Tonino Bucci
Foucault, ovvero l'anti-Marx
Una leggenda da smontare
Una raccolta di saggi sul rapporto tra i due filosofi, a cura di Rudy M. Leonelli.
E con un'intervista di Balibar
Foucault, ovvero l'anti-Marx
Una leggenda da smontare
Una raccolta di saggi sul rapporto tra i due filosofi, a cura di Rudy M. Leonelli.
E con un'intervista di Balibar
Si è diffusa una vulgata che contrappone i due pensatori: l'uno visto come un teorico del collettivismo, l'altro come un profeta della rivolta individuale e del micropolitico. Semmai Foucault contestava il marxismo come sistema di potere
«Io cito Marx senza dirlo, senza mettere le virgolette, e poiché la gente non è capace di riconoscere i testi di Marx, passo per essere colui che non lo cita. Un fisico, quando lavora in fisica, prova forse il bisogno di citare Newton o Einstein? Li usa, ma non ha bisogno di virgolette, di note a pie' di pagina o di un'approvazione elogiativa che provi fino a che punto è fedele al pensiero del Maestro».
Queste poche righe portano la firma di Michel Foucault e sono riprodotte in una delle opere che più ha contribuito a far conoscere in Italia gli aspetti militanti del suo pensiero. Parliamo di Microfisica del potere, sottotitolo Interventi politici, più che un'opera sistematica, una raccolta di testi, brevi scritti, dibattiti e interviste, uscita non a caso qui da noi nel 1977. Anno cruciale, durante il quale si registra nel campo della sinistra (soprattutto in Italia e in Francia) il massimo di rottura tra movimento operaio e partiti comunisti, da un lato, e i movimenti studenteschi dall'altro. Movimenti che dall'interno delle università cominciano a guardare a nuovi soggetti al di fuori di quelle che vengono definite strutture burocratiche e di potere, dai sindacati ai partiti. Da qui si spiega l'attenzione del Settantasette verso i non garantiti e il proletariato metropolitano, verso gli esclusi e il sottoproletariato, verso i malati mentali e verso un'intera costellazione di soggetti che per la prima volta cade al fuori della "classe operaia". Di questi soggetti si mette in evidenza non un'azione di resistenza al potere riconducibile, in qualche modo, a una strategia politica complessiva. I nuovi soggetti "desideranti" del '77 sono semmai protagonisti di pratiche quotidiane di resistenza. E' la disseminazione, l'assenza di gerarchie interne - il carattere "rizomatico" diranno Deleuze e Guattari - a distinguere le azioni contro il potere. E non a caso, è questo il periodo di massima fortuna politica di Foucault, artefice di una teoria del potere come qualcosa di capillare e diffuso nella trama dei rapporti sociali, dalla fabbrica al carcere, dalla scuola all'ospedale psichiatrico.
Forse per questo il rapporto teorico di Foucault con Marx (e il marxismo, che però è altra cosa) diventa una questione sensibile, lo specchio cioè in cui si riflette lo scontro tra partiti e movimento che non si risparmiano scomuniche reciproche - da una parte l'accusa di radicalismo piccolo-borghese e individualismo anarchico, dall'altra quella di burocratismo e difesa corporativa dell'aristocrazia operaia. Sennonché il clima rovente di quello scontro politico è forse all'origine della vulgata di un Foucault senza Marx o, addirittura, contro Marx, e proprio per questo "organico" al Settantasette.
L'impressione che invece si ricava dalla lettura di una raccolta di saggi pubblicata di recente, Foucault-Marx (a cura di Rudy M. Leonelli, Bulzoni Editore, pp. 146, euro 13) è ben diversa. A cominciare dall'intervista a Balibar che mette in guardia da un dibattito «che mi sembra riduttivo», non solo rispetto alla complessità di due pensatori come Marx e Foucault, ma anche «per quelli che ancora oggi - e bisognerebbe interrogarsi sulla ragione per cui ne hanno talmente bisogno - continuano a battere il chiodo, spiegando come, con Foucault, sarebbe stato definitivamente trovato l'antidoto al marxismo». Non regge, ad esempio, la vulgata di un Marx collettivista contro un Foucault più attento, invece, al micropolitico e alla costituzione del soggetto individuale. Anche perché la critica di Marx all'individualismo - ancora parole di Balibar - è essenzialmente «la critica delle forme borghesi dell'individualismo», cioè dell'astrazione giuridica dell'individuo proprietario che è alla base della società del mercato. «Considerare il comunismo non come l'annientamento dell'individuo nella massa, ma come l'emergenza di possibilità di individualizzazione schiacciate dalla società borghese, è un aspetto molto profondo del pensiero di Marx».
Anche se si guarda alla nozione centrale, che dovrebbe registrare la massima distanza tra Foucault e Marx, ossia l'idea di potere , la presunta incompatibilità tra i due pensieri comincia a vacillare. Anzi, proprio i testi foucaultiani sul potere potrebbero insegnare a leggere correttamente Marx. Per entrambi i filosofi, infatti, il potere è una funzione che si esercita all'interno della società come sistema .
Foucault non intende sbarazzarsi di Marx - come scrivono Alberto Burgio e Guglielmo Forni Rosa nei rispettivi interventi - ma del marxismo quando diventa una scienza legata a un sistema di potere, indifferentemente che si tratti delle università, di un partito o di uno Stato (per averne un'idea basta leggere il contributo di Manlio Iofrida sul marxismo francese degli anni 50). L'idea del potere che ha in mente Foucault come un meccanismo che produce i soggetti coinvolti, quindi come «relazione», come «rapporto di direzione che suppone anche il consenso del destinatario del flusso di potere» (Burgio) è tutt'altro che assente in Marx.
E', in breve, colpa di una lettura economicistica se si è affermata la vulgata di un Marx che si disinteressa della politica e del potere che si esercita al di fuori della fabbrica, nel grande campo dell'ideologia. Da questo punto di vista la funzione di potere come immaginata da Foucault assomiglia alla funzione intellettuale di Gramsci, pervasiva non solo sul terreno della cultura e della comunicazione di massa, «ma anche in tutti gli snodi del rapporto sociale, a cominciare dal processo di produzione e dall'epifania della merce». Questo non significa far scomparire gli scarti che in Foucault si producono rispetto a Marx, ad esempio quando nega che nel flusso di potere ci sia una direzione verticale dall'alto verso il basso, dalla classe dominata ai dominati. Il potere foucaultiano resta un sistema orizzontale che distribuisce in modo equo e imparziale i propri effetti. Forse la tesi meno adeguata a spiegare il reale funzionamento del meccanismo capitalistico che dispensa costi e benefici in modi tutt'altro che simmetrici.
Queste poche righe portano la firma di Michel Foucault e sono riprodotte in una delle opere che più ha contribuito a far conoscere in Italia gli aspetti militanti del suo pensiero. Parliamo di Microfisica del potere, sottotitolo Interventi politici, più che un'opera sistematica, una raccolta di testi, brevi scritti, dibattiti e interviste, uscita non a caso qui da noi nel 1977. Anno cruciale, durante il quale si registra nel campo della sinistra (soprattutto in Italia e in Francia) il massimo di rottura tra movimento operaio e partiti comunisti, da un lato, e i movimenti studenteschi dall'altro. Movimenti che dall'interno delle università cominciano a guardare a nuovi soggetti al di fuori di quelle che vengono definite strutture burocratiche e di potere, dai sindacati ai partiti. Da qui si spiega l'attenzione del Settantasette verso i non garantiti e il proletariato metropolitano, verso gli esclusi e il sottoproletariato, verso i malati mentali e verso un'intera costellazione di soggetti che per la prima volta cade al fuori della "classe operaia". Di questi soggetti si mette in evidenza non un'azione di resistenza al potere riconducibile, in qualche modo, a una strategia politica complessiva. I nuovi soggetti "desideranti" del '77 sono semmai protagonisti di pratiche quotidiane di resistenza. E' la disseminazione, l'assenza di gerarchie interne - il carattere "rizomatico" diranno Deleuze e Guattari - a distinguere le azioni contro il potere. E non a caso, è questo il periodo di massima fortuna politica di Foucault, artefice di una teoria del potere come qualcosa di capillare e diffuso nella trama dei rapporti sociali, dalla fabbrica al carcere, dalla scuola all'ospedale psichiatrico.
Forse per questo il rapporto teorico di Foucault con Marx (e il marxismo, che però è altra cosa) diventa una questione sensibile, lo specchio cioè in cui si riflette lo scontro tra partiti e movimento che non si risparmiano scomuniche reciproche - da una parte l'accusa di radicalismo piccolo-borghese e individualismo anarchico, dall'altra quella di burocratismo e difesa corporativa dell'aristocrazia operaia. Sennonché il clima rovente di quello scontro politico è forse all'origine della vulgata di un Foucault senza Marx o, addirittura, contro Marx, e proprio per questo "organico" al Settantasette.
L'impressione che invece si ricava dalla lettura di una raccolta di saggi pubblicata di recente, Foucault-Marx (a cura di Rudy M. Leonelli, Bulzoni Editore, pp. 146, euro 13) è ben diversa. A cominciare dall'intervista a Balibar che mette in guardia da un dibattito «che mi sembra riduttivo», non solo rispetto alla complessità di due pensatori come Marx e Foucault, ma anche «per quelli che ancora oggi - e bisognerebbe interrogarsi sulla ragione per cui ne hanno talmente bisogno - continuano a battere il chiodo, spiegando come, con Foucault, sarebbe stato definitivamente trovato l'antidoto al marxismo». Non regge, ad esempio, la vulgata di un Marx collettivista contro un Foucault più attento, invece, al micropolitico e alla costituzione del soggetto individuale. Anche perché la critica di Marx all'individualismo - ancora parole di Balibar - è essenzialmente «la critica delle forme borghesi dell'individualismo», cioè dell'astrazione giuridica dell'individuo proprietario che è alla base della società del mercato. «Considerare il comunismo non come l'annientamento dell'individuo nella massa, ma come l'emergenza di possibilità di individualizzazione schiacciate dalla società borghese, è un aspetto molto profondo del pensiero di Marx».
Anche se si guarda alla nozione centrale, che dovrebbe registrare la massima distanza tra Foucault e Marx, ossia l'idea di potere , la presunta incompatibilità tra i due pensieri comincia a vacillare. Anzi, proprio i testi foucaultiani sul potere potrebbero insegnare a leggere correttamente Marx. Per entrambi i filosofi, infatti, il potere è una funzione che si esercita all'interno della società come sistema .
Foucault non intende sbarazzarsi di Marx - come scrivono Alberto Burgio e Guglielmo Forni Rosa nei rispettivi interventi - ma del marxismo quando diventa una scienza legata a un sistema di potere, indifferentemente che si tratti delle università, di un partito o di uno Stato (per averne un'idea basta leggere il contributo di Manlio Iofrida sul marxismo francese degli anni 50). L'idea del potere che ha in mente Foucault come un meccanismo che produce i soggetti coinvolti, quindi come «relazione», come «rapporto di direzione che suppone anche il consenso del destinatario del flusso di potere» (Burgio) è tutt'altro che assente in Marx.
E', in breve, colpa di una lettura economicistica se si è affermata la vulgata di un Marx che si disinteressa della politica e del potere che si esercita al di fuori della fabbrica, nel grande campo dell'ideologia. Da questo punto di vista la funzione di potere come immaginata da Foucault assomiglia alla funzione intellettuale di Gramsci, pervasiva non solo sul terreno della cultura e della comunicazione di massa, «ma anche in tutti gli snodi del rapporto sociale, a cominciare dal processo di produzione e dall'epifania della merce». Questo non significa far scomparire gli scarti che in Foucault si producono rispetto a Marx, ad esempio quando nega che nel flusso di potere ci sia una direzione verticale dall'alto verso il basso, dalla classe dominata ai dominati. Il potere foucaultiano resta un sistema orizzontale che distribuisce in modo equo e imparziale i propri effetti. Forse la tesi meno adeguata a spiegare il reale funzionamento del meccanismo capitalistico che dispensa costi e benefici in modi tutt'altro che simmetrici.
5 commenti:
Andrea ha ragione! Il Potere passa attraverso i suoi mezzi di convinzione, non solo attraverso l'esercizio pesante della dissuasione armata...Detto questo non sarei così critico nei confronti di Bucci... "non sparate sul pianista! fa quello che può" (come disse Oscar Wilde)
Hai ragione anche tu Giuseppe. Non era mia intenzione fare la guardia armata di Foucault contro il sig.Tucci. Il resto dell'articolo è preciso ed equilibrato, ma il finale sinceramente mi ha stupito. Nonostante ciò, tutti i miei rispetti e la mia simpatia per Tonino Bucci.
La cosa più importante, secondo me, è che le differenze e/o divergenze su alcuni aspetti, si collocano di fatto (come è successo per gli interventi raccolti nel libro, e come - mi sembra - sta accadendo anche qui) in uno spazio comune: mi sembra che, da Tonino Bucci ad Andrea, passando per Giuseppe Panella, quel che possiamo pensare, dire scrivere su questi problemi ha come presupposto l'abbandono, lo smantellamento critico della vulgata (o leggenda) di un Foucault anti-Marx.
Questa rottura (difficile, "controvento" rispetto alle correnti culturali imperanti) ci interessa - positivamente - come apertura di uno spazio che rende possibili nuove ipotesi, ricerche,tesi, proposizioni, in direzione di una radicale riformulazione dei rapporti tra Foucault, Marx e i marxismi (il plurale ha la sua importanza).
Tutto questo - per molt* di noi - è in qualche modo acquisito al punto che, talvolta, tendiamo a darlo talmente per scontato che non ci soffermiamo a sottolinearlo.
Ma, in particolare nel panorama culturale italiano, tutto questo non è affatto scontato (cosa che, anche per lunga esperienza, ho perfettamente presente).
E penso seriamente che le differenze e/o divergenze, su punti specifici e controversi, per quanto importanti e cruciali, siano in qualche modo "seconde" rispetto allo spazio che le rende possibili (e può rendere possibile il loro confronto e, forse, la loro trasformazione...)
Non ho letto il saggio, ma intervengo su quanto riportato.
Anzitutto è un bene, come si legge, che con Foucault, ma non solo, la si sia fatta finita con i marxismi, e non con Marx, proprio per quell'organico rapporto con il potere e con lo stato (che di questo ne è solo una espressione) che partiti comunisti e sindacati hanno a lungo intessuto per tutto il Novecento, da più parti salutato come finalmente scomparso.
Si escludono, in questo giudizio, quelle frazioni comuniste minoritarie nobili la cui storia di repressione è arcinota.
Dove si andrà, al momento nessuno è in grado di dirlo.
Le questioni che andrebbero in maniera ampia secondo me discusse, e che qui vengono in parte individuate:
1)il potere, come ci dice Foucault, non esiste, ma CIRCOLA;
2)la cosiddetta governamentalità, tanto a cuore alla nostra vecchia cara defunta sinistra, è una nuova e più subdola arma che supererebbe il vecchio sistema della spada e della forza e della repressione e dell'internamento e della fabbrica e dell'ospedale, oppure ne è una sua variante moderna o complemento oppure è quella cosa con cui la stessa forza "fa sistema"?
3)il quesito "come può l'individuo arrivare a desiderare la propria morte?" su cui Guattari e Deleuze e Foucault ci invitavano già negli anni '70 a riflettere, diventa sempre più attuale, laddove ad essi si rispondeva con l'accusa di anarchismo individualista piccolo-borghese ecc.
salvatore
Mi limito, Salvatore, a trattare una questione che sollevi all'inizio del tuo commento:
il rapporto di Foucault con Marx e i marxismi è complesso, per questo, nel libro, in diversi interventi è stato utilizzato spesso il plurale: "marxismi" [ma a volte, per es. nel mio intervento, uso il termine "marxismo", ma lo uso come "nome comune" di una molteplicità di orientamenti diversi, spesso divergenti, eterogenei].
Foucault in un'intervista parlava di "farla finita con il marxismo" (come dottrina di Stato e/o codificata dai P. C, etc.).
Ma le cose sono più complesse: nel libro e, già prima del libro, a partire dal titolo dal convegno convegno
che lo ha generato, avevamo adottato il termine "marxismi" (al plurale).
Ora, scandagliando alcuni testi non soltanto di Marx, ma di vari autori marxisti, è possibile individuare dei legami "positivi" tra alcuni aspetti rilevanti del lavoro di Foucault e certi luoghi di quegli scritti.
Certo, Foucault era distante sia dal marxismo sovietico sia [ma con sfumature diverse; per es. dopo il '77 ci fu un dialogo tra Foucault e Duccio Trombadori, che divenne un libro] dai marxismi dei P.C. occidentali.
Ma questa distanza non comporta necessariamente l'assunzione di una sorta di "aut aut", tra il marxismo dei PC e le frazioni comuniste minoritarie alle quali ti riferisci.
La questione è più complessa, se vuoi, più "frastagliata" ("dispersa, per usate un termine di Foucault): un grande (credo, storicamente il maggiore) intellettuale del PCI: Antonio Gramsci è uno degli autori nella cui opera è possibile riscontrare forti relazioni con certe analisi di Foucault.
Ma è soltanto un esempio (forse, il più importante).
Ma questo vale anche, in modo diverso, per altri, quali, per menzionarne alcuni: F. Châtelet, H. Lefebvre, A. Léon.
Se partiamo dall'attualità, cioè, in questo caso, dai problemi posti e affrontati dalla ricerca di Foucault, possiamo (direi quasi: non possiamo che) aprire una ricerca "a tutto campo", privilegiando, per quanto riguarda i rapporti con i marxismi, i testi e gli autori non tanto in base alla loro appartenenza a una particolare corrente, indirizzo o tendenza, ma in funzione del loro rapporto (spesso imprevisto, "sorprendente") con quei problemi.
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