Gennaro Carotenuto
Cinque cose fuori dai denti su Steve Jobs e la Apple
I lutti non sono il momento adatto per le puntigliosità ma per la celebrazione del caro estinto. Tuttavia la morte di Jobs si è trasformata nell’ennesimo evento globale. Così il segno encomiastico rischia di impedire una valutazione equanime, sul personaggio, sull’impresa a maggior capitalizzazione al mondo e su un’epopea dove non tutto luccica. Siamo di fronte ad un’operazione di marketing funerario sulla quale è bene riflettere brevemente.
1) Le invenzioni di Steve Jobs, spesso un passo avanti a tutti e a volte dei veri capolavori soprattutto dal punto di vista estetico, sono sempre stati dei prodotti di fascia alta per consumatori in grado di spendere (o svenarsi). Al dunque quel costo di un 20% in più rispetto ad un Sony Vaio o 30% in più rispetto ad un Toshiba Satellite, il surplus che ti garantisce lo status symbol per fare quasi sempre le stesse cose, te lo devi poter permettere.
2) I prodotti simbolo degli ultimi dieci anni, ipod, iphone, ipad, sono stati presentati come una rivoluzione universale. Nonostante le centinaia di milioni di pezzi venduti (e quindi un indiscutibile successo di marketing) la vera innovazione, quella che cambia davvero il mondo, non è quella per chi se la può permettere ma quella per tutti. Tra il notebook da 35$ annunciato dal governo indiano (il prossimo Steve Jobs verrà da lì) e il più fico degli ipad c’è la stessa relazione che c’è tra il vaccino anti-polio e un brevetto contro la caduta dei capelli.
3) È giusto che un capitano d’industria si prenda i meriti dei prodotti innovativi che licenzia, soprattutto quando il gruppo che dirige diventa quello a più alta capitalizzazione al mondo. Ma sta restando nell’ombra che, soprattutto in campo tecnologico e in pieno XXI secolo, vi dev’essere sì una visione di fondo (che può essere anche di una persona sola), ma vi è soprattutto un lavoro di gruppo, anzi di molti gruppi ed un continuo confronto perfino con la concorrenza. Senza Steve Jobs non avremo l’ipad come lo conosciamo ma non è vero che non avremmo lo smartphone (probabilmente il più grande salto in avanti dalla diffusione del personal computer). Insomma un grande, ma presentarlo come l’uomo della provvidenza è esagerato.
4) La concezione proprietaria della Apple su software e brevetti è ben più che per il mondo Windows l’esatto opposto del software libero, dell’open source e della libera circolazione dei saperi. Lo stesso Jobs ammise di non inserire nell’iphone la possibilità di ascoltare la radio via etere (un banale chippino da pochi centesimi presente in qualunque cellulare da 40 Euro in su) perché dall’ascolto della radio non poteva lucrare. Ma il profitto appare solo una giustificazione rispetto alla maniera orwelliana con la quale l’iphone o l’ipad continuano ad essere controllati dalla Apple e non dal legittimo proprietario. Se non permettete ad un estraneo di entrare in casa vostra per portarsi via un libro o un disco o per spostare un soprammobile, perché accettate che Apple lo faccia sul vostro telefono?
5) La Apple di Jobs è stata in questi anni una delle imprese simbolo del mondo globalizzato nel più deleterio dei modi possibili. Dalle accuse di mobbing alle documentate orribili condizioni di lavoro in Cina (vedi alla voce Foxconn) con decine di casi di suicidi denunciati, Jobs non è mai stato meglio della Nike, della Monsanto, della Coca-Cola o dell’ultimo padrone delle ferriere. L’esteticità, la bellezza, l’innovazione tecnologica più spinta (ma parliamo sempre di prodotti consumer, l’avanguardia vera è in altri campi) si sono sempre sposate con le più vecchie e conosciute pratiche dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Steve Jobs invitava a pensare differente (“Think different” fu uno degli slogan più efficaci) ma sui rapporti di produzione pensava molto antico.
4 commenti:
Sono d'accordo con quasi tutto quello che scrivi, il mobbing, lo sfruttamento, la delocalizzazione e tutto il resto. quello che invece dici al punto uno - 1) Le invenzioni di Steve Jobs, spesso un passo avanti a tutti - non credo sia vero. converrebbe controllare quante delle cose impacchettate in questi dispositivi esistessero già - compresi gli stessi pacchetti. ammesso e non concesso che i prodotti apple siano belli, il bello fa schifo? se poi è una questione di soldi la musica cambia. Vuoi mettere un pc da 40 dollari!
Per anonimo: il post, come ho indicato, è tratto dal sito di Gennaro Carotenuto:"Giornalismo partecipativo". Io mi sono limitato a rilanciarlo qui, su "incidenze", perché mi sembra che sia intelligentemente critico verso gli osanna mediatici e di molti utenti di internet. Per discutere gli aspetti tecnici del punto (1) credo che la cosa migliore che potresti fare è discuterne direttamente con l'autore, a mezzo dei commenti del post originale nel sito indicato. Riguardo alla "bello", senza voler erigermi a interprete del pensiero di Gennaro, posso dire come lo leggo: mi sembra che intenda dire che i prodotti prendevano un pîù di valore non tanto per il loro livello tecnologico, ma proprio per la loro estetica, se vuoi per il loro costo, che li rendeva "ricercati" come "status symbol". Un po' più oggetto da "indossare" esibire, per "distinguersi. Che è secondo me una logica povera, per quanto redditizia per i produttori. Ti ringrazio del contributo, e spero di averti risposto se non esaustivamente, almeno per quel che mi sento di poter affermare.
Le critiche sono necessarie a impedire certi errori come quello di Sel.
Stefano Galieni (riprendo da Contro la crisi): "Un manifesto di Sel: Vendola si dissocia ma il problema resta"
C’è poco da ridere rispetto al manifesto con cui è stato tappezzato il centro di Roma in memoria di Steve Jobs e firmato da Sinistra ecologia e libertà. C’è poco da ridere e bene ha fatto Vendola a dissociarsene rapidamente, ma il problema sussiste. Sussiste perché richiama ad un pensiero che nasce dagli elementi sani della cultura underground, capace di rompere lacci e lacciuoli ideologici per precipitare in un magma privo di qualsiasi punto di riferimento. Il creatore della Apple è stato certamente un genio che ha rivoluzionato le modalità comunicative globali, ma, nel contempo, ne ha fatto elemento di elevazione del profitto e dello sfruttamento. Ne sanno qualcosa tutti coloro che per l’azienda hanno lavorato e lavorano, i ritmi infernali di produzione, l’essere per ognuno rotella immediatamente sostituibile di un ingranaggio colossale, di una grandezza infernale. Far assurgere nel proprio pantheon una figura che nulla ha a che fare con i valori, non del comunismo ma della sinistra, di una idea aperta di società e di gestione dei flussi informativi è drammatico, rivela una assenza strutturale di prospettiva. Quale società ci prospetta un manifesto che si inchina di fronte ad uno dei potenti del mondo?.....
Cosa lega tra loro la Coca-Cola, Marilyn Monroe, la Vespa, i reggiseni Wonderbras, l'oroscopo ...e, oggi più che mai, il melafonino o Ipad? Che sono tutti quanti dei feticci; simboli d' amore e adorazione collettiva - magari inerti, morti - ma intrisi di una tale forza magica da renderli più vivi dei vivi.
Addentrarsi nei meandri di questo incantesimo, del fascino emanato da questi surrogati del divino, significa affondare nel cuore stesso della condizione dell' uomo contemporaneo; di un regime comunicativo basato per l' appunto sulla "sostituzione", elemento prioritario del feticcio, stando ai suoi analisti classici: dal Marx del Feticismo delle merci, tutto proteso a smascherare l' illusionismo del mercato capitalistico secondo cui le merci avrebbero valore in sé, senza riferimento alcuno al lavoro in esse contenuto, per arrivare al Freud dei Tre saggi sulla teoria sessuale, che nel feticismo vede una sorta di prototipo della perversione, intesa come spostamento dell' oggetto sessuale su un sostituto inadeguato.
Lo star-system, la moda, la superstizione, la pornografia, l’hi-tech: mai come oggi, il feticcio sembra trionfare nei più diversi campi della nostra vita. E pensare che per i colonizzatori portoghesi dell' Africa nera, i feiticos erano quegli strani oggetti adorati dagli indigeni, che riconfermavano la loro condizione primitiva, lontana anni luce dalle vere civiltà: prima politeiste e poi monoteiste. Come è possibile, allora, che proprio l' uomo ipercivilizzato sia tornato a quelle "incivilissime" condizioni? Un doppio scambio è caratteristico di queste figure del feticcio: "ciò che dovrebbe essere solo una cosa inerte, vi si presenta con i caratteri più intensi della vita e del potere; ciò che al contrario è vivo e riguarda la persona, come il corpo, risulta ridotto a puro oggetto, cosa tra le cose. E in questo scambio circolare tra la percezione della vita e della morte, del personale e dell' inorganico, si gioca uno straordinario potere d' attrazione, erotico e teologico allo stesso tempo. Il suo motore segreto, è l' assenza". Appunto.
E come altro definire il nostro stato di entusiastica narcosi, di erotica impotenza, di confusa ebetudine tra gli uomini e le cose? Le star odierne sono forse degli eroi? Gli innumerevoli manufatti tecnologici sono forse trofei? Ovvio che no. Risultano desiderabili unicamente in quanto ricettacoli del fascino. Non è forse la moda il regno per antonomasia del feticistico, dell' inorganico, del cadaverico? La moneta al posto del lavoro, il reggiseno al posto del seno, lo smartphone al posto dell’esperienza socializzante: i feticci sono autonomi rispetto al senso e al referente. Non dipendono da ciò a cui rinviano. Se il feticista adora come vivo ciò che è inerte, attribuendogli un potere magico, beh allora mai come oggi è arrivato il suo momento. Tramontato il grande Dio monoteista, ma anche i suoi sostituti mitici e idolatrici, resta soltanto il fascino fine a se stesso delle merci e del denaro, del sesso e del piacere. Resta soltanto una assurda fila da fare per l’acquisto dell’ultimo prototipo? La risposta potrebbe essere ovvia, perché questi a cui assistiamo sono i segni della decadenza della nostra civiltà, che si configura in una mancanza di certezze, in un profondo disprezzo culturale dell’altro. E il feticismo, considerata un tempo la più primitiva delle condizioni religiose in quanto religione senza Dio, si rivela "come l' ultima manifestazione del religioso, esattamente per la medesima ragione". Peccato che tutto questo non potrà durare a lungo.
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