Scritti critici. Saggi, articoli e recensioni di filosofia, politica e storia del presente
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giovedì 30 aprile 2015
O Gorizia tu sei maledetta
La mattina del cinque d'agosto
si muovevan le truppe italiane
per Gorizia, le terre lontane
e dolente ognun si partì
sabato 28 febbraio 2015
Grecia: forzare i limiti del capitalismo per combattere l'austerity - di Étienne Balibar, Sandro Mezzadra
È dunque vero che alla fine, come titolano molti giornali in Italia e in
Europa, Atene ha ceduto all'Eurogruppo (la Repubblica), compiendo il
primo passo verso il ritorno all'austerity (The Guardian)? È cominciata
la «ritirata» di Syriza, come sostengono molti leader della stessa
sinistra interna del partito greco?
È presto per formulare un giudizio complessivo e fondato sugli accordi
definiti all'interno della riunione dell'Eurogruppo di venerdì [ndr: 20
febbraio 2015]: molti aspetti tecnici, ma di grande importanza politica,
saranno resi noti soltanto nei prossimi giorni. Vorremmo tuttavia
provare a suggerire un diverso metodo di analisi dello scontro che non
ha soltanto contrapposto il governo greco alle istituzioni europee, ma
ha anche mostrato più di una crepa all'interno di queste ultime. Sulla
base di quali criteri dobbiamo giudicare l'azione di Tsipras e
Varoufakis, misurandone l'efficacia? È questa la domanda che ci
interessa porre.
Vale la pena di ripetere che lo scontro aperto dalla vittoria di Syriza
alle elezioni greche si svolge in un momento di crisi acuta e drammatica
in Europa. Le guerre che marcano a fuoco i confini dell'Unione Europea
(a est, a sud, a sudest), le stragi di migranti nel Mediterraneo non
sono che l'altra faccia dei processi in atto di scomposizione dello
spazio europeo, che la crisi economica ha accelerato in questi anni e
che destre più o meno nuove, più o meno razziste e fasciste cavalcano in
molte parti del continente. In queste condizioni, le elezioni greche e
la crescita di Podemos in Spagna hanno aperto una straordinaria
occasione, quella di reinventare e riqualificare a livello europeo una
politica radicale della libertà e dell'uguaglianza.
Forzare i limiti del capitalismo
Dietro l'apertura di questa occasione ci sono, tanto in Grecia quanto in
Spagna, le formidabili lotte di massa contro l'austerity. Ma lo
sviluppo di queste lotte, nella loro diffusione «orizzontale», si è
trovato di fronte limiti altrettanto formidabili: la posizione di
dominio del capitale finanziario all'interno del capitalismo
contemporaneo e l'assetto dei poteri europei, modificato da quella che
abbiamo definito una vera e propria «rivoluzione dall'alto» nella
gestione della crisi.
Il punto è che, non appena Syriza è riuscita a innestare
sull'orizzontalità delle lotte un asse «verticale», portandone le
rivendicazioni e il linguaggio fin dentro i palazzi europei, si è
immediatamente trovata di fronte quegli stessi limiti. Si è scontrata
con l'assetto attuale dei poteri europei e con la violenza del capitale
finanziario. Sarebbe davvero ingenuo pensare che il governo greco, che
un singolo Paese europeo (anche di maggior peso demografico ed economico
della Grecia) possa spezzare questi limiti.
Se ce ne fosse stato ancora bisogno, quanto è accaduto in questi giorni
dimostra chiaramente che non è sulla base di una semplice rivendicazione
di sovranità nazionale che una nuova politica della libertà e
dell'uguaglianza può essere costruita. I «limiti» di cui si è detto,
tuttavia, ci appaiono oggi in una luce diversa rispetto a qualche mese
fa. Se le lotte ne avevano mostrato l'insostenibilità, la vittoria di
Syriza, la crescita di Podemos e la stessa azione del governo greco
cominciano ad alludere alla realistica possibilità di superarli. Era
evidente, e lo aveva chiarito tra gli altri lo stesso Alexis Tsipras,
che non sarebbe stata sufficiente una semplice affermazione elettorale
per fare questo. Si tratta di aprire un processo politico nuovo, per
costruire e affermare materialmente una nuova combinazione, una nuova
correlazione di forze in Europa.
Diceva Lenin che ci sono situazioni in cui bisogna cedere spazio per
guadagnare tempo. Se applichiamo questo principio, opportunamente
modificato, alla valutazione degli «accordi» di venerdì scorso possiamo
forse scommettere (con l'azzardo che è costitutivo di ogni politica
radicale) sul fatto che il governo greco abbia ceduto «qualcosa» per
guadagnare tempo e per guadagnare spazio. Ovvero, per distendere nel
tempo l'occasione che si è aperta in Europa nella prospettiva, resa
possibile anche dalle prossime scadenze elettorali in Europa (a partire
dalla Spagna, ma non solo), che altri «spazi» vengano investiti e
«conquistati» dal processo politico nuovo di cui si diceva.
Questo processo politico, per avere successo nei prossimi mesi, non
potrà che articolarsi su una molteplicità di livelli, combinando lotte
sociali e forze politiche, comportamenti e pratiche diffuse, azione di
governo e costruzione di nuovi contropoteri in cui si esprima l'azione
dei cittadini europei. In particolare, nel momento in cui riconosciamo
l'importanza decisiva di un'iniziativa sul terreno istituzionale quale
quella che Syriza ha cominciato a praticare e Podemos concretamente
prefigura, dobbiamo anche essere consapevoli dei suoi limiti.
In un lungo articolo (a suo modo straordinario), pubblicato nei giorni
scorsi dal Guardian («How I became an erratic Marxist»), Yanis
Varoufakis ha mostrato di avere una consapevolezza molto precisa di
questi limiti. Fondamentalmente, ha affermato, quel che un governo può
fare oggi è cercare di «salvare il capitalismo europeo da se stesso»,
dalle tendenze auto-distruttive che lo attraversano e minacciano di
aprire le porte al fascismo. Ciò che in questo modo è possibile è
conquistare spazi per una riproduzione del lavoro, della cooperazione
sociale meno segnata dalla violenza dell'austerity e della crisi - per
una vita meno «misera, sgradevole, brutale e breve».
Non è un governo, insomma, a potersi far carico della materiale apertura
di alternative oltre il capitalismo. Leggendo a modo nostro l'articolo
di Varoufakis, possiamo concludere che quell'oltre (oltre il salvataggio
del capitalismo europeo da se stesso, in primo luogo) indica il
«continente» potenzialmente sconfinato di una lotta sociale e politica
che non può che eccedere la stessa azione di governi come quello greco e
ogni perimetrazione istituzionale. È all'interno di quel continente che
va costruita la forza collettiva da cui dipende quello che sarà
realisticamente possibile conquistare nei prossimi mesi e nei prossimi
anni. E il terreno su cui questa forza deve essere organizzata ed
esercitata non può che essere l'Europa stessa, nella prospettiva di
contribuire a determinare una rottura costituente all'interno della sua
storia.
Il blocco di Francoforte
La mobilitazione convocata dalla coalizione Blockupy a Francoforte per
il 18 marzo, il giorno dell'inaugurazione della nuova sede della Bce,
acquista da questo punto di vista una particolare importanza. È
un'occasione per intervenire direttamente nello scontro in atto a
livello europeo (e dunque per sostenere l'azione del governo greco),
andando oltre una generica contestazione dei simboli del capitale
finanziario, della Bce e delle tecnostrutture «post-democratiche» di cui
ha parlato Jürgen Habermas.
Ma è anche un momento di verifica delle forze che si muovono in
quell'«oltre» senza consolidare il quale (è uno dei paradossi del nostro
tempo) la stessa azione di governi e partiti che si battono contro
l'austerity è destinata all'impotenza.
(23 febbraio 2015)
___________
da: globalist.it
venerdì 30 gennaio 2015
La vera natura di CasaPound
Saverio Ferrari - il manifesto - 21/01/2015
CasaPound Cremona, la sezione dell’organizzazione nell’ambito lombardo probabilmente più consistente, fin dalla sua nascita nel maggio 2013, seguendo una regola interna che a ogni sede corrisponda un’intestazione propria, si è scelta il nome di «Stoccafisso». Apparentemente un gioco. Nella città che fu del Ras Roberto Farinacci, gran organizzatore di squadracce, questo particolare è tutt’altro che innocuo. La storia racconta che sul finire del «biennio rosso», quando i fascisti della bassa val Padana si videro recapitare da alcune prefetture il divieto di detenere i manganelli, ricorsero all’uso di pezzi di baccalà, stecche dure lunghe più di un metro e mezzo da utilizzare come bastoni. Da qui la scelta del nome, indicativo della natura di CasaPound, che ispirandosi al primo movimento fascista, quello degli esordi, esalta ostentatamente l’epopea delle aggressioni ai dirigenti e ai militanti socialisti e comunisti come degli assalti alle sedi delle camere del lavoro e delle leghe contadine. L’attacco preordinato di domenica sera al centro sociale Dordoni di Cremona, non a caso, è stato condotto seguendo gli antichi insegnamenti, concentrando gruppi di picchiatori, anche provenienti da altre città (Parma e Brescia), per colpire in forte superiorità numerica, senza problemi.
Più volte CasaPound ha anche «mimato» in cortei per le vie di Roma le «spedizioni punitive» del 1920–1921 sfilando su camion scoperti con a bordo militanti agghindati con tanto di Fez. Le stesse denominazioni con cui ha marchiato i propri punti di ritrovo o i propri siti di riferimento, dalla libreria La Testa di Ferro (in ricordo del giornale fondato nel 1919 da Gabriele D’annunzio al tempo dell’impresa fiumana) al forum internet Vivamafarka (dal romanzo-scandalo di Marinetti del 1909, Mafarka il futurista, sottoposto in quegli anni a processo per oltraggio al pudore, in cui si decantavano le gesta immaginarie di un re nero che amava la guerra e odiava le donne), dicono di questa identificazione.
Non siamo di fronte a semplici suggestioni culturali. Dalle sue fila, analizzando i fatti accaduti, solo negli ultimi tre anni, provengono Gianluca Casseri che a Firenze nel dicembre 2011 ha assassinato a colpi di pistola due ambulanti senegalesi, ferendone gravemente un terzo, e Giovanni Ceniti, ex responsabile di Casa Pound Novara, uno dei killer di Silvio Fanella ucciso a Roma nell’estate scorsa. Un’organizzazione che la Cassazione, il 27 settembre 2013, nell’ambito di un procedimento a Napoli contro il suoi dirigenti locali ha giudicato «ideologicamente orientata alla sovversione del fondamento democratico del sistema».
Prima dell’aggressione di Cremona, solo qualche settimana fa, a fine dicembre, se ne era verificata un’altra, con le stesse modalità, a Magliano Romano, dove una ventina di squadristi di Casa Pound con i passamontagna, armati di spranghe e bastoni, avevano aggredito i tifosi dell’Ardita, un club di supporter della squadra romana di calcio del quartiere San Paolo. Sette i feriti, con fratture, escoriazioni ed ecchimosi.
L’incredibile impunità di cui gode Casa Pound è sotto gli occhi di tutti. È tempo di porre il problema.
lunedì 10 novembre 2014
Torino, lettera aperta a Gramellini - U Velto
Egregio dr. Gramellini, mi lasci dire
che il suo commento di sabato 25 ottobre alla notizia dello
“sdoppiamento” della linea di autobus n. 69 nel Comune di Borgaro
mi ha proprio sconcertato. E per più di un motivo.
In primo luogo perché lei afferma che
il provvedimento preso dal sindaco .
Proprio così ha detto: . Ma come ricorda? Non lo
ricorda per nulla:è proprio apartheid, bello e buono apartheid! Cioè
esattamente l’opposto delle integrazione che lei afferma essere
l’unica soluzione possibile del problema. Peccato però che essa
richieda tempo,lei lamenta. E quindi, nelle more, poiché non ci si
può limitare a e ,va bene istituire una “navetta”, che
faccia la spola, senza fermate intermedie,tra il campo nomadi e il
capolineae farci viaggiare i Rom e solo i Rom,riservando la linea 69
solo ai non Rom, cioè ai gagé, abolendo la fermata del 69.
Ma si rende conto che così l’apartheid
è completa? I Rom, che già sono segregati nel ,
vengono segregati anche sui mezzi pubblici di trasporto! Perché non
è vero, dr. Gramellini, che .
Invece sono proprio tutti eguali: sono brutti, malsani, degradati,
dei veri e propri luoghi di segregazione etnica dove vengono
rinchiuse a forza le comunità di una minoranza linguistica, a cui,
dopo averla ricoperta con cumuli di prevenzioni e pregiudizi, non
vengono riconosciuti nemmeno i diritti elementari, quali il rispetto
della dignità personale, il diritto ad abitare civilmente, a
procurarsi di che vivere con un lavoro normale. Non vivono di
espedienti per scelta, ma per necessità. Nessuno infatti dà lavoro
a un maschio Rom; e ad una donna Rom non si affida nemmeno la pulizia
delle scale di un piccolo condominio.
Non rispettano le leggi? Assai spesso è
vero, come per ogni sottoproletariato: è arduo infatti rispettarle
se non si può vivere che di espedienti. Ma quante volte si
attribuiscono ai Rom colpe e comportamenti che non sono loro e quante
volte si ingigantiscono fatti senza dubbio riprovevoli e si
trasformano singoli episodi in prassi generalizzate. A riprova, lei
stesso cita l’episodio di un padre che a Borgaro smarrisce un
bambino ed accusa i Rom di averlo rapito; io gliene potrei citare
tanti altri a dimostrazione di quanto frequente e grave sia la
propalazione di notizie false a carico dei Rom; mi limito a due: il
pogrom della Continassa e l’uccisione a Roma nel 2008 della signora
Reggiani, che, attribuita ad un Rom, dette la stura a una violenta
campagna mediatica antizigana; l’uccisore, però,un tal Mailat, Rom
non era.
E veniamo alla vicenda che ha motivato
lo “sdoppiamento” della linea 69. In quel che lei ha raccontato
senza dubbio c’è del vero, comportamenti insopportabili ed
inaccettabili da parte dei Rom certamente ci sono stati. Ma da come
lei l’ha riferita si potrebbe pensare che tutti i giorni i Rom,
saliti sull’autobus 69, sputassero in faccia ai vecchi e
bruciassero e tagliassero i capelli alle ragazze. Le sembra
verosimile? Lo ha verificato? E per quanto tempo sarebbe durata
questa storia?
Per l’esperienza che ho di un mondo
che frequento abbastanza, penso che la contrapposizione tra i due
fronti si sia andata costruendo progressivamente e che la tensione
tra i due, innescata chissà da quale episodio, sia andata via via
crescendo insieme ai gesti di intolleranza e di offesa, senza che
nessuno sia intervenuto per gestire una situazione sempre più
pesante. Fin quando è esplosa in modo eclatante. Quanto meno ci sono
state inerzia ed incuria da parte di chi ha tra i suoi compiti
istituzionali quello di darsi carico della coesione sociale,
specialmente quando e dove ci sono sacche di disagio grave.
Su di un punto però sono d’accordo
con lei: per . Verissimo. Infatti,occorrerebbe
anzitutto che fossero le istituzioni per prime a rientrare nel
rispetto delle norme e della legalità, eliminando i campi nomadi (la
cui ill
egittimità è stata solennemente sancita da sentenze del
Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione) ma non semplicemente
abbattendoli e lasciando all’addiaccio chi in qualche modo vi aveva
trovato rifugio. E poi occorrerebbe un’opera intelligente e
sistematica di avvicinamento tra gagé e Rom, perché si conoscano e
si riconoscano reciprocamente, superino diffidenze e sospetti,
scoprano l’infondatezza di pregiudizi e prevenzioni o per lo meno
li ridimensionino.
E’ questo che avrebbero dovuto fare,
anche prima, il sindaco e l’ assessore di Borgaro e che lei, in
mancanza, avrebbe dovuto consigliare loro, e non solo a loro,
commentando la vicenda. Questo ci si aspetta dai media, in
particolare da una trasmissione come Che tempo che fa e da chi, come
lei, vi svolge un ruolo di maitre à penser.
di Nino Lisi, Cittadinanza e Minoranze
da: U velto
di Nino Lisi, Cittadinanza e Minoranze
da: U velto
giovedì 14 novembre 2013
Metamorfosi di Marx (1994)
Étienne Balibar,
La philosophie de Marx
La philosophie de Marx
La Découverte, Paris 1993
Con questo “piccolo” libro, Étienne Balibar si propone di «comprendere e far comprendere perché si leggerà ancora Marx nel XXI secolo: non soltanto come un momento del passato, ma come un autore ancora attuale, per le questioni che pone alla filosofia e per i concetti che le propone» 1, e di fornire al contempo uno strumento per orientarsi nei testi di Marx e nei dibattiti che suscitano. La formulazione del primo (principale) obiettivo non è semplicemente un pronostico, ma un performativo, essendo l’eventuale sparizione di una teoria non «un destino, ma l’effetto di un rapporto di forze»2.
«Molto nuova e così antica – scrive Derrida – la congiura sembra al tempo stesso potente e, come sempre, inquieta, fragile, angosciata. Il nemico da scongiurare (conjurer), per i congiurati (conjurés) si chiama certo il marxismo. Ma si ha ormai paura di non riconoscerlo più. Si trema di fronte all’ipotesi che grazie a una di queste metamorfosi di cui Marx ha tanto parlato (“metamorfosi” fu per tutta la sua vita una delle sue parole preferite) un nuovo “marxismo” non abbia più la figura sotto la quale sotto la quale ci si era abituati a identificarlo e a metterlo in rotta. Non si ha forse più paura dei marxisti, ma si ha paura di certi non-marxisti che non hanno rinunciato all’eredità di Marx, paura dei cripto-marxisti, degli pesudo- o dei para- marxisti che sarebbero pronti a dare il cambio sotto dei tratti o delle virgolette che gli esperti angosciati dell’anticomunismo non sono allenati a smascherare»3.
Credo – è il compito che vorrei assegnate a queste note – che sia possibile rilevare l’apertura di un nuovo spazio per la filosofia: un rientro esplicito di Marx (in nessun caso un semplice “ritorno a”) che, fuori e contro la sempre più insicura “euforia trionfante” della democrazia liberale, permetterà di pensare altrimenti: il tempo, i conflitti, le possibilità di resistenza e di trasformazione. La scrittura dovrebbe, in questa congiuntura, avvicinarsi al movimento di un sismografo: registrare, con un tratto minimo, uno spostamento più grande. E segnare alcune rilevazioni provvisorie: i sintomi, ancora dispersi, delle modificazioni di territori non uniformi, ma interessati da un generale processo di cambiamento.
Per Balibar, la chiusura del ciclo storico in cui il marxismo ha funzionato come dottrina d’organizzazione apre inedite possibilità di leggere Marx: «Liberati da un’impostura, guadagniamo un universo teorico» 4. La negazione dell’esistenza di una “dottrina” filosofica marxista non dissolve le determinazioni né sfocia su un pensiero “debole”; consente al contrario di delimitare i concetti, di sottolinearne le tensioni e gli spostamenti interni, di costruire un diagramma delle biforcazioni e delle “rettifiche”, dei possibili luoghi di dissidio e linee di fuga.: una prospettiva ai limiti del marxismo che cerca di cogliere, insieme, ciò che nel pensare – non solo “con”, ma anche eventualmente “contro” Marx – è ancora marxiano 5.
Leggendo Marx nella congiuntura, notiamo che Marx stesso «ha scritto nella congiuntura»; i suoi concetti solo ad un tempo rigorosi e «incompatibili con la stabilità delle conclusioni». La possibilità di un approccio di questo tipo è evidentemente data dal fatto che nel marxismo, e in particolare nel marxismo degli anni Sessanta e Settanta, di sono prodotti avvenimenti, aperture, spostamenti che, retroagendo sui testi di Marx, hanno irreversibilmente modificato il modo in cui possiamo leggerli. C’è un rapporto forte tra questo Marx «filosofo dell’eterno ricominciamento» 6 e «una caratteristica significativa dei concetti “althusseriani”: questi concetti sono sempre già “autocritici”. Contengono sempre già un elemento di negazione che li mette in pericolo, che fa vacillare il loro senso nel momento stesso in cui pretendono al più grande rigore. Contengono dunque in anticipo, un elemento che si oppone al fatto che il loro uso, il loro sviluppo, sfoci nell’univocità di una teoria “infine trovata”. Sono così sin dalla loro origine, un modo discorsivo di porsi essi stessi in disequilibrio, di assicurarsi contro la sicurezza di una “tesi” nel momento in cui la si sostiene» 7. In modo più specifico: la precedente problematizzazione, da parte di Balibar, del concetto di rottura epistemologica in Althusser, tesa a sottolinearne il carattere di rottura continuata, al tempo stesso irreversibile e incompiuta 8, presiede direttamente a questo attraversamento della «totalità aperta» 9 degli scritti di Marx, come tracciato costellato da ripetute oscillazioni, punti di crisi, focolai di instabilità. Questo andamento sismico o scismatico della teoria non è semplicemente uno “svolgimento” interno ad essa, ma l’effetto della sua costante messa in tensione con altre pratiche, della sua “programmatica” implicazione in congiunture storiche.
Quanto alla congiuntura attuale, – in cui il libro si iscrive – il marxismo «è oggi una filosofia improbabile. Ciò attiene al fatto che la filosofia di Marx è nel corso del lungo e difficile processo di separazione dal “marxismo storico”, che deve attraversare tutti gli ostacoli accumulati da un secolo di utilizzazione ideologica. Ora, non si tratta per essa di ritornare al suo punto di partenza, ma al contrario di imparare dalla sua propria storia e di trasformarsi nel corso della traversata. Chi vuole filosofare oggi in Marx non viene soltanto dopo di lui, ma dopo il marxismo: non può accontentarsi di registrare la cesura provocata da Marx, ma deve anche riflettere sull’ambivalenza degli effetti che essa ha prodotto – sui suoi sostenitori come sui suoi avversari»10.
Ma, se l’impossibilità di «funzionare come impresa di legittimazione» è indicata come «una condizione quanto meno negativa» della vitalità del marxismo, sarà la condizione positiva a decidere della rilevanza presente e a venire di Marx. Essa «dipende dalla parte che i concetti di Marx giocheranno nella critica di altre impresa di legittimazione»11.
martedì 29 ottobre 2013
Valerio Romitelli: Che salvare dell’università?
A margine del libro di Valeria Pinto Valutare e punire, Ed. Cronopio, 2012
Oggi
niente sembra più ovvio del credere che tutto è informazione, perché la
vita stessa sarebbe al fondo comunicazione di informazioni. É così che
si giustifica l’altra credenza attualmente imperante che sia finalmente
giunta l’epoca di una “società della conoscenza”. Anche grazie alla
diffusione di internet si suppone infatti che tutto il sapere
globalmente esistente sia disponibile come molteplicità di informazioni
fruibili e scambiabili in “tempo reale”, offrendo opportunità senza
precedenti di cambiamento e sviluppo in ogni tipo di relazioni
intersoggettive.
I
presupposti biologici di questa credenza sono improntati a una visione
più neo-darwinista che classicamente darwinista. L’”egoismo” supposto
essere motore dell’evoluzione, infatti, non è tanto quello
dell’individuo vivente, quanto quello del “gene” (secondo la formula che
titola il noto libro di Dawkins). Ciò significa ritenere che i destini
del genere umano non dipendono da personaggi eccellenti, ma da comunità
di individui dotati di patrimoni genetici vincenti. Ma ciò significa
anche ammettere che ogni individuo con tali qualità possa trovarsi in
condizioni ambientali avverse, che gli impediscono di valorizzarsi come
meriterebbe, con un conseguente danno per tutto il genere umano.
Di
qui viene la necessità di una bio-politica volta, non solo a premiare i
meritevoli, ma anche ad aiutare quelli che non riescono a farsi valere
come tali, in quanto svantaggiati da un contesto avverso. In tal senso,
il mezzo più indicato pare essere il mercato in quanto regime di scambio
per eccellenza e quindi anche di comunicazione di informazioni tra
contesti diversi. Tra gli ultimi rimedi per estendere al massimo le
possibilità di inclusione dei meritevoli sfortunati resta poi la
filantropia di cui la maggioranza degli individui e delle comunità
vincenti si dimostrano particolarmente generosi. Estensione ovunque
possibile del mercato, della comunicazione e della filantropia sono in
effetti tra le cifre più distintive di tutta quella parte maggioritaria
della “Comunità internazionale” che segue il modello della “più grande
democrazia del mondo”: ove “grande” è sinonimo di massima qualità,
giustificata oggi soprattutto dal fatto di essere anche patria della
società della conoscenza ...
mercoledì 27 marzo 2013
Karl Marx & Klassenkämpfen : Sometime they come back
TIME: Marx’s Revenge: How Class Struggle Is Shaping the World
La vendetta di Marx. Il Time lo rivaluta:
“È stato un profeta, le sue previsioni si sono avverate”
Un lungo articolo del TIME rivaluta Karl Marx. Teorizzò i rischi del capitalismo: impoverimento e conflitti sociali
Il settimanale statunitense dedica una lunga analisi alla rivalutazione
delle teorie di Marx, da sempre osteggiate dagli Usa. “Se i politici non
praticheranno nuovi metodi per garantire eque opportunità economiche a
tutti, i lavoratori di tutto il mondo non potranno che unirsi. E Marx
potrebbe avere la sua vendetta”…
(leggi tutto su Reset Italia)
(leggi tutto su Reset Italia)
giovedì 14 marzo 2013
Cancellarsi da Facebook : c'est fait!
Dieci buoni motivi per cancellarsi da Facebook
Paradossalmente, con l’introduzione dei nuovi pulsanti qui a fianco destinati allo sharing dei post sui social network, ci siamo resi conto che l’argomento più condiviso sul portale di Mark Zuckerberg riguarda proprio il metodo per cancellarsi da Facebook. Ma perché mai un utente dovrebbe voler eliminare il proprio profilo da uno dei siti più cliccati di tutto il Web?
- I Termini del Servizio di Facebook sono convenienti solo per chi gestisce il sito e non per gli utenti. Non solo affermano che ogni dato caricato appartiene al social network, ma minacciano anche gli utenti di riservarsi la possibilità di eliminare l’account qualora non venga aggiornato regolarmente. Gli iscritti a Facebook sono dei “dipendenti non pagati”;
- Mark Zuckerberg, il numero uno di Facebook, ha dei trascorsi poco rassicuranti, soprattutto dal punto di vista etico. Secondo BusinessInsider.com, in passato ha utilizzato indirizzi email e password di alcuni utenti per screditare la concorrenza e ha versato 65 milioni di dollari a un suo ex compagno di scuola che reclamava la paternità del progetto;
- Facebook ha dichiarato apertamente guerra alla tutela della privacy, ritenendola controproducente in termini economici e sostenendo che “le abitudini degli utenti stano subendo una metamorfosi, portando inevitabilmente al cambiamento delle norme che regolano la condivisione online”;
- Facebook è doppiogiochista. Ogni qualvolta rende disponibile una nuova API per gli sviluppatori, li informa dettagliatamente su come sfruttare il più possibile i dati personali degli utenti all’interno delle applicazioni, ma non avvisa quest’ultimi, o lo fa in modo poco chiaro, sulle pratiche messe in atto;
- quando un programmatore rese note le reali intenzioni dietro al rilascio dell’API Open Graph, ovvero rendere pubblico tutto quanto condiviso dagli utenti, Facebook gli intimò il silenzio ricorrendo a vie legali;
- i dati personali non sono in possesso esclusivamente di Facebook, ma anche di tutti coloro che si impegnano nello sviluppo di applicazioni third party, con conseguenti e facilmente ipotizzabili rischi per la privacy;
- non si tratta di un social network sicuro nemmeno dal punto di vista tecnico, spesso soggetto a phishing o spam. Celebre, in passato, l’errore che portò a rendere pubblici tutti i profili degli iscritti;
mercoledì 27 febbraio 2013
BO: Le donne dell'ANPI contro l'intitolazione a Rachele Mussolini
Coordinamento delle donne
''Donna
Rachele come riconosciuto da tutti è stata una grandissima figura di
donna italiana, è sempre rimasta fuori dalla politica, ha sempre
cresciuto e difeso i figli con una grande umiltà e onestà in momenti
difficilissimi dedicando tutta la sua vita a loro''.
Queste sono le motivazioni in base alle quali il consigliere di quartiere Michele Laganà ritiene che la nostra città dovrebbe intitolare una sala pubblica alla moglie di Mussolini.
Noi donne dell’ANPI non identifichiamo affatto nel rimaner fuori dalla politica un titolo di merito. Anzi, notiamo come questo non sia propriamente il modello di cittadina e di cittadino che la nostra Costituzione promuove quando, nell’articolo 4, dichiara che
“Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
venerdì 30 novembre 2012
Citoyen Balibar - Entretien, septembre 2012
Qui vient après le Sujet ? Le Citoyen, répond Étienne Balibar, saisi
non plus dans une souveraineté solitaire, mais dans une communauté en
devenir. Cependant l’égalité des droits que proclame la modernité
n’exclut pas la ségrégation et l’exclusion. Dans ce grand entretien, le
philosophe s’explique sur ce paradoxe qui nourrit aussi sa méthode
d’analyse.
L’ouvrage d’Étienne Balibar, Citoyen-sujet et autres essais d’anthropologie philosophique
(PUF, 2012), tient son titre d’une réponse à une question que Jean-Luc
Nancy, en 1989, avait lancée à tout un ensemble de philosophes français
d’orientations diverses : « Qui vient après le sujet ? » La manière de
comprendre cette question en guide déjà la réponse : elle peut être
saisie comme une question post-structuraliste, qui se demande ce qui se
substitue au sujet, ou ce qui le relève, après le moment philosophique
qui en fit la déconstruction. Étienne Balibar répond : « après le sujet
vient le citoyen » – et s’en explique dans une série d’essais qui
montrent comment le sujet est contesté de l’intérieur par une altérité
qui certes le destitue de sa souveraineté solitaire, mais avec laquelle
en même temps il compose une communauté toujours inachevée. Toute la
réponse de Balibar repose sur une dialectique entre d’un côté le sujet
compris dans sa double dimension, anthropologique (sujet conscient,
sujet affecté) et politique (sujet soumis au pouvoir, sujet de droits)
et de l’autre le citoyen, ou mieux : le concitoyen, de telle sorte qu’on
ne saurait concevoir un devenir citoyen du sujet (le sujet comme être
en commun), sans penser du même coup un devenir sujet du citoyen (le
citoyen émancipé dans un processus de subjectivation).
Après le sujet vient donc le citoyen, ou plutôt : le citoyen-sujet,
dans une communauté politique où l’universel (l’égalité des droits) est à
la fois ce qui sauve et ce qui exclut : les différences
anthropologiques (différences de classe, de race, de sexe…) y sont « à
la fois disqualifiées en tant que justifications de
discriminations au niveau des droits fondamentaux des “êtres humains”
(dont le premier, ou le dernier, qui reprend tous les autres en son
sein, est précisément l’accès à la citoyenneté), et disqualifiantes en
tant que moyen privilégié de légitimer les ségrégations ou les
exclusions intérieures qui privent de citoyenneté (ou de citoyenneté
pleine et entière, “active”) une partie des êtres humains formellement
“égaux en droits”. En d’autres termes, elles réalisent ce paradoxe
vivant d’une construction inégalitaire de la citoyenneté égalitaire »
(p. 27).
Nous avons demandé à Étienne Balibar de revenir sur ce paradoxe, en
commençant par une question de méthode : comment lit-il les philosophes
(Descartes, Locke, Rousseau, mais aussi Marx, Hegel, Freud ou Kelsen)
qui nourrissent ses essais ? Quelle est sa stratégie d’écriture ? Cette
stratégie est tout à la fois bien déroutante et très stimulante,
puisqu’elle n’apparaît pas tant comme une analyse des doctrines
consacrées par l’histoire des idées, ni même de leurs œuvres – que de
textes précis, particuliers, en lequel il s’agit de rechercher et faire
travailler « un point d’hérésie »... P. S.
1/ Vous reprenez à Foucault la question du point d’hérésie, qui vient contester ou renouveler l’idée d’épistémè. Qu’est-ce que ce point d’hérésie ? Comment se manifeste-t-il par exemple chez Descartes ?
2/ Du point d’hérésie à l’anthropologie
3/ Le paradoxe de l’universalisme bourgeois
Balibar5 di laviedesidees
Propos recueillis à Paris par Nicolas Duvoux et Pascal Sévérac.
Prise de vue et montage : Ariel Suhamy.
par Nicolas Duvoux
&
Pascal Sévérac [28-09-2012]
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