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giovedì 30 giugno 2011

Andrea Angelini: Foucault-Marx: una fedele trasgressione


 

Andrea Angelini

Foucault-Marx: una fedele trasgressione 

 Recensione :          
Rudy M. Leonelli (a cura di)
Foucault-Marx. Paralleli e paradossi,
Bulzoni Editore, Roma 2010


L’ossimoro del titolo sta ad indicare la difficoltà di tracciare in modo univoco e lineare le caratteristiche del rapporto tra Foucault e Marx, il modo singolare in cui prossimità e distanza si intrecciano nella loro produzione intellettuale. Ciò rende molto arduo il tentativo di definire la posizione del primo verso il secondo: continuità, rottura, fedeltà, rifiuto; sono aspetti che si sovrappongono agli occhi del lettore. Per questo motivo affrontare il parallelo tra i due grandi autori richiede cautela, la messa da parte di facili schematismi e pregiudizi, e la pazienza di confrontarsi con una impegnativa massa di scritti, sia pubblicati che d’occasione, eterogenei, alcuni a un primo sguardo contraddittori, comunque difficili da legare in un insieme coerente e unitario.

Si riscontra in modo diffuso l’ostilità verso la scolastica di partito che ha preteso monopolizzare la lettura di Marx e stabilirne la legittima e corretta applicazione, e dunque l’esigenza, da parte di Foucault, di non accorpare immediatamente Marx, marxismo e socialismo storico: «Lo stalinismo e il leninismo inorridirebbero Marx»[1]. Ma per altro verso più d’una volta Foucault esprime diffidenza verso la teoria che vorrebbe Marx o Lenin totalmente estranei alle storture, ai fraintendimenti o tradimenti che avrebbero subito nel corso del movimento storico-politico che a essi si richiamava:

[…] rifiutare di interrogare il Gulag a partire dai testi di Marx o di Lenin, domandandosi per quale errore, deviazione, mistificazione, distorsione speculativa o pratica, la teoria è potuta essere tradita a tal punto. Al contrario, interrogare tutti questi discorsi, per quanto siano datati, a partire dalla realtà del Gulag. Invece di cercare in questi testi ciò che potrebbe condannare a priori il Gulag, si tratta di chiedersi ciò che in essi l’ha permesso, che continua a giustificarlo, ciò che permette oggi di accettarne sempre l’intollerabile verità.[2]
 
Foucault fa queste affermazioni negli anni in cui in Urss si va sempre più consolidando il potere del maresciallo Brežnev, il regime della Ddr vanta il più efficiente e capillare corpo di polizia della storia, e si va facendo sempre più forte l’insofferenza del popolo polacco; cioè quando, nonostante lo strappo libertario del ’68 avesse già scosso l’Europa, vanno ancora perpetuandosi i prodotti dello stalinismo. Su di esso Foucault si sofferma continuamente negli anni ’70, manifestando quanto indispensabile gli fosse comprendere quali interrogativi, tanto politici che teorici, esso rendeva imprescindibili, dal cosa siano nel profondo, al di là di stereotipi ossificati, il potere, la resistenza, la lotta, al quesito dubbioso riguardo la «desiderabilità stessa della rivoluzione» (nella sua accezione storico-dialettica)[3].

Era ai suoi occhi divenuto ineludibile il problema della proliferazione di strutture gerarchiche, di profili governativi e modelli istituzionali in vario modo marchiati dalla violenza, cui il movimento rivoluzionario era andato incontro (persino dopo la “destalinizzazione”), in quanto non supportato da un’adeguata analisi della polimorfia del potere, delle sue incerte provenienze storiche, dei suoi complessi legami con le forme del sapere[4].

Credo che l’esperienza dello stalinismo e della stessa Cina di questi ultimi venti o trent’anni abbia reso inutilizzabili, almeno in molti dei loro aspetti, le analisi tradizionali del marxismo. In tal senso credo che non bisognerebbe affatto abbandonare il marxismo come una specie di vecchio arnese da mandare in soffitta, ma occorrerebbe essere meno fedeli alla lettera della teoria e tentare di ricollocare le analisi politiche della società attuale, più che nel quadro di una teoria coerente, sullo sfondo di una storia reale.[5]
 
Questa è una delle espressioni più pacate della seconda metà degli anni ’70 circa il marxismo in generale. Ma se nel ’78, ad esempio, Foucault si riferiva al marxismo come ad una «causa dell’impoverimento, dell’inaridimento dell’immaginazione politica» e come a «nient’altro che una modalità di potere»[6], ancora nel ’71, pur tra numerose riserve e prese di distanza, si esprimeva così: «Marx è arrivato a proporre un’analisi storica delle società capitalistiche che conserva ancora una sua validità. Ed è riuscito a fondare un movimento rivoluzionario che è, ancor oggi, il più vitale»[7].

Foucault incitava a rendersi «completamente liberi rispetto a Marx»[8], intendendo con ciò il poter interrogare senza restrizioni e inibizioni «l’insieme dei rapporti di potere […] inevitabilmente connessi» con «le tre dimensioni del marxismo, vale a dire il marxismo in quanto discorso scientifico, il marxismo in quanto profezia ed il marxismo in quanto filosofia di Stato, o ideologia di classe»[9], ma ben sapendo quanto «sia necessario distinguere Marx, da un lato, e il marxismo, dall’altro»: «Non mi pare sia assolutamente in questione il fatto di farla finita con Marx stesso»[10].

Foucault ha poi sempre rifiutato l’idea di potersi o doversi rifare ad un «vero e autentico Marx», l’ostinazione a riconoscervi «un depositario fondamentale di verità»[11]. Ha riservato anche a lui quel “saccheggio interessato” finalizzato a far propri certi concetti, certi potenziali critici e analitici, al di fuori di una lettura storiografica volta a ricostruire il profilo complessivo dell’autore (ciò che sappiamo essere per Foucault al tempo stesso una funzione e una finzione). Una lettura dunque molteplice e mirata, destinata al riutilizzo e all’impiego spostato più che al commento.

A distanza di cinque anni dal convegno svoltosi a Bologna il 24 novembre 2005, “Foucault, Marx, marxismi”, diviene disponibile il contributo di insigni studiosi – arricchito inoltre da un’interessante intervista a Étienne Balibar, da cui il volume mutua il titolo – su questo tema molto delicato. Nel passato dibattito filosofico-politico, tanto francese quanto italiano, esso era stato spesso affrontato attraverso accese polemiche e prese di posizione nette, dunque impedendo un confronto sereno e misurato come quello che questa breve raccolta di interventi ha invece il merito di presentare.

... continua:
articolo completo in materiali foucaultiani >>

mercoledì 2 marzo 2011

Louis Althusser - una filosofia esiste solo nella sua differenza conflittuale

 Anzitutto cominciai a praticare sugli autori del XVIII secolo quel détour teorico che mi pare indispensabile non soltanto per l’intelligenza di una filosofia, ma per la sua esistenza.

Perché una filosofia non viene al mondo come Minerva nella società degli dèi e degli uomini. Essa esiste solo per la posizione che occupa, e occupa questa posizione solo conquistandola nello spazio pieno di un mondo già occupato. Essa esiste dunque solo nella sua differenza conflittuale, e questa differenza può conquistarla e imporla solo attraverso il détour di un incessante lavoro sulle posizioni esistenti.

lunedì 24 gennaio 2011

Su "Foucault - Marx", una scheda di G. Panella

Giuseppe Panella

in
L'indice dei libri del mese
Gennaio 2011. Anno XXIII - N.1
[sezione Schede - Filosofia] p. 43


Foucault-Marx. Paralleli e paradossi
a cura di
Rudy M. Leonelli
pp. 146,
€ 13
Bulzoni, Roma 2010




Frutto di una giornata di studi svoltasi nel novembre 2005, il volume fa il punto su una delle questioni più complesse nell'ambito del giudizio che oggi si può dare sul percorso politico e
culturale di Michel Foucault: il rapporto del pensatore francese con Marx e i marxismi.

Troppo presto condannato dai marxisti di stretta osservanza come una sorta di Anti-Marx, l'autore di Sorvegliare e punire, è stato spesso etichettato come un critico della proposta marxiana che avrebbe voluto liberasi della della sua pesante ipoteca per trasferirne in altri campi di osservazione e di studio il possibile oggetto di riflessione: Oltre Marx, in sostanza e in nome di una nuova pratica di analisi delle contraddizioni della società.

I corsi tenuti al Collège de France dal 1976 fino alla scomparsa nel 1984 dimostrano, in realtà, il contrario, ed è merito della ricerca di Leonelli averlo acclarato anche da un punto di vista testuale. Ma, al proposito, la testimonianza di Étienne Balibar (di cui il volume traduce un'importante intervista del 2004), i saggi di Stefano Catucci, Guglielmo Forni Rosa, Marco Enrico Giacomelli, Manlio Iofrida e anche certe prese di posizione più caute di Albero Burgio confermano la fecondità di un rapporto che non può essere liquidato come laterale o accessorio.

In una prospettiva anche pi ampia di quanto il titolo promette, l'opera di Foucault viene analizzata nella dimensione intellettuale degli anni giovanili, nel suo rapporto con i temi cardinali del Capitale di Marx, nella prospettiva di una possibile relazione con l'operaismo italiano, nel suo destino di "filosofia europea"
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Ne viene fuori una ricostruzione ricca di implicazioni future per il giudizio su chi è stato uno degli intellettuali più significativi nell'ambito della cultura francese contemporanea.




Giuseppe Panella

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mercoledì 5 gennaio 2011

"Scomodare Marx": la Fiat, le tendenze storiche che muovono il capitalismo del nostro tempo

Gli operai, la Fiat e il Pd
Piero Bevilacqua
il manifesto, 4 gennaio 2011

Per comprendere meglio ciò che accade a Mirafiori e a Pomigliano è necessario affondare lo sguardo nelle tendenze storiche che muovono il capitalismo del nostro tempo. E bisogna scomodare Marx. Egli aveva colto come “legge fondamentale dell'accumulazione capitalistica” una tendenza già evidente ai suoi tempi e oggi conclamata : «Dato che la massa di lavoro vivo impiegato diminuisce costantemente in rapporto alla massa di lavoro oggettivato da essa messo in movimento (cioé ai mezzi di produzione...) anche la parte di questo lavoro vivo che non è pagato e si oggettiva nel plusvalore, dovrà essere in proporzione costantemente decrescente rispetto al valore del capitale complessivo impiegato”.
Nel corso del suo sviluppo, dunque, il capitalismo riduce costantemente la quota di lavoro per unità di prodotto, cercando di sfuggire alla caduta tendenziale del saggio di profitto e di sostenere la competizione. Quella competizione che oggi esso stesso si fa delocalizzando parte delle sue imprese nei paesi a bassi salari. Ma il capitale che espelle lavoro cerca di sfruttare più intensivamente quello che impiega, perché più ridotta diventa nel frattempo la quota da cui può estrarre plusvalore. André Gorz ha riassunto lapidariamente questa attuale contraddizione del capitale in cui i lavoratori vengono stritolati: «più la quantità di lavoro per una produzione data diminuisce, più il valore prodotto per lavoratore – la sua produttività – deve aumentare affinché la massa del profitto realizzabile non diminuisca. Si ha dunque questo apparente paradosso per cui più la produttività aumenta, più è necessario che aumenti ancora per evitare che il volume del profitto diminuisca.

La corsa alla produttività tende così ad accelerarsi, gli impiegati effettivi a essere ridotti, la pressione sul personale a inasprirsi, il livello e la massa dei salariati a diminuire». E in questa morsa oggi, letteralmente, si soffoca. Chi ha la pazienza di leggersi la grande inchiesta della Fiom del 2008, condotta su un questionario cui hanno risposto 100 mila lavoratrici e lavoratori, può farsene un'idea.


Siamo dunque giunti a una fase storica nella quale o noi costringiamo il capitalismo a cambiare il suo modello di accumulazione, o esso trascinerà l'intera società industriale nella barbarie. Non è un'espressione di maniera. Non è uno slogan. Chi oggi, anche in buona fede, difende il nuovo contratto imposto da Marchionne, crede che il cedimento sia accettabile come un compromesso temporaneo, dovuto alla crisi in atto e ai vincoli della competizione mondiale. E' un gravissimo errore. Questa idea fa parte di una campagna pubblicitaria che punta a far arretrare ulteriormente i rapporti di classe con un argomento puramente propagandistico: oggi occorre tirare la cinghia per poter ritornare allo splendore di prima. Ma prima il cielo era davvero così splendido? Che questa sia una menzogna è possibile illustrarlo con una semplice analisi storica, con fatti scientificamente verificabili ... 

 continua  >> 

giovedì 9 dicembre 2010

Incontro Foucault-Marx . Firenze, 13 dicembre 2010


Gruppo Quinto Alto - Laboratorio nuova buonarroti


Gli spazi della parola - incontri di filosofia e letteratura

LUNEDÌ 13 DICEMBRE, ore 16.30
Biblioteca delle OBLATE, I piano, s
ala letteratura (scala B)
via dell'Oriuolo 26, Firenze


III incontro di
L’ANGOLO DI LETTURA
Conversazioni muovendo da




Foucault-Marx. Paralleli e paradossi
Bulzoni, Roma 2010
a cura di Rudy M. LEONELLI


intervengono col curatore
Stefano BERNI, Giuseppe PANELLA e Giovanni SPENA


ingresso libero




Prossimi incontri di L’ANGOLO DI LETTURA, dall’8 NOVEMBRE 2010 al 20 MAGGIO 2011, Biblioteca delle Oblate, 1° piano:
  • LUNEDÌ 10 GENNAIO, ore 16,30 Le «officine filosofiche» oggi: una ricerca / rivista, intervengono Stefano BERNI, Silvano CACCIARI, Ubaldo FADINI e Stefano RIGHETTI

  • LUNEDÌ 17 GENNAIO, ore 16,30 Paolo GODANI, La sartoria di Proust. Estetica e costruzione nella «Recherche» (ETS, 2010) e Marco PIAZZA, Redimere Proust. Walter Benjamin e il suo segnavia, (Le Càriti, 2009), interviene, con gli autori, Ubaldo FADINI

  • LUNEDÌ 14 MARZO, ore 16,30 Per una festa dell'immaginazione: rileggere Raymond ROUSSEL, intervengono Gianni BROI e Ubaldo FADINI. Letture di Caroline GALLOIS

  • LUNEDÌ 2 MAGGIO, ore 16,30 Il turbamento e la scrittura, a cura di Giulio Ferroni (Donzelli, 2010), intervengono Paola ITALIA e Katia ROSSI

  • LUNEDÌ 9 MAGGIO, ore 16,30 Tommaso TARANI, Il velo e la morte. Saggio su Leopardi (Bulzoni, 2010), intervengono, insieme all'autore, Vittorio BIAGINI e Andrea SARTINI

  • VENERDÌ 20 MAGGIO, ore 21 Alessio SCARLATO, 20 gennaio 1942. Auschwitz e l'estetica della testimonianza (NEU, 2009), intervengono, insieme all'autore, Massimo BALDI e Katia ROSSI

Gruppo Quinto Alto
quintoalto@gmail.com


martedì 16 novembre 2010

Seminario «Foucault e Marx»

«Io cito Marx senza dirlo, senza mettere le virgolette, e poiché la gente non è capace di riconoscere i testi di Marx, passo per essere colui che non lo cita. Un fisico, quando lavora in fisica, prova forse il bisogno di citare Newton o Einstein? Li usa, ma non ha bisogno di virgolette, di note a piè di pagina o di un’approvazione elogiativa che provi fino a che punto è fedele al pensiero del Maestro. E poiché gli altri fisici sanno quel che ha fatto Einstein, quel che ha inventato, dimostrato, lo riconoscono subito. È impossibile fare storia oggi senza usare una sequela di concetti legati direttamente o indirettamente al pensiero di Marx e senza porsi in un orizzonte che è stato descritto e definito da Marx. Al limite, ci si potrebbe chiedere che differenza ci sia tra essere storico e essere marxista»

Michel Foucault
"Entretien sur la prison : le livre et sa méthode", 1975
tr. it. in Microfisica del potere, 1977, p. 134

*  *   *
Rudy M. Leonelli
Seminario
Foucault e Marx
per il corso del prof. Alberto Burgio
0442 - Storia della filosofia contemporanea
Università degli Studi di Bologna
Dipartimento di Filosofia
A. A. 2010 - 2011


Il seminario si propone di delucidare il rapporto forte intrattenuto dalle ricerche di Michel Foucault con concetti ed analisi di Marx, segnatamente nel campo del sapere storico-politico moderno, soffermandosi su diversi luoghi strategici delle opere dei due filosofi-storici e sull’incessante ripensamento – non esente da rettifiche, spostamenti, specificazioni – di Foucault intorno ai suoi rapporti con Marx.
In questa prospettiva il Corso al Collège de France del 1976 “Bisogna difendere la società” assume un’importanza decisiva: è qui che Foucault esplora il complesso e conflittuale processo di formazione del sapere storico-politico moderno, a partire dal riconoscimento tributato da Marx agli storici francesi della Restaurazione, per analizzare poi le posteriori e divergenti trasformazioni di questo sapere, nel cui campo si iscrive la stessa genealogia di Foucault.
Lungo l’asse di questa dimensione riflessiva considereremo inoltre diversi brani di autori (in prevalenza marxisti) che – dopo Marx e prima del Corso del 1976 – hanno trattato la questione del paradossale emergere della storiografia moderna.e/o dell’interpretazione della storia in termini di lotta di classe come radicale e inattesa trasformazione dell’antica guerra delle “razze”.

Orario e sede del seminario: giovedì, ore 11-13, via Centotrecento 18, aula D
Data di inizio: giovedì 18 novembre 2010

__________________________
Comunicazioni
per i/le frequentanti:

* Il seminario,integrativo del corso di Storia della filosofia contemporanea del Prof. A. Burgio, è opzionale.
Per chi sceglie di includere nell'esame i temi affrontati nel seminario, è prevista una riduzione dei testi della bibliografia d'esame.
Per informazioni più dettagliate rivolgersi al dott. Leonelli.
* Parti integranti di testi discussi al seminario sono disponibili presso la Copisteria Centotrecento, via Centotrecento 19/b, Bologna
Aggiornamenti calendario:
Come comunicato a chi era presente alla scorsa giornata,
il seminario "Foucault e Marx"
NON si terrà giovedì 23 dicembre,

e riprenderà giovedì 13 gennaio 2011,

* * *
Il seminario si concluderà
giovedì 20 gennaio
(ore 11-13 aula D)
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lunedì 8 novembre 2010

Foucault-Marx. Paralleli e paradossi - Presentazione a Bologna 12 nov. 2010



FOUCAULT-MARX PARALLELI E PARADOSSI
a cura di Rudy M. Leonelli
Bulzoni Editore, 2010



Venerdì 12 novembre
ore 18

Libreria delle Moline
Via delle Moline, 3/A
Bologna
tel.: 051 23 20 53




Ne parlano:

Andrea Cavalletti
Università IUAV di Venezia
Manlio Iofrida
Dipartimento di Filosofia, Università di Bologna
Giuseppe Panella
Scuola Normale Superiore di Pisa
Rudy M. Leonelli
Dipartimento di Filosofia, Università di Bologna.


Qui si tratta del buon uso che riusciamo a fare di quanto è contenuto nelle riflessioni di Foucault, Marx, Gramsci,sulla natura ambigua e contraddittoria del potere,che è contemporaneamente sia dominio, sia egemonia, attraversando il pensiero politico della modernità, ma anche del rapporto stretto tra cultura e democrazia, dell’intreccio tra potere e sapere, che ha percorso in molteplici direzioni la profonda riflessione del nostro tempo nei testi di suoi protagonisti, quali Nietzsche, Heidegger, Freud, Breton, Sartre, Bataille, Blanchot, Canguilhem, per esempio, ma anche il poeta René Char, dell’immaginazione, del pensiero, del possibile.

Da interventi presentati e discussi all’incontro: Foucault, Marx, marxismi organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna presso la Scuola Superiore di Studi Umanistici, il volume raccoglie sei saggi:

Alberto Burgio, La passione per la critica.
Stefano Catucci, Essere giusti con Marx.
Guglielmo Forni Rosa, Note sul rapporto Foucault-Marx. A proposito di “Difendere la società”.
Marco Enrico Giacomelli, Ascendenze e discendenze foucaultiane in Italia. Dall’operaismo italiano al futuro.
Manlio Iofrida, Marxismo e comunismo in Francia negli anni ’50. Qualche appunto sul primo Foucault.
Rudy M. Leonelli, L’arma del sapere. Storia e potere tra Foucault e Marx.

Il volume è arricchito da un contributo di Étienne Balibar.


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domenica 17 ottobre 2010

Roberta Cavicchioli su "Foucault-Marx" [per Recensioni Filosofiche]

Leonelli, Rudy (a cura di)
Foucault-Marx. Paralleli e Paradossi.
Roma, Bulzoni, 2010, pp. 146, € 13,00, ISBN 9788878704763

Recensione di Roberta Cavicchioli

in Recensioni Filosofiche,
Numero 53 -
nuova serie - ottobre 2010

Il volume collettaneo, Foucault-Marx. Paralleli e paradossi, sviluppa e ordina gli spunti scaturiti da una giornata di lavori dedicata a Foucault, Marx, marxismi, ospitata dalla Scuola Superiore di Studi Umanistici di Bologna, cinque anni or sono.
Decisi ad esplorare le possibilità di dialogo, contatto e contaminazione fra due approcci critici alla società che si implicano vicendevolmente e, tuttavia, non riescono a sottrarsi a un confronto animato, i sei relatori hanno deciso di riorganizzare i loro interventi. Ad essi si è poi aggiunto un settimo sodale, Etienne Balibar, che, condividendo le premesse dell’impresa, ha messo a disposizione la versione integrale dell'intervista rilasciata a l’Humanité nel ventennale della morte di Michel Foucault .
Come si inferisce facilmente dal contesto, l’oggetto dell'indagine condotta è il rapporto del filosofo francese con l'eredità marxiana, quell'eredità ingombrante che, sovente e con accenti polemici, Foucault lamentava di aver trascurato per dedicarsi a problemi "più cogenti"- un'eredità che trova nella riflessione foucaultiana interpretazioni originali ed esiti sorprendenti.
L'indicazione contenuta nel titolo è forte: non si vuole innescare il gioco delle appartenenze e fare di Foucault un nipote più o meno devoto. Contrastando il persistere di una storia delle idee che tende a produrre un’uniformità fittizia fra gli autori, si cercano le somiglianze di famiglia proprio nella discontinuità e nelle rotture. Il tentativo riesce, almeno nella misura in cui fornisce al lettore uno spaccato della storia dei movimenti culturali afferenti alla Sinistra; riapre problemi interpretativi non secondari circa la ricezione dell’insegnamento marxiano; chiama in causa autori come Gramsci, Lukács, Sartre, Althusser, uscendo dalla logica segregante di un soliloquio di Foucault su Marx.
Eloquente la premessa del curatore, Rudy Leonelli, che, prese le distanze da un'ermeneutica di maniera, invita a procedere per paralleli e paradossi, rintracciando nell'opera foucaultiana i temi e i problemi posti dalla teorizzazione marxiana e marxista, senza omissioni. Esprimendo una posizione non condivisa dalla totalità dei redattori, Leonelli sostiene che Foucault abbia riattivato i percorsi di ricerca marxiani nel senso della “generalizzazione”. Con generalizzazione si allude alla dislocazione di un sapere dal suo contesto di nascita, al quale è inizialmente incorporato, a un altro: rintracciarne esempi probanti, mette in campo una “genealogia della genealogia” e impone di restituire la parola ai testi. Una feconda circolazione di concetti che coinvolge le nozioni di produzione materiale e simbolica, controllo, dominazione, lotta - per citare solo alcune delle anticipazioni marxiane che incontrano in Foucault un’evoluzione sorprendente.
Colpiva Foucault la concezione della guerra come economia generale di armati e non armati: non è un caso che nella costruzione del mito della battaglia perpetua, su cui si diffonde nel corso del 1976, individui la condizione di emergenza di un immaginario politico moderno che fa la sua comparsa nel discorso dei Levellers per trovare una sistematizzazione negli storici della Restaurazione, Thierry e Guizot dai quali lo stesso Marx avrebbe mutuato la categoria della lotta di classe.
Orienta l’analisi degli autori la certezza paradossale che Foucault possa insegnare molto su Marx, naturalmente a patto che si esca dall’alternativa di una micropolitica cripto o anti-marxista. Ed è vero il contrario: il confronto con la tradizione marxista permette di cogliere elementi importanti della strategia politica foucaultiana.
Ne è certo Balibar che, già nel suo La paura delle Masse, (1997), aveva individuato in Marx e Foucault i due maggiori esponenti della politica della trasformazione delle strutture di potere/dominazione. Valutazione, questa, che trova supporto in un esame non superficiale della riflessione marxiana; riducendo il marxismo alla sussunzione dell’individuo nella massa, se ne perde completamente la valenza emancipatoria, l’afflato libertario soffocato nelle epifanie del totalitarismo. Recuperando questa profondità, si arriva a ricomporre la frattura fra la teoria macropolitica delle strutture collettive avanzata da Marx e il pensiero micropolitico, espressione di un individualismo libertario che in Foucault è mitigato dall’influenza esercitata dalla ricerca sociologica.
Alberto Burgio ravvisa nel concetto di contropotere l’elemento che accomuna Foucault a Marx; la collettivizzazione delle resistenze individuali ribadisce la necessità di “non essere governati”, formulata alla “Société française de philosophie” il 27 maggio 1978. È in particolare nei suoi studi in ambito psichiatrico che Foucault arriva a cogliere il rapporto fra la funzione strutturante del modo di produzione e l’emergere di forme di soggettivazione resistenti o alternative all’interno di uno script definito dal potere, mostrando un'evidente prossimità con il metodo marxiano; riconoscere tale prossimità significa, nuovamente, sottrarre Marx a una lettura deterministica ed economicistica. Elargisce tale indicazione di percorso lo stesso Foucault, che abbandona una concezione appropriativa del potere per definirlo in rapporto alla guidance, una capacità di indirizzo essenziale all’integrazione dei subalterni nei disegni delle classi dirigenti, in cui si avverte anche il riferimento all’opera del grandissimo Antonio Gramsci.
Per valutare la sua ricezione al di fuori di una cornice ideologica, Stefano Catucci chiede di “essere giusti con Marx” (p. 45), cui dobbiamo il linguaggio che ancora struttura la nostra riflessione sui rapporti di potere. Opportuna la sua affermazione che mette subito in chiaro le cose: in Marx, Foucault ama il filosofo dell'attualità, il critico implacabile di Ricardo, Smith e Say. Il suo omaggio si arresta dinnanzi all’utopia antropologica di marca ottocentesca, al materialismo dialettico che si autorappresenta, quale scienza esatta. Se a più riprese celebra in Marx l’instauratore di una nuova discorsività, la pietra angolare della scienze storiche, Foucault contesta al marxismo di non saper progettare una reale trasformazione degli apparati statali, trasformazione che richiederebbe di aver compreso come al di sotto dei dispositivi istituzionali ne agiscano altri infimi, quotidiani, che non vengono toccati dalle rivoluzioni e dagli avvicendamenti interni al Palazzo d’Inverno.
L’ammirazione di Foucault si applica piuttosto al materialismo storico, quale interpretazione della storia che considera determinante il modo di produzione, e mira al rinnovamento della vita materiale. Pretendendo alla scientificità, il marxismo si fa parte dei dispositivi di normalizzazione, diventa monopolio dell'Accademia, dei partiti, dello Stato. Tale l’impressione di Guglielmo Forni Rosa che tiene a sottolineare come l’atteggiamento di Foucault rispetto all’opera marxiana risenta dell’eterogeneità del panorama dei marxismi a lui contemporanei, restii al dialogo o antagonisti fra loro, (p.61: “Bisogna distinguere il comunismo francese e internazionale degli anni Cinquanta, gli incroci esistenzialisti di marxismo e fenomenologia husserliana, il materialismo storico e dialettico, con tutti i tentativi di costruire una filosofia della storia, un'evoluzione lineare per grandi momenti storici, estranea al pensiero di Marx”). Un antagonismo che si proietta all’esterno, perché l’egemonia delle correnti marxiste non imbavaglia le tante anime presenti nella Sinistra: socialisti, libertari, personalisti, in quegli anni, si fanno estensori di sperimentazioni autonome.
In quel solco, Manlio Iofrida schizza il ritratto di un Foucault giovane, combattuto fra la psichiatria fenomenologica di Binswanger influenzata da Heidegger, e il polo rappresentato dal marxismo ortodosso del PCF. Un’oscillazione che si palesa nelle due opere giovanili pubblicate nel 1954, Maladie mentale et psychologie, in cui si respira l'influenza del contrastato maestro Althusser, e Introduzione a Sogno ed esistenza dello stesso Binswanger, in cui si avverte il suo legame con la tradizione tedesca mediata dall'esperienza surrealista. Non è un caso che del surrealismo Foucault salvi proprio il poeta René Char, leggenda della Resistenza, cui tributava un'ammirazione incondizionata, anche per la sua contestatissima amicizia con Heidegger.
Offre un ottimo esempio della ricchezza di un’interpretazione posizionale e non dogmatica, Marco Enrico Giacomelli, deciso a mostrare le intersezioni fra la lezione foucaultiana e l'operaismo italiano. Il riferimento culturale è all’esperienza della con-ricerca di Danilo Montaldi, agli interventi di Raniero Panzieri, all’opera di Tronti e Alquati che porranno le basi per la ricezione di Foucault, anche elaborando alcune categorie analitiche originali atte ad interpretare, nel segno del dominio diffuso e individualizzato, le trasformazioni della società italiana, al culmine del suo processo di industrializzazione. Sulle pagine di “Quaderni Rossi” e “Classe operaia” riecheggiano molti temi contigui al pensiero micro-politico. Prova di tale sensibilità una significativa ricezione dell’opera foucaultiana, letta e discussa nei circoli e sulle pagine delle riviste o magari tradotta, come nel caso della versione italiana di Microfisica del potere, pubblicata già nel 1977.
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martedì 10 agosto 2010

Marx lo scienziato impaziente di rivoltare il mondo



Marx lo scienziato impaziente
di rivoltare il mondo

Tonino Bucci, per Liberazione, 20.07.2010





Nicolao Merker, Karl Marx Vita e opere
Laterza, 2010

«Un tipaccio nero imperversa pieno di furore, come se volesse afferrare l’ampia volta celeste e tirarla sulla Terra». Cimentandosi con un poemetto satirico Friedrich Engels tratteggiava con questi rapidi, ma efficaci versi un giovane studente di filosofia, uno dei tanti hegeliani di sinistra che allora –siamo all’incirca nel 1841 – circolavano per l’università di Berlino, capitale di una Prussia autocratica e in pieno clima di Restaurazione. Il nome di quello studente era Karl Marx. Tra lui ed Engels – rampollo di una famiglia di industriali tessili, arrivato nella capitale prussiana per il servizio militare – non si era ancora stabilito il celebre sodalizio di amicizia e di idee che sarebbe durato una vita. Eppure quelle parole dettate da un innocente esercizio d’ironia non si sarebbero rivelate del tutto fuori luogo. Una certa brama di rivoltare il mondo, un certo titanismo di derivazione romantica, quel giovane studente li avrebbe mantenuti anche negli anni a venire della sua esistenza.
Del resto, intere generazioni di lettori e studiosi marxisti hanno ritenuto di dover distinguere tra un Marx scienziato e un Marx politico: l’uno, autore di sobrie analisi economiche, meticoloso fino all’eccesso, ossessivo nella raccolta di fonti e documenti; l’altro, impetuoso e impaziente di passare ai fatti, frettoloso di vedere nella propria epoca i segni premonitori della nuova società post-borghese al punto da scorgere in ogni insurrezione l’inizio della rivoluzione proletaria. Il più delle volte, questa distinzione ha avuto la funzione di far giocare un Marx contro l’altro, con l’implicito presupposto che un pensiero possa farsi scienza solo a condizione di tener lontana ogni commistione con la politica. Non è il caso, questo, della nuova biografia su Marx – era da tanto che non se ne vedevano qui in Italia a differenza che in altri paesi – appena uscita in libreria a firma di Nicolao Merker, Karl Marx. Vita e opere (edizioni Laterza, pp. 268, euro 18). Di primo acchito si potrebbe restare sorpresi che a distanza di quasi centotrenta anni dalla morte (avvenuta l’11 gennaio 1883) ci sia ancora di che scrivere sulla vita di Marx. Dalla fine dell’Ottocento in poi il suo nome è circolato nei movimenti operai di ogni paese del mondo. Sindacati, partiti, interi Stati si sono appropriati a torto o a ragione di Marx, cercando nel suo pensiero una fonte di legittimazione. Una quantità indescrivibile di pubblicazioni si è accumulata nel tempo, gran parte delle quali però dedicate alla dottrina. «Molto minore fortuna – scrive Merker – ha avuto l’interesse per l’uomo. Le buone biografie di Karl si sono sempre contate sulle punte delle dita», mentre «i “teorici del marxismo” (o chi presumeva si esserlo, o comunque si occupava del Marx della “teoria”) erano moltitudine». Marx, questo sconosciuto, poteva dire lo storico Maximilien Rubel, quando ben altra era la circolazione del suo nome, a maggior ragione lo si può dire all’inizio del XXI secolo. «Oggi spesso, riguardo alle cose attendibili su di lui, Marx sembra diventato un parente dell’uomo di Neanderthal». Non che manchino lavori attendibili, Merker ne cita alcuni: ad esempio il Karl Marx. Storia della sua vita del 1918, a firma del socialdemocratico Franz Mehring, il primo ad essere «sganciato da limiti tattici di partito» e ad aver consultato documenti inediti, soprattutto il carteggio con Engels, seguito da Blumenberg, Nikolajevsky e Maenchen-Helfen, Rubel, Friedenthal, fino a Berlin e McLellan, tutti ormai diventati a modo loro dei “classici”.
Una biografia non è solo una collezione di fatti privati o una ricerca di aneddoti che ancora attendono d’essere raccontati da qualcuno. Né, peggio ancora, una “psicografia”, un viaggio senza capo né coda, senza metodo, nella psicologia e nel carattere dell’uomo Marx. Non è tutto il privato di Marx che conta, ma quelle vicende che nella sua biografia e nei suoi scritti spiccano come segni evidenziali. Che Marx abbia fatto un figlio con la domestica di casa o che sia stato eterno debitore di denaro all’amico Engels sono tratti casuali. Altri eventi della sua vita, invece, testimoniano di come le teorie marxiane nascano e si sviluppino come risposta originale alle grandi sollecitazioni culturali della sua epoca.
Fin dalle avventure giovanili all’università – prima a Bonn, poi a Berlino dove finirà a studiare filosofia contro la volontà paterna di fame un laureato in giurisprudenza – per proseguire nelle prime esperienze di giornalista politico alla Gazzetta Renana, sotto il segno di un democraticismo radicale, Merker restituisce l’immagine di un Marx assillato dall’idea di fare della filosofia una scienza rigorosa dei fatti, al punto da scrivere: «Desideriamo costruire esclusivamente su dati di fatto e ci sforziamo, per quanto è in noi, di sollevare solo i fatti a una significazione generale». Anche la resa dei conti con Hegel, della cui filosofia Marx è negli anni universitari un seguace, avviene in nome della ricerca di una scienza dei fatti che non andasse a discapito dei fatti medesimi. Di una scienza capace di leggere i fatti non attraverso interpretazioni costruite indipendentemente dai dati e, successivamente, a questi sovrapposte. «Marx rintracciò i difetti di Hegel partendo dal modo in cui il filosofo aveva mediato i fatti, ossia il molteplice concreto. Dall’incapacità hegeliana e idealistica in genere di spiegare i fatti, Marx concluse che le deduzioni speculative, mancano di funzionalità conoscitiva». La filosofia hegeliana aveva trattato l’uomo reale, i fenomeni della vita reale, la società e lo Stato come estrinsecazioni dell’Idea, come tappe di una narrazione logica: a prezzo, però, di dover “riempire” l’Idea, forma vuota, «con contenuti empirici senza però filtrarli attraverso un’adeguata analisi critica». Anche il Marx talvolta più attaccato dai suoi critici, quello autore nel 1846 – assieme a Engels – dell’Ideologia tedesca, un manoscritto che uscì in edizione postuma solo nel 1932, è a giudizio di Merker un Marx impegnato in una lotta senza quartiere contro le distorsioni ideologiche della realtà. Dove altri interpreti marxisti hanno visto all’opera un materialismo esasperato, un’esaltazione dell’homo faber e dell’attività materiale a discapito della teoria – liquidata a semplice riflesso capovolto della realtà – Merker descrive Marx ed Engels come due autori tutt’altro che inconsapevoli dell’importanza delle ideologie nella storia, tutt’altro che ignari della «complessità delle griglie attraverso cui la realtà giunge alla coscienza». C’è da tener presente che la ricerca di una conoscenza scientifica della realtà va di pari passo con la polemica contro quelle che a Marx ed Engels, nel panorama dei giovani hegeliani di sinistra appaiono fantasie individuali, fughe nell’individualismo anarchico se non recrudescenze irrazionalistiche. Del resto, il materialismo cui i due approdano, è ormai un congegno più raffinato di quel che si pensi. «La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva – scrive Marx nelle Tesi su Feuerbach – non è questione teoretica bensì una questione pratica», essendo nella prassi che «l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere del suo pensiero».
Non distorcere la realtà, non anteporre i propri desideri allo studio scientifico dei fatti, non limitarsi a denunce moralistiche diventa il leit motiv nella polemica di Marx contro i socialisti utopisti conosciuti nell’esilio in Francia, primo fra tutti Proudhon. Nonostante il fallimento delle rivoluzioni democratiche del 1848, nonostante i patimenti e la miseria che l’esule Marx conosce negli oltre due decenni di soggiorno a Londra, questo richiamo a una conoscenza scientifica e a un metodo rigoroso non verrà mai meno. È però, questo, il nodo sul quale si è innestata la leggenda di un Marx affetto da economicismo, che si concentra nello studio dell’economia capitalistica, disinteressandosi del tutto della politica e di ciò che accade al di fuori della fabbrica. Emerge, invece, un autore consapevole della differenza tra il momento puramente economico, di quando, ad esempio, si cerca di «costringere i singoli capitalisti in singole fabbriche o anche in singole officine tramite scioperi ecc. a concedere una diminuzione dell’orario di lavoro», e il movimento politico «per la conquista di una legge per le otto ore». Anche se più rarefatto rispetto allo “scienziato”, il Marx politico emerge in momenti cruciali, per esempio quando sotto la pressione degli eventi si accinge a riconoscere nella Comune di Parigi del 1871, nata da un’insurrezione, il primo esempio di governo della classe operaia. Così come non mancano gli accenni a una teoria dello Stato, per quanto frammentata in scritti di varia natura. Però è proprio nelle riflessioni politiche che emerge un dissidio interiore di Marx, per un verso incline da scienziato a parlare di strutture e tempi lunghi, per nulla disposto a lanciarsi da futurologo in ricette per la società futura; e dall’altra però disposto in certi passaggi epocali a scommettere sull’accelerazione della storia, come se la rivoluzione proletaria fosse dietro l’angolo, anche quando, come nel caso dei comunardi parigini, mancava del tutto una classe operaia capace di agire su scala nazionale. «In Marx l’utopia, in realtà, non stava in primo piano. Negli accenti utopici, quando c’erano, si esprimeva il desiderio che le teorie dell’emancipazione si avverassero in un futuro ancora visibile; e venivano quasi regolarmente bloccati non appena subentravano la analisi scientifiche».
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martedì 6 luglio 2010

Pierre Macherey : présentation de l’ouvrage d’Étienne Balibar “Violence et civilité”



Étienne Balibar – Violence et civilité
(éd. Galilée, 2010).

« Violence et Civilité » : cet intitulé est modelé selon une découpe dont le type peut être dit « moderne » - on n’en retrouverait aucun équivalent dans l’antiquité ou à l’époque classique –, dont l’un des premiers exemples, dans le domaine de la philosophie, serait peut-être fourni par le texte de Hegel « Foi et savoir » ; pour s’en tenir à ce domaine, on pourrait citer comme relevant de la même forme, entre autres, « Crainte et Tremblement » (Kierkegaard), « Humanisme et Terreur » (Merleau-Ponty), « Tyrannie et Sagesse » (Kojève), « Violence et Métaphysique » (Derrida), etc.. Ce genre de formulation consiste à associer deux notions par l’intermédiaire de la particule « et », qui invite à les confronter : on pourrait dire que ce « et » en constitue le terme clé, celui qui est le plus porteur d’enjeux, dont la signification reste à préciser. Il serait intéressant d’étudier, à partir d’une typologie de tels intitulés, les diverses fonctions que peut remplir « et » dans ce mode d’agencement. Dans le cas qui nous occupe, il semble clair que « et » remplit un double rôle de nouage et de disruption : violence et civilité ne peuvent être associées que sur la base de ce qui les oppose, donc les disjoint ; mais, en même temps, il apparaît que cette opposition recèle une nécessité qui rend le rapport des deux termes incontournable, ce qui oblige à les penser, non à part l’un de l’autre, mais ensemble, dans le cadre spéculatif installé par « et » qui incite à les relier. Nous partirons de l’hypothèse selon laquelle, dans l’intitulé « Violence et Civilité », « et » peut être interprété comme signifiant la relation entre question et réponse : « violence » serait l’énoncé de la question, et « civilité » serait l’énoncé de la réponse. Ce qui, puisqu’il s’agit d’un ouvrage relevant du domaine de la philosophie politique, suggère que, dans la perspective qui lui est propre telle qu’elle est annoncée dans son titre, la violence représente la question, précisons la question essentielle, principale, fondamentale, à laquelle la politique aurait à répondre ; et le propos de l’ouvrage serait de présenter la « civilité » comme réponse, du moins comme réponse possible, sinon la seule possible, à cette question. Ceci admis, nous pouvons fixer deux lignes d’interrogation à propos du contenu de l’ouvrage, qui vont permettre d’en guider la lecture : qu’est-ce qui conduit à considérer que la violence est la question politique par excellence ? et en quoi, la question de la politique étant ainsi posée, la civilité constitue-t-elle pour celle-ci une réponse acceptable ?

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mercoledì 23 giugno 2010

Giuseppe Panella: Accoppiamenti giudiziosi [su "Foucault-Marx]

Giuseppe Panella
Accoppiamenti giudiziosi
[da: Retroguardia 2.0]
 
Aa. Vv. Foucault-Marx. Paralleli e paradossi,
a cura di Rudy M. Leonelli, Roma, Bulzoni, 2010

Non è ancora possibile stabilire oggi che cosa sopravviverà dell’opera di Michel Foucault. Sono ormai trascorsi fortunatamente i tempi delle sterili polemiche sul valore oggettivo della sua opera. Non è più neppure l’epoca in cui venivano apprezzati, anche in Italia, saggi francamente inutili nel loro desiderio di sottoporre il pensiero del filosofo francese a una critica tanto serrata quanto inutilizzabile (penso, ad esempio, a un libro “sbagliato”, anche se bene informato e ben articolato, come quello di José Guilherme Merquior, Foucault, trad. it. di S. Maddaloni, Roma-Bari, Laterza, 1988). La ricostruzione filologica dei suoi scritti e delle sue posizioni teoriche è ormai in via di completamento. Ma fin d’ora si può ragionevolmente sostenere che il nodo costituito dai rapporti di filiazione teorica tra Marx e Foucault sarà sicuramente occasione di un dibattito fervoroso e intenso non soltanto a livello di escussione erudita dei testi. Questa raccolta di saggi dedicata ai paralleli e ai paradossi presenti nel nodo problematico Foucault-Marx apre a una nuova e fruttuosa dimensione della riflessione in questo ambito. Frutto di un convegno tenutosi presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna il 24 novembre 2005, il libro va sicuramente al di là di una pura pubblicazione (doverosa certo ma polverosa nei risultati) degli atti di un incontro accademico.

sabato 29 maggio 2010

Tonino Bucci: Foucault, ovvero l'anti-Marx. Una leggenda da smontare

Tonino Bucci

Foucault, ovvero l'anti-Marx
Una leggenda da smontare


Una raccolta di saggi sul rapporto tra i due filosofi, a cura di Rudy M. Leonelli.
E con un'intervista di Balibar



Si è diffusa una vulgata che contrappone i due pensatori: l'uno visto come un teorico del collettivismo, l'altro come un profeta della rivolta individuale e del micropolitico. Semmai Foucault contestava il marxismo come sistema di potere

da: Liberazione, 28 maggio 2010



«Io cito Marx senza dirlo, senza mettere le virgolette, e poiché la gente non è capace di riconoscere i testi di Marx, passo per essere colui che non lo cita. Un fisico, quando lavora in fisica, prova forse il bisogno di citare Newton o Einstein? Li usa, ma non ha bisogno di virgolette, di note a pie' di pagina o di un'approvazione elogiativa che provi fino a che punto è fedele al pensiero del Maestro».

Queste poche righe portano la firma di Michel Foucault e sono riprodotte in una delle opere che più ha contribuito a far conoscere in Italia gli aspetti militanti del suo pensiero. Parliamo di
Microfisica del potere, sottotitolo Interventi politici, più che un'opera sistematica, una raccolta di testi, brevi scritti, dibattiti e interviste, uscita non a caso qui da noi nel 1977. Anno cruciale, durante il quale si registra nel campo della sinistra (soprattutto in Italia e in Francia) il massimo di rottura tra movimento operaio e partiti comunisti, da un lato, e i movimenti studenteschi dall'altro. Movimenti che dall'interno delle università cominciano a guardare a nuovi soggetti al di fuori di quelle che vengono definite strutture burocratiche e di potere, dai sindacati ai partiti. Da qui si spiega l'attenzione del Settantasette verso i non garantiti e il proletariato metropolitano, verso gli esclusi e il sottoproletariato, verso i malati mentali e verso un'intera costellazione di soggetti che per la prima volta cade al fuori della "classe operaia". Di questi soggetti si mette in evidenza non un'azione di resistenza al potere riconducibile, in qualche modo, a una strategia politica complessiva. I nuovi soggetti "desideranti" del '77 sono semmai protagonisti di pratiche quotidiane di resistenza. E' la disseminazione, l'assenza di gerarchie interne - il carattere "rizomatico" diranno Deleuze e Guattari - a distinguere le azioni contro il potere. E non a caso, è questo il periodo di massima fortuna politica di Foucault, artefice di una teoria del potere come qualcosa di capillare e diffuso nella trama dei rapporti sociali, dalla fabbrica al carcere, dalla scuola all'ospedale psichiatrico.

Forse per questo il rapporto teorico di Foucault con Marx (e il marxismo, che però è altra cosa) diventa una questione sensibile, lo specchio cioè in cui si riflette lo scontro tra partiti e movimento che non si risparmiano scomuniche reciproche - da una parte l'accusa di radicalismo piccolo-borghese e individualismo anarchico, dall'altra quella di burocratismo e difesa corporativa dell'aristocrazia operaia. Sennonché il clima rovente di quello scontro politico è forse all'origine della vulgata di un Foucault senza Marx o, addirittura, contro Marx, e proprio per questo "organico" al Settantasette.

L'impressione che invece si ricava dalla lettura di una raccolta di saggi pubblicata di recente,
Foucault-Marx (a cura di Rudy M. Leonelli, Bulzoni Editore, pp. 146, euro 13) è ben diversa. A cominciare dall'intervista a Balibar che mette in guardia da un dibattito «che mi sembra riduttivo», non solo rispetto alla complessità di due pensatori come Marx e Foucault, ma anche «per quelli che ancora oggi - e bisognerebbe interrogarsi sulla ragione per cui ne hanno talmente bisogno - continuano a battere il chiodo, spiegando come, con Foucault, sarebbe stato definitivamente trovato l'antidoto al marxismo». Non regge, ad esempio, la vulgata di un Marx collettivista contro un Foucault più attento, invece, al micropolitico e alla costituzione del soggetto individuale. Anche perché la critica di Marx all'individualismo - ancora parole di Balibar - è essenzialmente «la critica delle forme borghesi dell'individualismo», cioè dell'astrazione giuridica dell'individuo proprietario che è alla base della società del mercato. «Considerare il comunismo non come l'annientamento dell'individuo nella massa, ma come l'emergenza di possibilità di individualizzazione schiacciate dalla società borghese, è un aspetto molto profondo del pensiero di Marx».

Anche se si guarda alla nozione centrale, che dovrebbe registrare la massima distanza tra Foucault e Marx, ossia l'idea di potere , la presunta incompatibilità tra i due pensieri comincia a vacillare. Anzi, proprio i testi foucaultiani sul potere potrebbero insegnare a leggere correttamente Marx. Per entrambi i filosofi, infatti, il potere è una funzione che si esercita all'interno della società come sistema .

Foucault non intende sbarazzarsi di Marx - come scrivono Alberto Burgio e Guglielmo Forni Rosa nei rispettivi interventi - ma del marxismo quando diventa una scienza legata a un sistema di potere, indifferentemente che si tratti delle università, di un partito o di uno Stato (per averne un'idea basta leggere il contributo di Manlio Iofrida sul marxismo francese degli anni 50). L'idea del potere che ha in mente Foucault come un meccanismo che produce i soggetti coinvolti, quindi come «relazione», come «rapporto di direzione che suppone anche il consenso del destinatario del flusso di potere» (Burgio) è tutt'altro che assente in Marx.

E', in breve, colpa di una lettura economicistica se si è affermata la vulgata di un Marx che si disinteressa della politica e del potere che si esercita al di fuori della fabbrica, nel grande campo dell'ideologia. Da questo punto di vista la funzione di potere come immaginata da Foucault assomiglia alla funzione intellettuale di Gramsci, pervasiva non solo sul terreno della cultura e della comunicazione di massa, «ma anche in tutti gli snodi del rapporto sociale, a cominciare dal processo di produzione e dall'epifania della merce». Questo non significa far scomparire gli scarti che in Foucault si producono rispetto a Marx, ad esempio quando nega che nel flusso di potere ci sia una direzione verticale dall'alto verso il basso, dalla classe dominata ai dominati. Il potere foucaultiano resta un sistema orizzontale che distribuisce in modo equo e imparziale i propri effetti. Forse la tesi meno adeguata a spiegare il reale funzionamento del meccanismo capitalistico che dispensa costi e benefici in modi tutt'altro che simmetrici.


giovedì 13 maggio 2010

autoportrait


Rudy M. Leonelli
laureato in Filosofia all’Università di Bologna con la tesi Il problema della genealogia in M. Foucault; relatore  Guglielmo Forni Rosa,  correlatore Roberto Dionigi.

Ottenuto il DEA (Diplôme d’Études Approfondies) in filosofia con un mémoire sulla modernità in Foucault, diretto da Étienne Balibar,  all'Università di Paris X, ho poi conseguito il dottorato di ricerca in filosofia, con la tesi:  Foucault généalogiste, stratège et dialecticien. De l’histoire critique au diagnostic di présent, diretta da Étienne Balibar; soutenance de thèse  presieduta da Pierre Macherey.

Ho partecipato alla redazione di Invarianti e al gruppo di discussione di altreragioni.

Ho inoltre pubblicato su diverse altre riviste tra cui Cahiers pour l’analyse concrète, Eidos, Études Jean-Jacques Rousseau, Per il Sessantotto, Razzismo & Modernità, Vis-à-vis e in volumi collettanei della collana di studi filosofici Arcipelago.
Ho preso parte a colloqui, incontri, convegni e seminari in Italia e in Francia.
Ho curato l'edizione del volume Foucault-Marx. Paralleli e paradossi, Bulzoni Editore, Roma 2010, con testi di Étienne Balibar, Albert Burgio, Stefano Catucci, Marco Enrico Giacomelli, Guglielmo Forni Rosa, Manlio Iofrida, Rudy M. Leonelli.

Svolgo seminari e attività didattiche correlate presso il  Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Bologna

... lungo la linea di contatto della filosofia con la non-filosofia

mercoledì 14 aprile 2010

Seminario. Michel Foucault: «una filosofia presente, inquieta, mobile lungo tutta la sua linea di contatto con la non-filosofia»



Università degli Studi di Bologna
Dipartimento di Filosofia
A. A. 2009-2010

Rudy M. Leonelli
dottore di ricerca in Filosofia

Seminario
per il corso di Filosofia della storia del prof. Manlio Iofrida

Michel Foucault:
«una filosofia presente, inquieta, mobile lungo tutta la sua linea di contatto con la non-filosofia»


 
Concentrandosi inizialmente su alcuni luoghi cruciali della Storia della follia nei quali la relazione tra filosofia e non-filosofia è particolarmente intenso, il seminario tende poi a mostrare come – attraverso un ininterrotto lavoro di ripensamento contrassegnato da una serie di rettifiche dirette o indirette – il tracciato della ricerca di Michel Foucault abbia operato incessanti spostamenti, in un processo di continua problematizzazione e riproblematizzazione.
Procedendo sulla linea di contatto della filosofia con la non-filosofia, le giornate conclusive sono dedicate all’esplicitazione del rapporto forte tra le inchieste di Foucault e certe analisi di Marx, in particolare con luoghi de Il capitale, libro I, IV sezione.

Testi:

Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, qualunque ristampa.

Rudy M. Leonelli (a cura di), Foucault-Marx. Paralleli e paradossi, Bulzoni, Roma, 2010.
Parti di altri testi per i frequentanti verranno fornite in fotocopie.


Orario e sede del seminario: Giovedì, aula B, via Centotrecento 18, ore 11-13
da giovedì 15 aprile a giovedì 13 maggio 2010




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Avviso di conferenza:

giovedì 22 aprile


Giuseppe Panella
(docente presso la Scuola Normale Superiore di Pisa)
parteciperà al seminario con l'intervento:


Il lascito Foucault



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post correlati: Foucault-Marx. Paralleli e Paradossi
Foucault, Marx, marxismi



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