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venerdì 14 gennaio 2011

Solidarietà con il popolo tunisino e algerino Contro il neo-colonialismo e la dittatura. Presidio: BO sabato 15 gennaio piazza Nettuno



In questi giorni il popolo tunisino e
algerino si stanno ribellando contro i propri regimi. In Tunisia, come in Algeria, ci si ribella contro l'aumento dei prezzi degli alimentari, la mancanza di case e la disoccupazione; una povertà che è il frutto dell'espropriazione e dello sfruttamento dell'imperialismo e delle borghesie asservite di quei paesi. Non a caso UE ed Usa sostengono questi regimi spacciandoli per "stati democratici".

Questo è evidenziato - oltre che dalla reazione stragista del regime - dalla preoccupazione con cui seguono lo sviluppo degli avvenimenti le potenze occidentali; in primo luogo l’Italia di cui Ben Alì è stato storicamente uno strumento e partner economico, a partire dalla sua presa del potere nel 1987 con un colpo di stato, organizzato in diretto collegamento con i servizi segreti italiani e l’allora Primo ministro Craxi morto latitante in Tunisia per sfuggire alle condanne emesse contro di lui dalla magistratura italiana.

Lo scontro, in Tunisia, ha ormai raggiunto drammatici livelli: circa 70 morti tra i manifestanti, arresti selezionati di comunisti e sindacalisti. Il criminale regime fantoccio del sanguinario Ben Alì sta mostrando il suo vero volto..

Dopo anni di emigrazione da quei paesi l’Europa chiude le porte della speranza per migliaia di giovani negandogli un futuro diverso. Affamati dai propri governi, schiavi nei paesi di immigrazione, il popolo ha deciso che è giunta l’ora di cambiare.

La lotta dei giovani, dei disoccupati, dei lavoratori maghrebini, le loro rivendicazioni sono le nostre, in Maghreb cosi come in Italia.

Presidio ore 15.00
Sabato 15 gennaio
Piazza Nettuno Bologna




Aderiscono:

Bologna Prende Casa
Coordinamento Migranti di Castel Maggiore
Giovani Comunisti
il popolo viola
Partito della Rifondazione Comunista
Rete dei Comunisti
Sinistra Critica
USB-Immigrati
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giovedì 13 gennaio 2011

A : Africana [troppo]

E n c i c l o p e d i a
d e l l a
n e o l i n g u a
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A
Africana [troppo]


Il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, lancia l’allarme: Milano è troppo “africana”, in tre giorni ci sono tre cortei di africani, come fossimo il Maghreb.

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fonte: blitz quotidiano

mercoledì 12 gennaio 2011

Appello: a sostegno delle lotte dei giovani nel Maghreb e contro il liberismo...


A sostegno delle lotte dei giovani nel Maghreb

e contro il liberismo che nega il futuro



un appello
da Alberto Burgio e Salvatore Palidda



Le rivolte esplose in quasi tutte le città della Tunisia e dell’Algeria
e prima anche del Marocco nascono dalle stesse motivazioni che hanno provocato le lotte dei giovani a Londra come in Italia, in Francia e altrove.

Le conseguenze delle scelte liberiste sono dappertutto le stesse: accentuazione dell’asimmetria di potere e della distanza fra ricchezza e povertà, corruzione e protervia di poteri reazionari se non di tipo apertamente mafioso, erosione dei diritti fondamentali, negazione del futuro della società e quindi in primo luogo dei giovani. Puntando all’arricchimento immediato di pochi – da Cameron a Sarkozy, da Berlusconi a Ben Ali, da Bouteflika alla cerchia di potere del re del Marocco – il liberismo favorisce soltanto gli affari privati dei più forti e distrugge i servizi pubblici e quindi ogni prospettiva vivibile. I regimi tunisino e algerino stanno minacciando il bagno di sangue approfittando dell’appoggio dei governi francese e italiano e di altri europei. In Algeria e in Tunisia la polizia e l’esercito sparano persino sulle persone andate ai funerali degli assassinati. La gravità della situazione è rivelata dalla stessa Ue costretta a chiedere il cessate il fuoco dopo le decine di morti e le varie centinaia di feriti. Il rischio di un bagno di sangue è alto.

Per parte nostra ci impegniamo a sostenere queste lotte come quelle per la difesa dei diritti fondamentali dei lavoratori con ogni sorta di iniziative nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università e nei quartieri, e organizzando anche un effettivo sostegno ai militanti maghrebini che rischiano la feroce persecuzione anche con metodi mafiosi. Che in tutte le università e le fabbriche europee ci si mobiliti a fianco delle rivolte nel Maghreb


Aderisci all'appello inviando una e-mail a:
rivoltenelmaghreb@gmail.com





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venerdì 26 novembre 2010

Zapruder a Bologna: presentazione del numero "Brava gente" a XM24

Zapruder, n. 23

Presentazione a Bologna - XM24

venerdì 26 novembre ore 21.00


Intervengono:

Sabrina Marchetti
Vincenza Perilli

Elena Petricola
Eleonora Pizzinat

Andrea Tappi

venerdì 22 ottobre 2010

Zapruder 23: sul colonialismo italiano

Brava gente.
Memoria e rappresentazioni del colonialismo italiano


è uscito il numero 23 della rivista
Zapruder


a cura di Elena Petricola e Andrea Tappi

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martedì 20 luglio 2010

Humor nero: rimasticature fasciste e coloniali nelle notti bolognesi



«Pancetta nera» e «CocoCamerata».

Le notti di Carella a P.ta San Vitale

[da Staffetta]





Mentre via San Vitale è chiusa per i lavori del Civis, apre alla Porta il «ristorante» di Daniele Carella: cene «antidegrado» sul marciapiede per sdoganare la cultura di estrema destra con titoli ammiccanti quali «CocoCamerata» o «Pancetta nera». Quest’ultimo titolo sembra richiamarsi al fumetto d’epoca fascista Le avventure di Pancetta Nera, un ragazzino africano al seguito dell’esercito italico in Etiopia.

Svanito il sogno romano dell’Impero, perdute le baionette, si passa alle alacri forchette antidegrado. Il manipolo d’arditi elegge a desco il suolo stesso dell’amata Patria vilipesa. Armati sol di posate e bavagli littori, i coraggiosi affronteranno a morsi crescentine, coppa e salamino. Molti rutti, molto onore! Un mascarpone? Guai però a chiamarlo dessert. Solo felsinee parole salutino il ritorno dei biassanot. Caffè? Me ne frego!

«Ci è piaciuta l’idea di stare sul marciapiede a mangiare riappropriandoci della città e abbiamo deciso di continuare», spiega Mirko Cinti, ufficiale di Polizia giudiziaria di Castel Maggiore. «Siamo tutti persone di destra e non ci manca l’ironia – sottolinea Carella – ma il nostro intento è soltanto quello di occupare il territorio in modo positivo, con iniziative spartane, perché se ci siamo noi non vengono delinquenti, vandali e incivili».

Nella novella Sparta non manca l’ironia. Infatti l’ex consigliere comunale berlusconiano Carella dichiara serafico: «Un’iniziativa apartitica, nonostante sia partita da persone attive in politica». Speriamo solo che questa brava gente non voglia rinnovare a Bologna l’epica conquista di Addis Abeba.

lunedì 31 maggio 2010

Psichiatria / fascismo - razzismo: due dibattiti al Festival culture antifa



Due incontri per la critica della psichiatria

Festival sociale delle culture antifasciste 2010

Bologna, lunedì 31 maggio


h. 11-13

Psichiatria e fascismo



Il Fascismo si rapportò in modo inequivocabilmente autoritario con tutto il mondo della cultura italiano. Cercheremo di ricostruire quale fu l'impatto che ebbe sugli gli ambienti psichiatrici, nella ridefinizione delle competenze del sapere medico in relazione al potere poliziesco e giudiziario, ma anche al conflitto tra la corrente fisiologista di lombrosiana memoria e quella più interessata alle categorie psicologiche e psicanalitiche, laddove il fascismo stesso tentò di farne tesoro per pianificare anche un apparato comunicativo e "pedagogico" imponente. Obiettivo è quello di riuscire a ricomporre l'insieme attraverso i "frammenti della memoria": cercare di affrontare la questione declinandola nei diversi campi in cui ha avuto attuazione. La dimensione femminile, con la ridefinizione marcata della figura della donna e del suo ruolo in seno alla società fascista, maschile ed eterosessista, e la marginalizzazione di tutte le individualità e ed esperienze che non vi rispondevano; la repressione e manicomializzazione del disordine e di ogni sensibilità non allineata (e non allineabile); l'esperienza ancora forte del primo conflitto mondiale, con il suo portato di nuove definizioni di nevrosi e sindromi sviluppate dai combattenti, a cui una medicina "mobilitata" troppo spesso non seppe dare che diagnosi più simili a condanne, e sulle quali si costruirà anche l'idea combattentistica del sacrificio e dell'eroismo; la questione razziale e l'incontro con l'altro/a, soprattutto nell'esperienza coloniale, e il ruolo che di nuovo la "normalizzazione" e la standardizzazione delle categorie mentali cui sembrava chiamata la scienza psichiatrica assunse ... [continua qui]


Dibattito con:

Paolo Peloso, medico psichiatra, GenovaPaolo Giovannini, storico, Università di Camerino Luigi Benevelli, medico psichiatra, Mantova - Università di Brescia

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h: 17-18,30

Psichiatria e razzismo

Dibattito intorno alle vittime della repressione psichiatrica come controllo sociale e discriminazione con la presentazione del caso Francesco Mastrogiovanni
(partecipazione familiari di Francesco in attesa di conferma)

Dibattito con:
Giorgio Antonucci, che nel 1969 ha lavorato nell'ospedale psichiatrico di Gorizia con Franco Basaglia e dal 1973 al 1996 lavora a Imola per smantellare gli ospedali psichiatrici Osservanza e Luigi Lolli
Collettivo 'Irren Offensive', cioè Follia Militante, da Berlino
Osservatorio antiproibizionista Pisa

Collettivo Antipsichiatrico Artaud
Pisa

Centro di relazioni umane Bologna

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mercoledì 12 maggio 2010

Riccardo Bonavita: letture critiche del razzismo italiano


Letteratura e razzismo
Riccardo Bonavita


Studente della “Pantera”, intellettuale comunista, partecipe delle mobilitazioni antirazziste prima e dopo Genova, Riccardo Bonavita (1968-2005) è stato anzitutto uno studioso di letteratura italiana, ma ha inteso coniugare la sua formazione con un’indagine acuta e originale della storia del razzismo politico italiano, partendo dalla tesi che la cultura razzista in Italia non sia una breve parentesi circoscritta alle leggi razziali fasciste del 1938, ma un accumulo di lunga durata che si struttura già nel primo Ottocento controrivoluzionario proprio attraverso la letteratura e la manipolazione dell’immaginario collettivo.

Oggi escono in volume, con il titolo “Spettri dell’altro. Letteratura e razzismo nell’Italia contemporanea”  (Bologna, il Mulino, 2010), alcuni saggi scritti tra il 1995 e il 2003 che avrebbero dovuto costituire la base di un lavoro più ampio, “I nemici immaginari”, di cui restano appunti, schede preparatorie, schemi di capitoli: il progetto era quello di uno studio dell’immaginario razzista italiano che avrebbe dovuto giungere fino al presente, allo studio delle pubblicità commerciali, dei depliant turistici, degli stereotipi dei media, ossia di quegli elementi comunicativi a larga diffusione che manipolano e orientano il senso comune di una società.

Si tratta dunque di un libro frammentario, ma capace di indagare i meccanismi costanti delle procedure razziste e della costruzione di un’identità autoritaria, suggerendo implicitamente le possibili strategie di contrasto.

Apre il volume un’analisi del riuso strumentale del pensiero di Leopardi all’interno di un periodico fascista come “La Difesa della Razza” che promosse e fomentò le violenze razziali del regime: ed è un’analisi di come la cultura conservatrice inventa la propria tradizione allineando i grandi del passato in una galleria di nobili antenati, un “mucchio indifferenziato e sacrale di roba di valore, che è il passato della patria” (F. Jesi, “Cultura di destra”), banalizzando la storia come natura e occultando i conflitti sociali che la percorrono.

Si tratta di un’operazione ripresa alla fine degli anni Novanta proprio dalla cultura berlusconiana e ora riproposta anche dai programmi scolastici del ministro Gelmini allorché esaltano gli scrittori italiani come momenti dell’“identità nazionale” e persino la tragedia greca come fondamento dell’“identità occidentale” (la rivolta di Antigone contro il potere potrà allora serenamente giustificare i crimini di guerra in Iraq, Afghanistan, ecc.). Del resto, fin dalla “discesa in campo” del 1994, Berlusconi ha insistito sul fatto che “la sinistra divide” e “la destra unisce”: un bel fascio “indifferenziato e sacrale”...

Seguono quattro saggi che prendono in esame “il razzismo nella narrativa dell’Italia fascista” e ne indagano anche le origini otto-novecentesche, nella convinzione che il razzismo sia un lento accumulo di immagini, luoghi comuni, schemi mentali, che fanno apparire “naturali” le classificazioni discriminatorie su cui si fonda l’esclusione e la violenza razzista.

Lo stereotipo dell’inferiore (l’africano) e quello dell’estraneo a ogni patria (l’ebreo) non sono dunque prodotti della legislazione coloniale fascista e delle leggi razziali del ’38, ma si producono a partire da “bacini di credenza” di lunga durata, da un “serbatoio di dispositivi retorici”, da un “giacimento di stereotipi, narrazioni, percezioni, assiologie, teorie scientifiche o pseudoscientifiche passibili di essere attualizzate, riprese e rifunzionalizzate”. Ciò implica due conseguenze che negli anni Novanta non erano affatto ovvie: 1) le procedure della “credenza” razzista dapprima diffondono una paura generica del “nemico immaginario” e poi identificano i tratti specifici, legali del soggetto da escludere, espellere, negare; 2) il “giacimento” sociale del razzismo (e sessismo) italiano, mai analizzato, mai sottoposto a critiche, resta un’energia distruttiva ancora potenzialmente funzionante e non meno aggressiva di quella del primo Novecento.

Perciò, scrive Bonavita, dinanzi all’immaginario razzista e alle politiche identitarie la prima necessità è quella della scomposizione storica e critica: “Il primo compito di chi analizza icone politiche di questo tipo consiste quindi nel compiere il processo inverso, ovvero nella decifrazione delle stratificazioni storiche accumulate dalla cultura e dalla ideologia proprio nei luoghi dove il razzista vuole mostrare all’opera la nuda natura. Solo così si può comprendere che [...] sta in realtà manipolando materiali culturali per ridisegnare i confini tra il «puro» e l’«impuro» e reinventare una nuova identità collettiva” (p. 82).

Come dimostra anche il romanzo coloniale e antisemita dell’epoca fascista, nel pensiero razzista tutto è appiattito su un “sistema di opposizioni” pseudonaturalistiche (appunto: “puro-impuro”) che struttura “l’intero campo dell’immaginario”: la costruzione autoritaria dell’identità implica sempre una “negazione dell’altro” e, per combatterla, si tratta di mostrare l’eterogeneità storica di ogni presunta “tradizione” unitaria e “credenza” indiscussa.

Resta l’esigenza di capire l’esplodere delle pratiche del razzismo di Stato in determinate fasi storiche: perché i lenti accumuli del razzismo diffuso si fanno a un tratto leggi discriminatorie e violente, si traducono in rastrellamenti di polizia, lager, deportazioni? Nell’analizzare la letteratura fascista, Bonavita offre due risposte simili e sovrapponibili.

Da una parte, fin dalla metà degli anni Venti la martellante campagna fascista per costruire l’“uomo nuovo” aveva bisogno di “controtipi” propagandistici: figure semplificate che additassero comportamenti negativi o “inferiori” attribuiti ora all’africano (scarso senso della famiglia, dell’onore, della parola data, ecc.), ora all’ebreo (rapacità economica, egoismo, ateismo, antipatriottismo, ecc.).

Così oggi, allo stesso modo, la necessità di ricomporre la famiglia tradizionale proietta le condotte predatorie e violente di mariti e fidanzati su tipi etnicamente caratterizzati: il “rumeno”, lo “straniero”, ecc. L’acutizzarsi delle pratiche razziste corrisponde a un programma di pedagogia sociale che deve occultare le contraddizioni e le diseguaglianze reali.

Ma il libro non offre solo un esame dei “controtipi” razziali. Per capire la seconda risposta, prendiamo un caso esemplare illustrato nel volume: quello di Giovanni Papini (1881-1956), da giovane incendiario anticlericale e nichilista, poi dal 1921 reazionario neocattolico e fascista.

Nel 1921 Papini pubblicava un best-seller intitolato “Storia di Cristo” riprendendo, con toni di accesa violenza verbale, la leggenda dell’“Ebreo errante” dedito solo ad accumulare “l’oro che cade dall’orifizio escrementizio di Satana”. In opere successive, dal “Dizionario dell’omo salvatico” del ’23 fino a “Gog” e alla “Leggenda del Gran Rabbino” del ’31, Papini si scagliava ossessivamente contro “negri”, “comunisti” e “giudei”, ritraendo questi ultimi come un misto di avidità, affarismo, lerciume, sadismo, depravazione: e sono testi che verranno riciclati dalla propaganda fascista per dar slancio operativo alle leggi razziali del ’38.

Eppure proprio il giovane Papini, nel lontano 1906, aveva fatto l’elogio del “vagabondaggio” e della “diversità” paragonandosi persino a un “Ebreo errante” della cultura: “l’amore della diversità, l’amore del cambiamento”, “i nostri viaggi di Ebrei erranti della cultura”, scriveva. Vi è nel razzismo un tentativo autoritario e malato di negare una parte di sé: l’apertura all’altro, la solidarietà, la conoscenza, l’eros: “attaccare l’Altro”, scrive Bonavita, “per rinnegare una parte di sé”.

Il razzismo è sempre una forza anche autodistruttiva che giunge infine a una grande, tragica festa di morte. Per combatterlo efficacemente, occorre anzitutto mostrare quanto gli “spettri dell’altro” siano il rito sacrificale e lugubre di un disciplinamento oppressivo delle identità.


Sancho Panza
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domenica 29 novembre 2009

La straniera - Quaderni Viola - 2



La straniera. Informazioni, sito-bibliografie e ragionamenti su razzismo e sessismo, (a cura di C. Bonfiglioli, L. Corradi, L. Cirillo, B. De Vivo, S. R. Farris, V. Perilli). Come il primo, anche il secondo numero dei Quaderni Viola si propone di fornire dati elementari di conoscenza, bibliografie e sitografie per chi desideri poi approfondire, spiegazioni brevi ma capaci di orientare un lavoro politico. Il tema del razzismo è esaminato nelle sue intersezioni con il genere e la classe, così come nel primo numero il tema del lavoro è stato analizzato nelle intersezioni con il genere e con la condizione migrante. Le intersezioni tra vari rapporti di oppressione hanno assunto un’importanza crescente nella ricerca femminista internazionale. In questo quaderno vengono offerti esempi concreti di come genere-classe-razza/etnia/cultura-generazione contribuiscano a determinare posizioni di oppressione nella gerarchia sociale, ma anche nuove possibilità di presa di parola. Allo scopo di indagare alcune delle forme storiche in cui il concetto di razza è stato creato e impiegato, la prima parte del quaderno ne analizza alcuni momenti centrali: l’antisemitismo e la scientizzazione della categoria di razza, il razzismo anti-Rom, il colonialismo e, in particolare, il periodo coloniale italiano e il razzismo anti-meridionale. Il dibattito sul concetto di intersezionalità, sul ruolo da attribuire a ciascuna componente della triade “razza- genere-classe” si è arricchito negli anni di contributi e riflessioni sempre più numerose. La seconda parte perciò offre le coordinate teoriche e bibliografiche per orientarsi in tale dibattito e per affrontare, con una prospettiva più avveduta, l’intera trama problematica che è oggetto del quaderno. La terza e ultima parte infine si concentra sulle forme assunte dal razzismo contemporaneo in Italia, in particolare nelle loro declinazioni di genere. Gli immigrati e le immigrate sono divenuti/e il bersaglio principale di retoriche e pratiche xenofobe. Tuttavia, oltre che discorso esplicito, il razzismo contemporaneo si camuffa principalmente dietro narrative “difensive” che sempre più per affermarsi strumentalizzano le donne, italiane e non. Sono soprattutto tali narrative oggi ad insidiarsi nelle coscienze ed è, pertanto, dalla decostruzione di esse che dobbiamo partire per smascherare la propaganda razzista e misogina.

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Per l'indice del numero e brevi schede sulle autrici rinviamo al sito delle Edizioni Alegre. Sui Quaderni Viola e La straniera si veda anche: Quaderni Viola sito e blog, Mapps, Femminismo a Sud, Aut-Aut, Rosa&Viola,

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da Marginalia
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martedì 27 ottobre 2009

Presentazione di: «Difendere la "razza"», Bologna 28 ottobre

Difendere la "razza"

Identità razziali e politiche sessuali nel progetto imperiale di Mussolini




mercoledì 28 ottobre, ore 19.30
presso XM24, via Fioravanti, 24 - Bologna
presentazione del volume di
Nicoletta Poidimani
Difendere la "razza".
Identità razziale e politiche sessuali nel progetto imperiale di Mussolini.
Oltre all'autrice interverrannoVincenza Perilli e Mauro Raspanti.

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immagine locandina da: marginalia

venerdì 26 giugno 2009

Culture razziste e politiche sessuali dall'impero alla postcolonia




In occasione dell'uscita del volume di Nicoletta Poidimani


Difendere la “razza”.
Identità razziale e politiche sessuali nel progetto imperiale di Mussolini
(ed. Sensibili alle Foglie, 2009)

una riflessione sul riattivarsi odierno di nuovi stereotipi razzisti e sessisti a partire dalle analisi delle politiche sessuali e razziali applicate dal regime fascista nelle sue colonie africane (a cura del Seminario itinerante antisessista e antirazzista) Intervengono:
Nicoletta Poidimani (autrice di Difendere la "razza"), Najat Achak (Coordinamento migranti Bologna), Kaha Mohamed Aden (scrittrice)


Introducono:
Liliana Ellena e Vincenza Perilli
Al termine dell'incontro proiezione del documentario di
Chiara Ronchini e Lucia Squeglia

GOOD MORNING ABISSINIA


SABATO 27 GIUGNO ORE 15.00
CENTRO INTERCULTURALE ZONARELLI
via Sacco 14 - Bologna


Promuovono: Ass. Sopra i ponti, Anpi Bolognina, Centro Zonarelli, Laboratorio femminista Kebedech Seyoum
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da: Marginalia

lunedì 19 febbraio 2007

E. Balibar - I. Wallertsein: Razza nazione classe

Étienne Balibar – Immanuel WallersteinRazza nazione classe. Le identità ambigue, Roma, Edizioni Associate, 1991
[
Race nation classe. Les identités ambiguës, Paris, La Découverte, 1988]

Nell’ambito dei movimenti italiani l’attenzione per questo lavoro è antecedente alla traduzione integrale del libro: nel 1989 il n. 3/4 di
Notebook aveva proposto due saggi di Balibar compresi in questo volume di confronto incontro con Wallerstein.
È di indubbia rilevanza il fatto che questa discussione di portata internazionale sui nessi tra alcuni nuclei problematici di dirompente attualità venga a prodursi all’incrocio tra due distinte, e correlate, esperienze critiche del marxismo, il cui carattere “non ortodosso” ha specifiche connotazioni: tensione permanente, in Balibar, a dissociare “gli elementi di analisi teorica e quelli di ideologia millenarista amalgamati nell’unità contraddittoria del marxismo” (p. 187); distinzione, in Wallerstein, di un Marx studioso di differenti sistemi storici, in rottura con i presupposti antropologici del pensiero liberale borghese, da un Marx universalista, implicato in una lettura “progressiva” del ruolo storico del capitalismo, nel quadro di un modello evolutivo-lineare di “crescita” dei modi di produzione (pp. 137-139).

Etienne Balibar, nell’intervento alla presentazione dell’edizione italiana del libro [“Identità ambigue”, in
Autonomia, n. 49, maggio 1991, da cui citiamo ampiamente] ha sottolineato i due “sensi complementari” in cui è proposta la nozione di identità ambigua.
Il primo – “più sociologico, o meglio strutturale” – è relativo al permanente processo di costruzione e distruzione delle identità di razza, nazione e classe nel quadro dei rapporti gerarchici che definiscono l’economia mondo capitalistica e che comportano “una tensione obiettiva permanente tra universalismo e particolarismo, vale a dire che nessuna di queste identità, fra di loro opposte, può esser considerata naturale [...] Tutte sono per necessità delle identità incompiute”; e “gli apparati, le istituzioni che lavorano a fissare l’una o l’altra di queste identità [...] devono operare in permanenza, produrre un effetto di riduzione della complessità, che non può essere che provvisorio, anche se in certi casi dura a lungo, ma che naturalmente deve rappresentarsi come eterno in termini naturalisti e naturaleggianti”.
Il secondo senso — “più politico” — concerne “l’ambivalenza intrinseca di ogni affermazione discorsiva o pratica dell’identità”. In ragione di questa ambiguità, la valenza di rottura o di integrazione sistemica di ogni specifica “spinta identitaria” è decisa congiunturalmente. “Ma sulla congiuntura pesa sempre il posto definito dalla struttura mondiale”.
In un contesto internazionale investito da radicali mutazioni, che ribaltano posizioni storicamente consolidate — “Mentre l’Europa ha esportato per tre secoli nel mondo intero i suoi modelli politici e le conseguenze degli affrontamenti tra le sue nazioni e i suoi ‘blocchi’, essa diviene ora il luogo in cui si cristallizzano i problemi sociali del mondo intero” [Balibar, “La Communauté européenne vue du dessous”, in
Le monde diplomatique, febbraio 1991] – un compito maggiore della nostra epoca sarà quello di “sviluppare delle categorie teoriche e politiche per analizzare, diagnosticare e trattare collettivamente l’ambivalenza dei movimenti culturali di oggi” [in Autonomia, cit.].

Il libro, che ha il suo fulcro nella “questione scottante:
qual è la peculiarità del razzismo contemporaneo?” (p. 13), su cui è concentrata l’attenzione di queste rapide note, ha come punto di attacco quello che Taguieff ha chiamato l’effetto di ritorsione del nuovo razzismo differenzialista, che non procede più dal postulato di una differenza biologica tra le “razze”, ma prende alla lettera le premesse del culturalismo antropologico – che era stato uno dei pilastri della critica al colonialismo, al razzismo e all’etnocentrismo europei – in un investimento politico di segno inverso, incentrato sulla difesa delle “identità” culturali nella loro supposta intangibilità (ciò che non esclude la possibilità di riprendere e “spostare di un gradino il biologismo”.
L’analisi estremamente complessa e puntuale di Balibar, oltre a questo primo effetto di ritorsione (operante una “destabilizzazione delle difese dell’antirazzismo tradizionale”), focalizza un secondo effetto “più subdolo e quindi più efficace”: in modo circolare, il differenzialismo si propone come “spiegazione” dei comportamenti razzisti, “
naturalizza non l’appartenenza ad una razza, ma il comportamento razzista”. Questo “metarazzismo”, o “razzismo di seconda posizione”, può così “presentarsi come vero antirazzismo e quindi come vero umanesimo” (pp. 33-37.
Si coglie bene, in questa prospettiva — oltre alla ragione principale della difficoltà di criticare il nuovo razzismo culturalista [cfr. pp. 31 e 70] — l’importanza della discussione sull'universalismo.
“L’universalismo e il razzismo possono sembrare a prima vista strani compagni, se non addirittura concetti praticamente antitetici: l’uno aperto, l’altro chiuso; l’uno tendente all’eguaglianza, l’altro alla polarizzazione; l’uno votato al discorso razionale, l’altro intriso di pregiudizio. Tuttavia, il fatto che abbiano camminato tenendosi per mano, che si siano diffusi e abbiano prevalso in concomitanza con l’evoluzione del capitalismo storico, dovrebbe suggerirci di guardare più da vicino ai modi con cui queste due dottrine hanno potuto convivere”. Questo brano de
Il capitalismo storico [(1983), Einaudi, 1985, p. 71] di Immanuel Wallerstein pone il problema, in prossimità del paragrafo dedicato a “L’ambivalenza dei movimenti antisistemici” che, nella sua stessa formulazione, sembra preludere a questa discussione delle identità ambigue.

Nel secondo capitolo di
Razza nazione classe, Wallerstein considera la coppia terminologica in base alla sua funzionalità all’economia mondo capitalistica: universalismo (tendenza alla mercificazione illimitata, meritocrazia) e razzismo (“etnicizzazione” della forza-lavoro, minimizzazione dei costi politici ed economici del suo sfruttamento), intrattengono un rapporto complementare, e di reciproca compensazione contro la tendenza agli estremi del termine opposto (il quadro è naturalmente più complesso di questa telegrafica sintesi, e occorre in ogni caso ricordare che l’autore non prefigura un equilibrio statico, ma un andamento “a zig-zag” di crescente ampiezza e instabilità).
Raccogliendo la sfida dell’attuale “razzismo universalistico” Balibar cerca invece di “pensare a un’unità ancora più profonda tra i due lati”: “Ciò di cui si tratta è il ‘legame interno’ che si è stabilito tra le nozioni di umanità, di specie umana, di progresso culturale dell’umanità, e i ‘pregiudizi’ antropologici riguardanti le razze o le basi naturali della schiavitù. È la nozione stessa di razza, il cui significato moderno comincia a delinearsi nel periodo dei Lumi – questa grande fioritura dell’universalismo – e la modifica non accidentalmente, esteriormente alla sua ‘essenza’, ma intrinsecamente» [“Razzismo: un altro universalismo” in
Problemi del socialismo, n. 2, 1991, pp. 39 e 37].
Da un lato, “l’universalismo, quando cessa di essere una semplice parola, una filosofia possibile, per diventare un sistema di concetti espliciti, non può non includere al centro di se stesso il suo contrario. Impossibile definire il logos senza farlo dipendere da una gerarchia antropologica e ontologica, anche nel filosofo più ‘laico’” (ivi, p. 38).
Dall’altro “qualsiasi razzismo teorico si riferisce ad
universali antropologici [...] In tutti questi universali scopriamo l’insistenza di un’unica ‘questione’: quella della differenza tra umanità e animalità, il cui carattere problematico è riutilizzato per interpretare i conflitti della società e della storia” (Razza nazione classe, p. 68).
Suggerendo di pensare la relazione di razzismo e universalismo nei termini degli hegeliani contrari determinati – “il che fa sì appunto che ciascuno di essi modifichi l’altro ‘dall’interno’” [in
Problemi..., cit. p. 39] – Balibar turberà probabilmente le anime belle della cultura europea; ma la posta in gioco di questa provocazione è la costituzione di un’intelligenza collettiva adeguata alla provocazione del tempo.
Un tempo in cui, comunque, questa ricerca rimarrà un passaggio decisivo per le esperienze e i percorsi di un
effettivo antirazzismo.




rudy m. leonelli, 1991

in:
Invarianti. Per descrivere le trasformazioni,
anno V, n, 17-18, Estate-Autunno 1991.

Testo selezionato dalla rubrica "Recensioni" del sito di Edizioni Associate
Feedback: ateismo scetticismo e religione, Kilombo, Newstin