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mercoledì 13 marzo 2013

"Valutare e punire " e "Una storia italiana", due presentazioni a BO il 14 marzo



 Libreria delle Moline


Via delle Moline, 3/A
Bologna

tel.: 051 26 29 77


Segnaliamo due interessanti incontri fissati per  il 14 /3  ai quali la Libreria delle Moline collabora quale fornitrice dei volumi in presentazione.



Giovedì 14 marzo 2013
ore 17:00

Aula 4 (Facoltà di Scienze Politiche)
Strada Maggiore 45, Bologna


Valeria Pinto
Valutare e punire.

Una critica della cultura della valutazione
(Cronopio 2012)

interviene con l'autrice
Andrea Cavalletti

L’Università è in crisi ormai palese e forse irreversibile: una crisi avviata dalla Riforma Berlinguer del 1999 (che ha istituito la laurea breve e il sistema dei crediti formativi) e culminata con la devastante Riforma Gelmini, secondo un progetto di “modernizzazione” che, lungo quattordici anni, ha distrutto la didattica degli atenei e tagliato le risorse per la ricerca e per il diritto allo studio. Non si tratta di un fenomeno solo italiano, ma di un mutamento assai più vasto per cui le vecchie forme dello Stato si uniformano sempre più ai poteri privatistico-manageriali.

Di ideologia della valutazione e di critica della cultura della meritocrazia, dei dispositivi di controllo che agiscono nel ridisegnare la società della conoscenza, tratta il libro Valutare e punire.
Valeria Pinto, autrice del testo e docente dell’Università Federico II di Napoli.
Andrea Cavalletti, docente presso l’Università IUAV di Venezia.



*  *  *

Giovedì 14 marzo 2013
ore 17:30

Biblioteca dell'Archiginnasio
Piazza Galvani 1, Bologna

"Una storia italiana"
incontro con
Giambattista Scirè
per la presentazione del libro
Gli indipendenti di sinistra
(Ediesse 2012)

con l'autore sono presenti
Giancarla Codrignani, Raniero La Valle, Federico Stame

introduce: Alberto De Bernardi
coordina Michele Smargiassi

Il fenomeno degli Indipendenti di sinistra, una vicenda finora mai studiata, ma che si intreccia con gli avvenimenti più importanti della storia dell’Italia repubblicana, ha una sua assoluta originalità in Europa e forse nel mondo: non ci sono altri esempi, infatti, di un partito politico, nella fattispecie il Pci, che abbia messo a disposizione tra il 10 e il 15 per cento dei propri seggi per l’elezione di candidati indipendenti, permettendo la costituzione di un gruppo autonomo, scisso da vincoli di appartenenza ideologica e con pieno diritto di dissenso.
Dal Sessantotto a Tangentopoli la Sinistra indipendente rappresenta una pluralità di matrici culturali – socialista (come Lelio Basso, Stefano Rodotà, Gianfranco Pasquino), cattolica (come Mario Gozzini, Adriano Ossicini, Claudio Napoleoni), azionista (come Ferruccio Parri, Carlo Levi, Franco Antonicelli, Altiero Spinelli) – tentando di sintetizzarle in una terza forza alternativa, una sorta di riformismo «militante», che, da sinistra, rivendicava come valori irrinunciabili la libertà, la democrazia, il pluralismo, la laicità, rifiutando sia l’ideologismo e il centralismo democratico del movimento operaio, sia la stretta dipendenza dalla gerarchia ecclesiastica e l’interclassismo democristiano.
La storia della Sinistra indipendente funziona bene da cartina di tornasole della società e della politica italiana degli anni Settanta e Ottanta, ed è stata ricostruita utilizzando i documenti reperiti in importanti archivi storici italiani, le testimonianze scritte dei suoi protagonisti e i racconti di quelli ancora in vita. 

Evento in collaborazione con La Società di Lettura e Istituto Storico Parri Emilia - Romagna
Ingresso libero

domenica 3 febbraio 2013

Maria Turchetto: sulla a nuova edizione de «Il capitale finanziario»


Maria Turchetto:
Il valore sonante del potere

 Nuova edizione per Mimesis di un classico del pensiero critico novecentesco, «Il capitale finanziario» di Rudolf Hilferding. Un volume ancora utile alla conoscenza della realtà per poi trasformarla. (da il manifesto, 2012.01.13)




La nuova edizione di Il capitale finanziario di Rudolf Hilferding è una vera strenna, di cui sono grata alla casa editrice Mimesis (pp. 544, euro 28). Non certo per il gusto erudito e nostalgico di riavere un classico del marxismo ormai introvabile e citato di seconda e terza mano, ma perché la poderosa opera di Rudolf Hilferding merita davvero, più che una rilettura, una nuova lettura, come suggeriscono nell’introduzione Emiliano Brancaccio e Luigi Cavallaro, curatori di questa edizione. Una lettura - scrivono - che aiuti «a produrre un altro testo che (…) sposti di piano quello immediatamente pervenutoci da Hilferding, facendo apparire nuovi oggetti teorici su cui lavorare»
L’indicazione richiama esplicitamente la lezione di Louis Althusser (non a caso del resto il titolo dell’introduzione è «Leggere Il capitale finanziario»), cui i curatori si rifanno anche quando sostengono che il «nucleo del paradigma marxista», da cui oggi si può ben ripartire anche se non è in voga tra i bocconiani, consiste «nel titanico risultato di aver gettato le basi per una teoria scientifica della storia: una teoria che, si badi bene, non ha nulla a che vedere con la visione teleologica e destinale che afflisse certe sue volgarizzazioni dottrinali».
Per dirla tutta, la «visione teleologica e destinale» della storia è stata ben più che una vulgata ad uso delle accademie sovietiche e delle scuole di partito. Era lo «spirito del tempo» dell’Ottocento e di buona parte del Novecento, che Marx aveva faticosamente trasceso ma attraverso il quale veniva (e viene ancora) interpretato. L’idea che il destino del capitalismo sia predicibile permea perciò anche l’opera di Hilferding e ne costituisce la principale debolezza: è la sua predizione di un percorso spontaneo dall’anarchia all’organizzazione pianificata dell’accumulazione sotto la direzione di un «capitale unificato», preludio della transizione al socialismo. La stessa idea destinale permea anche le coeve teorie del crollo e la stessa visione di Lenin dello stadio monopolistico e finanziario come «fase suprema» - cioè ultima - di un capitalismo divenuto incapace di promuovere lo sviluppo delle forze produttive e perciò morto per la storia, anzi ormai «putrefatto». In Lenin la storia del capitalismo descrive una parabola di tipo organico (nascita, crescita, decadenza e morte) anziché un’evoluzione progressiva; lo schema teleologico prevede comunque la fine prossima e certa (nella forma del crollo, dell’abbattimento rivoluzionario o della metamorfosi riformista), indispensabile a conseguire il fine del comunismo.

Il virtuoso e il parassita
Ma non vorrei qui limitarmi a ribadire l’indicazione althusseriana di abbandonare le storie teleologiche (in quanto tali ideologiche, non scientifiche) orientate al/alla fine; quanto proporre una breve riflessione sul perché, a cavallo tra Ottocento e Novecento, la fine del capitalismo venga declinata nelle forme antitetiche della decadenza e del crollo, da un lato, e dell’evoluzione virtuosa, dall’altro. In L’imperialismo, fase suprema del capitalismo Lenin impone una convivenza forzata a due rappresentanti delle declinazioni antitetiche in questione, Hilferding e Hobson. Riprende infatti, com’è noto, la definizione di Hilferding del «capitale finanziario» come «capitale unificato» («Capitale finanziario significa capitale unificato. I settori del capitale industriale, commerciale e bancario, un tempo divisi, vengono posti sotto la direzione comune dell’alta finanza»), associandovi tuttavia il giudizio negativo espresso da Hobson sulla finanza «parassitaria». Di fatto tradisce, in tal modo, il pensiero di entrambi gli autori: per Hilferding, in realtà, l’unificazione di capitale bancario, commerciale e industriale è un processo sostanzialmente virtuoso, foriero di crescita economica e di potenzialità regolatrici; in Hobson, per contro, il capitale finanziario non rappresenta affatto una forma unificata del capitale, ma una sua frangia degenerata che svolge il ruolo perverso di spostare altrove «la ricchezza della nazione» a scapito dello stesso capitale commerciale e produttivo (per inciso, Hobson non è l’unico, all’epoca, a teorizzare una contrapposizione forte tra industria e finanza: penso, ad esempio, a Thoestein Veblen). La convivenza forzata che Lenin impone alle tesi di Hilferding e di Hobson si basa, ancora una volta, su una metafora organica: il capitale cresce (diventa «più grosso» attraverso i processi di concentrazione e centralizzazione in cui il capitale finanziario ha un ruolo chiave, proprio come dice Hilferding), si espande (invade completamente il mondo, come sostengono entrambi gli autori), ma inesorabilmente invecchia (decade dalla sua funzione propulsiva dello sviluppo per diventare «parassitario», proprio come dice Hobson) ...

 leggi tutto su: CONTROLACRISI

lunedì 14 gennaio 2013

Walter Benjamin: Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell'età del capitalismo avanzato

Walter Benjamin


 Charles Baudelaire
Un poeta lirico
nell
età del capitalismo avanzato


a cura di Giorgio Agamben, Barbara Chitussi e Clemens-Carl Härle
ed. Neri Pozza,Vicenza,   2012

 
Questo libro presenta  in prima edizione mondiale la ricostruzione   ̶­­ resa possibile dai manoscritti benjaminiani ritrovati da Giorgio Agamben nel 1981 nella Biblioteca nazionale di Parigi   ̶ del libro su Baudelaire cui Benjamin aveva lavorato negli ultimi due anni della sua vita, quando, interrompendo la stesura dei Passages di Parigi, decide di trasformare in un’opera autonoma quello che all’inizio si presentava come un capitolo del libro. Attraverso un paziente lavoro di edizione e di montaggio, che alterna testi inediti ad altri già noti (che trovano solo ora la loro collocazione e il loro senso nell’opera complessiva), il libro permette di seguire la genesi e lo sviluppo, nelle varie fasi della sua stesura, del work in progress che  costituisce la summa della tarda produzione benjaminiana. Mentre del libro su Parigi noi abbiamo poco più che lo schedario, Charles Baudelaire, un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato offre  un’immagine articolata e coerente, anche se frammentaria, del laboratorio benjaminiano e del suo metodo compositivo. Sfatando la leggenda di un autore esoterico, il libro ci presenta, nel suo stesso farsi, il modello di una scrittura materialista, in cui non soltanto la teoria illumina i processi materiali della creazione, ma anche questi ultimi gettano una nuova luce sulla teoria. 

sabato 12 gennaio 2013

in memoria Mariangela Melato: una lettura

Mariangela Melato
19 settembre 1941 - 11 gennaio 2013



M. Melato
 lettura:

"Le più belle poesie"
da: Alda Merini, Vuoto d'amore, 1991





Le più belle poesie
 si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le mani aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all'umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d'oro
e l'albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto perché
sei sceso nel limbo,
dove aspiri l'assenzio
di una sopravvivenza negata.

lunedì 17 dicembre 2012

Manifestoon: A spectre is haunting ...


The Communist Manifesto illustrated by Cartoons





                          vedi, nel sito MIA, le traduzioni: 
        
 

  &

venerdì 30 novembre 2012

Citoyen Balibar - Entretien, septembre 2012


Qui vient après le Sujet ? Le Citoyen, répond Étienne Balibar, saisi non plus dans une souveraineté solitaire, mais dans une communauté en devenir. Cependant l’égalité des droits que proclame la modernité n’exclut pas la ségrégation et l’exclusion. Dans ce grand entretien, le philosophe s’explique sur ce paradoxe qui nourrit aussi sa méthode d’analyse.
L’ouvrage d’Étienne Balibar, Citoyen-sujet et autres essais d’anthropologie philosophique (PUF, 2012), tient son titre d’une réponse à une question que Jean-Luc Nancy, en 1989, avait lancée à tout un ensemble de philosophes français d’orientations diverses : « Qui vient après le sujet ? » La manière de comprendre cette question en guide déjà la réponse : elle peut être saisie comme une question post-structuraliste, qui se demande ce qui se substitue au sujet, ou ce qui le relève, après le moment philosophique qui en fit la déconstruction. Étienne Balibar répond : « après le sujet vient le citoyen » – et s’en explique dans une série d’essais qui montrent comment le sujet est contesté de l’intérieur par une altérité qui certes le destitue de sa souveraineté solitaire, mais avec laquelle en même temps il compose une communauté toujours inachevée. Toute la réponse de Balibar repose sur une dialectique entre d’un côté le sujet compris dans sa double dimension, anthropologique (sujet conscient, sujet affecté) et politique (sujet soumis au pouvoir, sujet de droits) et de l’autre le citoyen, ou mieux : le concitoyen, de telle sorte qu’on ne saurait concevoir un devenir citoyen du sujet (le sujet comme être en commun), sans penser du même coup un devenir sujet du citoyen (le citoyen émancipé dans un processus de subjectivation).
Après le sujet vient donc le citoyen, ou plutôt : le citoyen-sujet, dans une communauté politique où l’universel (l’égalité des droits) est à la fois ce qui sauve et ce qui exclut : les différences anthropologiques (différences de classe, de race, de sexe…) y sont « à la fois disqualifiées en tant que justifications de discriminations au niveau des droits fondamentaux des “êtres humains” (dont le premier, ou le dernier, qui reprend tous les autres en son sein, est précisément l’accès à la citoyenneté), et disqualifiantes en tant que moyen privilégié de légitimer les ségrégations ou les exclusions intérieures qui privent de citoyenneté (ou de citoyenneté pleine et entière, “active”) une partie des êtres humains formellement “égaux en droits”. En d’autres termes, elles réalisent ce paradoxe vivant d’une construction inégalitaire de la citoyenneté égalitaire » (p. 27).
Nous avons demandé à Étienne Balibar de revenir sur ce paradoxe, en commençant par une question de méthode : comment lit-il les philosophes (Descartes, Locke, Rousseau, mais aussi Marx, Hegel, Freud ou Kelsen) qui nourrissent ses essais ? Quelle est sa stratégie d’écriture ? Cette stratégie est tout à la fois bien déroutante et très stimulante, puisqu’elle n’apparaît pas tant comme une analyse des doctrines consacrées par l’histoire des idées, ni même de leurs œuvres – que de textes précis, particuliers, en lequel il s’agit de rechercher et faire travailler « un point d’hérésie »... P. S.



1/ Vous reprenez à Foucault la question du point d’hérésie, qui vient contester ou renouveler l’idée d’épistémè. Qu’est-ce que ce point d’hérésie ? Comment se manifeste-t-il par exemple chez Descartes ?


2/ Du point d’hérésie à l’anthropologie





3/ Le paradoxe de l’universalisme bourgeois




4/ Peut-on concilier l’analyse de l’antagonisme de classe et la visibilité des différences anthropologiques ?

 
Balibar4 di laviedesidees



 5/ Qu’est-ce qui nous rend solidaires des exclus ?



Balibar5 di laviedesidees





Propos recueillis à Paris par Nicolas Duvoux et Pascal Sévérac.
 Prise de vue et montage : Ariel Suhamy.
par Nicolas Duvoux & Pascal Sévérac [28-09-2012]



L’energia dell’errore - Viktor Šklovskij



L’energia dell’errore. Libro sul soggetto
 

Meditare milioni di possibili associazioni
per sceglier tra di esse una su un milione,
è terribilmente difficile.
s
Lev Tolstoj, lettera a Fet, 17 novembre 1870.



Queste parole sono state inserite nel titolo con l’autorizzazione di Lev Nicolaievič Tolstoj.
Nell’aprile 1878 egli scriveva a N. N. Strachov di provare un senso di impreparazione al lavoro, alla tensione; la tensione è necessaria quando si è trovato e scelto.
Egli consola N. N. Strachov, che si lagna della difficoltà del lavoro:

«Conosco molto bene questa sensazione – addirittura, ora, negli ultimi tempi, la sto provando: tutto parrebbe pronto per scrivere – per compiere il proprio dovere terreno, ma manca la spinta della fede in se stessi, nell'importanza della causa, manca l’energia dell’errore; quella spontanea energia terrena che è impossibile inventare E non si può cominciare».

Tutto questo riguarda la spontaneità delle forze della natura, che operano in modi diversi e non immediati, e creano quella confusione che chiamiamo mondo.
Una volta, sorridendo, Majakovskij scrisse sulle «cose dell’altro mondo»:

Un vecchio disegno, non si sa di chi.
Un primo disegno non riuscito di una balena.

Niente riesce senza fatica. I fiori sbocciano e gli uccelli arrivano al momento giusto solo dopo molte ore di preparazione.

sabato 17 novembre 2012

Foucault interprete di Nietzsche, di Stefano Righetti



Stefano Righetti

Foucault interprete di Nietzsche
 Dall'assenza d'opera all'estetica dell'esistenza

Mucchi Editore, Modena 2012




Prefazione di Manlio Iofrida:

La ricerca di Stefano Righetti è un lavoro non solo di ampia portata dal punto di vista quantitativo, ma particolarmente rilevante dal punto di vista dell'originalità con cui viene affrontato l’argomento. Il problema scientifico del rapporto fra Nietzsche e Foucault è naturalmente di quelli che sono ben noti agli specialisti; tuttavia, nonostante i numerosi lavori, anche apprezzabili, che ad esso sono stati dedicati, i nodi più essenziali della questione, sia dal punto di vista teoretico che storico, non sono stati ancora sufficientemente messi a fuoco; e del resto, se si pensa alla questione più generale dell'influenza di Nietzsche sul pensiero francese, si deve dire che, nonostante l’esistenza di studi validi, anche recenti, come quello, ad esempio, di Jacques Le Rider (Nietzsche en France, Paris, puf, 1999), molto rimane da fare. Quindi, per entrambi i versanti su cui verteva la sua ricerca, si deve dire che l'autore ha dovuto fare molto da solo, andando alle fonti originali, e soprattutto mettendo a fuoco le domande giuste da porre alle fonti. In questo senso, il lavoro si avvale di un solido metodo storico-filologico, che è quello più consono alla nostra tradizione italiana ma, naturalmente, corretto e tarato con riferimento all’oggetto di cui si occupa: si trattava di applicare a Foucault il metodo storico, ma anche il suo metodo storico, secondo un circolo vizioso che non si può aggirare nei lavori che riguardano la filosofia contemporanea. Questo ha permesso di evitare la sterilità di un procedimento meramente filologico, che accumula dati senza alcuno schema organizzativo: anche il primo capitolo, che affronta la ricezione di Nietzsche in Francia che sta alle spalle di Foucault, sceglie i suoi dati allo scopo di mettere ben in rilievo la specificità della, anzi delle letture che di Nietzsche farà il filosofo francese. Questa limitazione o modificazione del metodo storico-filologico non significa però che esso sia stato messo del tutto fuori gioco: al contrario, la scommessa, largamente riuscita, del lavoro è quella di mettere in contatto Foucault con la storia, culturale e non solo culturale, del suo tempo, e di evitarne così una lettura tutta interna, una di quelle interpretazioni di Foucault[ sulla base dello stesso Foucault che riempiono sempre di più, e sempre più inutilmente, gli scaffali delle biblioteche. I risultati di questo attento dosaggio di metodo strutturale e metodo storico, o, se si vuole, di metodo francese e metodo italiano, perché qui sono le rispettive tradizioni di Italia e Francia ad essere in gioco, è una profonda differenziazione dell'oggetto studiato, una sua articolazione diacronica molto ricca: tanto che viene da domandarsi se fra il Foucault di cui Righetti tratta nel secondo capitolo, essenzialmente quello di Folie et Déraison, e il Foucault terminale, quello degli ultimi due corsi al Collège de France, non ci siano, dal punto di vista dell’impianto teorico di fondo, più discontinuità che continuità. Certo, Nietzsche rimane un riferimento essenziale dall’inizio alla fine della traiettoria del filosofo di Poitiers, ma, appunto, uno dei meriti del lavoro è di far vedere, e in modo molto chiaro e documentato, che, di volta in volta, sono diverse fasi, diverse opere del filosofo tedesco ad essere da lui sfruttate: e quale autore meno di Nietzsche, con le sue infinite maschere, potrebbe servire da collante unitario di un lavoro intellettuale durato trent’anni?
Non starò ora a fare un resoconto dettagliato di tutto quello che emerge dalla vasta ricerca dell’autore: mi limiterò a mettere in evidenza quelli che a mio modo di vedere sono i punti essenziali.
Dunque , innanzitutto, la peculiare lettura di Nietzsche che sta dietro a Folie et Déraison: che un impianto romantico, o romantico-schopenhaueriano, sia il nucleo forte di tale lettura mi sembra indubbio[1]. Certo, il testo è complesso, e se ne attende un’edizione critica, che permetta di mettere a fuoco le differenti stesure: si può ipotizzare infatti che esse siano il motivo dei frequenti cambiamenti di prospettiva del discorso di Foucault, che si riflettono in una terminologia oscillante, quando non contraddittoria; ma la sostanza della posizione filosofica dell’autore è quella che è bene espressa dalla Préface della I edizione dell’opera [2], in cui centrale è il riferimento alla coppia concettuale apollineo-dionisiaco e, quindi, al Nietzsche de La nascita della tragedia.
Righetti mette peraltro ben in evidenza come il riferimento a Nietzsche sia , oltre che diretto, mediato da altri, ingombranti numi tutelari del lavoro del filosofo francese: il Blanchot del saggio La parole «sacrée» de Hölderlin [3] in poi, naturalmente, Georges Bataille.
Ma un altro fatto ancora più interessante è il fatto che l’autore mostra come, nel giro di pochi anni, questa posizione sia abbandonata da Foucault: già con
Le parole e le cose, episteme logica e la verità scientifica assumono un rilievo assai maggiore; netta è ora la rottura col dionisismo e il romanticismo delle prime opere; netta presa di distanza di Foucault da una critica meramente negativa della scienza …

_________________
Note:

[1]. Questa affermazione va bilanciata con la presa in considerazione dell'influenza dello Hegel della Fenomenologia dello spirito e del pensiero di Jean Hyppolite: in proposito si rinvia, per i vari studi dedicati alla questione, alla bibliografia citata in R. M. Leonelli, Foucault généalogiste, stratège et dialecticien. De l’histoire critique au diagnostic du présent. thèse pour l’obtention du grade de Docteur en Philosophie, Université de Paris X - Nanterre, Année Universitaire 2006-2007, cap. I, Une archéologie du «pour nous». Pratique généalogique et métamorphose de l’hégélianisme dans l’Histoire de la folie, pp. 15-72: tale capitolo, di cui è da auspicare la pubblicazione, è a mio avviso il punto più maturo a cui è giunta la ricerca su questo tema fino ad ora.

[2]. Cfr. M. Foucault, Preface, in Folie et déraison. Histoire de la folie à l’âge classique, Plon, Paris 1961, pp;. I-XI.

[3].Cfr. M. Blanchot, La parole «sacrée» de Hölderlin, in La part du feu, Gallimard, ParisParis1943.

mercoledì 7 novembre 2012

Bologna - Presentazione del I libro del Capitale, 9 novembre


domenica 28 ottobre 2012

"Gente che non ho mai visto": Mussolini (di V. M.)


Vladimir Majakovskij

GALLERIA MAJAKOVSKIJANA
Gente che non ho mai visto



Mussolini

Ovunque si getti lo sguardo,i giornali
son pieni
              del nome di Mussolini.
A quelli che non l’hanno mai visto
                                                   lo descrivo io, Mussolini.
Punto per punto,
                         tratto per tratto.
Genitori di Mussolini,
                                 non sforzatevi di criticarmi!
Non gli somiglia?
                           La copia più esatta
                                                       è la sua politica.
Mussolini
               ha un orribile
                                    aspetto.
Nude le estremità,
                            nera la camicia,
sulle braccia
                   e sulle gambe
                                        migliaia
di peli
         a ciuffi.
Le braccia
                arrivano ai calcagni
                                              e scopano per terra.
Nell’insieme
                   Mussolini
                                  ha l’aspetto di scimpanzé
Non ha faccia :
                       al suo posto
ha un enorme
                     marchio da brigante.
Quante narici
                     ha ogni uomo!
                                           È inutile!
Mussolini
               in tutto,
                           ne ha una sola,
e anche questa
                      gli è stata spaccata
                                                   esattamente in due
alla spartizione
                        del bottino.
Mussolini
               è tutto
uno scintillio di medaglie.
Con un simile
                     armamento
                                      come non sconfiggere il nemico?!
Senza pistola,
                     senza spada,
                                        ma armato di tutto punto :
al fianco
             un litro intero
                                  d’olio di ricino ;
se
   te lo rovesciano
                           in bocca,
                                        non puoi opporti
                                                                 a una squadra
                                                                                      di fascisti.
Per sentirsi dappertutto
                                    come a casa
                                                       Mussolini
nella zampaccia
                        stringe un mazzo
                                                  di grimaldelli e di ferri da scasso.

martedì 23 ottobre 2012

Vom Kriege


Premessa dell’Autore
Il concetto di “trattazione scientifica” non esige né esclusivamente, né principalmente che la trattazione si costruisca nell’edificio di un sistema conchiuso. Ciò non ha più bisogno, oggi, di essere dimostrato. 
In questo studio, non si troverà pertanto nulla di sistematico alla superficie. Invece di una dottrina compiuta, non abbiamo da offrire che frammenti.

La forma scientifica vi si esprime con la tendenza a scrutare l’essenza dei fenomeni bellici ed a mostrare la loro correlazione con la natura delle cose di cui si compongono. Non si è mai, qui, indietreggiato davanti alla consequenzialità filosofica. Ma dovunque il ragionamento si dipanava in un filo troppo esile, l’autore ha preferito romperlo per ricorrere invece alle prove fornite dall’esperienza dei fatti. Come molte piante non producono frutti se il loro fusto si slancia troppo in alto, così occorre che nelle arti pratiche le foglie e i fiori teorici non prendano soverchio sviluppo. Occorre non allontanarsi troppo dal terreno che loro conviene; e cioè dall’esperienza.

Sarebbe indubbiamente un errore voler dedurre dalla composizione chimica del chicco di frumento la forma della spiga che ne deve nascere, perché non si ha che da andare nei campi per vedere le spighe già formate.

L’investigazione e l’osservazione, la meditazione filosofica e l’esperienza non debbono mai spregiarsi o escludersi vicendevolmente. Si offrono, piuttosto, reciproca garanzia.

Le proposizioni di questo libro poggiano dunque la breve volta della propria perentoria consequenzialità logica o sull’esperienza o sulla definizione della guerra: ed entrambi questi pilastri sono loro indispensabili.

lunedì 8 ottobre 2012

Il velo nell'islam. Storia, politica, estetica - presentazione : BO 10/10

 Libreria delle Moline
Via delle Moline, 3/A
Bologna
tel.: 051 23 20 53
mercoledì 10 ottobre 2012
ore 18,30



Renata Pepicelli
presenta
Il velo nell'Islam
storia, politica,estetica


ne parleranno con l'autrice
Sandro Mezzadra
docente di Filosofia Politica e Studi coloniali e post-coloniali
 Università di Bologna

Azzurra Meringolo
dottore di ricerca di Studi Internazionali, Università di Roma Tre

introduce Vincenza Perilli

martedì 2 ottobre 2012

Soldati senza causa. Memorie della guerra d’Algeria







di Andrea Brazzoduro
Laterza, 2012




Tra il 1954 e il 1962, 1 milione e 200 mila soldati francesi di leva sbarcano al di là del Mediterraneo per combattere contro gli indipendentisti del Fronte di liberazione nazionale algerino.

Tra le fila francesi i morti sono 26 mila e 300 mila i feriti; almeno dieci volte di più sono quelli algerini.

La guerra d'Algeria è stata una "guerra senza nome", dissimulata con le denominazioni più varie ed enigmatiche quali "pacificazione" o "mantenimento dell'ordine". Alla fine del conflitto i soldati francesi sono rifiutati dal proprio stesso Paese che vuole lasciarsi rapidamente alle spalle quel passato coloniale. Solo nel 1999 la Francia riconosce di aver combattuto una guerra tra il 1954 e il 1962.

Cinquant'anni dopo l'indipendenza dell'Algeria, cosa hanno da raccontare quei reduci, fra i gruppi maggiormente segnati dalla cesura burrascosa che ha messo fine all' "Algeria francese"?
 
Le loro memorie, raccolte in decine di interviste, sono al centro di questo libro.

giovedì 20 settembre 2012

Étienne Balibar: l’aspect le plus «foucaldien» de l’œuvre de Marx




Il y a ... bien conversion locale de la violence en formes sociales plus «avancées» de l’exploitation – plus «civilisées», et éventuellement plus «productives». Mais c’est au prix, en fait, de son déplacement ou de sa délocalisation. D’autre part, c’est à ce sujet que Marx propose une analyse de la lutte de classes comme un rapport de force évolutif qu’on peut rétrospectivement considérer comme l’aspect le plus «foucaldien» de son œuvre [*]: le «pouvoir» en effet n’y figure pas comme un terme univoque, référant à une instance qui viendrait de l’extérieur contraindre le processus social, mais plutôt comme le rapport lui même, c’est-à-dire le résultat complexe et instable du conflit qui se déploie dans le temps entre discipline et résistance, techniques d’exploitation de la force de travail humaine (que Marx appelle «méthodes d’extraction du surtravail») qui sont aussi, en un sens, des «techniques de gouvernement», et luttes individuelles ou collectives qui incarnent une forme de liberté dès leurs manifestations le plus élémentaires (et non pas seulement préparent une libération «finale») ...

   E. Balibar, Violence et civilité. Welleck Library Lectures et autres essais de philosophie politique, Paris, Galilée 2010, p. 133, «Deuxième conférence. Une violence “inconvertible”? Essai de topique».

sabato 15 settembre 2012

Il razzismo, di Alberto Burgio - Gianluca Gabrielli

Lunedì 17 settembre 2012
ore 18.00

presso la Biblioteca “Walter Bigiavi”
via Belle Arti, 33 - Bologna

presentazione del libro

Il razzismo


 di
Alberto Burgio e Gianluca Gabrielli 

Ediesse, 2012
con gli autori ne parlano

Patrizia Dogliani
e
Sandro Mezzadra


introduce
Giorgio Tassinari


Alberto Burgio, Dipartimento di Filosofia
Gianluca Gabrielli, Insegnante e storico
Patrizia Dogliani, Dipartimento di Discipline storiche antropologiche e geografiche
Sandro Mezzadra, Dipartimento di Scienze Politiche
Giorgio Tassinari, Facoltà di Economia, Dipartimento Scienze Statistiche


domenica 27 maggio 2012

da Guy Debord, La société du spectacle

Estratti del film del 1973 ispirato a La société du spectacle di Guy Debord, con testi recitati dall'autore

venerdì 25 maggio 2012

Jean-Jacques Rousseau e la società dello spettacolo. Presentazione, BO 29/5


  presentazione
  del libro di
Giuseppe Panella


 


Jean-Jacques Rousseau e la società dello spettacolo
(Firenze, Pagnini, 2010)

 

martedì 29 maggio ore 16

aula I
 Facoltà di Lettere e Filosofia
via Zamboni, 38

Università degli Studi di Bologna




ne discuteranno con l'autore:
Guglielmo Forni Rosa
Rudy M. Leonelli
Silverio Zanobetti
   interverrà  Manlio Iofrida

venerdì 27 aprile 2012

"Femministe a parole. Grovigli da districare". Dibattito con le autrici - Roma, 27 aprile


Oggi, venerdì 27 aprile, alle ore 18.30 presso il Caffè letterario (Casa Internazionale delle Donne, via della Lungara 19 - Roma), si svolgerà il tanto atteso incontro-dibattito con curatrici e autrici del dizionario Femministe a parole. Grovigli da districare, edito dalla casa editrice Ediesse nella collana sessismoerazzismo.


Femministe a parole è un volume sulle questioni controverse che hanno attraversato il dibattito femminista nel corso degli ultimi anni: il multiculturalismo e i diritti delle donne, l’Islam in Europa e l’affaire du voile, la condizione postcoloniale e l’impatto delle migrazioni, il rapporto tra universalismo e relativismo culturale, il ruolo dei corpi e la performance dei generi.