Scritti critici. Saggi, articoli e recensioni di filosofia, politica e storia del presente
venerdì 21 marzo 2014
FACEVAMO QUELLO CHE DOVEVAMO - proiezione del film documentario sulla Volante Rossa:-23/3 all'Iqbal Masih - BO
Dalle ore 18:00 aperitivo
A seguire proiezione del film documentario sulla Volante Rossa:
FACEVAMO QUELLO CHE DOVEVAMO
Circolo Iqbal Masih,via dei Lapidari 13/L - Bologna
L’Iqbal è raggiungibile dal centro con l’autobus 11C direzione
Corticella, fermata Lapidari o da via di Corticella bus 27 o 62
notturno sempre direzione Corticella
mercoledì 19 marzo 2014
L'amore della politica, di Valerio Romitelli
L'amore della politica
Pensiero , passioni e corpi nel disordine mondiale
di
Valerio Romitelli
Mucchi editore, Modena 2014
Il lungo ciclo del materialismo
storico, del socialismo, del comunismo e dei partiti di classe è finito.
Ma non ha fallito. Ha sperimentato una singolare tendenza alla
giustizia sociale. Quella culminata nel glorioso trentennio 1945/75:
possibile solo perché in mezzo mondo c’erano regimi capaci di
dimostrare, anche a costo di terribili sacrifici, che politiche
egualitarie erano universalmente realizzabili. Sulla base di questi
presupposti si offre un inedito taglio dei maggiori problemi del nostro
tempo quale l’ incipiente crisi del capitalismo e delle democrazie
improntate al modello americano, nonché il rapido dilatarsi di
popolazioni che i governi abbandonano a un destino di sfruttamento e
sofferenza sociale.
Al cuore del libro si trova una formulazione di un nuovo possibile orizzonte di sperimentazione politica: l’orizzonte di un materialismo politico, nel quale protagonisti siano il pensiero, anziché la coscienza, le passioni, anziché gli interessi, e a condizione che prendano corpo in nuove “particelle” organizzative, come quelle già sporadicamente operanti nel secolo scorso, specie attorno al ’68. L’amore della politica risulta così una vera e propria energia materiale, discontinua, come ogni grande passione, ma con conseguenze irreversibili. Un’energia oggi latitante, che va ripensata e riorganizzata.
Al cuore del libro si trova una formulazione di un nuovo possibile orizzonte di sperimentazione politica: l’orizzonte di un materialismo politico, nel quale protagonisti siano il pensiero, anziché la coscienza, le passioni, anziché gli interessi, e a condizione che prendano corpo in nuove “particelle” organizzative, come quelle già sporadicamente operanti nel secolo scorso, specie attorno al ’68. L’amore della politica risulta così una vera e propria energia materiale, discontinua, come ogni grande passione, ma con conseguenze irreversibili. Un’energia oggi latitante, che va ripensata e riorganizzata.
Valerio Romitelli
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lunedì 17 marzo 2014
25/2/1992. BO: mobilitazione contro il revisionismo di Ernst Nolte
da: staffetta
A fine febbraio del 1992 alcune centinaia
di studenti dell’Università di Bologna occupavano pacificamente l’aula
in cui avrebbe dovuto parlare lo storico Ernst Nolte per contrapporsi
alla tesi semplificante della «guerra civile europea» che equiparava
nazifascismo e bolscevismo relativizzando lo sterminio ebraico e
minimizzando i tratti specifici del razzismo di Stato del Novecento.
Quella protesta, che allora ebbe una risonanza addirittura europea, fu
un piccolo evento di vita universitaria, ma tanti di coloro che vi
presero parte con entusiasmo vi sentirono un impegno ulteriore di
approfondimento critico, di militanza antifascista e di memoria civile. Leggi il resto su Magma.
lunedì 3 marzo 2014
Walter Benjamin, «Segnalatore d’incendio»
L’idea che ci si fa
della lotta di classe può indurre in errore. Non si tratta, in essa,
di una prova di forza in cui si decida la questione di chi vince e
chi perde, né di uno scontro al cui termine al vincitore andrà bene
e allo sconfitto male. Pensare così
significa dare ai fatti un travestimento romantico. Perché la
borghesia, sia che vinca o che soccomba nella lotta, è comunque
condannata a perire dalle sue interne contraddizioni che le
riusciranno fatali nel corso del suo sviluppo. La questione è
soltanto se essa perirà per mano propria o per mano del
proletariato. Durata o fine di un’evoluzione culturale tre volte
millenaria saranno decise dalla risposta a questo punto. La storia
nulla sa dell’infinito di bassa lega simboleggiato dai due
gladiatori eternamente in lotta. Solo per scadenze fa i suoi calcoli
il vero politico. E la liquidazione della borghesia non si sarà
compiuta ad un punto quasi esattamente calcolabile (lo segnalano
inflazione e guerra chimica) tutto sarà perduto. Prima che la
scintilla raggiunga la dinamite, la miccia va tagliata. Intervento,
rischio e rapidità del politico sono una questione di tecnica, non di
cavalleria.
“Segnalatore
d’incendio” da: Walter Benjamin, Gesammelte
Schriften,
Suhrkamp,
Frankfurt a. M. 1972 trad.
it. in Walter
Benjamin, Strada
a senso unico. Scritti 1926-1927, a c. d. Giorgio Agamben, Einaudi, Torino 1983.
venerdì 14 febbraio 2014
«Cattive condotte», di Sandro Mezzadra
da il manifesto
La pubblicazione dei corsi tenuti da Michel Foucault al
Collège de France tra il 1970 e il 1984 ha ormai sedimentato un
secondo corpus di opere del filosofo francese, accanto a quelle da
lui pubblicate. E non si può che rimanere affascinati, anche
semplicemente scorrendo i volumi, dall’inquietudine e dal rigore con
cui egli apriva continuamente nuovi cantieri di ricerca, da quello
sul neoliberalismo (a cui è dedicato il corso del 1979) a quelli
greci e tardo-antichi degli ultimi anni. Temi e concetti associati al
lavoro di Foucault, ad esempio quelli di «governamentalità» e
«biopolitica», trovano nei corsi della seconda metà degli anni
Settanta sviluppi di straordinaria e talvolta imprevista
ricchezza. E d’altro canto, ascoltando «la parola pubblicamente
proferita da Foucault» (a cui i curatori si attengono con
scrupoloso rigore), ne abbiamo imparato a conoscere lo stile di
insegnante, l’eleganza ma anche la capacità di affascinare
e coinvolgere chi lo ascoltava.
Si capisce dunque come l’uscita di un nuovo corso, mentre l’edizione si avvia alla conclusione, costituisca sempre un evento. Quello da poco pubblicato in Francia si intitola La societé punitive (a cura di Bernard E. Harcourt, EHESS/Gallimard/Seuil, pp. 354, euro 26), ed è stato tenuto nel primo trimestre del 1973. Si situa dunque in uno dei momenti di più intensa militanza politica di Foucault, in particolare sui temi della penalità e della prigione, a fianco delle lotte e dell’organizzazione autonoma dei detenuti. «Indignazione» e «collera», come giustamente sottolinea Harcourt, danno il tono generale a questo corso, e lo rendono tra le altre cose un documento dell’appassionata ricerca di uno stile di lavoro intellettuale capace di situarsi del tutto all’interno della lotta politica. Sotto il profilo del metodo, poi, è un corso in qualche modo di transizione, caratterizzato dalla ricerca e dalla sperimentazione di un’articolazione tra «archeologia» e «genealogia». Molti temi qui affrontati sono ripresi da Foucault in conferenze e testi dello stesso periodo (in particolare in La verità e le forme giuridiche, in La vita degli uomini infami e in Io, Pierre Rivière), nonché naturalmente nel grande libro dedicato nel 1975 alla nascita della prigione, Sorvegliare e punire, di cui il corso del 1973 costituisce una sorta di prova generale.
La stessa categoria di «potere disciplinare» (di «società a potere disciplinare») appare nel corso del 1973 forse definita in modo meno preciso, ma più duttile e meno rigidamente ancorata alla produzione di una determinata figura di soggettività (l’individuo) e a una specifica forma di istituzione (sul celebre modello benthamiano del panopticon).
Foucault comincia del resto il corso con una serrata critica della categoria di «esclusione», che a suo avviso non consente di «analizzare le lotte, i rapporti, le operazioni specifiche del potere». In questione non è qui soltanto il riferimento alla natura «produttiva» (e non solamente repressiva) del potere e al nesso strettissimo tra potere e sapere: La societé punitive studia questo nesso sul terreno della penalità e lo contrappone, in termini teorici, allo «schema dell’ideologia», secondo cui «il potere non può produrre nell’ordine della conoscenza che degli effetti appunto ideologici», di copertura e di falsa coscienza. Sono temi noti ai lettori di Foucault, così come – soprattutto negli scritti di questi anni – è ricorrente l’enfasi posta sulla natura relazionale del potere, sul suo costitutivo nesso con le resistenze e con le lotte.
È tuttavia proprio a quest’ultimo riguardo che il corso del 1973 presenta elementi di indubbia originalità, a partire dalla scelta della «guerra civile» come schema teorico fondamentale per la comprensione critica del potere (la politica, afferma Foucault, «è la prosecuzione della guerra civile»). Tanto lo sviluppo dei sistemi morali, la cui ricostruzione prende avvio dallo studio della dissidenza religiosa in Inghilterra tra Sei e Settecento, quanto le trasformazioni dei regimi di governo e di controllo vengono analizzati sullo sfondo di una fitta trama di «illegalismi popolari», che condizionano in profondità l’evoluzione dei regimi giuridici e delle tecniche punitive.
Si capisce dunque come l’uscita di un nuovo corso, mentre l’edizione si avvia alla conclusione, costituisca sempre un evento. Quello da poco pubblicato in Francia si intitola La societé punitive (a cura di Bernard E. Harcourt, EHESS/Gallimard/Seuil, pp. 354, euro 26), ed è stato tenuto nel primo trimestre del 1973. Si situa dunque in uno dei momenti di più intensa militanza politica di Foucault, in particolare sui temi della penalità e della prigione, a fianco delle lotte e dell’organizzazione autonoma dei detenuti. «Indignazione» e «collera», come giustamente sottolinea Harcourt, danno il tono generale a questo corso, e lo rendono tra le altre cose un documento dell’appassionata ricerca di uno stile di lavoro intellettuale capace di situarsi del tutto all’interno della lotta politica. Sotto il profilo del metodo, poi, è un corso in qualche modo di transizione, caratterizzato dalla ricerca e dalla sperimentazione di un’articolazione tra «archeologia» e «genealogia». Molti temi qui affrontati sono ripresi da Foucault in conferenze e testi dello stesso periodo (in particolare in La verità e le forme giuridiche, in La vita degli uomini infami e in Io, Pierre Rivière), nonché naturalmente nel grande libro dedicato nel 1975 alla nascita della prigione, Sorvegliare e punire, di cui il corso del 1973 costituisce una sorta di prova generale.
Tattiche penali
«Perché questa strana istituzione che è la prigione?». Questa domanda guida tanto Sorvegliare e punire quanto La societé punitive. È tuttavia significativo che nel corso del 1973 essa venga formulata in termini espliciti soltanto all’inizio dell’ultima lezione. Foucault, a quel punto, aveva già ampiamente mostrato come la detenzione e la reclusione si fossero installate al centro dei sistemi penali europei soltanto con le «grandi riforme avviate negli anni compresi tra il 1780 e il 1820». La prigione era stata dunque «de-naturalizzata», e poteva a buon diritto apparire come una «strana istituzione»: la sua emergenza storica era stata studiata nelle lezioni precedenti dall’interno di trasformazioni profonde della morale, delle tecniche di governo e di polizia e delle «tattiche penali». Proprio l’attenzione rivolta alla sua emergenza storica in qualche modo «de-centra» la prigione rispetto all’analisi condotta in Sorvegliare e punire: Foucault, in altri termini, non guarda alla società a partire dalla prigione (come sembra avvenire in alcuni capitoli del libro del 1975), ma punta piuttosto a comprendere quest’ultima a partire dalle trasformazioni più generali che segnano l’avvento del capitalismo moderno.La stessa categoria di «potere disciplinare» (di «società a potere disciplinare») appare nel corso del 1973 forse definita in modo meno preciso, ma più duttile e meno rigidamente ancorata alla produzione di una determinata figura di soggettività (l’individuo) e a una specifica forma di istituzione (sul celebre modello benthamiano del panopticon).
Foucault comincia del resto il corso con una serrata critica della categoria di «esclusione», che a suo avviso non consente di «analizzare le lotte, i rapporti, le operazioni specifiche del potere». In questione non è qui soltanto il riferimento alla natura «produttiva» (e non solamente repressiva) del potere e al nesso strettissimo tra potere e sapere: La societé punitive studia questo nesso sul terreno della penalità e lo contrappone, in termini teorici, allo «schema dell’ideologia», secondo cui «il potere non può produrre nell’ordine della conoscenza che degli effetti appunto ideologici», di copertura e di falsa coscienza. Sono temi noti ai lettori di Foucault, così come – soprattutto negli scritti di questi anni – è ricorrente l’enfasi posta sulla natura relazionale del potere, sul suo costitutivo nesso con le resistenze e con le lotte.
È tuttavia proprio a quest’ultimo riguardo che il corso del 1973 presenta elementi di indubbia originalità, a partire dalla scelta della «guerra civile» come schema teorico fondamentale per la comprensione critica del potere (la politica, afferma Foucault, «è la prosecuzione della guerra civile»). Tanto lo sviluppo dei sistemi morali, la cui ricostruzione prende avvio dallo studio della dissidenza religiosa in Inghilterra tra Sei e Settecento, quanto le trasformazioni dei regimi di governo e di controllo vengono analizzati sullo sfondo di una fitta trama di «illegalismi popolari», che condizionano in profondità l’evoluzione dei regimi giuridici e delle tecniche punitive.
martedì 11 febbraio 2014
Rassegna «Una società allo specchio: l'identità italiana nel cinema della Liberazione a oggi»
Francesco Cattaneo (Poetica e Retorica) e Manlio Iofrida (Filosofia
della Storia e Storia della Filosofia francese contemporanea)
dell’Università di Bologna, in collaborazione con la rivista
cinematografica “Rifrazioni. Dal cinema all’Oltre” e con la Biblioteca
Multimediale Roberto Ruffilli, presentano la rassegna
cinematografica:
Una società allo specchio: l’identità italiana nel cinema dalla Liberazione a oggi
Calendario degli incontri:
Martedì 11 Febbraio 2014 ore 20.30
Roma, di Federico Fellini (1972) a cura di
Manlio Iofrida
Martedì 18 Febbraio 2014 ore 20.30
La grande bellezza, di Paolo Sorrentino (2013) a cura di
Igor Pelgreffi
Martedì 25 Febbraio 2014 ore 20.30
Reality, di Matteo Garrone (2012) a cura di
Francesco Cattaneo
Martedì 4 Marzo 2014 ore 20.30
Professione: reporter, di Michelangelo Antonioni (1975) a cura di
Jonny Costantino
Martedì 11 Marzo 2014 ore 20.30
Le quattro volte, di Michelangelo Frammartino (2010) a cura di
Daniela Vola
Martedì 25 Marzo 2014 ore 20.30
Segreti di Stato, di Paolo Benvenuti (2003) + 2 frammenti tratti dal
film Lucky Luciano, di Francesco Rosi (1973), a cura di
Laura Zardi
Martedì 1 Aprile 2014 ore 20.30
Sicilia!, di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet (1999)
serata conclusiva sintesi finale della rassegna
Tutte le proiezioni si terranno presso la Saletta Multimediale della Biblioteca Roberto Ruffilli (primo piano)
Vicolo Bolognetti 2 – Bologna. Per informazioni tel. 051/276112.
Ingresso gratuito (riservato agli studenti e ai docenti)
della Storia e Storia della Filosofia francese contemporanea)
dell’Università di Bologna, in collaborazione con la rivista
cinematografica “Rifrazioni. Dal cinema all’Oltre” e con la Biblioteca
Multimediale Roberto Ruffilli, presentano la rassegna
cinematografica:
Una società allo specchio: l’identità italiana nel cinema dalla Liberazione a oggi
Calendario degli incontri:
Martedì 11 Febbraio 2014 ore 20.30
Roma, di Federico Fellini (1972) a cura di
Manlio Iofrida
Martedì 18 Febbraio 2014 ore 20.30
La grande bellezza, di Paolo Sorrentino (2013) a cura di
Igor Pelgreffi
Martedì 25 Febbraio 2014 ore 20.30
Reality, di Matteo Garrone (2012) a cura di
Francesco Cattaneo
Martedì 4 Marzo 2014 ore 20.30
Professione: reporter, di Michelangelo Antonioni (1975) a cura di
Jonny Costantino
Martedì 11 Marzo 2014 ore 20.30
Le quattro volte, di Michelangelo Frammartino (2010) a cura di
Daniela Vola
Martedì 25 Marzo 2014 ore 20.30
Segreti di Stato, di Paolo Benvenuti (2003) + 2 frammenti tratti dal
film Lucky Luciano, di Francesco Rosi (1973), a cura di
Laura Zardi
Martedì 1 Aprile 2014 ore 20.30
Sicilia!, di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet (1999)
serata conclusiva sintesi finale della rassegna
Tutte le proiezioni si terranno presso la Saletta Multimediale della Biblioteca Roberto Ruffilli (primo piano)
Vicolo Bolognetti 2 – Bologna. Per informazioni tel. 051/276112.
Ingresso gratuito (riservato agli studenti e ai docenti)
lunedì 10 febbraio 2014
locandine marxicce di Casapound? No grazie! Preferiamo John Heartfield
CaPa marxoide?
NO GRAZIE!
Alla barba posticcia di Marx esibita da Casapound
opponiamo la verità storica illustrata dal genio di
John Heartfield:
domenica 9 febbraio 2014
Dall’antropologia filosofica all’ontologia sociale e ritorno - di Étienne Balibar
Dall’antropologia filosofica all’ontologia sociale e ritorno: che fare con la sesta tesi di Marx su Feuerbach?
di ETIENNE BALIBAR
È in uscita per Mimesis “Il
Transindividuale. Soggetti, relazioni, mutazioni”, una raccolta di studi
sulla questione del transindividuale curata da Etienne Balibar e
Vittorio Morfino. Qui, per gentile concessione dei curatori, anticipiamo
lo stesso saggio di Balibar, in cui il filosofo francese conduce
un’analisi particolareggiata del significato filosofico della Sesta Tesi
di Marx su Feuerbach.
Le Tesi su Feuerbach[1], un insieme di 11 aforismi a quanto pare non destinati alla pubblicazione in questa forma, sono state scritte da Marx nel corso del 1845 mentre stava lavorando al manoscritto dell’Ideologia tedesca, anch’esso non pubblicato. Sono state scoperte più tardi da Engels e da lui pubblicate con alcune correzioni (non tutte prive di significato), come appendice al suo pamphlet Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca (1886)[2]. Sono considerate largamente una delle formulazioni emblematiche della filosofia Occidentale, talvolta comparate con altri testi estremamente brevi ed enigmatici che combinano una ricchezza apparentemente inesauribile con uno stile enunciativo da manifesto, che annuncia un modo di pensare radicalmente nuovo come il Poema di Parmenide o il Trattato di Wittgenstein. Alcuni dei suoi celebri aforismi hanno guadagnato a posteriori lo stesso valore di un punto di svolta in filosofia (o, forse, nella nostra relazione con la filosofia) come, per esempio dei già citati Parmenide e Wittgenstein rispettivamente: «tauton gar esti noein te kai einai »[3], «Worüber man nicht sprechen kann, darüber muss man schweigen»[4], ma anche lo spinoziano «ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum»[5] il kantiano «Gedanken ohne Inhalt sind leer, Anschauungen ohne Begriffe sind blind»[6] etc.
In tali condizioni è ovviamente allo stesso tempo estremamente allettante e imprudente avventurarsi in un nuovo commento. Ma è anche inevitabile far ritorno alla lettera delle Tesi, esaminando la nostra comprensione della loro terminologia e proposizioni, nel momento in cui decidiamo di valutare il posto occupato da Marx (e di una interpretazione di Marx) nei nostri dibattiti contemporanei. È ciò che vorrei fare – almeno in parte – in questo testo, con riferimento ad una discussione in corso sul significato e gli usi della categoria di ‘relation’ e ‘relationship’ (entrambi possibili equivalenti del tedesco Verhältnis), le cui implicazioni vanno dalla logica all’etica, ma in particolare implicano una sottile – forse decisiva – sfumatura che separa un’‘antropologia filosofica’ da un’‘ontologia sociale’ (o, una ontologia dell’‘essere sociale’, come Lukács, tra altri, direbbe). Questo scopo conduce in modo del tutto naturale a sottolineare l’importanza della Tesi 6, che recita (nella versione originale di Marx):
Feuerbach löst das religiöse Wesen in das menschliche Wesen auf. Aber das menschliche Wesen ist kein dem einzelnen Individuum inwohnendes Abstraktum. In seiner Wirklichkeit ist es das ensemble der gesellschaftlichen Verhältnisse.
Feuerbach, der auf die Kritik dieses wirklichen Wesens nicht eingeht, ist daher gezwungen: 1. von dem geschichtlichen Verlauf zu abstrahieren und das religiöse Gemüt für sich zu fixieren, und ein abstrakt – isoliert – menschliches Individuum vorauszusetzen. 2. Das Wesen kann daher nur als ‘Gattung’, als innere, stumme, die vielen Individuen natürlich verbindende Allgemeinheit gefaßt werden.
Ed ecco una traduzione italiana classica:
Feuerbach risolve l’essenza religiosa nell’essenza umana. Ma l’essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali.
Feuerbach, che non penetra nella critica di questa essenza reale, è perciò costretto:
1. Ad astrarre dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé, ed a presupporre un individuo umano astratto – isolato.
2. L’essenza può dunque essere concepita soltanto come ‘genere’, cioè come universalità interna, muta, che leghi molti individui naturalmente.
Tra i molti commentari che sono stati dedicati a queste proposizioni (e in particolare alle prime tre proposizioni), selezionerei quelli di Ernst Bloch e Louis Althusser, che mettono in luce posizioni esattamente antitetiche[7]. Per Bloch, il cui commento dettagliato, parte del suo magnum opus Das Prinzip Hoffnung, fu pubblicato in un primo tempo separatamente nel 1953[8], le Tesi includono la piena costruzione del concetto di praxis rivoluzionaria, presentata come la parola d’ordine (Losungswort), che oltrepassa l’antitesi metafisica di ‘soggetto’ e ‘oggetto’, ‘pensiero filosofico’ e ‘azione politica’. Esse esprimo l’idea cruciale che la realtà (sociale) in quanto tale è ‘mutabile’ (veränderbar) poiché la sua nozione completa non indica solo situazioni date o relazioni derivanti da un processo compiuto (cioè il presente e il passato), ma implica anche sempre già l’oggettiva possibilità di un futuro o una novità (novum), cosa che né il materialismo classico né l’idealismo hanno mai ammesso. Per Althusser, che si sofferma sulle Tesi come un sintomo di una rivoluzione teorica (o ‘rottura epistemologica’) attraverso cui Marx avrebbe lasciato cadere una lettura umanistica, fondamentalmente feuerbachiana, del comunismo, per adottare una problematica scientifica (non-ideologica) delle relazioni sociali e delle lotte di classe come motore della storia, esse meritano una lettura (alquanto controintuitiva) che mostra le ‘nuove’ idee come forzatura di un vecchio linguaggio per esprimere (o piuttosto annunciare, anticipare) una teoria che, fondamentalmente, non ha precedenti, ma le cui implicazioni sono ancora a venire (l’esempio principale di questa ermeneutica di concetti forzati, internamente inadeguati, è la lettura althusseriana della praxis come nome filosofico di «un sistema articolato di pratiche sociali»). È interessante notare che sia il commentario di Bloch che quello di Althusser implicano una forte sottolineatura dello schema temporale di un ‘futuro’ oggettivamente incluso nel presente come una possibilità dirompente – con la differenza che per Bloch questo schema caratterizza la storia, mentre per Althusser caratterizza la teoria o il discorso[9] ...
...Leggi tutto su «Il rasoio di Occam»
lunedì 3 febbraio 2014
«Walter Benjamin. Testi e commenti» Presentazione alle Moline, 6 febbraio 2014
Giovedì
6 febbraio 2014
ore
18:30
Biblioteca
“Michele Ranchetti”
Centro
Furio Jesi – Scuola di Pace del Quartiere Savena
via
Lombardia 36, Bologna
presenta
presso
Libreria
delle Moline
Tel
051262977
il
terzo numero del periodico
«L’ospite
ingrato»
Quodlibet,
2013
Walter
Benjamin
TESTI
E COMMENTI
Linguaggio,
verità, storia nell’opera di Benjamin
A
cura di
Gianfranco
Bonola
Il
volume contiene scritti di Benjamin inediti o tradotti per la prima
volta in italiano
testi
di Scholem, Jesi, Rosenzweig, Fortini, Ranchetti, Cases,
Solmi
e
saggi di Bonola, Chitussi, Härle, Peterson, Wizisla.
ne
parlano:
Gianfranco
Bonola (Univ.
di Roma Tre, curatore del volume),
Andrea
Cavalletti (Univ.
IUAV, Venezia),
Barbara
Chitussi (Univ.
di Modena e Reggio),
Saverio
Marchignoli (Univ.
di Bologna).
mercoledì 22 gennaio 2014
Presentazione del volume di Dimitris Deliolanes “Alba dorata”, al Parri, BO 30 gennaio
presentazione del volume di Dimitri Deliolanes
Alba dorata : la Grecia nazista minaccia l'Europa
Fandango libri, Roma 2013
Giovedì 30 gennaio 2014 ore 18
Sala dell’Ex- Refettorio, Via S. Isaia 20
Con il libro su Alba dorata, di Dimitris Deliolanes, l'Istituto per la storia e le memorie del '900 Parri-ER inaugura 900 storie, un nuovo ciclo di presentazioni di libri, film e altri materiali audiovisivi sulla storia del XX secolo e del tempo presente.
Con il libro su Alba dorata, di Dimitris Deliolanes, l'Istituto per la storia e le memorie del '900 Parri-ER inaugura 900 storie, un nuovo ciclo di presentazioni di libri, film e altri materiali audiovisivi sulla storia del XX secolo e del tempo presente.
sabato 18 gennaio 2014
Bertolt Brecht: Da leggere il mattino e la sera
Da leggere il mattino e la sera
Quello che amo
mi ha detto
che ha bisogno di me.
Per questo
ho cura di me stessa
guardo dove cammino e
temo che ogni goccia di pioggia
mi possa uccidere.
_________
Morgens und abends zu lesen
Der, den ich liebe
hat mir gegagt
Daß er mich braucht.
Darum
Gebe ich auf mich acht
sehe auf meinen Weg und
Fürchte von jedem Regentropfen
Daß er mich erschlagen Könnte
tr. it di Roberto Fertoniani in Bertolt Brecht, Poesie, Einaudi Torino 1960
sabato 11 gennaio 2014
“Gli anni spezzati”, una monnezza chiamata fiction
Una monnezza chiamata fiction. “Gli anni spezzati”
di Christian Raimo, 9 gennaio 2014
Ieri sera su Rai Uno è andato in onda uno scempio, di cui la Rai
dovrebbe chiedere scusa, e i politici o chiunque approvi sul servizio
pubblico operazioni di questo tipo dovrebbe chiedere il conto. Insegno
storia da cinque anni nei licei, e tutto il lavoro che io, come
centinaia di migliaia di insegnanti di liceo e università, faccio per
cercare di raccontare, far conoscere, semplificare, provare a
condividere e indagare insieme, gli anni Settanta viene smerdato da una
roba coma la trilogia-fiction intitolata “Anni spezzati”. Uno dei
prodotti peggiori realizzati in Italia negli ultimi anni: un film non
solo pessimo da un punto visto artistico e anche tecnico, ma risibile da
quello documentario e storico. Un prodotto nocivo, venefico,
viscidamente diseducativo.
Chi l’ha scritto, Graziano Diana (anche regista) con due autori alle
prime armi – Stefano Marcocci e Domenico Tomassetti – ha evidentemente
ritenuto opportuno prescindere da qualunque serietà di documentazione
storica, appoggiandosi a riduzioni da sussidiario copiato male – non
dico Wikipedia (che in molti casi è fatta molto meglio). Nei titoli
d’apertura non dichiara nemmeno un nome di un consulente storico, nei
titoli di coda ne cita tre, nessuno dei quali storico di professione
(Adalberto Baldoni, Sandro Provvisionato e Luciano Garibaldi – la cui
bibliografia è pubblicata da piccolissimi editori in odore di
post-fascismo tipo Nuove Idee o Ares). Nelle interviste Diana dice che
ha ascoltato le voci dei parenti delle vittime della violenza politica
anni ’70: non so chi abbia ascoltato né come l’abbia fatto, ma quello
che ne ha tratto sono degli sloganucci stereotipati che farebbero
passare un bignami per un saggio storico complesso. Nelle interviste
Diana dice di aver voluto raccontare quella storia dalla parte di chi,
le istituzioni incarnate nelle forze dell’ordine, cercava il dialogo tra
rossi e neri: non so che libri abbia letto sulle forze dell’ordine e le
istituzioni italiane di quegli anni, non so su quali testi si sia
formato la sua idea sugli apparati dello Stato, i politici, i partiti, i
vari movimenti, ma se l’avesse scritta Cossiga nel sonno o Claudio
Cecchetto, per dire, questa fiction, ci avrebbe messo più complessità.
L’idea di Alessandro Jacchia di raccontare attraverso lo sguardo di
un poliziotto romano (la sua voce off!) le vicende complicate che girano
intorno a Piazza Fontana, l’autunno del ’69, e la vicenda di Calabresi e
Pinelli non è nemmeno revisionista: non è un’idea. È la suggestione di
poter prendere la poesia di Pasolini su Valle Giulia, ricavarne
un’interpretazione puerile, e pensare di applicarla, a mo’ di pomata,
agli eventi di quegli anni: come se fosse una scelta narrativa, fino a
realizzare una specie di spottone con toni da soap-opera, colletti
larghi, sguardi fissi in camera ...
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