NEWSLETTER CSA VITTORIA-Milano
via Friuli ang. Muratori 43
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ore 21.00 Csa Vittoria L’IMPERO VIRTUALE COLONIZZAZIONE DELL’IMMAGINARIO E CONTROLLO SOCIALE
Alcune aziende che quindici anni fa non esistevano, come Google e
Facebook, oggi costituiscono la nuova e potente oligarchia planetaria
del capitalismo digitale. Internet ne rappresenta l’intelaiatura, e i
suoi utenti, vale a dire circa tre miliardi di persone, la forza lavoro
utilizzata. Le nuove tecnologie digitali fanno ormai parte della nostra
vita quotidiana, le portiamo addosso e controllano tutti gli ambienti
della vita sociale, dai luoghi di lavoro ai templi del consumo. Questo
libro propone una riflessione sui dispositivi attraverso i quali questa
oligarchia e queste tecnologie catturano e colonizzano il nostro
immaginario a fini di profitto economico e di controllo sociale. E mette
in luce il risvolto di tutto ciò, ovvero l’emergere di una nuova e
impercepita sudditanza di quel popolo virtuale che, riversando
ingenuamente messaggi, fotografie, selfie, ansie e desideri su
piattaforme e social-network, contribuisce con le sue stesse pratiche a
rafforzare il dominio del nuovo impero. Non conosciamo ancora le
conseguenze sui tempi lunghi di questo ulteriore passaggio del modo di
produzione capitalistico. Chiara invece appare la necessità di
immaginare pratiche di decolonizzazione personale e collettiva per
istituire nei luoghi ordinari della vita varchi di liberazione.
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Scritti critici. Saggi, articoli e recensioni di filosofia, politica e storia del presente
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venerdì 26 giugno 2015
Renato Curcio: "L'impero virtuale" Presentazione: Giovedì 25 giugno 2015 ore 21.00 Csa Vittoria Milano
sabato 28 febbraio 2015
Grecia: forzare i limiti del capitalismo per combattere l'austerity - di Étienne Balibar, Sandro Mezzadra
È dunque vero che alla fine, come titolano molti giornali in Italia e in
Europa, Atene ha ceduto all'Eurogruppo (la Repubblica), compiendo il
primo passo verso il ritorno all'austerity (The Guardian)? È cominciata
la «ritirata» di Syriza, come sostengono molti leader della stessa
sinistra interna del partito greco?
È presto per formulare un giudizio complessivo e fondato sugli accordi
definiti all'interno della riunione dell'Eurogruppo di venerdì [ndr: 20
febbraio 2015]: molti aspetti tecnici, ma di grande importanza politica,
saranno resi noti soltanto nei prossimi giorni. Vorremmo tuttavia
provare a suggerire un diverso metodo di analisi dello scontro che non
ha soltanto contrapposto il governo greco alle istituzioni europee, ma
ha anche mostrato più di una crepa all'interno di queste ultime. Sulla
base di quali criteri dobbiamo giudicare l'azione di Tsipras e
Varoufakis, misurandone l'efficacia? È questa la domanda che ci
interessa porre.
Vale la pena di ripetere che lo scontro aperto dalla vittoria di Syriza
alle elezioni greche si svolge in un momento di crisi acuta e drammatica
in Europa. Le guerre che marcano a fuoco i confini dell'Unione Europea
(a est, a sud, a sudest), le stragi di migranti nel Mediterraneo non
sono che l'altra faccia dei processi in atto di scomposizione dello
spazio europeo, che la crisi economica ha accelerato in questi anni e
che destre più o meno nuove, più o meno razziste e fasciste cavalcano in
molte parti del continente. In queste condizioni, le elezioni greche e
la crescita di Podemos in Spagna hanno aperto una straordinaria
occasione, quella di reinventare e riqualificare a livello europeo una
politica radicale della libertà e dell'uguaglianza.
Forzare i limiti del capitalismo
Dietro l'apertura di questa occasione ci sono, tanto in Grecia quanto in
Spagna, le formidabili lotte di massa contro l'austerity. Ma lo
sviluppo di queste lotte, nella loro diffusione «orizzontale», si è
trovato di fronte limiti altrettanto formidabili: la posizione di
dominio del capitale finanziario all'interno del capitalismo
contemporaneo e l'assetto dei poteri europei, modificato da quella che
abbiamo definito una vera e propria «rivoluzione dall'alto» nella
gestione della crisi.
Il punto è che, non appena Syriza è riuscita a innestare
sull'orizzontalità delle lotte un asse «verticale», portandone le
rivendicazioni e il linguaggio fin dentro i palazzi europei, si è
immediatamente trovata di fronte quegli stessi limiti. Si è scontrata
con l'assetto attuale dei poteri europei e con la violenza del capitale
finanziario. Sarebbe davvero ingenuo pensare che il governo greco, che
un singolo Paese europeo (anche di maggior peso demografico ed economico
della Grecia) possa spezzare questi limiti.
Se ce ne fosse stato ancora bisogno, quanto è accaduto in questi giorni
dimostra chiaramente che non è sulla base di una semplice rivendicazione
di sovranità nazionale che una nuova politica della libertà e
dell'uguaglianza può essere costruita. I «limiti» di cui si è detto,
tuttavia, ci appaiono oggi in una luce diversa rispetto a qualche mese
fa. Se le lotte ne avevano mostrato l'insostenibilità, la vittoria di
Syriza, la crescita di Podemos e la stessa azione del governo greco
cominciano ad alludere alla realistica possibilità di superarli. Era
evidente, e lo aveva chiarito tra gli altri lo stesso Alexis Tsipras,
che non sarebbe stata sufficiente una semplice affermazione elettorale
per fare questo. Si tratta di aprire un processo politico nuovo, per
costruire e affermare materialmente una nuova combinazione, una nuova
correlazione di forze in Europa.
Diceva Lenin che ci sono situazioni in cui bisogna cedere spazio per
guadagnare tempo. Se applichiamo questo principio, opportunamente
modificato, alla valutazione degli «accordi» di venerdì scorso possiamo
forse scommettere (con l'azzardo che è costitutivo di ogni politica
radicale) sul fatto che il governo greco abbia ceduto «qualcosa» per
guadagnare tempo e per guadagnare spazio. Ovvero, per distendere nel
tempo l'occasione che si è aperta in Europa nella prospettiva, resa
possibile anche dalle prossime scadenze elettorali in Europa (a partire
dalla Spagna, ma non solo), che altri «spazi» vengano investiti e
«conquistati» dal processo politico nuovo di cui si diceva.
Questo processo politico, per avere successo nei prossimi mesi, non
potrà che articolarsi su una molteplicità di livelli, combinando lotte
sociali e forze politiche, comportamenti e pratiche diffuse, azione di
governo e costruzione di nuovi contropoteri in cui si esprima l'azione
dei cittadini europei. In particolare, nel momento in cui riconosciamo
l'importanza decisiva di un'iniziativa sul terreno istituzionale quale
quella che Syriza ha cominciato a praticare e Podemos concretamente
prefigura, dobbiamo anche essere consapevoli dei suoi limiti.
In un lungo articolo (a suo modo straordinario), pubblicato nei giorni
scorsi dal Guardian («How I became an erratic Marxist»), Yanis
Varoufakis ha mostrato di avere una consapevolezza molto precisa di
questi limiti. Fondamentalmente, ha affermato, quel che un governo può
fare oggi è cercare di «salvare il capitalismo europeo da se stesso»,
dalle tendenze auto-distruttive che lo attraversano e minacciano di
aprire le porte al fascismo. Ciò che in questo modo è possibile è
conquistare spazi per una riproduzione del lavoro, della cooperazione
sociale meno segnata dalla violenza dell'austerity e della crisi - per
una vita meno «misera, sgradevole, brutale e breve».
Non è un governo, insomma, a potersi far carico della materiale apertura
di alternative oltre il capitalismo. Leggendo a modo nostro l'articolo
di Varoufakis, possiamo concludere che quell'oltre (oltre il salvataggio
del capitalismo europeo da se stesso, in primo luogo) indica il
«continente» potenzialmente sconfinato di una lotta sociale e politica
che non può che eccedere la stessa azione di governi come quello greco e
ogni perimetrazione istituzionale. È all'interno di quel continente che
va costruita la forza collettiva da cui dipende quello che sarà
realisticamente possibile conquistare nei prossimi mesi e nei prossimi
anni. E il terreno su cui questa forza deve essere organizzata ed
esercitata non può che essere l'Europa stessa, nella prospettiva di
contribuire a determinare una rottura costituente all'interno della sua
storia.
Il blocco di Francoforte
La mobilitazione convocata dalla coalizione Blockupy a Francoforte per
il 18 marzo, il giorno dell'inaugurazione della nuova sede della Bce,
acquista da questo punto di vista una particolare importanza. È
un'occasione per intervenire direttamente nello scontro in atto a
livello europeo (e dunque per sostenere l'azione del governo greco),
andando oltre una generica contestazione dei simboli del capitale
finanziario, della Bce e delle tecnostrutture «post-democratiche» di cui
ha parlato Jürgen Habermas.
Ma è anche un momento di verifica delle forze che si muovono in
quell'«oltre» senza consolidare il quale (è uno dei paradossi del nostro
tempo) la stessa azione di governi e partiti che si battono contro
l'austerity è destinata all'impotenza.
(23 febbraio 2015)
___________
da: globalist.it
lunedì 23 febbraio 2015
Ribelli in paradiso,"Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti"- un libro di PAUL AVRICH
Martedì 24 febbraio ore 19.00
Ribelli in paradiso
Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti
un libro di PAUL AVRICH
A cura di Antonio Senta
Ne discutono Antonio Senta e Andrea Cavalletti
A partire dal celebre caso di Sacco e Vanzetti, i due anarchici “giustiziati” nel 1927, Avrich ci offre un intenso spaccato dell’America di inizio 900. I protagonisti delle vicende narrate sono i lavoratori, spesso italiani, quasi sempre anarchici, che vivono sulla propria pelle l’oppressione dei padroni, delle polizie private e dello stesso Stato, colpevole di difendere e legittimare lo sfruttamento capitalista attraverso le sue leggi. Un’analisi storica chiara e dettagliata della battaglia che vide fronteggiarsi il capitalismo americano e gli emigrati italiani, donne e uomini che all’America avevano affidato le speranze per un riscatto sociale da troppo tempo atteso.
Paul Avrich (1931-2006). Considerato forse il massimo storico dell’anarchismo nasce a New York da una famiglia originaria di Odessa. Compie studi in Russia che lo porteranno alla stesura di The Russian Anarchists (1967) e Kronstadt, 1921 (1970). Rientrato a New York insegna al Queens College e si interessa alla storia degli anarchici negli Stati Uniti. Tra le sue opere, pubblicate dalla Princeton University, ricordiamo Anarchist Voices: An Oral History of Anarchism in America (1995) e naturalmente Sacco and Vanzetti, The Anarchist Background, oggi tradotto per la prima volta in Italia.
MODO INFOSHOP
via Mascarella 24/b
40126 - Bologna
tel. 051/5871012
info@modoinfoshop.com
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[Storie in movimento]
Ribelli in paradiso
Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti
un libro di PAUL AVRICH
A cura di Antonio Senta
Ne discutono Antonio Senta e Andrea Cavalletti
A partire dal celebre caso di Sacco e Vanzetti, i due anarchici “giustiziati” nel 1927, Avrich ci offre un intenso spaccato dell’America di inizio 900. I protagonisti delle vicende narrate sono i lavoratori, spesso italiani, quasi sempre anarchici, che vivono sulla propria pelle l’oppressione dei padroni, delle polizie private e dello stesso Stato, colpevole di difendere e legittimare lo sfruttamento capitalista attraverso le sue leggi. Un’analisi storica chiara e dettagliata della battaglia che vide fronteggiarsi il capitalismo americano e gli emigrati italiani, donne e uomini che all’America avevano affidato le speranze per un riscatto sociale da troppo tempo atteso.
Paul Avrich (1931-2006). Considerato forse il massimo storico dell’anarchismo nasce a New York da una famiglia originaria di Odessa. Compie studi in Russia che lo porteranno alla stesura di The Russian Anarchists (1967) e Kronstadt, 1921 (1970). Rientrato a New York insegna al Queens College e si interessa alla storia degli anarchici negli Stati Uniti. Tra le sue opere, pubblicate dalla Princeton University, ricordiamo Anarchist Voices: An Oral History of Anarchism in America (1995) e naturalmente Sacco and Vanzetti, The Anarchist Background, oggi tradotto per la prima volta in Italia.
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[Storie in movimento]
lunedì 1 dicembre 2014
Marx & Foucault. Lectures, usages, confrontations. Colloque International Nanterre-Paris 18-20 Déc. 2014 [ARCIVE
Jeudi 18 décembre
Foucault lecteur de Marx
Université Paris Ouest Nanterre La Défense
Bât. B, salle des conférences
.
Ouverture : Christian Laval, Luca Paltrinieri, Ferhat Taylan
Présidence : Emilie Hache09h30-10h00 Christian Laval (CIPh/Sophiapol, Paris Ouest Nanterre La Défense)
« La productivité du pouvoir »
10h00-10h30 Rudy Leonelli (Università di Bologna) : « Foucault lecteur du Capital »
10h30-10h45
Discussion
Pause
11h00-11h30 Jason Read (University of Southern Maine) :
« Being Productive: Work and Subjectivity in Marx and Foucault »
11h30-12h00 Alberto Toscano (Goldsmiths, London) :
« Of Sub-Powers and Surplus-Profits: Money, Capital and Class-struggle in Foucault »
12h00-12h30
Discussion
.
Après-midi 14h15-18h
Présidence : Mathieu Potte-Bonneville
14h15-14h45 Jean-François Bert (IRCM, Université de Lausanne) :
« Cartographier les marxismes avec Foucault : les années 1950 et 1960 »
14h45-15h15 Manlio Iofrida (Università di Bologna) :
« Michel Foucault entre Marx et Burckhardt : esthétique, jeu, travail »
15h15-15h45 Roberto Nigro (CIPh/ZHDK Zurich)
: « …Communiste nietzschéen. L’expérience Marx de Foucault »
15h45-16h15
Discussion
Pause
16h30-17h00 Ferhat Taylan (CIPh/Université Bordeaux III) :
« La place de Marx : des Mots et les Choses à La Société punitive »
17h00-17h30 Hervé Oulc’hen (BelPD-COFUND, Université de Liège) :
« Stratégie et praxis : Foucault et Sartre lecteurs des enquêtes historiques de Marx »
17h30-18h
Discussion Discussion.
mercoledì 19 marzo 2014
L'amore della politica, di Valerio Romitelli
L'amore della politica
Pensiero , passioni e corpi nel disordine mondiale
di
Valerio Romitelli
Mucchi editore, Modena 2014
Il lungo ciclo del materialismo
storico, del socialismo, del comunismo e dei partiti di classe è finito.
Ma non ha fallito. Ha sperimentato una singolare tendenza alla
giustizia sociale. Quella culminata nel glorioso trentennio 1945/75:
possibile solo perché in mezzo mondo c’erano regimi capaci di
dimostrare, anche a costo di terribili sacrifici, che politiche
egualitarie erano universalmente realizzabili. Sulla base di questi
presupposti si offre un inedito taglio dei maggiori problemi del nostro
tempo quale l’ incipiente crisi del capitalismo e delle democrazie
improntate al modello americano, nonché il rapido dilatarsi di
popolazioni che i governi abbandonano a un destino di sfruttamento e
sofferenza sociale.
Al cuore del libro si trova una formulazione di un nuovo possibile orizzonte di sperimentazione politica: l’orizzonte di un materialismo politico, nel quale protagonisti siano il pensiero, anziché la coscienza, le passioni, anziché gli interessi, e a condizione che prendano corpo in nuove “particelle” organizzative, come quelle già sporadicamente operanti nel secolo scorso, specie attorno al ’68. L’amore della politica risulta così una vera e propria energia materiale, discontinua, come ogni grande passione, ma con conseguenze irreversibili. Un’energia oggi latitante, che va ripensata e riorganizzata.
Al cuore del libro si trova una formulazione di un nuovo possibile orizzonte di sperimentazione politica: l’orizzonte di un materialismo politico, nel quale protagonisti siano il pensiero, anziché la coscienza, le passioni, anziché gli interessi, e a condizione che prendano corpo in nuove “particelle” organizzative, come quelle già sporadicamente operanti nel secolo scorso, specie attorno al ’68. L’amore della politica risulta così una vera e propria energia materiale, discontinua, come ogni grande passione, ma con conseguenze irreversibili. Un’energia oggi latitante, che va ripensata e riorganizzata.
Valerio Romitelli
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venerdì 14 febbraio 2014
«Cattive condotte», di Sandro Mezzadra
da il manifesto
La pubblicazione dei corsi tenuti da Michel Foucault al
Collège de France tra il 1970 e il 1984 ha ormai sedimentato un
secondo corpus di opere del filosofo francese, accanto a quelle da
lui pubblicate. E non si può che rimanere affascinati, anche
semplicemente scorrendo i volumi, dall’inquietudine e dal rigore con
cui egli apriva continuamente nuovi cantieri di ricerca, da quello
sul neoliberalismo (a cui è dedicato il corso del 1979) a quelli
greci e tardo-antichi degli ultimi anni. Temi e concetti associati al
lavoro di Foucault, ad esempio quelli di «governamentalità» e
«biopolitica», trovano nei corsi della seconda metà degli anni
Settanta sviluppi di straordinaria e talvolta imprevista
ricchezza. E d’altro canto, ascoltando «la parola pubblicamente
proferita da Foucault» (a cui i curatori si attengono con
scrupoloso rigore), ne abbiamo imparato a conoscere lo stile di
insegnante, l’eleganza ma anche la capacità di affascinare
e coinvolgere chi lo ascoltava.
Si capisce dunque come l’uscita di un nuovo corso, mentre l’edizione si avvia alla conclusione, costituisca sempre un evento. Quello da poco pubblicato in Francia si intitola La societé punitive (a cura di Bernard E. Harcourt, EHESS/Gallimard/Seuil, pp. 354, euro 26), ed è stato tenuto nel primo trimestre del 1973. Si situa dunque in uno dei momenti di più intensa militanza politica di Foucault, in particolare sui temi della penalità e della prigione, a fianco delle lotte e dell’organizzazione autonoma dei detenuti. «Indignazione» e «collera», come giustamente sottolinea Harcourt, danno il tono generale a questo corso, e lo rendono tra le altre cose un documento dell’appassionata ricerca di uno stile di lavoro intellettuale capace di situarsi del tutto all’interno della lotta politica. Sotto il profilo del metodo, poi, è un corso in qualche modo di transizione, caratterizzato dalla ricerca e dalla sperimentazione di un’articolazione tra «archeologia» e «genealogia». Molti temi qui affrontati sono ripresi da Foucault in conferenze e testi dello stesso periodo (in particolare in La verità e le forme giuridiche, in La vita degli uomini infami e in Io, Pierre Rivière), nonché naturalmente nel grande libro dedicato nel 1975 alla nascita della prigione, Sorvegliare e punire, di cui il corso del 1973 costituisce una sorta di prova generale.
La stessa categoria di «potere disciplinare» (di «società a potere disciplinare») appare nel corso del 1973 forse definita in modo meno preciso, ma più duttile e meno rigidamente ancorata alla produzione di una determinata figura di soggettività (l’individuo) e a una specifica forma di istituzione (sul celebre modello benthamiano del panopticon).
Foucault comincia del resto il corso con una serrata critica della categoria di «esclusione», che a suo avviso non consente di «analizzare le lotte, i rapporti, le operazioni specifiche del potere». In questione non è qui soltanto il riferimento alla natura «produttiva» (e non solamente repressiva) del potere e al nesso strettissimo tra potere e sapere: La societé punitive studia questo nesso sul terreno della penalità e lo contrappone, in termini teorici, allo «schema dell’ideologia», secondo cui «il potere non può produrre nell’ordine della conoscenza che degli effetti appunto ideologici», di copertura e di falsa coscienza. Sono temi noti ai lettori di Foucault, così come – soprattutto negli scritti di questi anni – è ricorrente l’enfasi posta sulla natura relazionale del potere, sul suo costitutivo nesso con le resistenze e con le lotte.
È tuttavia proprio a quest’ultimo riguardo che il corso del 1973 presenta elementi di indubbia originalità, a partire dalla scelta della «guerra civile» come schema teorico fondamentale per la comprensione critica del potere (la politica, afferma Foucault, «è la prosecuzione della guerra civile»). Tanto lo sviluppo dei sistemi morali, la cui ricostruzione prende avvio dallo studio della dissidenza religiosa in Inghilterra tra Sei e Settecento, quanto le trasformazioni dei regimi di governo e di controllo vengono analizzati sullo sfondo di una fitta trama di «illegalismi popolari», che condizionano in profondità l’evoluzione dei regimi giuridici e delle tecniche punitive.
Si capisce dunque come l’uscita di un nuovo corso, mentre l’edizione si avvia alla conclusione, costituisca sempre un evento. Quello da poco pubblicato in Francia si intitola La societé punitive (a cura di Bernard E. Harcourt, EHESS/Gallimard/Seuil, pp. 354, euro 26), ed è stato tenuto nel primo trimestre del 1973. Si situa dunque in uno dei momenti di più intensa militanza politica di Foucault, in particolare sui temi della penalità e della prigione, a fianco delle lotte e dell’organizzazione autonoma dei detenuti. «Indignazione» e «collera», come giustamente sottolinea Harcourt, danno il tono generale a questo corso, e lo rendono tra le altre cose un documento dell’appassionata ricerca di uno stile di lavoro intellettuale capace di situarsi del tutto all’interno della lotta politica. Sotto il profilo del metodo, poi, è un corso in qualche modo di transizione, caratterizzato dalla ricerca e dalla sperimentazione di un’articolazione tra «archeologia» e «genealogia». Molti temi qui affrontati sono ripresi da Foucault in conferenze e testi dello stesso periodo (in particolare in La verità e le forme giuridiche, in La vita degli uomini infami e in Io, Pierre Rivière), nonché naturalmente nel grande libro dedicato nel 1975 alla nascita della prigione, Sorvegliare e punire, di cui il corso del 1973 costituisce una sorta di prova generale.
Tattiche penali
«Perché questa strana istituzione che è la prigione?». Questa domanda guida tanto Sorvegliare e punire quanto La societé punitive. È tuttavia significativo che nel corso del 1973 essa venga formulata in termini espliciti soltanto all’inizio dell’ultima lezione. Foucault, a quel punto, aveva già ampiamente mostrato come la detenzione e la reclusione si fossero installate al centro dei sistemi penali europei soltanto con le «grandi riforme avviate negli anni compresi tra il 1780 e il 1820». La prigione era stata dunque «de-naturalizzata», e poteva a buon diritto apparire come una «strana istituzione»: la sua emergenza storica era stata studiata nelle lezioni precedenti dall’interno di trasformazioni profonde della morale, delle tecniche di governo e di polizia e delle «tattiche penali». Proprio l’attenzione rivolta alla sua emergenza storica in qualche modo «de-centra» la prigione rispetto all’analisi condotta in Sorvegliare e punire: Foucault, in altri termini, non guarda alla società a partire dalla prigione (come sembra avvenire in alcuni capitoli del libro del 1975), ma punta piuttosto a comprendere quest’ultima a partire dalle trasformazioni più generali che segnano l’avvento del capitalismo moderno.La stessa categoria di «potere disciplinare» (di «società a potere disciplinare») appare nel corso del 1973 forse definita in modo meno preciso, ma più duttile e meno rigidamente ancorata alla produzione di una determinata figura di soggettività (l’individuo) e a una specifica forma di istituzione (sul celebre modello benthamiano del panopticon).
Foucault comincia del resto il corso con una serrata critica della categoria di «esclusione», che a suo avviso non consente di «analizzare le lotte, i rapporti, le operazioni specifiche del potere». In questione non è qui soltanto il riferimento alla natura «produttiva» (e non solamente repressiva) del potere e al nesso strettissimo tra potere e sapere: La societé punitive studia questo nesso sul terreno della penalità e lo contrappone, in termini teorici, allo «schema dell’ideologia», secondo cui «il potere non può produrre nell’ordine della conoscenza che degli effetti appunto ideologici», di copertura e di falsa coscienza. Sono temi noti ai lettori di Foucault, così come – soprattutto negli scritti di questi anni – è ricorrente l’enfasi posta sulla natura relazionale del potere, sul suo costitutivo nesso con le resistenze e con le lotte.
È tuttavia proprio a quest’ultimo riguardo che il corso del 1973 presenta elementi di indubbia originalità, a partire dalla scelta della «guerra civile» come schema teorico fondamentale per la comprensione critica del potere (la politica, afferma Foucault, «è la prosecuzione della guerra civile»). Tanto lo sviluppo dei sistemi morali, la cui ricostruzione prende avvio dallo studio della dissidenza religiosa in Inghilterra tra Sei e Settecento, quanto le trasformazioni dei regimi di governo e di controllo vengono analizzati sullo sfondo di una fitta trama di «illegalismi popolari», che condizionano in profondità l’evoluzione dei regimi giuridici e delle tecniche punitive.
sabato 14 dicembre 2013
Foucault, La société punitive. Cours au collège de France 1972-1973. Now published [info da: FOUCAULT NEWS]
Michel Foucault (2013) La société punitive. Cours au collège de France 1972-1973, Paris: Gallimard Seuil. 05 Décembre 2013, 356 pages.
Frédéric Gros
Foucault et « la société punitive » Compte rendu sur le site Cairn.info
Foucault et « la société punitive » Compte rendu sur le site Cairn.info
Résumé
Foucault prononce en 1973 un cours au Collège de France intitulé « La société punitive ». Ce cours, encore inédit, offre les premières grandes propositions théoriques de Foucault sur la naissance de la prison. Elles seront reprises, infléchies, reproblématisées dans Surveiller et Punir. Mais, en 1973, elles sont données avec une netteté conceptuelle et un tranchant polémique qu’elles ne retrouveront plus par la suite. Trois grandes notions sont définies : le « pénitentiaire », le « carcéral » et le « coercitif ». C’est le nouage de ces trois dimensions qui rend compte de l’invention de la prison.
” L’organisation d’une pénalité d’enfermement n’est pas simplement récente, elle est énigmatique. Qu’est-ce qui pénètre dans la prison ? En tout cas, pas la loi. Que fabrique-t-elle ? Une communauté d’ennemis intérieurs. ” C’est en ces termes que Michel Foucault dénonce, dans ce cours prononcé en 1973 – et que viendra compléter, en 1975, son ouvrage Surveiller et punir – le ” cercle carcéral “. La Société punitive étudie ainsi comment les sociétés traitent les individus ou les groupes dont elles souhaitent se débarrasser, c’est-à-dire les tactiques punitives, mais aussi la prise de pouvoir sur le corps et sur le temps et l’instauration du couple pénalité-délinquance. Michel Foucault retrace l’histoire des ” tactiques fines de la sanction ” dont il distingue quatre modalités : exiler ; imposer un rachat ; marquer ; enfermer. C’est dans la seconde moitié du XVIIIe siècle que se développe une ” science des prisons ” à fonction corrective et que se construit un discours sur le criminel et son traitement possible, donnant naissance à un schéma de société qui vise à l’absolu du contrôle et de la surveillance. L’ajustement entre le système judiciaire et le mécanisme de surveillance (l’organisation d’une police), entre l’émergence de la richesse et la pratique des illégalismes, entre la force corporelle de l’ouvrier et l’appareil de production s’accomplit ensuite au tournant du XIXe siècle. Foucault démontre donc que ce sont les instances de contrôle para-pénal du XVIIe et du XVIIIe siècle qui ont abouti, in fine, au fonctionnement de la prison, visant à l’élimination du désordre, au contrôle de la distribution spatiale des individus, de leur emplacement par rapport à l’appareil productif. La Société punitive finit par poser la question, cruciale aux yeux du philosophe, de la validité intrinsèque de la loi pénale. A-t-elle vocation universelle ou se limite-t-elle à la douteuse applicabilité d’une somme de décrets ?
martedì 29 ottobre 2013
Valerio Romitelli: Che salvare dell’università?
A margine del libro di Valeria Pinto Valutare e punire, Ed. Cronopio, 2012
Oggi
niente sembra più ovvio del credere che tutto è informazione, perché la
vita stessa sarebbe al fondo comunicazione di informazioni. É così che
si giustifica l’altra credenza attualmente imperante che sia finalmente
giunta l’epoca di una “società della conoscenza”. Anche grazie alla
diffusione di internet si suppone infatti che tutto il sapere
globalmente esistente sia disponibile come molteplicità di informazioni
fruibili e scambiabili in “tempo reale”, offrendo opportunità senza
precedenti di cambiamento e sviluppo in ogni tipo di relazioni
intersoggettive.
I
presupposti biologici di questa credenza sono improntati a una visione
più neo-darwinista che classicamente darwinista. L’”egoismo” supposto
essere motore dell’evoluzione, infatti, non è tanto quello
dell’individuo vivente, quanto quello del “gene” (secondo la formula che
titola il noto libro di Dawkins). Ciò significa ritenere che i destini
del genere umano non dipendono da personaggi eccellenti, ma da comunità
di individui dotati di patrimoni genetici vincenti. Ma ciò significa
anche ammettere che ogni individuo con tali qualità possa trovarsi in
condizioni ambientali avverse, che gli impediscono di valorizzarsi come
meriterebbe, con un conseguente danno per tutto il genere umano.
Di
qui viene la necessità di una bio-politica volta, non solo a premiare i
meritevoli, ma anche ad aiutare quelli che non riescono a farsi valere
come tali, in quanto svantaggiati da un contesto avverso. In tal senso,
il mezzo più indicato pare essere il mercato in quanto regime di scambio
per eccellenza e quindi anche di comunicazione di informazioni tra
contesti diversi. Tra gli ultimi rimedi per estendere al massimo le
possibilità di inclusione dei meritevoli sfortunati resta poi la
filantropia di cui la maggioranza degli individui e delle comunità
vincenti si dimostrano particolarmente generosi. Estensione ovunque
possibile del mercato, della comunicazione e della filantropia sono in
effetti tra le cifre più distintive di tutta quella parte maggioritaria
della “Comunità internazionale” che segue il modello della “più grande
democrazia del mondo”: ove “grande” è sinonimo di massima qualità,
giustificata oggi soprattutto dal fatto di essere anche patria della
società della conoscenza ...
domenica 29 settembre 2013
Bertolt Brecht, Questo voglio dir loro
Mi chiedevo: perché parlare con loro?
Comprano il sapere per venderlo.
Vogliono sentire dove c’è sapere a buon mercato
da vendere a caro prezzo. Perché
dovrebbero voler sapere ciò che
parla contro la compra e la vendita?
Vogliono vincere,
Contro la vittoria non vogliono saper nulla.
Non vogliono essere oppressi,
vogliono opprimere.
Non vogliono il progresso,
vogliono il vantaggio.
Sono obbedienti a chiunque
prometta loro il comando.
Si sacrificano affinché
resti la pietra sacrificale.
Che devo dir loro, pensavo. Questo
voglio dir loro, pensavo. Questo
voglio dir loro, decisi.
[Das will ich sagen - Questo voglio dir loro] trad it. a c. d. Cesare Cases
in Bertolt Brecht, Poesie, Einaudi Torino, 1960
Comprano il sapere per venderlo.
Vogliono sentire dove c’è sapere a buon mercato
da vendere a caro prezzo. Perché
dovrebbero voler sapere ciò che
parla contro la compra e la vendita?
Vogliono vincere,
Contro la vittoria non vogliono saper nulla.
Non vogliono essere oppressi,
vogliono opprimere.
Non vogliono il progresso,
vogliono il vantaggio.
Sono obbedienti a chiunque
prometta loro il comando.
Si sacrificano affinché
resti la pietra sacrificale.
Che devo dir loro, pensavo. Questo
voglio dir loro, pensavo. Questo
voglio dir loro, decisi.
[Das will ich sagen - Questo voglio dir loro] trad it. a c. d. Cesare Cases
in Bertolt Brecht, Poesie, Einaudi Torino, 1960
domenica 15 settembre 2013
estate 2013: CaPa in vacanza presso gli industriali [ricordando Heartfield]
Quei vacanzieri di Casa Pound… Nelle ville di Portofino con gli industriali
da: Osservatorio democratico sulle nuove destre - 03/09/2013
Gli “antagonisti” di Casa Pound Milano se la sono spassata questa estate dalle parti di Portofino, festeggiando alla grande in una mega villa, alla fine di luglio, ospiti di Massimiliano Lucchini, della omonima dinastia di industriali e banchieri. Vuoi vedere che da lì arriva anche qualche soldo? Il nostro è ovviamente solo un sospetto.Della partita facevano parte l'industriale Lorenzo Castello detto "il Cileno" (già vice presidente di Destra per Milano), l'industriale Moreno Pracemi di Roccabruna (uno dei titolari della Trezzi Tubi Spa di Vimodrone), Giacomo Trezzi, il responsabile nazionale dei "motociclisti" di Casa Pound (candidato alle ultime elezioni politiche al Senato, come Francone Pascucci) e Luca Repentaglia, il suo vice. Con loro anche Marco Clemente, il vero capo di Casa Pound in Lombardia, e Marchino Arioli, il segretario regionale. Eccoli quasi tutti ritratti in una bella fotografia per celebrare l’evento. Quando si dice far vita da “rivoluzionari”!
* * *
incidenze si limita a rievocare un folgorante fotomontaggio dada
di John Heartfield, [16 ottobre 1932]
giovedì 12 settembre 2013
Intervista ad Anselm Jappe: Che cosa rimane di Guy Debord
a cura di Riccardo Antonucci
A margine del convegno dal titolo “I
situazionisti: teoria, arte e politica”, tenutosi all’Università di Roma
3 lo scorso 30 maggio, abbiamo intervistato Anselm Jappe, tra i
relatori di questa giornata insieme, tra gli altri, a Mario Perniola
(1). Si è parlato della recente mostra degli archivi Debord alla
Bibliothèque Nationale de France e dell’attualità, o meglio della
feconda inattualità, dell’opera del pensatore francese.
Dopo aver partecipato al collettivo tedesco Krisis, Anselm
Jappe insegna attualmente estetica all’EHESS di Parigi, e all’Accademie
d’Arte di Frosinone e di Tours. Ha studiato a fondo la corrente
situazionista, ed è autore di numerosi articoli e volumi, in francese,
tedesco e italiano, tra cui spiccano: Crédit à mort (Paris 2011), Contro il denaro (Milano 2012) e i due importanti volumi Guy Debord (Paris 2001, ried. Roma 2013) e L’avant garde inacceptable (Paris 2004).
La prima domanda è d’obbligo: non si può parlare di Guy Debord
oggi senza menzionare la grande mostra a lui dedicata alla BNF (“Guy
Debord, un art de la guerre”), in cui sono esposti i suoi archivi
recentemente dichiarati “tesoro nazionale”. All’annuncio dell’evento, si
è subito sviluppato un dibattito tra i lettori di Debord, divisi tra
chi ha salutato positivamente la scelta e chi, invece, ha denunciato
come reazionaria la scelta di mettere Debord “in mostra”, in
contraddizione con il principio di marginalità dell’opera debordiana.
Lei come si colloca rispetto a questo evento?
Anselm Jappe – Mi
sembra una grande opportunità il fatto che gli archivi di Debord siano
ora a disposizione del pubblico. Molto peggio se fossero stati dispersi
tra diverse mani, o venduti a un collezionista privato: solo in questo
modo si poteva garantire una reale disponibilità di questo fondo.
Inoltre, penso sia un bene che lo Stato francese, invece di finanziare
un altro carro armato, abbia usato i suoi soldi per acquisire questi
archivi. Per questo mi risulta difficile comprendere il dibattito sulla
cosiddetta récupération di Debord, dal momento che ormai oggi, a
vent’anni dalla sua morte, egli è senz’altro diventato un classico, e
sarebbe molto artificiale volerlo tenere ancora in una zona di
marginalità. Quel che conta sono i contenuti della sua opera, non il
modo in cui essa viene proposta.
Del resto, Debord stesso ha sempre ricordato quanto sia stato
importante per lui, da giovane, leggere certi autori, come Baudelaire,
Apollinaire o Lautréamont. Anche questi autori erano ormai dei classici,
negli anni ’50. Non è certo questo statuto a impedire un eventuale
effetto sovversivo di un’opera.
Quale interesse può avere la mostra alla BNF per un ricercatore o
per lo studioso dell’opera di Debord? Si aprono nuove prospettive di
studio o spunti per l’attualizzazione del suo pensiero?
A. J. – La mostra offre molto materiale già noto, ma anche molte cose inedite e nuove per il ricercatore. Per esempio, una buona parte delle migliaia di schede di lettura di Debord, che ho consultato. Queste schede confermano, intanto, un dato già noto, e cioè che Debord fosse un accanito lettore, ma mostrano anche un vero e proprio lavoro certosino di ricopiatura di lunghi estratti dei libri letti, che francamente si ignorava. Inoltre, si possono trovare negli archivi molti cartoncini con note e osservazioni di vario tipo, dall’Internazionale Situazionista alla sua vita privata.
A. J. – La mostra offre molto materiale già noto, ma anche molte cose inedite e nuove per il ricercatore. Per esempio, una buona parte delle migliaia di schede di lettura di Debord, che ho consultato. Queste schede confermano, intanto, un dato già noto, e cioè che Debord fosse un accanito lettore, ma mostrano anche un vero e proprio lavoro certosino di ricopiatura di lunghi estratti dei libri letti, che francamente si ignorava. Inoltre, si possono trovare negli archivi molti cartoncini con note e osservazioni di vario tipo, dall’Internazionale Situazionista alla sua vita privata.
L’interesse principale per il ricercatore è senz’altro costituito da
questa miriade di schede di lettura, in quanto esse permettono di sapere
con certezza che cosa ha letto Debord e a che cosa si è interessato nei
vari periodi della sua vita. A volte le schede sono commentate,
soprattutto quelle stilate in vista della redazione de La società dello spettacolo,
l’opera principale di Debord, uscita nel 1967. Per esempio, per me è
stata una sorpresa scoprire che Debord lesse con molta attenzione Il dispotismo orientale
di Karl August Wittfogel, sinologo e storico tedesco-americano. Su
questo libro Debord aveva effettivamente scritto una breve nota di
lettura nella rivista «Internationale Situationniste», ma soltanto
leggendo le schede di lettura mi sono potuto rendere conto di quanto
l’opera di Wittfogel abbia inciso nell’elaborazione del concetto di
“spettacolo”. In particolare per quanto riguarda l’identificazione degli
amministratori cibernetici e burocratici della società dello spettacolo
con l’antica casta di ingegneri e preti che governavano l’Egitto e la
Mesopotamia. E penso che ci saranno molte alte sorprese in questo
archivio, di cui ho soltanto cominciato il lavoro di vagliatura.
mercoledì 11 settembre 2013
La TV cilena del giorno 11 settembre 1973
Caricato in data 10/lug/2011
Por una sociedad libre y sin
violencia ni delincuencia ,sin cadenas de drogadiccion ni
alcoholismo,contra la ignorancia y la mediocridad.
Tengo un sueño ;que es ver a la gente por las calles disfrutando con su familia, en un mundo de oportunidades e igualdad para todos ,valores y principios que Dios nos regala para vivir bajo sus consejos....."recordar es un acto de justicia" ..........(el ladron no puede robar la luz de la luna en la ventana) gracias por visitar...chelo gonzalez
Tengo un sueño ;que es ver a la gente por las calles disfrutando con su familia, en un mundo de oportunidades e igualdad para todos ,valores y principios que Dios nos regala para vivir bajo sus consejos....."recordar es un acto de justicia" ..........(el ladron no puede robar la luz de la luna en la ventana) gracias por visitar...chelo gonzalez
giovedì 5 settembre 2013
Un giorno DI FEROCE TRISTEZZA: L'11 settembre '73 di Luis Sepulveda
intervista di Filippo Fiorini - Santiago del Cile
il manifesto 2013.09.05
40 anni fa, lo
scrittore era nelle forze di sicurezza socialiste che difesero Santiago
dal golpe di Pinochet. «Quel giorno la mia gioventù finì violentemente. E
da allora il Cile non è più uscito dalla dittatura»
Quarant'anni fa iniziò la dittatura
militare in Cile. Possiamo dire che oggi tutto quello che prese il
potere in quel momento è stato superato, o ci sono ancora dei resti del
sistema nei posti di comando del paese e della società civile?Nessuno
che conosca la storia può sostenere che tutto ciò sia stato superato. A
partire dall'11 settembre '73 in Cile è stata installata una feroce
dittatura che ha eliminato qualsiasi tradizione democratica. Per quanto
imperfetta, la democrazia cilena aveva pur sempre distinto il paese come
un esempio in tutto il continente americano. Inoltre, è stato imposto
un modello economico ben preciso. Il Cile è stato il primo luogo in cui
sono state messe in pratica le politiche neo-liberali teorizzate da
Friedman e dalla Scuola di Chicago. Un esperimento che per poter
funzionare aveva bisogno di una nazione governata da un despota, senza
alcuna opposizione, senza partiti politici, senza sindacati, senza
organizzazioni sociali e con un sistema dei media completamente
asservito alla dittatura e al suo programma economico. Uno stato si
governa attraverso l'ordinamento dettato dalla propria Costituzione e
oggi, a quarant'anni di distanza dal golpe, il Cile ha ancora la stessa
Costituzione che approvò la dittatura. Una carta che ha permesso
l'esistenza non solo di una tirannia politica, ma anche di una tirannia
economica, che emargina la maggioranza delle persone, che privatizza la
sanità e l'educazione, che regala le risorse nazionali all'avidità delle
multinazionali e lo fa impunemente, al di sopra di qualsiasi meccanismo
di controllo statale, sia sul bilancio delle risorse, che sul bilancio
fiscale. Ogni paese cambia, perché il mondo è in movimento, ma in Cile
il movimento è stato circolare, ritornando inevitabilmente alla legalità
imposta dalla dittatura.
I media cileni e diverse personalità pubbliche nazionali hanno usato frequentemente nelle ultime settimane la parola «perdono». Crede che le vittime della dittatura di Pinochet siano pronte a perdonare? La società è arrivata a una riconciliazione?Il perdono è una categoria morale, si perdona o meno solamente dopo che il colpevole ha chiesto scusa. In Cile sono stati commessi crimini di stato, in nome dello stato, uno stato che però non ha mai chiesto scusa a nessuno, tanto meno alle sue vittime. Neanche chi fu direttamente responsabile, ovvero i militari e i civili che misero in piedi la dittatura, ha mai chiesto scusa a chicchessia. Stiamo parlando di più di 3mila desaparecidos e i loro famigliari, delle centinaia di migliaia di persone torturate, delle migliaia che furono obbligate all'esilio, dei milioni che rimasero esclusi dal sistema quando il disegno economico della dittatura ha liquidato l'industria nazionale e quando il «libero mercato» ha sostituito tutto il sistema produttivo con le merci importate. Per nulla di tutto questo si è mai chiesto scusa. La società cilena non si è riconciliata perché solo una società malata potrebbe riappacificarsi con coloro che eliminarono un modo di essere, di vivere e avere un progetto di vita.
I media cileni e diverse personalità pubbliche nazionali hanno usato frequentemente nelle ultime settimane la parola «perdono». Crede che le vittime della dittatura di Pinochet siano pronte a perdonare? La società è arrivata a una riconciliazione?Il perdono è una categoria morale, si perdona o meno solamente dopo che il colpevole ha chiesto scusa. In Cile sono stati commessi crimini di stato, in nome dello stato, uno stato che però non ha mai chiesto scusa a nessuno, tanto meno alle sue vittime. Neanche chi fu direttamente responsabile, ovvero i militari e i civili che misero in piedi la dittatura, ha mai chiesto scusa a chicchessia. Stiamo parlando di più di 3mila desaparecidos e i loro famigliari, delle centinaia di migliaia di persone torturate, delle migliaia che furono obbligate all'esilio, dei milioni che rimasero esclusi dal sistema quando il disegno economico della dittatura ha liquidato l'industria nazionale e quando il «libero mercato» ha sostituito tutto il sistema produttivo con le merci importate. Per nulla di tutto questo si è mai chiesto scusa. La società cilena non si è riconciliata perché solo una società malata potrebbe riappacificarsi con coloro che eliminarono un modo di essere, di vivere e avere un progetto di vita.
lunedì 12 agosto 2013
della ripresa degli studi marxiani nel mondo
Una geografia cangiante per il filosofo di Treviri
RIVISTE · L'ultimo numero del Ponte dedicato alla ripresa degli studi marxiani nel mond
Da Pechino a Parigi, da Brasilia a Mosca. Una raccolta
di saggi sul rinnovato interesse per Marx «Il Ponte», una delle poche
riviste militanti ancora esistenti nel nostro paese, ha dato alle stampe
un numero speciale dedicato all'attualità di Marx, curato da Roberto
Fineschi, Tommaso Redolfi Riva e Giovanni Sgro'.
Karl Marx 2013 - questo il titolo della raccolta (Il Ponte editore, pp. 288, euro 20) - si segnala come uno strumento importantissimo per comprendere l'odierna ricezione del pensiero marxiano. Il volume restituisce una mappa orientativa del marxismo globale, ripartita per aree geografiche, alcune di queste sconosciute a gran parte del dibattito italiano: possiamo leggervi, a titolo d'esempio, una sintesi dello stato degli studi marxiani in Russia (a firma di Alekcandr V. Buzgalin e Andrei I. Kolganov), una ricognizione interessante delle posizioni in campo nel marxismo accademico in Cina e del loro rapporto con la politica governativa (redatta da Hu Daping), un resoconto della riflessione su Marx prodotta in Brasile (secondo l'ottica di Joao Quartim Moraes). Non mancano le ricostruzioni del marxismo occidentale, con analisi relative alla situazione del marxismo in Giappone, Francia, Germania, Inghilterra e Italia, scritte da Sergio Cámara Izquierdo e Abelardo Mariña Flres, Guglielmo Carchedi, Frank Engster e Jan Hoff, Stéphane Haber, Reyuji Sasaki e Kohei Saito, oltre che dai tre curatori.
Tutti gli scritti, come nota Fineschi nelle pagine introduttive, dimostrano un interesse vivo per l'opera di Marx, specie in un momento storico contrassegnato dalla crisi del capitalismo e dall'inasprirsi delle lotte sociali. Alcuni motivi della tradizione marxista sembrano aver ritrovato cittadinanza nel dibattito odierno. All'interesse specificamente culturale per Marx non sembra però, almeno per il momento, accompagnarsi «un uso più esplicitamente politico del suo pensiero». E, in effetti, rileggendo le diverse ricognizioni proposte dal volume, è facile constatare come i diversi marxismi in campo risentano - come è giusto che sia - della propria appartenenza nazionale, che ovviamente ha conformato, secondo limitati aspetti e interessi, il dibattito e la discussione. Così, pare evidente constatare che almeno nei paesi europei la riflessione resta in qualche modo bloccata sul doppio crinale, spesso non convergente, di una considerazione storicistica dell'esperienza teorica-politica di Marx e di un'analisi logico-categoriale dei concetti messi in campo dalla sua opera; oppure risulta ferma allo scontro tra un marxismo dialettico, dunque sensibile a una logica della continuità tra Hegel e Marx, e un marxismo di stampo postoperaista, legato in qualche modo alle esperienze filosofiche franco-italiane.
Diverso, forse, il caso di paesi come la Cina, dove il perenne confronto con l'ortodossia ideologica del Partito si accompagna a una curiosità evidente per le sorti del marxismo occidentale più recente, che produce di certo curiose sinergie e letture inaspettate (la piega ontologico-esistenziale di certo marxismo cinese, ad esempio). E tutto ciò si colloca - nota ancora Fineschi - in un quadro storico che non può tener conto di una novità rilevante per gli studi marxiani: la pubblicazione della nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels, la cosiddetta seconda Mega , che ha, in alcuni casi, ribaltato molte delle acquisizioni consolidatesi in decenni di interpretazione e commento. Si pensi all'Ideologia tedesca - di cui, nel nostro poco informato paese, continuano a stamparsi edizioni «unitarie», anche di recente -, che «si è dimostrata non essere altro che una serie di articoli raccolti per un progetto di rivista poi mai realizzato e rimasti insieme, non una «opera».
La disomogeneità geografica delle ricezioni di Marx nel mondo riflette ovviamente la crisi del marxismo come strumento politico. Se ne restituisce la vitalità nei termini di approfondimento filologico e scientifico, il volume segnala però quest'inefficienza sul piano della pratica. C'è da chiedersi dunque se, in tempi di diffusione radicale della testualità e della cultura in tutti gli ambiti della realtà - con evidente svalutazione dell'una e dell'altra -, anche Marx e il marxismo siano diventati beni culturali da far rivivere solo nelle pagine di un'accademia separata dal mondo.
Esiste, forse, una deriva culturalista che rischia di rendere sterile il portato politico del marxismo, ed essa rappresenta una pericolosa forma d'integrazione nel sistema culturale del tardo capitalismo. È auspicabile, anche grazie ai nuovi strumenti bibliografici a nostra disposizione, che all'aggiornamento della teoria marxista si leghi un'autocoscienza critica della propria posizione e presenza nel mondo capitalistico: e ciò potrà essere possibile in un'ottica capace di tenere assieme le diverse realtà del marxismo, senza che queste si riducano a una sorta di corpo in frammenti incapace di ricostruire la sua originaria unità.
Karl Marx 2013 - questo il titolo della raccolta (Il Ponte editore, pp. 288, euro 20) - si segnala come uno strumento importantissimo per comprendere l'odierna ricezione del pensiero marxiano. Il volume restituisce una mappa orientativa del marxismo globale, ripartita per aree geografiche, alcune di queste sconosciute a gran parte del dibattito italiano: possiamo leggervi, a titolo d'esempio, una sintesi dello stato degli studi marxiani in Russia (a firma di Alekcandr V. Buzgalin e Andrei I. Kolganov), una ricognizione interessante delle posizioni in campo nel marxismo accademico in Cina e del loro rapporto con la politica governativa (redatta da Hu Daping), un resoconto della riflessione su Marx prodotta in Brasile (secondo l'ottica di Joao Quartim Moraes). Non mancano le ricostruzioni del marxismo occidentale, con analisi relative alla situazione del marxismo in Giappone, Francia, Germania, Inghilterra e Italia, scritte da Sergio Cámara Izquierdo e Abelardo Mariña Flres, Guglielmo Carchedi, Frank Engster e Jan Hoff, Stéphane Haber, Reyuji Sasaki e Kohei Saito, oltre che dai tre curatori.
Tutti gli scritti, come nota Fineschi nelle pagine introduttive, dimostrano un interesse vivo per l'opera di Marx, specie in un momento storico contrassegnato dalla crisi del capitalismo e dall'inasprirsi delle lotte sociali. Alcuni motivi della tradizione marxista sembrano aver ritrovato cittadinanza nel dibattito odierno. All'interesse specificamente culturale per Marx non sembra però, almeno per il momento, accompagnarsi «un uso più esplicitamente politico del suo pensiero». E, in effetti, rileggendo le diverse ricognizioni proposte dal volume, è facile constatare come i diversi marxismi in campo risentano - come è giusto che sia - della propria appartenenza nazionale, che ovviamente ha conformato, secondo limitati aspetti e interessi, il dibattito e la discussione. Così, pare evidente constatare che almeno nei paesi europei la riflessione resta in qualche modo bloccata sul doppio crinale, spesso non convergente, di una considerazione storicistica dell'esperienza teorica-politica di Marx e di un'analisi logico-categoriale dei concetti messi in campo dalla sua opera; oppure risulta ferma allo scontro tra un marxismo dialettico, dunque sensibile a una logica della continuità tra Hegel e Marx, e un marxismo di stampo postoperaista, legato in qualche modo alle esperienze filosofiche franco-italiane.
Diverso, forse, il caso di paesi come la Cina, dove il perenne confronto con l'ortodossia ideologica del Partito si accompagna a una curiosità evidente per le sorti del marxismo occidentale più recente, che produce di certo curiose sinergie e letture inaspettate (la piega ontologico-esistenziale di certo marxismo cinese, ad esempio). E tutto ciò si colloca - nota ancora Fineschi - in un quadro storico che non può tener conto di una novità rilevante per gli studi marxiani: la pubblicazione della nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels, la cosiddetta seconda Mega , che ha, in alcuni casi, ribaltato molte delle acquisizioni consolidatesi in decenni di interpretazione e commento. Si pensi all'Ideologia tedesca - di cui, nel nostro poco informato paese, continuano a stamparsi edizioni «unitarie», anche di recente -, che «si è dimostrata non essere altro che una serie di articoli raccolti per un progetto di rivista poi mai realizzato e rimasti insieme, non una «opera».
La disomogeneità geografica delle ricezioni di Marx nel mondo riflette ovviamente la crisi del marxismo come strumento politico. Se ne restituisce la vitalità nei termini di approfondimento filologico e scientifico, il volume segnala però quest'inefficienza sul piano della pratica. C'è da chiedersi dunque se, in tempi di diffusione radicale della testualità e della cultura in tutti gli ambiti della realtà - con evidente svalutazione dell'una e dell'altra -, anche Marx e il marxismo siano diventati beni culturali da far rivivere solo nelle pagine di un'accademia separata dal mondo.
Esiste, forse, una deriva culturalista che rischia di rendere sterile il portato politico del marxismo, ed essa rappresenta una pericolosa forma d'integrazione nel sistema culturale del tardo capitalismo. È auspicabile, anche grazie ai nuovi strumenti bibliografici a nostra disposizione, che all'aggiornamento della teoria marxista si leghi un'autocoscienza critica della propria posizione e presenza nel mondo capitalistico: e ciò potrà essere possibile in un'ottica capace di tenere assieme le diverse realtà del marxismo, senza che queste si riducano a una sorta di corpo in frammenti incapace di ricostruire la sua originaria unità.
Marco Gatto, il manifesto, 10 agosto 2013
fonte: Diritti Globali
mercoledì 24 luglio 2013
incontro: A partire da “Classe” di Andrea Cavalletti, 27 luglio - Magione (Perugia)
nel quadro del
Magione (Perugia)
Sabato 27 luglio
h. 15:30-19:00
Coordina: Andrea Brazzoduro
Dialogano:
Andrea Cavalletti, Christian De Vito,
Rudy Leonelli e Franco Milanesi
venerdì 12 luglio 2013
Nono SIMposio estivo di storia della conflittualità sociale 25-28 luglio 2013, Magione (Perugia)
SIMposio di storia della conflittualità sociale 13
Progetto Storie in movimento (Sim) & "Zapruder. Storie in movimento. Rivista di storia della conflittualità sociale"organizzano
il Nono SIMposio estivo di storia della conflittualità sociale
25-28 luglio 2013
Hotel “Il lago da una nuvola”
Monte del Lago, Magione (Perugia)
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Presentazione
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Il SIMposio nasce all’interno dell’associazione Storie in movimento come occasione di confronto e discussione che si affianca alla rivista «Zapruder». Esperienza originale in un panorama sempre più asfittico, il SIMposio è pensato come un laboratorio che mira a rimettere in comunicazione luoghi e soggetti diversi attraverso cui si articola la produzione del sapere storico. Liberare e far circolare i saperi in uno spazio di discussione critica comune e orizzontale: questa è la nostra scommessa politica.
Il SIMposio è immaginato in modo pluridimensionale. Durante quattro giornate affronteremo diversi snodi storiografici in una rara occasione di confronto interdisciplinare dove però l’elaborazione collettiva del sapere non è mai disgiunta dalla sua dimensione politica ma anche ludica: ci riuniremo infatti in un ambiente ideale, circondati dalla natura e con a disposizione una struttura ricettiva solitamente destinata allo svago. In questo senso, il SIMposio è un’opportunità per incontrarsi, discutere e divertirsi.
Il SIMposio di quest’anno si apre con un dialogo di respiro internazionale giocato sulla tensione fra “trasformazione” e “rivoluzione” che attraversa la pratica teorica dei movimenti femministi e lgbtqi. La sera sarà invece il momento del “sogno e combattimento” con la musica di Marco Rovelli. Nella giornata di venerdì ci concentreremo sul Novecento in due diversi dialoghi: la mattina sul tema dell’immaginario e delle immagini che ne costituiscono il tessuto, mentre il pomeriggio tematizzeremo un confronto fra nazionalismi europei. La mattina del sabato sarà dedicata alla prima edizione di un laboratorio annuale sulle fonti che inizia quest’anno con una riflessione sull’uso delle interviste nella ricerca etnografica. Il sabato si chiude con un dialogo che esplora il concetto della “classe” a partire da un recente libro di Andrea Cavalletti. La domenica, come ogni anno, ci saluteremo con un’assemblea fra tutte le persone che hanno preso parte a questa edizione del SIMposio.
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Programma
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Giovedì 25 luglio
13.30-15:00 Arrivo, registrazione e sistemazione dei/delle partecipanti
15:00-15:30 Saluti e presentazione dei lavori del SIMposio
15:30-19.00 Primo dialogo Transformations without revolution? Come femminismi e movimenti lgbtqi hanno cambiato il mondo
Introducono: Elena Petricola e Vincenza Perilli
Dialogano: Valeria Ribeiro Corossacz, Elisabetta Donini, Cesare Di Feliceantonio, Sara Garbagnoli e Pia Covre
20:00-24:00 Cena e recital musicale “Inattitudine di sogno e di combattimento” di Marco Rovelli
Venerdì 26 luglio
08:00-09:30 Colazione
09:30-13:00 Secondo dialogo Immagini/Immaginario. Per un’iconologia del presente
Introduce: Vanessa Roghi
Dialogano: Damiano Garofalo, Luca Peretti, Giorgio Vasta e Marco Rovelli
13:30-14:30 Pranzo
15:30-19:00 Terzo dialogo Nazionalismo e rivoluzione nel XX secolo. Autodeterminazione nazionale e conflitti sociali tra passato e futuro
Coordina: Paolo Perri
Dialogano: Fabio de Leonardis, Francesca Zantedeschi, Francesco Sedda, Andrea Geniola, Adriano Cirulli e Marco Laurenzano
20:00-23:30 Cena
Sabato 27 luglio
08:00-09.30 Colazione
09:30-13:00 Laboratorio sulle fonti Etnografia
Coordina: Sabrina Marchetti
Dialogano: Silvia Cristofori, Paolo De Leo e Andrea Priori
13:30-14:30 Pranzo
15:30-19:00 A partire da un libro “Classe” di Andrea Cavalletti (Boringhieri 2009)
Coordina: Andrea Brazzoduro
Dialogano: Andrea Cavalletti, Christian De Vito, Rudy Leonelli e Franco Milanesi
20:00-24.00 Grigliata (non solo carne) e a seguire festa di chiusura con musica
Domenica 28 luglio
08:00-10.30 Colazione
10:30-13:00 Assemblea finale Idee e proposte per il prossimo SIMposio
Coordina: Eros Francescangeli
Dialogano: i/le partecipanti alla nona edizione del SIMposio
13:30-14:30 Pranzo e, a seguire, partenza dei/delle partecipanti
Partecipano inoltre ai dialoghi: Stefano Agnoletto, Francesco Altamura, Luigi Ambrosi, Sandro Bellassai, Margherita Becchetti, Fabrizio Billi, Angelo Bitti, Luca Bufarale, Gino Candreva, Roberto Carocci, Salvatore Cingari, Mario Coglitore, Francesco Corsi, Emanuela Costantini, Ippolita Degli Oddi, Elena De Marchi, Beppe De Sario, Monica Di Barbora, Steven Forti, Damiano Garofalo, Paola Ghione, Chiara Giorgi, Federico Goddi, Ilaria La Fata, Antonio Lenzi, Antonella Lovecchio, Marilisa Malizia, Lidia Martin, Mauro Morbidelli, Cristina Palmieri, Chiara Pavone, Santo Peli, Cristiana Pipitone, Paolo Raspadori, Luisa Renzo, Ferruccio Ricciardi, Ilenia Rossini, Marco Scavino, Laura Schettini, Ivan Severi, Giulia Strippoli, Andrea Tappi e Andrea Ventura.
per info su: Costi e modalità d’iscrizione, leggi tutto su Storie in movimento
sabato 15 giugno 2013
Sandro Mezzadra su P. Macherey, Il soggetto produttivo. Da Foucault a Marx
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giovedì 13 giugno 2013
L'anarchia selvaggia, di Pierre Clastres - presentazione 17/6, BO
L'idea che un gruppo umano possa vivere e convivere in assenza di istituzioni di potere appare generalmente come qualcosa di inattuale, addirittura innaturale. Ed è qui che la ricerca antropologica agisce come meccanismo di disvelamento delle credenze e dei pregiudizi. Perché il potere, inteso nella sua forma di comando/oppressione e obbedienza, non è innato nell'umanità.
Pierre Clastres, antropologo eclettico e figlio intellettuale di Claude Levi-Strauss, ci racconta di comunità che vivono in una “favola”, la cui morale piomba vigorosa e differente: i personaggi non sono il braccio dello Stato, le catene delle istituzioni, il tintinnio delle monete, ma semplici individui privi di cravatta e muniti di un concetto dell'esistente diametralmente opposto a quello della società capitalista.
La loro vita non prevede alcun Dio, Stato, servi o padroni, né l'indigenza antropomorfizzata, ma solo un benessere reale e morale partorito dal rifiuto del dominio economico e politico.
Affinché la diversità non sia vittima di stereotipi e venga incorporata all'interno di una prospettiva sociale versatile,
il Collettivo Autorganizzato Volya presenta il libro
L'anarchia selvaggia – Le società senza Stato, senza fede, senza legge, senza re, edito da Eleuthera.
Di recentissima uscita, consiste in una raccolta di alcuni studi di Pierre Clastres che verranno presentati da Valerio Romitelli (Dipartimento di Storia, Culture, Civiltà, Unibo) e Rudy Leonelli (Dipartimento di Filosofia, Unibo), con la partecipazione di
Nicola Turrini, Marco Tabacchini, Elia Verzegnassi,
che hanno presentato il libro alla Biblioteca Domaschi - spazio culturale anarchico di Verona.
Lunedì 17 giugno, ore 17,00
Facoltà di Scienze Politiche
Strada Maggiore 45, Bologna
mercoledì 27 marzo 2013
Karl Marx & Klassenkämpfen : Sometime they come back
TIME: Marx’s Revenge: How Class Struggle Is Shaping the World
La vendetta di Marx. Il Time lo rivaluta:
“È stato un profeta, le sue previsioni si sono avverate”
Un lungo articolo del TIME rivaluta Karl Marx. Teorizzò i rischi del capitalismo: impoverimento e conflitti sociali
Il settimanale statunitense dedica una lunga analisi alla rivalutazione
delle teorie di Marx, da sempre osteggiate dagli Usa. “Se i politici non
praticheranno nuovi metodi per garantire eque opportunità economiche a
tutti, i lavoratori di tutto il mondo non potranno che unirsi. E Marx
potrebbe avere la sua vendetta”…
(leggi tutto su Reset Italia)
(leggi tutto su Reset Italia)
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