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Ormai ogni anno si dedicano celebrazioni a questo argomento sempre più
di matrice neofascista con parate inquietanti in Lombardia come in
altre parti d’Italia.
Interveniamo oggi per dire la nostra opinione critica. E crediamo che
sia il caso di tornare ad affrontare in maniera un po’ più approfondita
questo tema.
Nel 2004 il governo di centrodestra, con l’avallo del centrosinistra,
stabilì di celebrare il 10 febbraio (anniversario del Trattato di pace
che nel 1947 aveva fissato i nuovi confini con la Jugoslavia) una
“Giornata del Ricordo” per celebrare “i martiri delle foibe e dell’esodo
istriano, fiumano e dalmata”. Una ricorrenza situata a dieci giorni
dalla “Giornata della Memoria” (istituita nel 2000 per il ricordo dalla
Shoah e di tutte le vittime e i perseguitati del nazifascismo). In
questi anni il senso comune ha portato a fare di tutto un polverone,
cosicché si parla correntemente di “foibe” come “olocausto degli
italiani”.
Noi riteniamo che in tutto questo ci sia un’operazione di confusione e
di ribaltamento dei fatti. L’obiettivo di raggiungere una “memoria
condivisa” attraverso una specie di “par condicio della storia”, per la
quale ricordiamo “tutte le vittime”, nasconde i giudizi di valore sulle
responsabilità storiche specifiche, in particolare quelle del regime
fascista italiano in collaborazione con il nazismo tedesco. Chi ha
provocato le tragedie della seconda guerra mondiale e chi, dopo averle
subite, ha reagito, diventano la stessa cosa.
Oggi, correntemente, con il nome di “foibe” ci si riferisce a due
periodi distinti: in Istria dopo l’8 settembre del 1943, fino all’inizio
dell’ottobre dello stesso anno, e a Trieste nel maggio 1945, dopo la
liberazione da parte delle truppe partigiane jugoslave (ufficialmente
alleate del fronte antinazista) e durante i 42 giorni di amministrazione
civile della città. In questi due periodi, secondo la vulgata corrente,
un numero imprecisato di persone, comunque “molte migliaia”, sarebbero
state uccise solo perché erano di nazionalità italiana e poi
“infoibate”, ossia gettate nelle cavità naturali presenti in quelle
zone. Si tratterebbe di una “pulizia etnica”, di un “genocidio
nazionale”. La responsabilità principale viene in genere attribuita ai
“titini”, ossia ai partigiani jugoslavi comunisti. Chi propone un esame
critico di questa versione viene chiamato “negazionista” o, ben che
vada, “riduzionista” (usando quindi le stesse categorie utilizzate per
chi nega o sminuisce la Shoah).