata scoperta una prova della partecipazione diretta di Almirante alla repressione antipartigiana, da lui tenuta nascosta…» rimane ancora una volta in ombra la strage della Niccioleta, mai destinata agli onori della cronaca. Che sia per via del coinvolgimento di Almirante? La vicina città di Grosseto pochi anni fa voleva titolare una via ad Almirante e l’ISGREC è intervenuto nell’occasione con una memoria indirizzata alla Giunta della città, come ci ha ricordato la direttrice dell’istituto, Luciana Rocchi, firmataria del documento. In questo si poneva l’accento su un ulteriore aspetto: l’attività diretta di Almirante contro gli ebrei, provata da un documento dell’estate del 1944: lo Schema di disposizioni alla stampa e alla radio per la propaganda in materia razziale. Scrive L’ISREG: «con questo schema di disposizioni Almirante dà il suo contributo all’attuazione delle persecuzioni …» agevolando la deportazione degli ebrei dall’Italia nei campi di sterminio tedeschi che produsse oltre 6000 vittime, una trentina delle quali grossetane.

Ma torniamo ai martiri della Niccioleta. Si trattava di lavoratori della miniera di pirite situata nella omonima località che avevano organizzato turni di guardia agli impianti per scongiurare saccheggi e distruzioni ad opera dei nazifascisti in ritirata. Furono scoperti e denunciati da delatori fascisti locali. Difendevano la miniera. Quello fu il pretesto per massacrarli. Sei minatori (in odore di antifascismo) furono massacrati subito, il 13 giugno sul piazzale dello spaccio aziendale. Gli altri furono tradotti a Castelnuovo Val di Cecina e il giorno seguente ne furono assassinati 77. L’ISGREC – ci informa Luciana Rocchi ha recentemente inaugurato a Castelnuovo un museo diffuso, realizzando grandi pannelli collocati nei luoghi della memoria.

Quasi in contemporanea, per tragica ironia, AN ha tappezzato Milano di manifesti per Almirante: “un grande italiano, un esempio da seguire”. Ma come si studia a scuola con Manzoni, si può essere grandi anche nel male. Forse bisognerebbe tappezzare Milano col bando Almirante. Sul blog Incidenze due lunghi post sono consacrati alla disamina della figura di Almirante: il secondo in particolare narra attraverso i documenti gli eventi del famigerato bando e della Niccioleta.

venerdì 30 maggio 2008

Almirante, per esempio. Capitolo 2

[... continua da QUI].
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Occorre continuare. Perché le grandi manovre revisionistiche che stanno intensificandosi con l'avvento della destra al potere, in Italia e a Roma, scatenate dall'apologia di Almirante imbastita da AN come "esempio da seguire" non sono un fatto episodico, ma una strategia. Sotto i discorsetti obbligati di Fini, in sede istituzionale, di condanna di "alcune frasi" (sic!) di Almirante, continua a scorrere l'ampio fiume delle revisioni e delle rivalutazioni di questo preteso "grande italiano".
In particolare, riguardo al bando della Prefettura di Grosseto del 17 maggio 1944, circolano, ad esempio in molti siti delle destre, "post", neo o vetero fasciste, ricostruzioni che (tradendo involontariamente l'imbarazzo per i propri scheletri nell'armadio) minimizzano, negano o mistificano con i classici  espedienti dell'eufemismo, della reticenza e talvolta della falsificazione. Non solo, ma queste cose si diffondono in particolare in rete fin troppo facilmente mistificano, al punto che ne troviamo traccia anche nella voce "Giorgio Almirante" di Wikipedia, in cui (oggi) leggiamo:

Divenuto il principale simbolo della destra anticomunista, fu spesso attaccato dalle forze della sinistra soprattutto estrema, che lo accusarono anche di esser stato un "fucilatore"[citazione necessaria] durante il suo passato nella Repubblica sociale Italiana. Almirante rispose a queste accuse per vie legali ed editoriali, pubblicando Autobiografia di un fucilatore: «Un titolo doppiamente bugiardo, poiché non è un'autobiografia, né io sono un fucilatore»

Sorvolando rapidamente sul fatto che la sola versione qui fornita a smentita della qualifica  
Sorvolando rapidamente sul fatto che la sola versione qui fornita a a smentita della qualifica di fucilatore di partigiani o anche di massacratore , lanciata con forza da l'Unità  e da il manifesto((non citati) di fucilatore (o anche di massacratore, etc.) di partigiani, rivolta ad Almirante, contro l'Unità è quella dello stesso, colpisce che qui si riferisca  che intentato laconicamente, intentato su denuncia di Almirante stesso l'Unità e i giornali che avevano ripubblicato il bando del '44.

"Almirante rispose a queste accuse per vie legali", senza dire nulla del "processo per "falso". Viene totalmente taciuto che Almirante e il suo MSI scatenarono una vasta e violenta campagna sostenendo che il documento era un "falso" manipolato dai comunisti. Questo fatto, che rende la misura della statura morale, della dignità e del senso di responsabilità di questo "esempio da seguire" e della funzione revisionista e negazionista svolta del suo partito (come pure l'esito della sua denuncia) nella voce di Wikipedia, sono maldestramente nascosti sotto il tappeto striminzito di una frase reticente e vaga:

"Negli anni 70 il ritrovamento del volantino in un archivio storico susciterà roventi polemiche."


Come ogni altro utente di Wikipedia, avrei potuto modificare questa voce, ma nell'urgenza attuale, mi sembra più utile e produttivo sollevare il problema (del quale, il caso di questa voce di Wikipedia non è che un sintomo, certo, rilevante) per sollecitare una riflessione su come i revisionismi si diffondano agevolmente in rete, e chiedersi se sia possibile, e come, contrastare, nei limiti del possibile, il fenomeno.

Mi sembra prioritario, in questo momento, cercare di contribuire a chiarificare alcuni aspetti spesso trascurati legati alla vicende storiche e poi giudiziarie del bando del 1994.
A questo scopo ripropongo due testi documentati e avvincenti di Nedo Barzanti, che trovato nel sito del PdCI di Grosseto: il primo, sulla strage di Niccioleta, il secondo, sul processo intentato da Almirante contro L'Unità e i giornali che avevano ripubblicato il bando.

domenica 25 maggio 2008

Almirante, per esempio

Da Milano...

La protesta dell'Aned [*] :

AN celebra Almirante:

"Un esempio da seguire"

I muri di Milano sono tappezzati di manifesti firmati Alleanza Nazionale con la faccia di Giorgio Almirante. "Un grande italiano. Un esempio da seguire", si legge sul manifesto, facendo riferimento al ventesimo anniversario della morte del fondatore dell'MSI, e a una messa che sarà celebrata in una chiesa del centro.
A nome della sezione milanese dell'ANED esprimo la più sdegnata condanna di questo manifesto. Giorgio Almirante fece parte per 5 anni, dal primo all'ultimo numero, della redazione della rivista fascista La difesa della razza, principale veicolo nel nostro paese di quella politica razzista che sfociò tra il '43 e il '45 nella deportazione e nello sterminio di migliaia di uomini, donne e bambini ebrei. E fu altissimo esponente della RSI, arrivando a firmare il famoso manifesto in cui si prometteva la "fucilazione nella schiena" degli "sbandati ed appartenenti a bande" che non si fossero piegati alla leva della repubblica di Mussolini, al soldo dell'alleato nazista.
Il manifesto milanese ci parla della cultura politica di forze che oggi occupano altissime cariche istituzionali. Le lacrime di fronte al museo Yad Vashem di Gerusalemme sono archiviate; le critiche al fascismo, come "male assoluto", pure: oggi è cambiato il vento, e AN rivendica con orgoglio una storia fatta anche di disonore.
I superstiti dei lager e i familiari dei Caduti esprimono la loro protesta per una iniziativa che riporta indietro di decenni il dibattito politico nel nostro paese.
Dario Venegoni
presidente dell'ANED di Milano

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... a Roma:

dal sito aldo dice 26 x 1 [24/o5/08]:

fascisti: roma avrà via almirante

[24/08] A vent’anni dalla scomparsa, il sindaco di Roma Gianni Alemanno - l’uomo con la celtica al collo, primo sindaco di destra nella capitale - vuole intitolare una via al leader storico dell’Msi Giorgio Almirante, redattore della rivista La difesa della razza e mai pentito repubblichino di Salò. Motivo: «E’ stato il precursore della moderna destra democratica in anni tormentati in cui era difficile superare il ghetto in cui era rinchiuso l’Msi». No della sinistra romana. Agnostico il Pd: per Nicola Zingaretti «la scelta riguarda il Consiglio comunale». Di Almirante, il 28 maggio, Luciano Violante e Gianfranco Fini presenteranno alla camera la raccolta dei discorsi parlamentari.


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Ma ripensando a Grosseto...

".... impadronirsi di un ricordo come esso balena nell'istante di un pericolo"
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La rapida sequenza tra il manifesto milanese di AN, inneggiante ad Almirante: "Un grande italiano. Un esempio da seguire", e l'annuncio del neo sindaco di Roma di voler dedicare una strada a questo personaggio, ha sollecitato la memoria.
E, scavando qua e là, ho ritrovato un precedente in cui la proposta di intitolare una via ad Almirante, nel 2005, veniva duramente criticata con questa motivazione: "... appare assolutamente inesistente nel caso di Giorgio Almirante quella condizione di personaggio da proporre come esempio per le nuove generazioni ..."

Avendo alla mente questa frase tratta dal documento dell'Istituto storico grossetano della Resistenza e dell'età contemporanea, che riproduco integralmente di seguito, è difficile non leggere nelle attuali "grandi manovre" di AN (celebrazione dell'esempio - intitolazione di una strada, tendenzialmente in ogni città) un preciso disegno di violenta revisione della storia teso rovesciare e liquidare la cultura storica e politica che ha animato questo lucido documento, che contestava l'intitolazione di una strada rifiutando l' "esempio":




PERCHÉ NO AD UN INSERIMENTO DI GIORGIO ALMIRANTE NELLA TOPONOMASTICA GROSSETANA
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La proposta di intitolazione di una strada della città di Grosseto a Giorgio Almirante torna all’ordine del giorno delle scelte del Comune di Grosseto. Fu sostenuta dal vicesindaco Andrea Agresti, già nel 2002, nel quadro di una proposta generica giustificata con la necessità di assicurare una memoria attraverso la toponomastica cittadina a vari politici italiani (si propose anche il nome di Enrico Berlinguer, nel quadro di una supposta “par condicio”). Seguì una discussione pubblica, interrottasi nel momento in cui il silenzio dell’Amministrazione fece supporre un abbandono del proposito. Ritenevamo che le argomentazioni che molti cittadini grossetani avevano opposto a quel progetto avessero dissuaso l’Amministrazione comunale. Non è così.
Ci sembra allora indispensabile dare di nuovo diffusione ad argomenti e documenti, che dovrebbero suggerire a chiunque abbia rispetto per la Costituzione e la prassi democratica di abbandonare ogni incertezza sulla legittimità e opportunità di una scelta, che a nostro giudizio oltrepassa i limiti del decoro per questa città.
La vicenda politica di Giorgio Almirante si sviluppa attraverso tre fasi: gli anni del regime fascista, la breve stagione della Repubblica Sociale Italiana, il lungo periodo dell’Italia repubblicana.
Fuori da ogni intento di ricostruzione biografica completa, è opportuno segnalare alcune tappe significative, documentabili attraverso fonti d’archivio o scritti comparsi sulla stampa:
1. L’impegno nella campagna razziale negli anni del regime
2. Le responsabilità sempre in materia di discriminazione e persecuzione razziale e le manifestazioni di intransigenza e durezza nello svolgimento di un ruolo dirigente nella RSI
3. La sostanziale continuità tra l’impegno politico fascista e quello successivo alla nascita dell’Italia repubblicana e democratica

1.
Giorgio Almirante fu dal 20 settembre 1938 segretario di redazione della rivista “Difesa della razza”, quindicinale che vive tra 1938 e 1943 ed è l’espressione più diretta del razzismo del regime ( i redattori sono tutti firmatari del “Manifesto della razza”, che apre la strada alla legislazione razziale del regime fascista ). Fu anche caporedattore del “Tevere”, periodico distintosi per una campagna antiebraica “estremista, sfrenata, azzardosa”(A. Lyttelton) già prima delle leggi razziali.

venerdì 9 marzo 2007

Nadine Fresco: Fabrication d’un antisémite




Nadine Fresco, Fabrication d’un antisémite
Éditions du Seuil, Paris 1999



La volontà di sapere che anima questa ricerca viene da lontano. Nel 1980 Nadine Fresco scriveva: “Conoscere Rassinier è indispensabile se si vogliono capire il funzionamento e le differenti correnti del pensiero revisionista” (“Les redresseurs de morts. Chambres à gaz: la bonne nouvelle. Comment on révise l'histoire”, Les Temps modernes, juin 1980, pp. 2164-2165).

In rapporto a tutti i lavori precedenti – anche i più importanti e utili – sul padre fondatore del negazionismo, il libro di Fresco opera uno spostamento decisivo, aggredendo direttamente il cuore della questione: tutti hanno incontrato come ostacolo invalicabile e si sono limitati a riprodurre, intatto e intangibile, il mistero, il segreto, o l’enigma Rassinier. Superare le colonne d'Ercole è necessario e possibile: “forse –osserva sobriamente l'autrice – c’è mistero laddove non c’è storia” (p. 67).

Se la monografia di Florent Brayard, Comment l’idée vint à M. Rassinier (Paris, Fayard, 1997, da me recensita in Altreragioni, n. 7, 1998) descriveva la fabbrica della negazione e, concentrando la propria attenzione su Rassinier autore “revisionista”, concludeva restituendo anch’essa il mistero di Rassinier, Fabrication d’un antisémite sonda il territorio fin qui sostanzialmente inesplorato della sua genealogia, la fabbricazione del fabbricante. “Ma come qualcuno diventa antisemita? Questa biografia di Rassinier analizza la fabbricazione di un antisemita in particolare… Rassinier prima di Rassinier. L’antisemita prima del negazionista. L’uomo prima dell’antisemita” (p. 69).