venerdì 27 gennaio 2012

Salomè Bene: «CasaPound non usi mai più il nome di papà»


Salomè, 19 anni, e la madre Raffaella Baracchi danno mandato ai loro legali. E diffidano l'associazione di estrema destra: giù le mani dal genio pugliese
 
 Non bastava la figlia di Pound, che li ha portati in tribunale per riprendersi il nome del padre. Quelli di Casapound cercavano una trovata per uscire dall’angolo. E hanno finito per mettersi contro anche la figlia di Carmelo Bene.

A Salomè Bene, dall’alto del suo nome e dei suoi diciannove anni, la trovata di intitolare l’occupazione di via Napoleone III all’attore di cui porta il nome, appunto, sia pure per un giorno, non è piaciuta per niente. Perciò, ieri mattina, insieme alla madre aveva diffidato CasaPound «dall’utilizzare il nome, l’immagine e le opere del Maestro Bene, invitandola a desistere da ogni iniziativa intrapresa o da intraprendere ed a rimuovere ogni elemento che associ il Maestro all'attività della Associazione». Ma siccome quelli di Casapound hanno rispedito la «diffida» al mittente, spiegando che Raffaella Baracchi, «avendolo denunciato in vita» non può «improvvisarsi depositaria della sua memoria», ha deciso che toccava a lei replicare. «Sono poco gentili a dire che mia madre non ha titolo per parlare, quelle sono vecchie storie, difficile inquadrare mio padre e i suoi rapporti d’amore in qualche schema, e loro sono gli ultimi che ne possono parlare. Io comunque sono la figlia, mi chiamo Bene e non ho piacere che quelli di Casapound utilizzino il nome di mio padre e il mio...», risponde, pacata e piccata, affidando all’Unità.
 
«No, non faccio l’attrice, studio Giurisprudenza però nella vita mai dire mai», si schermisce Salome. «Mio padre lo ricordo come una bambina di dieci anni. E ricordo come dopo la sua morte insulti che invece una bambina di dieci anni non meriterebbe: era mio padre, il fatto che non vivessimo insieme non vuol dire che io non gli voglia un bene dell’anima». L’opera ha imparato a conoscerla da grande: «A parte la Salomè, a cui, per forza, sono legata fin dalla nascita». Da lui, però, oltre ai diritti d’autore e di immagine, ha ereditato un «amore fortissimo» per Dante.

giovedì 26 gennaio 2012

O : Omaggio

E n c i c l o p e d i a
d e l l a
n e o l i n g u a
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O


Omaggio


«Provo un po’ di amarezza perché sono vivo… Sarebbe stata una felicità che l’avessero intitolata a me. Comunque meglio Carmelo che altri». Giorgio Albertazzi commenta così, con ironia, la decisione di CasaPound Italia di ribattezzarsi solo per ieri [24 gen.] CasaBene, in omaggio [sic] a Carmelo Bene, attore «anticonformista»
...
 «Carmelo avrebbe preso bene questa intitolazione, credo – dice Albertazzi -. Sarebbe stato sciocco il contrario. Solo Carmelo ed io sapevamo dire poesia in Italia, ormai non c’è più nessuno».



giovedì 12 gennaio 2012

Riccardo Bonavita, Spettri dell'altro (recensione di Giorgio Forni)

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Riccardo Bonavita
Spettri dellaltro. 
Letteratura e razzismo nellItalia contemporanea,
a cura di Giuliana Benvenuti e Michele Nani
Bologna, il Mulino/Ricerca, 2010, 227 pp.

*     *     *

  Giorgio Forni, in “Lettere italiane”, LXIII, 2011, n. 1, pp. 163-168
 
Nel febbraio del 1992 alcune centinaia di studenti dell’Università di Bologna occupavano pacificamente l’aula in cui avrebbe dovuto parlare lo storico Ernst Nolte per protesta contro la tesi semplificante della “guerra civile europea” che equiparava nazifascismo e bolscevismo relativizzando lo sterminio ebraico e minimizzando i tratti specifici del razzismo di stato del Novecento. Quella giornata, che allora ebbe una risonanza addirittura europea, fu un piccolo evento di vita universitaria, ma alcuni fra coloro che vi presero parte con più entusiasmo vi sentirono forse un impegno ulteriore di approfondimento critico e di memoria civile. Vero è che, a uno sguardo retrospettivo, quell’atto di dissenso giovanile segna l’avvio di una pluralità di ricerche e di iniziative che hanno attraversato la cultura bolognese e italiana per quasi vent’anni: nel novembre del 1994 esordiva la mostra La menzogna della razza: documenti e immagini del razzismo e dellantisemitismo fascista, realizzata con il patrocinio dell’Istituto regionale per i Beni Culturali diretto da Ezio Raimondi; seguirono poi le attività del “Seminario permanente per la storia del razzismo italiano” coordinate da Alberto Burgio; gli studi di Rudy M. Leonelli sul revisionismo storico e sulla genealogia foucaultiana della “guerra delle razze” (ora nuovamente dibattuta negli atti del convegno Foucault-Marx. Paralleli e paradossi, a cura di R.M. Leonelli, Roma, Bulzoni, 2010); il volume collettaneo Nel nome della razza. Il razzismo nella storia dItalia 1870-1945 (Bologna, il Mulino, 2000); fino ad arrivare, per esempio, alla mostra recente Lestraneo tra noi: la figura dello zingaro nellimmaginario italiano, allestita da Mauro Raspanti nel 2008. Ed è una volontà di indagare criticamente gli angoli oscuri del nostro passato cui potrebbe ascriversi, ma forse con meno limpidezza di pensiero, anche un romanzo come Asce di guerra di Wu Ming. In breve, una filologia filosofica applicata alla storia, ai detriti del rimosso, alle ombre inquietanti della nostra identità collettiva.
Non a caso in quella mattinata del 1992, con un frusciare di gentilezza sorridente, Riccardo Bonavita distribuiva un volantino in cui campeggiava un aforisma delle Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, su cui in quegli anni aveva ragionato a lezione pure il Raimondi: “In ogni epoca bisogna cercare di strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla. [...] Anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere”. E di lì a poco il Bonavita avrebbe messo alla prova quel concetto alto di tradizione con i suoi studi sul primo Ottocento, sul Leopardi del Discorso giovanile e poi dei Paralipomeni, sulla poesia di Franco Fortini: dal “Proteggete i miei padri” della Cassandra foscoliana dei Sepolcri al classicismo anticonformista e ironico del Leopardi fino agli ultimi versi del Fortini di Composita solvantur uscito proprio nel 1994: “Non per l’onore degli antichi dèi, / né per il nostro ma difendeteci. / [...] / Rivolgo col bastone le foglie dei viali. / Quei due ragazzi mesti scalciano una bottiglia. / Proteggete le nostre verità”. Nell’operazione poetica e intellettuale del Fortini il giovane Bonavita aveva trovato insieme un tramando di memoria e un’utopia critica, quella della Poesia delle rose: “Chi siamo stati / sapremo e senza dolore”. Così oggi, leggendo la raccolta postuma di saggi intitolata Spettri dellaltro. Letteratura e razzismo nellItalia contemporanea, viene da dire che nella sua generazione di universitari bolognesi il Bonavita fu colui che sentì con più passione e più rigore l’esigenza di coniugare l’impegno civile della coscienza critica con gli strumenti dell’analisi letteraria e filologica, anche e soprattutto esplorando i margini lividi e feroci della storia culturale del Novecento.

venerdì 2 dicembre 2011

Exhibitions : L'invenzione del selvaggio. Parigi, Musée du quai Branly, 29/11/'11- 3/6/'12

L'invention du sauvage
 


Exhibitions met en lumière l’histoire de femmes, d’hommes et d’enfants, venus d’Afrique, d’Asie, d’Océanie ou d’Amérique, exhibés en Occident à l’occasion de numéros de cirque, de représentations de théâtre, de revues de cabaret, dans des foires, des zoos, des défilés, des villages reconstitués ou dans le cadre des expositions universelles et coloniales. Un processus qui commence au 16e siècle dans les cours royales et va croître jusqu’au milieu du 20e siècle en Europe, en Amérique et au Japon.


Peintures, sculptures, affiches, cartes postales, films, photographies, moulages, dioramas, maquettes et costumes donnent un aperçu de l’étendue de ce phénomène et du succès de cette industrie du spectacle exotique qui a fasciné plus d’un milliard de visiteurs de 1800 à 1958 et a concerné près de 35 000 figurants dans le monde. À travers un vaste panorama composé de près de 600 œuvres et de nombreuses projections de films d’archives, l’exposition montre comment ces spectacles, à la fois outil de propagande, objet scientifique et source de divertissement, ont formé le regard de l’Occident et profondément influencé la manière dont est appréhendé l’Autre depuis près de cinq siècles.

L’exposition explore les frontières parfois ténues entre exotiques et monstres, science et voyeurisme, exhibition et spectacle, et questionne le visiteur sur ses propres préjugés dans le monde d’aujourd’hui. Si ces exhibitions disparaissent progressivement dans les années 30, elles auront alors accompli leur œuvre : créer une frontière entre les exhibés et les visiteurs. Une frontière dont on peut se demander si elle existe toujours.


L’exposition a été réalisée avec la participation des équipes et le concours
des collections iconographiques du Groupe de recherche Achac.


  29 nov. 2011 - 3  juin 2011
musée du quai Branly - 37, quai Branly - 75007  Paris

mercoledì 30 novembre 2011

(Lucio in the sky) Continuons le combat


Valentino Parlato
Continuons le combat

Lucio Magri da molto tempo ci aveva comunicato la sua decisione di togliersi la vita. Avevamo discusso e cercato di dissuaderlo perché avevamo bisogno di lui, della sua intelligenza e del suo impegno. Non ci siamo riusciti. È stata una decisione di estrema razionalità. A quasi 80 anni, la perdita della compagna Mara era stata tremenda. La vita non era più vita. Anche la situazione generale non incoraggiava. Con razionalità addirittura estremistica Lucio prese la decisione (e quando decideva non cambiava idea) e attuò quel che aveva stabilito. Il suicidio è una fondamentale libertà della persona. Chi è padrone della propria vita, come ogni umano lo è, può legittimamente e moralmente decidere di mettere la parola fine.

 Lucio è stato anima e mente della nostra vita. Insieme abbiamo cominciato con la rivista e poi con il quotidiano. Ci fu una breve separazione ai tempi del Pdup, ma i legami sono rimasti forti, anche quando c'era polemica.

 L'interrogativo è: che cosa ci lascia, a che cosa ci incita Lucio con il suo suicidio. Provo a rispondere. Innanzitutto a criticare e combattere la società presente. La sua cultura, la sua politica e gli scritti ci danno stimoli e conoscenza. Il sarto di Ulm, che tentò anzitempo di volare si sfracellò, ma poi gli uomini cominciarono a volare. Questo il messaggio e il suo suicidio, ancorché dovuto ai sentimenti, è un atto di rifiuto, di combattimento. Tutto il contrario della passiva rassegnazione.