venerdì 26 agosto 2011

Angelo Del Boca: "Lo spettro della Somalia"

Le ultime ore del raìs,
il futuro della Libia nel dopo-Gheddafi




 Conversazione con Angelo Del Boca,
a cura di Umberto Giovannageli, l'Unità, 23 agosto 2011




A Tripoli si continua a combattere,ma il «dopo-Gheddafi» sembra già iniziato. Come si definisce questo momento?

«Al momento, abbiamo un Paese che è ancora molto diviso e assomiglia ad una replica della Somalia. Abbiamoil bunker di Gheddafi, difeso dall'ultimogenito Khamis e poche altre truppe, è la Libia che sta morendo in Tripolitania insieme al suo raìs; c’è poi la Libia della Sirte (città natale del Colonnello, ndr), dove Gheddafi ha accumulato moltissime armi, e infine abbiamo la Libia di Bengasi e del Consiglio nazionale di transizione (Cnt). Questa è la fotografia del momento. Una fotografia alquanto mossa. Oggi la Libia è in uno stato di “somalizzazione” che può protrarsi per mesi».

Chi comanderà nella «nuova Libia»?

«È il grande interrogativo che si pongono tutti in Occidente e, ancor di più, in Libia. A mio avviso, il Cnt non è abilitato ad assumere le redini del Paese, non soltanto per le note discussioni di queste ultime settimane che ne hanno rivelato la profonda divisione interna, ma anche perché, per quello che ne sappiamo oggi, Bengasi raccoglie anche una quantità di personaggi legati all’islamismo radicale che non possono che turbare e metterci in allarme. Il Cnt oltre che diviso fino ad ora non ha chiesto che denaro, in pratica tutto il grande patrimonio libico, che deriva dalla produzione petrolifera; un patrimonio che è di tutti i cittadini libici e non solo di quelli di Bengasi».

Nel dopo-Gheddafi c'è qualche personalità politicache si staglia sulle altre? Parigi sembra puntare sul leader del Cnt, Mahmoud Jibril...

«Jibril è un personaggio di scarso spessore e che, soprattutto, è stato ministro di Gheddafi, e non credo che i libici siano propensi ad accettare un nuovo governo, sia pure provvisorio, formato da persone che hanno fatto parte del regime del Colonnello».

Questo discorso vale anche per Abdelssalem Jalloud?

«Direi di sì, anche se lo spessore politico di Jalloud è di gran lunga superiore a quello di Jibril. Ritengo però che Jalloud sia un personaggio non “papabile” per gli stessi motivi che abbiamo indicato per Jibril. Ma su Jalloud c’è da fare un'altra considerazione che chiama in causa il nostro Paese».

Qual è questa considerazione?

«Il fatto che Jalloud si sia rifugiato in Italia, pare anche con l'attiva collaborazione di agenti dei servizi italiani, e che abbia immediatamente rilasciato una lunga intervista a Lucia Annunziata, potrebbe far intendere che il ministro degli Esteri, Franco Frattini, consideri Jalloud una “carta” da giocare come interlocutore libico per il futuro. Abbiamo tantissimi problemi con la Libia e indubbiamente un buon mediatore potrebbe tentare di  risolverli. Non sarebbe una sorpresa: tra i tanti salti mortali compiuti dalla diplomazia italiana sul fronte libico, quello di Jalloud sarebbe solo l’ultimo della serie».

L’Italia, per l’appunto. Come ne usciamo da questa storia?

«L’Italia era l’unico Paese che poteva non intervenire nella guerra, per almeno tre motivi: in primo luogo, l’Italia aveva sottoscritto 3 anni fa, un Trattato di amicizia e cooperazione con Tripoli; secondo, noi abbiamo condotto una guerra nel 1911 e tornare all’attacco ci avrebbe inserito tra i Paesi sicuramente “neocolonialisti”. Infine, abbiamo, nel bene e nel male, una storia centenaria di rapporti con la Libia che ci fa, in un certo senso, “parenti” di questo Paese. Potevamo eludere la chiamata alle armi delle grandi potenze, schierandoci con la cancelliera tedesca Angela Merkel».



Da a biografo di Muammar Gheddafi, cosa prova in questi momenti?

«Debbo confessare che come biografo, sto vivendo queste ore con grande apprensione e coinvolgimento emotivo. Vede, nella biografia che ho dedicato a questo personaggio, cosìcome in altri miei libri che parlano della Libia, non ho mai nascosto i crimini di Gheddafi. Tuttavia, ho posto in rilievo anche le sue indubbie qualità. Non dimentichiamo che la Libia di re Idris era un Paese assolutamente sconosciuto, di scarsissima importanza, mentre Gheddafi ne ha fatto un Paese che, pur essendo ancora caratterizzato da tribù e clan, ha una sua identità al punto che se ne parla da anni in continuazione. Non nego di avere nei confronti di questo “mio” personaggio una naturale considerazione ed anche, se mi si pemette, una certa simpatia».

Quale ruolo potrebbero svolgere le tribù nel dopo-Gheddafi?

«Un ruolo importante se non determinante, soprattutto le tribù più consistenti.Come d’altronde è avvenuto in passato. Con le grandi tribù il Cnt dovrà fare i conti, ciò che in parte è già avvenuto, visto che nel Consiglio di Bengasi fanno già parte esponenti di alcuni grandi clan».

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