lunedì 23 novembre 2015

Quando erano gli italiani ad emigrare








by | set 14, 2015 | Resistenze,  | 0 comments

QUANDO ERANO GLI ITALIANI AD EMIGRARE  -parte seconda
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I Paesi extraeuropei non erano la sola sede in cui emigrare: accanto ad essi, molti Italiani scelsero l’emigrazione in Francia .
La Francia, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, diviene abituale terra di migrazioni stagionali per le popolazioni dell’arco alpino occidentale,
le quali erano solite recarsi in Costa Azzurra per dedicarsi ad attività di piccolo artigianato e, talvolta, per chiedere l’elemosina ai facoltosi villeggianti
inglesi che venivano a svernare nelle lussuose località costiere. Dopo aver valicato i confini, spesso in clandestinità, lungo quella che era conosciuta
come “la via di Vernante” (la stessa strada fu percorsa anche dai rifugiati politici perseguitati dal fascismo, come racconta Giorgio Amendola in
“Lettere a Milano), un difficile sentiero che valicava le Alpi all’Argentera, in provincia di Cuneo, gli emigranti, nella totalità dei casi poveri contadini di
montagna malnutriti e poverissimi, si affidavano letteralmente al buon cuore di chi li incontrava, sperando così di racimolare quel poco di denaro in
grado di innalzare lievemente il misero tenore di vita delle vallate alpine piemontesi.
Accanto a tale migrazione per piccoli gruppi, si sviluppò ben presto anche un’emigrazione stagionale di massa diretta sempre nel sud della Francia,|
dove nelle cave di sale venivano impiegati moltissimi nostri connazionali; ben presto, le tensioni fra immigrati italiani in Francia e lavoratori francesi
aizzati dalla solita propaganda xenofoba, esplosero: gli Italiani “portavano via il lavoro”, “erano delinquenti”, “erano per natura semibarbari” e via di
pregiudizio in pregiudizio, tanto che nell’estate del 1893 ad Aigues Mortes, dopo una banale lite fra lavoratori italiani e lavoratori francesi, “grazie” ad
una bufala diffusa ad arte fra la gente, secondo la quale i lavoratori italiani si sarebbero resi responsabili di alcuni omicidi, una folla inferocità uccise18
nostri connazionali e ne ferì 150 (anche se le stime restano tuttora approssimative). Nonostante ciò, le forze dell’ordine francesi intervenirono
soltanto 18 ore dopo la strage, lasciando sostanzialmente mano libera agli xenofobi.
Un altro itinerario migratorio francese seguito dai lavoratori italiani era quello che portava alle miniere nel nord del Paese:in alcune miniera in
Lorena,ad esempio, gli italiani costituivano sostanzialmente il 50% della manodopera: essi -soprattutto i sardi- erano molto richiesti in quanto, date le
condizioni di miseria in cui vivevano, erano disponibili a ritmi di lavoro gravosissimi. Per queste persone, lo stesso lavoro che significava reddito
magro, equivaleva anche a morte certa anzitempo a causa di malattie polmonari come la silicosi.
Ai padroni francesi e allo Stato italiano conveniva sfruttare questi lavoratori: nel 1916 il Governo italiano stipula con quello francese un accordo col
quale, in cambio di manodopera, l’Italia avrebbe ricevuto quantitativi di carbone in base alla produttività dei suoi emigranti. Come vedremo, tale
modalità sarà usata dai governi italiani sino agli anni Sessanta del Novecento.
Alla fine della seconda guerra mondiale, quando il Paese, ridotto allo stremo, avvia la sua ricostruzione, le emigrazioni di massa verso i Paesi europei
conoscono un nuovo picco: oltre alla Francia, gli Italiani, non solo del sud, si avviano verso la Svizzera, il Belgio, la Germania e la Svezia. I governi
stessi, al fine di ottenere materie prime a basso costo, si impegnano con protocolli appositi a garantire l’emigrazione di quote di operai verso i Paesi
che ne fanno richiesta: a tal fine, il Governo italiano ottiene dalla Banca Mondiale che il nostro Paese sia inserito nella lista di quelli in cui si agevola
l’emigrazione. Chi sono gli emigra|nti del Dopoguerra?
Si tratta soprattutto di minatori, ma non solo: accanto ad essi, fanno le valigie centinaia di migliaia di contadini che scelgono di trasformarsi in operai
per potersi garantire un futuro. Partono a migliaia sui “treni della speranza” che, varcando il Sempione e il Brennero, scaricheranno in Paesi ostili
uomini strappati alle terre e alle famiglie. Una volta giunti nei luoghi di lavoro, molti di loro verranno avviati in apposite baracche di legno, campi di
concentramento volontari in cui gli emigrati erano relegati al fine di tenerli lontani dalle città, da loro viste come miraggi lontani. “Vietato l’ingresso ai
cani e agli italiani”
stava scritto in molti locali pubblici frequentati dagli stessi padroni che facevano profitti sulla pelle di quei lavoratori misconosciuti e
discriminati. Fra tutte le vicende di sfruttamento e alienazione, la più nota universalmente è la tragedia nella miniera Marcinelle in Belgio, ove l’8
Agosto1956, in seguito ad un incendio, muoiono 262 lavoratori, fra cui 139 italiani immigrati.
A partire dagli anni Settanta del Novecento, i flussi migratori dall’Italia verso i Paesi europei diminuiscono per due ragioni opposte: per il
miglioramento delle condizioni di vita nel nostro Paese, a seguito delle grandi conquiste economiche e politiche dei lavoratori, sia perché, con la crisi
petrolifera del 1973, i Paesi in cui erano impiegati i nostri lavoratori rimandano indietro una manodopera ritenuta superflua in periodo di crisi
economica. Negli anni Ottanta del Novecento l’emigrazione dall’Italia risulta pressoché inesistente e solo negli ultimi anni, a causa della dura crisi
economica e delle politiche di tagli ai servizi sociali e di precarizzazione del lavoro, essa torna prepotentemente in scena e ci fa capire una cosa: il
benessere, le conquiste sociali, i diritti, non sono mai acquisiti definitivamente; bastano un po’ di anni “storti”, bastano un po’ di governi antioperai, e
tutto ciò che si credeva consolidato viene messo nuovamente in discussione. Per questo oggi, quando vediamo arrivare milioni di persone
impoverite e alla ricerca di una nuova vita, dovremmo, in quanto italiani con quella storia alle spalle, comprendere non una, ma due volte le ragioni che
li hanno mossi; spesso le medesime ragioni che anche ora, mentre sto scrivendo, stanno muovendo giovani disoccupati o precari a lasciare la nostra
Patria alla ricerca di una vita degna di essere vissuta.





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