Bologna culla del fascismo
II.
21 novembre 1920:
II.
21 novembre 1920:
l'assalto a Palazzo d'Accursio
da: Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva
da: Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva
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I fatti del 21 novembre a Bologna precipitarono questo processo di reazione.
Che qualcosa di grave si preparasse lo si sentiva nell’aria. Già durante i comizi elettorali si capiva che l’intransigenza formale ed elettorale dei socialisti a tendenza estremista avrebbe vinto, ma inutilmente. Il programma annunciato a Bologna era stravagante e impossibile, dato l’ambiente e l’atmosfera già mutati in tutta Italia; era un vero castello sulla sabbia. Inoltre la borghesia bolognese, non più timorosa dei socialisti e degli operai, non credeva più. Da più d’un mese non si facevano scioperi, e qualcuno tentato era apparso stentato e senza effetto. Durante la campagna elettorale un oratore radicale (poi divenuto fascista) mi assicurano che abbia in un comizio senza ambagi dichiarato, che se i bolscevichi avessero conquistato il comune, non si sarebbe permesso alla loro amministrazione di funzionare.
Dopo l’esito delle elezioni, che avevan dato una strabocchevole maggioranza ai socialisti estremi, questi erano assai preoccupati per la cerimonia dell’insediamento. Rinunciarvi, rinunciare all’esposizione della loro rossa bandiera, al loro comizio di vittoria oggi sembrerebbe facile; allora sarebbe parsa vigliaccheria, e sarebbe stata agli occhi di tutti la prima rinuncia al pomposo programma nel cui nome s’era vinto. Ma proprio questo volevano i fascisti: cacciare dalle piazze la folla operaia, far abbassare in segno di resa la bandiera rossa. Come uscirne?
Alcuni socialisti, che allora tenevano il mestolo in mano, scesero a indecorosi patteggiamento con la questura, e forse promisero più di ciò che i loro seguaci avrebbero mantenuto; ma parve alla vigilia del 21 novembre, giorno convenuto per l’insediamento, che le cose potessero passar lisce, quando fu noto in questura e affisso alle cantonate un manifestino a macchina, in cui i fascisti annunciavano battaglia per l’indomani, avvertendo le donne e i ragazzi di star lontani dal centro e dalle vie principali. I socialisti ormai non potevan più ritirarsi decentemente; è naturale che i più bollenti (e furon purtroppo anche i più scriteriati, stando almeno ai risultati) pensassero ad improvvisare una qualche difesa contro gli annunciati ed eventuali assalti. Ormai solo un miracolo poteva evitare la tragedia. Il miracolo non avvenne; al contrario!
L’indomani, dopo l’inizio pacifico della cerimonia nella sala comunale, appena apparvero dal balcone sulla piazza il sindaco allora nominato e delle bandiere rosse, furono in loro direzione sparate le prime revolverate. La tragedia, immediatamente precipitò. Quanti avevano armi, compreso la forza pubblica, cominciarono a sparare all’impazzata: furono gettate delle bombe, e nell’interno del Comune, nella sala tre le pallottole che entravan dalle finestre infrangendo vetri e quadri, gli urli, la confusione più spaventosa, vi furon quelli che perduta del tutto la testa (la premeditazione di ciò è inverosimile, e sarebbe solo ammissibile se si trattasse di un atto di vendetta privata e personale) aggiunse tragedia a tragedia, sparando contro i banchi della minoranza e colpendo chi per le sue condizioni fisiche non poteva come gli altri muoversi, ripararsi, gettarsi a terra, difendersi. Chiunque abbia sparato in quel momento contro l’avv. Giordani, non colpiva soltanto a morte un uomo, gettando nella desolazione una famiglia: egli assestava al partito socialista una mazzata irreparabile, crudele e disastrosa.
Non mi fermo su questo fatto […] Certo, prescindendo dalle origini, gli avvenimenti non potevan svolgersi in modo peggiore pei socialisti; anche la cieca fatalità si mise contro di loro alleata ai fascisti. Ma, indipendentemente dalle singole responsabilità per gli episodi staccati, di secondaria importanza, chi con spirito imparziale voglia giudicare della responsabilità complessiva e generale di quanto avvenne il 21 novembre, non può non attribuirla tutta al fascismo ed all’autorità politica, sua complice necessaria. Se infatti il fascismo non fosse quel giorno intervenuto a turbare a mano armata la legittima manifestazione socialista, facendo precedere tale intervento da minacce provocatrici, nulla di tragico sarebbe avvenuto.
Ma in politica ha ragione chi vince, anche se ha torto; e la peggio tocca a chi fugge. I socialisti non ebbero la forza di difendersi, di aggrapparsi alle loro indiscutibili ragioni per resistere; sotto il cumulo di tante circostanze avverse si persero d’animo. E ormai non era più il caso di farne loro una colpa; la colpa, se mai, era di molto anteriore. Sta di fato che il 21 novembre fu una vittoria fascista; la responsabilità dei fascisti negli avvenimenti non diminuisce punto la loro vittoria, anzi l’accresce. Aver torto e vincere è, in sostanza, sul terreno realistico, un vincere due volte. Fu ciò, forse, che dette al pubblico l’impressione maggiore della forza fascista e della debolezza socialista.
Allora avvenne ciò ch’era naturale, e avviene sempre in casi consimili. Il fascismo, nucleo trascurabile prima di settembre, accresciuto alquanto dopo i primi indebolimenti del socialismo, all’indomani del 21 novembre diventò gigante. Le sue file crebbero di gregari in modo indescrivibile. Tutti i vigliacchi, che fino alla vigilia facevan la corte ai socialisti, che brigavano per entrar tra essi, ne divennero all’improvviso avversari e simpatizzarono con i fasci [1]. Quelli stessi che prima invocavano la collaborazione socialista, che rimproveravano ai socialisti di non osare abbastanza, di non voler andare al potere, ecc. gridarono alla «liberazione dalla tirannide rossa». Specialmente certe categorie della schiena a cerniera, d’impiegati, di giornalisti, piccoli professionisti, fecero il cinico e sfacciato voltafaccia.
Naturalmente si destarono con ciò tutti i rancori personali vecchi e nuovi, le rivalità personali e bottegaie, le invidie. Inoltre tutti gli interessi lesi da una lunga amministrazione comunale, che può contentar molti, ma non tutti, si risentirono. Le manchevolezze, le ingiustizie, le partigianerie dell’amministrazione socialista, le prepotenze più o meno larvate, inseparabili da ogni esercizio di potere, partorirono il loro effetti, accrescendo l’onda antisocialista. La lotta contro un partito si mutò in caccia agli uomini, per demolirne la posizione e prenderne il posto nelle cariche pubbliche, nel foro, nelle amministrazioni ospitaliere, nell’insegnamento. Ciò ormai andava come un torrente per la sua via, oltre le stesse speranze del fascismo organizzato.
La sconfitta del socialismo, a Bologna ove questo s’identifica quasi del tutto col movimento operaio, fu una sconfitta della classe lavoratrice; ed ebbe una importanza nazionale, appunto perché avvenuta nel cuor dell’Emilia, ove il proletariato è meglio e più fortemente organizzato nelle città e più ancora nelle campagne. Ed appena il moto di reazione antiproletaria si diffuse in provincia, abbattendosi su Ferrara, Modena, Reggio Emilia, ecc. l’esempio fu seguito altrove – specie in Toscana, nel Veneto e nelle Puglie – e la sconfitta socialista ed operaia fu realmente non più emiliana, ma italiana.
* * *
Il fascismo, dicevo, specialmente dopo i fatti di Bologna sopra accennati vide nel giro di pochi giorni enormemente accresciute le sue file. Passarono a lui parecchi che avevan fino allora mantenuto un certo riserbo, vi passò all’improvviso qualche organizzatore operaio; e vi passaron anche dei professionisti, specie avvocati, che in passato amoreggiavano coi socialisti, ma intuivano la possibilità d’una più sollecita fortuna politica col fascismo.
vedi la prima parte: Bologna culla del fascismo - I. Autunno 1920
3 commenti:
Ciao Rudy,pensa che la storia di quegli scontri me la raccontava il fratello di mia nonna materna perchè era presente ai fatti.Caro zio Nino che di mestiere faceva "al fiaccaresta"cioè aveva il calesse coi cavalli per il trasporto delle persone poi ,con il suo logico seguito ,il taxista.Lo zio prese la tessera del PCI al momento della sua fondazione e non volle mai prendere la tessera del fascio con tutte le conseguenze che questo voleva dire all'epoca del fascismo.Suonava il trombone e tutti gli anni il 1 maggio si metteva alla finestra e suonava bandiera rossa.Durante gli anni del duce veniva arrestato alla fine di Aprile e rilasciato al 2 o 3 di maggio malconcio ma sempre comunista.L'unico cedimento lo ebbe sul letto di morte poichè, non si sa' mai, fece chiamare il prete per l'estrema unzione.
La situazione da te descritta nel post ricorda molto da vicino quella narrata da Lussu in "Marcia su Roma e dintorni": la stessa vigliaccheria e lo stesso opportunismo da parte di molti, la stessa miopia sul piano morale ed intellettuale.
Spesso, al sud e nelle Isole quando si pensa a Bologna ed all'Emilia, si pensa che sia sempre stata (e lo sia tuttora) un'isola felice, quanto ad ideali realmente socialisti.
Si dimentica però che come diceva Gramsci nella "Questione meridionale", la borghesia trovò nel fascismo (e nel posfascismo, non so quanto POST...) la propria ideologia, insomma il perfetto abito per mascherare i propri indecenti appetiti.
E tutto questo è un problema nazionale, non circoscritto alla sola Emilia e/o Bologna.
In ogni caso, ti auguro di cuore un felice anno nuovo... e CI auguro la caduta del ducetto arcoriano!
Ciao Rudy, sono Claudio della Ciclofficina..mi sono appena ricordato di passare! Non so se ti ricordi il nostro ultimo incontro...ti stavo accennando della cooperativa in cui lavoro ogni tanto..i centri Rousseau! ti segnalo il link con più informazioni sulla loro pedagogia.. http://www.centrirousseau.it/htm/chisiamo.htm
a presto e buoni festeggiamenti!
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