Résumé Foucault prononce en 1973 un cours au Collège de France intitulé « La
société punitive ». Ce cours, encore inédit, offre les premières
grandes propositions théoriques de Foucault sur la naissance de la
prison. Elles seront reprises, infléchies, reproblématisées dans
Surveiller et Punir. Mais, en 1973, elles sont données avec une netteté
conceptuelle et un tranchant polémique qu’elles ne retrouveront plus par
la suite. Trois grandes notions sont définies : le « pénitentiaire »,
le « carcéral » et le « coercitif ». C’est le nouage de ces trois
dimensions qui rend compte de l’invention de la prison. ” L’organisation d’une pénalité d’enfermement n’est pas simplement
récente, elle est énigmatique. Qu’est-ce qui pénètre dans la prison ? En
tout cas, pas la loi. Que fabrique-t-elle ? Une communauté d’ennemis
intérieurs. ” C’est en ces termes que Michel Foucault dénonce, dans ce
cours prononcé en 1973 – et que viendra compléter, en 1975, son ouvrage
Surveiller et punir – le ” cercle carcéral “. La Société punitive étudie
ainsi comment les sociétés traitent les individus ou les groupes dont
elles souhaitent se débarrasser, c’est-à-dire les tactiques punitives,
mais aussi la prise de pouvoir sur le corps et sur le temps et
l’instauration du couple pénalité-délinquance. Michel Foucault retrace
l’histoire des ” tactiques fines de la sanction ” dont il distingue
quatre modalités : exiler ; imposer un rachat ; marquer ; enfermer.
C’est dans la seconde moitié du XVIIIe siècle que se développe une ”
science des prisons ” à fonction corrective et que se construit un
discours sur le criminel et son traitement possible, donnant naissance à
un schéma de société qui vise à l’absolu du contrôle et de la
surveillance. L’ajustement entre le système judiciaire et le mécanisme
de surveillance (l’organisation d’une police), entre l’émergence de la
richesse et la pratique des illégalismes, entre la force corporelle de
l’ouvrier et l’appareil de production s’accomplit ensuite au tournant du
XIXe siècle. Foucault démontre donc que ce sont les instances de
contrôle para-pénal du XVIIe et du XVIIIe siècle qui ont abouti, in
fine, au fonctionnement de la prison, visant à l’élimination du
désordre, au contrôle de la distribution spatiale des individus, de leur
emplacement par rapport à l’appareil productif. La Société punitive
finit par poser la question, cruciale aux yeux du philosophe, de la
validité intrinsèque de la loi pénale. A-t-elle vocation universelle ou
se limite-t-elle à la douteuse applicabilité d’une somme de décrets ?
«Saremo noi per primi a difenderci da eventuali infiltrati. Io per
primo ho paura perché le infiltrazioni (…) non ci fanno bene, fanno
un favore al sistema. Purtroppo, però, ci sono». Era stato lo stesso
leader del Movimento siciliano dei Forconi, Mariano Ferro, ad
ammettere che la mobilitazione del 9 dicembre correva il rischio
di trasformarsi in una straordinaria vetrina per chi volesse
cercare visibilità. Come l’estrema destra che cerca oggi di
speculare sul malessere alimentato dalla crisi, nel tentativo di
riposizionarsi in forme più radicali dopo il lungo flirt con la
destra di governo berlusconiana.
Perciò, non deve sorprendere più di tanto se tra gli esiti delle
manifestazioni che si sono svolte ieri in molte città, dalla Sicilia
fino al Nordest, vi è anche quello di una rinnovata presenza dei
neofascisti. Un dato da non enfatizzare, ma pur sempre reale.
Ultrà «neri» del calcio organizzati militarmente a Torino — anche
se dai microfoni di Radio Black Out, vicina ai centri sociali, si
invitava a una lettura più articolata della composizione della
piazza -, militanti di Casa Pound e Forza Nuova a Roma e in altre città
del centro-sud, attivisti del Movimento Sociale Europeo, sigla di
comodo in realtà legata ad alcuni dirigenti del partito La Destra di
Storace a bloccare qualche strada sempre nella Capitale, mentre
qui e là si è visto anche qualche esponente di Fratelli d’Italia.
Estremisti di destra confusi tra i manifestanti: una situazione
resa possibile anche dal profilo politicamente indefinito
dell’iniziativa.
Venerdì scorso i Fascisti del Terzo Millennio hanno ospitato nel loro
quartier generale i neonazisti greci, un'evidente svolta a destra:
l'intento è unire tutti i movimenti nazionalisti europei. Il guru di
tale svolta pare l'evergreen Adinolfi il quale contro la crisi economica
propone da tempo una "nuova alchimia movimentista peronista".
Né svastiche né celtiche. Nessuna testa rasata. L’immaginario naziskin assente.
Come i saluti romani: i camerati tra loro si limitano a stringersi
l’avambraccio destro nel saluto del legionario. Tanti giovani di Blocco
Studentesco, ben vestiti e più figli di una borghesia annoiata che
fascisti di borgata. Pochi giornalisti, Casa Pound non è più sulla
cresta dell’onda. Le ultime batoste subite in diverse tornate elettorali
ne hanno sancito un’evidente marginalità politica. Eppure venerdì
scorso ospitavano i greci più temuti del Continente: i rappresentanti
del movimento di estrema destra, ma la stampa ellenica non esita a
chiamarli esplicitamente neonazisti, di Alba Dorata, venuti
appositamente in Italia per confrontarsi con i “fascisti del Terzo
Millennio”. Un evento annunciato da migliaia di manifesti su tutti i
muri della Capitale.
Centocinquanta le persone accorse nel cuore
del quartiere multietnico dell’Esquilino per l’iniziativa. Lo staff
comunicazione del gruppo neofascista ad accogliere i cronisti e ad
accompagnarli al sesto piano del palazzone, luogo del dibattito. Ovunque
camerati impettiti a controllare e scrutare facce non conosciute:
disciplina e ordine, di stampo militarista, la fanno da padroni.
L’ambiente è ripulito. Sui muri decine di fanzine incorniciate di Casa
Pound raccontano anni di iniziative. Nulla è lasciato al caso.
Apostolos
Gkletsos, ex-deputato e componente del comitato centrale di Alba
Dorata, e Konstantinos Boviatsos, Radio Bandiera Nera Hellas, entrano in
sala accompagnati da uno scrosciante applauso. Andrea Antonini,
vicepresidente di Casa Pound Italia, introduce il dibattito. Le sue
parole suonano inequivocabili: «Condividiamo il programma politico di
Alba Dorata, è un’unione anche umana contro la repressione giudiziaria e
di sangue». Il riferimento è agli ultimi fatti accaduti in Grecia: la
magistratura conduce un’inchiesta per specifici reati criminali che ha
già portato in carcere diversi esponenti di primo piano del movimento,
mentre due giovani militanti sono stati uccisi da un commando rimasto
senza nome, anche se è arrivata una rivendicazione firmata da uno
sconosciuto gruppo di estrema sinistra.
Si ha la sensazione di
assistere ad un cambio di paradigma importante per Casa Pound che
implica una svolta. A destra. Estrema destra. In Italia Alba Dorata
finora aveva stretto rapporti soprattutto con Forza Nuova, mentre i
Fascisti del Terzo Millennio – nel loro tentativo di rinnovare il
“campo” con nuovi slogan e un immaginario a metà strada tra le
sottoculture giovanili, il futurismo e Terza Posizione –, avevano
prediletto altri movimenti ellenici di stampo più laico e non
nazionalsocialista.
Un libro, scritto dal giornalista Dimitri
Deliolanes, ripercorre la storia e l’ascesa di Alba Dorata. Per lui si
tratta dell’unico partito esplicitamente neonazista presente in un
parlamento nazionale dell’Unione Europea. La costruzione
politico-ideologica del gruppo risale all’inizio degli anni ’80. In un
editoriale del numero 5 (maggio-giugno 1981) della loro omonima rivista,
si legge:
Siamo nazisti, se ciò non disturba a livello
espressivo, perché nel miracolo della Rivoluzione Tedesca del 1933
abbiamo visto la Potenza che libererà l’umanità dal marciume ebraico,
abbiamo visto la Potenza che ci condurrà in un nuovo rinascimento
europeo, abbiamo visto la splendida rinascita degli istinti ancestrali
della razza, abbiamo visto una fuga possente dall’incubo dell’uomo massa
industriale verso una nuova e nello stesso tempo antica ed eterna
specie d’uomo, l’uomo degli dèi e dei semidei, il puro, ingenuo e
violento uomo del mito e degli istinti. Eppure Apostolos
Gkletsos precisa subito: «Non siamo nazisti, il nostro è un movimento
politico e ideologico. Un movimento nazionalista e popolare». Più volte
le frasi dell’ospite greco sembrano mettere in imbarazzo i militanti di
Casa Pound. Come quel costante richiamo alla «razza bianca europea» o
alle radici cristiane dell’Europa e alla «Grecia (che) svolge da sempre
un ruolo di scudo contro l’invasione islamica: prima i persiani, ora i
turchi».
Con questo “piccolo” libro, Étienne Balibar si propone di «comprendere e far comprendere perché si leggerà ancora Marx nel XXI secolo: non soltanto come un momento del passato, ma come un autore ancora attuale, per le questioni che pone alla filosofia e per i concetti che le propone»1, e di fornire al contempo uno strumento per orientarsi nei testi di Marx e nei dibattiti che suscitano. La formulazione del primo (principale) obiettivo non è semplicemente un pronostico, ma un performativo, essendo l’eventuale sparizione di una teoria non «un destino, ma l’effetto di un rapporto di forze»2.
«Molto nuova e così antica – scrive Derrida – la congiura sembra al tempo stesso potente e, come sempre, inquieta, fragile, angosciata. Il nemico da scongiurare (conjurer), per i congiurati (conjurés) si chiama certo il marxismo. Ma si ha ormai paura di non riconoscerlo più. Si trema di fronte all’ipotesi che grazie a una di queste metamorfosi di cui Marx ha tanto parlato (“metamorfosi” fu per tutta la sua vita una delle sue parole preferite) un nuovo “marxismo” non abbia più la figura sotto la quale sotto la quale ci si era abituati a identificarlo e a metterlo in rotta. Non si ha forsepiù paura dei marxisti, ma si ha paura di certi non-marxisti che non hanno rinunciato all’eredità di Marx, paura dei cripto-marxisti, degli pesudo- o dei para- marxisti che sarebbero pronti a dare il cambio sotto dei tratti o delle virgolette che gli esperti angosciati dell’anticomunismo non sono allenati a smascherare»3.
Credo – è il compito che vorrei assegnate a queste note – che sia possibile rilevare l’apertura di un nuovo spazio per la filosofia: un rientro esplicito di Marx (in nessun caso un semplice “ritorno a”) che, fuori e contro la sempre più insicura “euforia trionfante” della democrazia liberale, permetterà di pensare altrimenti: il tempo, i conflitti, le possibilità di resistenza e di trasformazione. La scrittura dovrebbe, in questa congiuntura, avvicinarsi al movimento di un sismografo: registrare, con un tratto minimo, uno spostamento più grande. E segnare alcune rilevazioni provvisorie: i sintomi, ancora dispersi, delle modificazioni di territori non uniformi, ma interessati da un generale processo di cambiamento.
Per Balibar, la chiusura del ciclo storico in cui il marxismo ha funzionato come dottrina d’organizzazione apre inedite possibilità di leggere Marx: «Liberati da un’impostura, guadagniamo un universo teorico» 4. La negazione dell’esistenza di una “dottrina” filosofica marxista non dissolve le determinazioni né sfocia su un pensiero “debole”; consente al contrario di delimitare i concetti, di sottolinearne le tensioni e gli spostamenti interni, di costruire un diagramma delle biforcazioni e delle “rettifiche”, dei possibili luoghi di dissidio e linee di fuga.: una prospettiva ai limiti del marxismo che cerca di cogliere, insieme, ciò che nel pensare – non solo “con”, ma anche eventualmente “contro” Marx – è ancora marxiano 5.
Leggendo Marx nella congiuntura, notiamo che Marx stesso «ha scritto nella congiuntura»; i suoi concetti solo ad un tempo rigorosi e «incompatibili con la stabilità delle conclusioni». La possibilità di un approccio di questo tipo è evidentemente data dal fatto che nel marxismo, e in particolare nel marxismo degli anni Sessanta e Settanta, di sono prodotti avvenimenti, aperture, spostamenti che, retroagendo sui testi di Marx, hanno irreversibilmente modificato il modo in cui possiamo leggerli. C’è un rapporto forte tra questo Marx «filosofo dell’eterno ricominciamento»6 e «una caratteristica significativa dei concetti “althusseriani”: questi concetti sono sempre già “autocritici”. Contengono sempre già un elemento di negazione che li mette in pericolo, che fa vacillare il loro senso nel momento stesso in cui pretendono al più grande rigore. Contengono dunque in anticipo, un elemento che si oppone al fatto che il loro uso, il loro sviluppo, sfoci nell’univocità di una teoria “infine trovata”. Sono così sin dalla loro origine, un modo discorsivo di porsi essi stessi in disequilibrio, di assicurarsi contro la sicurezza di una “tesi” nel momento in cui la si sostiene» 7. In modo più specifico: la precedente problematizzazione, da parte di Balibar, del concetto di rottura epistemologica in Althusser, tesa a sottolinearne il carattere di rottura continuata, al tempo stesso irreversibile e incompiuta8, presiede direttamente a questo attraversamento della «totalità aperta» 9 degli scritti di Marx, come tracciato costellato da ripetute oscillazioni, punti di crisi, focolai di instabilità. Questo andamento sismico o scismatico della teoria non è semplicemente uno “svolgimento” interno ad essa, ma l’effetto della sua costante messa in tensione con altre pratiche, della sua “programmatica” implicazione in congiunture storiche.
Quanto alla congiuntura attuale, – in cui il libro si iscrive – il marxismo «è oggi una filosofia improbabile. Ciò attiene al fatto che la filosofia di Marx è nel corso del lungo e difficile processo di separazione dal “marxismo storico”, che deve attraversare tutti gli ostacoli accumulati da un secolo di utilizzazione ideologica. Ora, non si tratta per essa di ritornare al suo punto di partenza, ma al contrario di imparare dalla sua propria storia e di trasformarsi nel corso della traversata. Chi vuole filosofare oggi in Marx non viene soltanto dopo di lui, ma dopo il marxismo: non può accontentarsi di registrare la cesura provocata da Marx, ma deve anche riflettere sull’ambivalenza degli effetti che essa ha prodotto – sui suoi sostenitori come sui suoi avversari»10.
Ma, se l’impossibilità di «funzionare come impresa di legittimazione» è indicata come «una condizione quanto meno negativa» della vitalità del marxismo, sarà la condizione positiva a decidere della rilevanza presente e a venire di Marx. Essa «dipende dalla parte che i concetti di Marx giocheranno nella critica di altre impresa di legittimazione»11.