venerdì 17 luglio 2009

La mitica ambiguità delle leggi che non possono essere "trasgredite" (Walter Benjamin)



Dove si stabiliscono confini, l'avversario non viene semplicemente distrutto; anzi, anche se il vincitore dispone della massima superiorità, gli vengono riconosciuti certi diritti. E cioè, in modo demonicamente ambiguo, pari diritti: è la stessa linea che non deve essere superata dai due contraenti. Dove appare, nella sua forma più temibile e originaria la stessa mitica ambiguità delle leggi che non possono essere "trasgredite", e di cui Anatole France dice satiricamente che vietano del pari ai ricchi e ai poveri di pernottare sotto i ponti.


Walter Benjamin, Zur Kritik der Gewalt (1920-1921),
trad. it. Per la critica della violenza
in Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di Renato Solmi, Torino, Einaudi, 1962.




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immagine da Sucardrom

martedì 14 luglio 2009

Leo Ferré: L'affiche rouge


Leo Ferré

24 agosto 1916 - 14 luglio 1993

L'affiche rouge
testo di Louis Aragon




Vous n'aviez réclamé la gloire ni les larmes
Ni l'orgue ni la prière aux agonisants.
Onze ans déjà que cela passe vite onze ans
Vous vous étiez servi simplement de vos armes
La mort n'éblouit pas les yeux des Partisans

Vous aviez vos portraits sur les murs de nos villes
Noirs de barbe et de nuit hirsutes menaçants
L'affiche qui semblait une tache de sang
Parce qu'à prononcer vos noms sont difficiles
Y cherchait un effet de peur sur les passants
Nul ne semblait vous voir Français de préférence
Les gens allaient sans yeux pour vous le jour durant
Mais à l'heure du couvre-feu des doigts errants
Avaient écrit sous vos photos MORTS POUR LA FRANCE
Et les mornes matins en étaient différents
Tout avait la couleur uniforme du givre
A la fin février pour vos derniers moments
Et c'est alors que l'un de vous dit calmement
Bonheur à tous Bonheur à ceux qui vont survivre
Je meurs sans haine en moi pour le peuple allemand
Adieu la peine et le plaisir Adieu les roses,
Adieu la vie adieu la lumière et le vent
Marie-toi sois heureuse et pense à moi souvent
Toi qui va demeurer dans la beauté des choses
Quand tout sera fini plus tard en Erivan
Un grand soleil d'hiver éclaire la colline
Que la nature est belle et que le coeur me fend
La justice viendra sur nos pas triomphants
Ma Mélinée ô mon amour mon orpheline
Et je te dis de vivre et d'avoir un enfant
Ils étaient vingt et trois quand les fusils fleurirent
Vingt et trois qui donnaient leur coeur avant le temps
Vingt et trois étrangers et nos frères pourtant
Vingt et trois amoureux de vivre à en mourir
Vingt et trois qui criaient La France en s'abattant

 
Louis Aragon, Le Roman Inachevé, Gallimard, Paris 1955
Musique de Léo Ferré, 1959

sabato 11 luglio 2009

Spettri della psiche (di Pierpaolo Ascari)

L'attrazione fatale per la fisiognomica
Spettri della Psiche


Alcuni passaggi del rapporto che la fotografia istituì con le alienazioni mentali, catturando più realtà di quella osservata dall'occhio umano. A partire dalla riedizione della tesi di dottorato di Jean Étienne Dominique Esquirol, fondatore della clinica psichiatrica parigina della Salpêtrière, fino al libro di Georges Didi-Huberman sulla «Invenzione dell'isteria»


Il 16 e il 17 giugno del 1875, presso la settima sezione penale del tribunale della Senna, accadde qualcosa di strano. Nonostante i gendarmi avessero fatto irruzione nell'atelier di un sedicente fotografo di spettri, obbligandolo a confessare che stava truffando i propri clienti, le vittime della truffa non ne vollero sapere di rinunciare all'idea di aver posato accanto al fantasma di una zia morta, della contessa du Barry, di Vercingetorige o di un supereroe precolombiano. In realtà il trucco del fotografo risultò piuttosto artigianale e consisteva nell'impressionare due volte la medesima lastra: la prima con l'immagine sbiadita di una bambola in costume, la seconda con il ritratto dei paganti. All'epoca, va detto, l'illusione che l'obiettivo fosse in grado di catturare più mondi di quanti non ne trattenesse la retina godette di molta fortuna, tanto da consentire a un certo Baraduc, per esempio, di dedicare svariati anni della propria vita alla ricerca fotografica delle peregrinazioni dell'anima.

Una impronta di luce
A differenza di quanto facessero i fantasmi dell'uomo finito in tribunale, però, quella che le anime di Baraduc consegnavano alla fotografia non era la propria faccia, ma una «firma», un'impronta singolare di luce che, di volta in volta, assumeva la forma specifica del pensiero, della passione, del sogno o della forza cosmica e vitale che urtava la lastra. Nello stesso anno in cui viene processato l'evocatore di bambole, del resto, nel Traité spécial de photographie pubblicato a Parigi in occasione della commercializzazione di una delle prime attrezzature amatoriali, l'appareil Dubroni, gli autori del manuale ammettono di non avere ancora una conoscenza adeguata del rapporto tra luce e materia. L'innovazione tecnologica, in altri termini, consente di fare molte più cose di quante l'esperienza non sia pronta a verificarne, alimentando la formazione di una «scienza dell'ignoto» che, come nel caso delle deformazioni studiate da Jurgis Baltrusaitis, «più sottilizza, più depura le proprie nozioni, più si sforza di darsi basi solide, più si smarrisce nel fantastico». Le «psichicone» del dottor Baraduc rappresentano un capitolo della storia di questa fantascienza, quindi, una storia nella quale alla ricerca rigorosa dei casi, delle classificazioni e degli approfondimenti, ogni volta, corrisponde la genesi e l'inventario di una nuova allucinazione. Un capitolo molto meno innocente della stessa storia, invece, è quello ambientato nel manicomio femminile di Parigi diretto da Jean-Martin Charcot, la Salpêtrière, dove proprio l'uso della macchina fotografica, a partire dal 1876, consentirà di approfondire e sottilizzare la conoscenza allucinata dell'isteria.
Nel 1862, mentre Charcot assume la direzione della Salpêtrière, in Francia appare il libro di un medico di nome Duchenne de Boulogne che, a differenza di Baraduc, non si limita a inseguire le tracce dell'anima, ma ne istruisce la cattura. Quando l'anima è agitata, sostiene Duchenne, il volto si trasforma in un dramma teatrale nel quale l'azione dei muscoli crea l'immagine corrispondente al movimento delle passioni. Procedendo in direzione opposta, però, è possibile ottenere la stessa immagine con l'impiego della corrente elettrica, convocando sul volto elettrizzato un catalogo completo dei moti interiori e dei meccanismi segreti che ne regolano la configurazione. «Attraverso l'analisi elettrofisiologica e con l'aiuto della fotografia - assicura quindi Duchenne - vi farò conoscere l'arte di dipingere correttamente le linee espressive del volto umano, un'arte che si potrebbe definire ortografia della fisionomia in movimento».Si direbbe un programma da insegnante di pittura, il suo, una campionatura delle costanti patognomiche simile a quelle illustrate da Leonardo, Lebrun o Rubens nei loro testi teorici. A questo proposito non sarà inutile ricordare che a partire dal Salon parigino del 1859, con una decisione che Baudelaire aveva giudicato ridicola, la fotografia era ufficialmente stata accolta nel gran mondo delle belle arti e che proprio al magistero di Duchenne, oggi, continuano a richiamarsi le ricerche sviluppate da un dipartimento dell'Istitute of Artificial Art di Amsterdam. Se non fosse che a fornire le illustrazioni della sua impresa non furono i modelli dell'antichità, né il primo piano di un performer, ma il volto sfigurato dagli aghi e dalle pinze di qualche disgraziato. E se non fosse che a considerarlo un «maestro» nell'uso clinico della fotografia e della stimolazione elettrica, di lì a poco, sarà proprio Jean-Martin Charcot, che alla Salpêtrière non trascurerà di attrezzare un laboratorio di elettroterapia e una squadra speciale di fotografi residenti.

giovedì 9 luglio 2009

Dei Grandi: Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers





... forse per distrarci o per passare il tempo, Fabrizio con la chitarra mi fece ascoltare una melodia, una specie di inno da corno inglese e io, che sono di una cultura immensa, cioè in realtà sono maniaco di storia, ho pensato subito di scrivere le parole ispirandomi a Carlo Martello re dei Franchi che torna dalla battaglia di Poitiers, un episodio dell’ottavo secolo d.C., tra i più importanti della storia europea visto che quella battaglia servì a fermare l’avanzata, fino ad allora inarrestabile, dell’Islam. Erano arrivati fino a Parigi, senza Carlo Martello sarebbe stata diversa la storia dell’Europa. Comunque mi piaceva quella vicenda e la volli raccontare, ovviamente parodiandola. In una settimana scrissi le parole di questa presa in giro del povero Carlo Martello.

- Che poi fu inserita nel primo album di De André. Che effetto ebbe quella canzone così particolare?

- La canzone passò abbastanza inosservata, Fabrizio ancora non aveva inciso La canzone di Marinella e non era quindi famoso, tantomeno io. Qualcuno però notò questa strana filastrocca che sbeffeggiava il potente Re dei Franchi: fu un pretore, mi pare di Catania, che ci querelò perché la considerava immorale soprattutto per quel verso: “E’ mai possibile, o porco di un cane, che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi p….”. E pensare che noi eravamo già stati censurati e avevamo dovuto trasformare il verso finale che in originale suonava: “frustando il cavallo come un mulo, quella gran faccia da c...” con: “frustando il cavallo come un ciuco, tra il glicine e il sambuco…”

Paolo Villaggio, intervista a RaiLibro