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domenica 25 maggio 2008

Almirante, per esempio

Da Milano...

La protesta dell'Aned [*] :

AN celebra Almirante:

"Un esempio da seguire"

I muri di Milano sono tappezzati di manifesti firmati Alleanza Nazionale con la faccia di Giorgio Almirante. "Un grande italiano. Un esempio da seguire", si legge sul manifesto, facendo riferimento al ventesimo anniversario della morte del fondatore dell'MSI, e a una messa che sarà celebrata in una chiesa del centro.
A nome della sezione milanese dell'ANED esprimo la più sdegnata condanna di questo manifesto. Giorgio Almirante fece parte per 5 anni, dal primo all'ultimo numero, della redazione della rivista fascista La difesa della razza, principale veicolo nel nostro paese di quella politica razzista che sfociò tra il '43 e il '45 nella deportazione e nello sterminio di migliaia di uomini, donne e bambini ebrei. E fu altissimo esponente della RSI, arrivando a firmare il famoso manifesto in cui si prometteva la "fucilazione nella schiena" degli "sbandati ed appartenenti a bande" che non si fossero piegati alla leva della repubblica di Mussolini, al soldo dell'alleato nazista.
Il manifesto milanese ci parla della cultura politica di forze che oggi occupano altissime cariche istituzionali. Le lacrime di fronte al museo Yad Vashem di Gerusalemme sono archiviate; le critiche al fascismo, come "male assoluto", pure: oggi è cambiato il vento, e AN rivendica con orgoglio una storia fatta anche di disonore.
I superstiti dei lager e i familiari dei Caduti esprimono la loro protesta per una iniziativa che riporta indietro di decenni il dibattito politico nel nostro paese.
Dario Venegoni
presidente dell'ANED di Milano

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... a Roma:

dal sito aldo dice 26 x 1 [24/o5/08]:

fascisti: roma avrà via almirante

[24/08] A vent’anni dalla scomparsa, il sindaco di Roma Gianni Alemanno - l’uomo con la celtica al collo, primo sindaco di destra nella capitale - vuole intitolare una via al leader storico dell’Msi Giorgio Almirante, redattore della rivista La difesa della razza e mai pentito repubblichino di Salò. Motivo: «E’ stato il precursore della moderna destra democratica in anni tormentati in cui era difficile superare il ghetto in cui era rinchiuso l’Msi». No della sinistra romana. Agnostico il Pd: per Nicola Zingaretti «la scelta riguarda il Consiglio comunale». Di Almirante, il 28 maggio, Luciano Violante e Gianfranco Fini presenteranno alla camera la raccolta dei discorsi parlamentari.


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Ma ripensando a Grosseto...

".... impadronirsi di un ricordo come esso balena nell'istante di un pericolo"
[**]


La rapida sequenza tra il manifesto milanese di AN, inneggiante ad Almirante: "Un grande italiano. Un esempio da seguire", e l'annuncio del neo sindaco di Roma di voler dedicare una strada a questo personaggio, ha sollecitato la memoria.
E, scavando qua e là, ho ritrovato un precedente in cui la proposta di intitolare una via ad Almirante, nel 2005, veniva duramente criticata con questa motivazione: "... appare assolutamente inesistente nel caso di Giorgio Almirante quella condizione di personaggio da proporre come esempio per le nuove generazioni ..."

Avendo alla mente questa frase tratta dal documento dell'Istituto storico grossetano della Resistenza e dell'età contemporanea, che riproduco integralmente di seguito, è difficile non leggere nelle attuali "grandi manovre" di AN (celebrazione dell'esempio - intitolazione di una strada, tendenzialmente in ogni città) un preciso disegno di violenta revisione della storia teso rovesciare e liquidare la cultura storica e politica che ha animato questo lucido documento, che contestava l'intitolazione di una strada rifiutando l' "esempio":




PERCHÉ NO AD UN INSERIMENTO DI GIORGIO ALMIRANTE NELLA TOPONOMASTICA GROSSETANA
.
La proposta di intitolazione di una strada della città di Grosseto a Giorgio Almirante torna all’ordine del giorno delle scelte del Comune di Grosseto. Fu sostenuta dal vicesindaco Andrea Agresti, già nel 2002, nel quadro di una proposta generica giustificata con la necessità di assicurare una memoria attraverso la toponomastica cittadina a vari politici italiani (si propose anche il nome di Enrico Berlinguer, nel quadro di una supposta “par condicio”). Seguì una discussione pubblica, interrottasi nel momento in cui il silenzio dell’Amministrazione fece supporre un abbandono del proposito. Ritenevamo che le argomentazioni che molti cittadini grossetani avevano opposto a quel progetto avessero dissuaso l’Amministrazione comunale. Non è così.
Ci sembra allora indispensabile dare di nuovo diffusione ad argomenti e documenti, che dovrebbero suggerire a chiunque abbia rispetto per la Costituzione e la prassi democratica di abbandonare ogni incertezza sulla legittimità e opportunità di una scelta, che a nostro giudizio oltrepassa i limiti del decoro per questa città.
La vicenda politica di Giorgio Almirante si sviluppa attraverso tre fasi: gli anni del regime fascista, la breve stagione della Repubblica Sociale Italiana, il lungo periodo dell’Italia repubblicana.
Fuori da ogni intento di ricostruzione biografica completa, è opportuno segnalare alcune tappe significative, documentabili attraverso fonti d’archivio o scritti comparsi sulla stampa:
1. L’impegno nella campagna razziale negli anni del regime
2. Le responsabilità sempre in materia di discriminazione e persecuzione razziale e le manifestazioni di intransigenza e durezza nello svolgimento di un ruolo dirigente nella RSI
3. La sostanziale continuità tra l’impegno politico fascista e quello successivo alla nascita dell’Italia repubblicana e democratica

1.
Giorgio Almirante fu dal 20 settembre 1938 segretario di redazione della rivista “Difesa della razza”, quindicinale che vive tra 1938 e 1943 ed è l’espressione più diretta del razzismo del regime ( i redattori sono tutti firmatari del “Manifesto della razza”, che apre la strada alla legislazione razziale del regime fascista ). Fu anche caporedattore del “Tevere”, periodico distintosi per una campagna antiebraica “estremista, sfrenata, azzardosa”(A. Lyttelton) già prima delle leggi razziali.

martedì 11 settembre 2007

Nuovo? No, lavato con Perlana...


Nuovo? No, lavato con Perlana.
Delle procedure di riciclaggio nel paese del trasversalismo reale
 

Rudy M. Leonelli e Vincenza Perilli
in  Invarianti, n. 35, 2001


  La contestazione della globalizzazione economica, una volta svincolata dall’ideologismo, è l’occasione per un rompete le righe tra destra e sinistra. In apparenza, è il contrario: e la sinistra più conservatrice può compiacersi di trovarvi un cambio d’abito, in extremis. Ma le schermaglie più immediate non contano molto. La destra non ammette la Tobin Tax, la sinistra ne fa la propria bandiera. Del resto, non è facile immaginare come il governo di centrosinistra, se fosse durato, avrebbe affrontato la gestione del G8: meno o più dialogo, meno o più polizia? La destra politica non è meno prigioniera della sinistra, oltre che di interessi materiali costituiti, di pregiudizi ideologici e riflessi condizionati. Il “trasversalismo” che l’annuncio ecologista si era ripromesso, e non ha saputo mantenere, è oggi alla portata di una politica fattiva, tanto più quanto meno in soggezione a pensieri e abitudini ereditate.
Adriano Sofri, “Se la povertà fa scandalo”, La Repubblica, 17 luglio 2001.




e mite un sentimento…[1]

  Nel dicembre 2000, a pochi giorni dall’esplosione di un ordigno tra le mani del terrorista neofascista Andrea Insabato davanti alla redazione romana de il manifesto, usciva sulle pagine di questo quotidiano un toccante articolo in forma di lettera aperta allo stragista mancato, dal titolo “Caro Andrea, pensaci…”:

    Ma c’è una cosa che mi ha fatto scattare un meccanismo di vicinanza, che mi ha preoccupato e intrigato insieme: il discorso delle varie etnie sfigurate che vediamo vivere male nelle metropoli e campagne occidentali. Gli schiavi che seguono il trionfo di Cesare sono oggi extracomunitari, ma anche le varie etnie sfigurate delle nostre regioni. Odio la globalizzazione anche per questo […] Anch’io amo la purezza, ma non quella delle razze umane. Mi sono sentito una pena dentro quando ho visto la tua faccia sui giornali. Un isolato, un cane sciolto di destra. Una pena scandalosa. Molti isolati e cani sciolti di sinistra come te, quando a Nizza combattono la globalizzazione, muovono da sentimenti, bada solo sentimenti molto simili ai tuoi. Su quei sentimenti ha lavorato la cultura, una cultura diversa dalla tua, che è legata all’istinto ed è imbevuta di idealismo. Hai creduto che il manifesto sia un simbolo di tutto quello che non ti piace che esista. E ti sei sbagliato di grosso. L’attenzione da sempre alla multietnicità di quel giornale non va nella direzione dell’impuro[2].

  Che il cosiddetto movimento antiglobalizzazione fosse una grande occasione per il superamento della dicotomia destra /sinistra è, come si vede, idea che precede i “fatti di Genova”, al punto che già la ricerca di un trait d’union tra l’autore e il bersaglio di un attentato trovava proprio nel “no global” lo spazio di un incontro possibile sulla base di un comune sentire.
  Il sermone indirizzato al presunto cane sciolto Insabato[3], piuttosto che nel clima natalizio ‑ che, come si impara da bambini, rende tutti più buoni ‑ si inscrive in un paradigma di pacificazione che ha per assiomi l’etica dell’intenzione e l’imperativo di comunicazione. Il celebre discorso di Luciano Violante sulle motivazioni ideali dei “ragazzi di Salò”[4] non è che la punta di un iceberg la cui massa, al di sotto della schiuma delle dichiarazioni di circostanza, disegna un corpo frastagliato ma omogeneo. La “trasversalità” è, per nascita e vocazione, senza confini: passa dentro e fuori le istituzioni, nel “politico” e nel “sociale”, nell’amministrativo e nel “creativo”.
  A tratti, il flusso trasversale sembra subire una brusca interruzione e l’archiviata opposizione destra/sinistra, fascismo/antifascismo, è improvvisamente ripescata. Così nel ’94, prima vittoria elettorale della destra, così nel finale della campagna elettorale 2001 e di nuovo, con toni più accesi, dopo Genova, quando D’Alema parla di “clima cileno” e, di seguito, l’uomo immagine delle Tute bianche di “nazistelli in divisa[5]. Di regola questi ritorni “storici” si caratterizzano per l’elusione dello spessore della storia: metafore inarticolate il cui orizzonte non oltrepassa l’effetto del momento. Aperture di dialogo e risvegli intermittenti scandiscono il moto oscillatorio della lingua costitutivamente biforcuta delle sinistre “post”.
   Quando eventi di particolare gravità impongono riflessioni sottratte all’orizzonte ridotto della cronaca, vengono prodotte “analisi” che, come i duplicati di armi descritti da Debord, mancano sempre del percussore[6].
  Un'intervista al capogruppo dei senatori Ds – rilasciata a il manifesto all'indomani dell'attentato al quotidiano – può illustrare questa tipologia. La domanda di rito: “I fatti di questi giorni ci obbligano a ritornare sull’analisi della destra italiana. Non c’è stato troppo ottimismo, nel centrosinistra, sulla sua costituzionalizzazione e troppa facilità nella sua legittimazione?” riceve la risposta appropriata: “Autocriticamente ritengo di sì. Tutti, la sinistra e l’insieme delle forze democratiche, abbiamo sottovalutato quel che negli ultimi mesi è avvenuto nella destra italiana”. Le “sottovalutazioni” in questione concernono quattro punti: il separatismo della Lega, il peso dell’alleanza elettorale del centrodestra col Msi-Fiamma tricolore di Pino Rauti, la politica del Vaticano (dalla lettera pastorale di Biffi alla visita di Haider) e, infine:

   Quarto ma non ultimo: abbiamo sottovalutato la campagna sul revisionismo storico. Che ha tenacemente e meditatamente messo in discussione tre momenti cruciali della costruzione dello Stato nazionale e della Repubblica: l’unità d’Italia, col processo al Risorgimento allestito in agosto al meeting di Rimini; la Resistenza, col rovesciamento del valore fondativo dell’antifascismo nel “dovere morale” dell’anticomunismo; la Costituzione, con la volontà della destra non di riformarla ma di stracciarla, a partire dalla sua concezione del federalismo[7].

  “Un’analisi tutta da rifare”, commenta l’intervistatrice. Ma è una conclusione esorbitante in rapporto alla pochezza della diagnosi che, riducendo il problema a una sorta di svista, per di più limitata a pochi mesi, opera una duplice minimizzazione: della portata del pericolo di destra, in particolare dell’offensiva revisionista, e delle responsabilità delle sinistre che, da ormai più di un decennio, non si sono limitate a “sottovalutare”, ma si sono adoperate a rivalutare e valorizzare.
  È il progetto di costituzione di un paese normale, elaborato alle origini della Nuova Destra tedesca, che sintetizza la strategia adottata dalla sinistra di governo italiana nel corso degli anni Novanta. Condizione essenziale di questo progetto è l’opera di revisione della storia efficacemente criticata da Klinkhammer:

in Italia negli ultimi anni è stata fortemente auspicata una “conciliazione nazionale”, considerata un elemento fondamentale per una società “postfascista”. Il “superamento” del passato fascista da parte di una presunta società postfascista presuppone però l’offuscamento dei lati negativi di questo passato[8].

  Il processo di pacificazione, abbellimento e “armonizzazione” della storia si è necessariamente articolato nel Grande Dialogo [9] tra destra e sinistra, promosso da quest’ultima come elemento innovatore al di là della “residua” pregiudiziale antifascista, nella ripresa più o meno consapevole della strategia da tempo messa a punto dalla Nuova Destra.
  Di qui il vizio congenito delle “mobilitazioni” periodiche e dei relativi rituali autocritici, che devono correggere i singoli “guasti” prodotti da questa strategia senza mai metterne in discussione i presupposti. La figura dell’impostore inverosimile[10], capace di svolgere, alternativamente o simultaneamente, i ruoli di agitatore e imbonitore, è un ingranaggio indispensabile di questo marchingegno e riceve immancabilmente la meritata promozione mediatica. In contropartita ogni critica radicale di questo impianto incontra una censura non dichiarata e tanto più efficace.