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giovedì 1 ottobre 2015

Valerio Marchi: La morte in piazza


Libro Red Star Press

Indagini, processi e informazione sulla strage di Brescia
A cura di Silvia Boffelli. Postfazione di Saverio Ferrari

La mattina del 28 maggio del 1974, alle ore 10 e 02, una bomba collocata in un cestino dei rifiuti e azionata da un comando a distanza esplode a Brescia sotto i portici di piazza della Loggia mentre è in corso una manifestazione contro il terrorismo di destra organizzata dai sindacati e dal Comitato Antifascista. Il bilancio dell’attentato, rivendicato da un'organizzazione neofascista, è drammatico: otto morti, centodue feriti e una città destinata per sempre a fare i conti con una ferita aperta nella sua storia e nella sua memoria.
Ricostruendo la dinamica di quello che resta un evento centrale nella strategia della tensione, con la quale vennero represse le istanze di cambiamento provenienti dalla società italiana, Valerio Marchi affronta con coraggio il modo in cui la tragedia è andata incontro a strumentalizzazioni politiche di comodo ed ad altrettanto interessati fenomeni di oblio mentre, con il loro contributo, Silvia Boffelli e Saverio Ferrari portano la narrazione nel cuore della contemporaneità, affrontando il nodo dello stragismo fascista, perennemente al servizio di ambigui comitati d'affari. Un libro indispensabile per comprendere le dinamiche del terrore e gli strumenti con cui diventa possibile utilizzare la paura per consolidare interessi sporchi e scandalosi giochi di potere.

Collana: Unaltrastoria
Pagine: 360
Formato: 13x20
Isbn: 9788867180813
Prezzo: 22 Euro

martedì 27 gennaio 2015

Non ci può essere memoria senza lotta antifascista e antiautoritaria

La «Giornata della Memoria» in ricordo dello sterminio nazista di sei milioni di ebrei giunge quest’anno proprio mentre la Corte internazionale dell’Aja sta avviando un’indagine preliminare sui possibili crimini di guerra commessi nei Territori palestinesi e dopo che, quest’estate, si è consumato l’ennesimo, insensato massacro della popolazione civile di Gaza. In un mondo in cui lo stragismo diventa sempre più uno strumento ordinario di lotta fra centri di potere.
Per gli Stati è sempre imbarazzante ricordare che i campi di concentramento nazista rappresentavano la «soluzione finale» per tutte le «diversità»: razziali, religiose, sessuali, politiche, mentali… Un folle progetto di «purificazione» della società che ogni tanto riaffiora in varie forme, magari travestito da ossessione per la «sicurezza» o da odio per il «degrado». E non è un caso che, da anni, ogni 27 gennaio si celebri una «memoria» dimidiata e strumentale, un pasticcio politically correct, un rito di autoindulgenza collettiva che non riesce nemmeno a interrogarsi sul perché nell’Europa di oggi il fascismo è ancora un pericolo.
Crediamo sia giusto ricordare che, accanto al genocidio degli ebrei, i nazisti perseguitarono e uccisero persone affette da ritardo mentale, asociali, alienati, disabili, mendicanti, omosessuali, zingari rom e sinti, donne e lesbiche, neri, socialisti, comunisti, anarchici, apolidi, rifugiati della guerra di Spagna. Solo una memoria integrale può infatti orientare la lotta contro ogni forma di   
 violenza razzista e fascista ...
                                                
                                      
... continua a leggere tutto su: staffetta

lunedì 12 maggio 2014

Étienne Balibar : Du marxisme althussérien aux philosophies de Marx

Postface à l’édition allemande de "La Philosophie de Marx"

http://extranet.editis.com/it-yonixweb/IMAGES/DEC/P3/9782707133892.jpg

Etienne Balibar, Marx’s Philosophie, Mit einem Nachwort des Autors zur neuen Ausgabe, übersetzt und eingeleitet von Frieder Otto Wolf, b_books, Berlin 2013. Il s’agit de la traduction de La Philosophie de Marx, collection « Repères », Editions La Découverte, 1993 (nouvelle édition 2001). 



C’est pour moi une heureuse surprise, mais aussi un très grand plaisir, de voir paraître en allemand mon petit livre de 1993 sur « La philosophie de Marx », traduit et préfacé par mon vieil ami Frieder Wolf, dont j’admire le travail et avec qui je dialogue depuis si longtemps. Je l’avais écrit à la demande de François Gèze, Directeur des Editions La Découverte, et d’un collègue aujourd’hui disparu, Jean-Paul Piriou, économiste et syndicaliste, qui avaient fondé la collection « Repères » pour servir à la formation des étudiants en sciences humaines dans un esprit de critique des orthodoxies dominantes et d’ouverture des frontières entre les disciplines. Bien entendu, l’idée de l’éditeur était aussi que ces ouvrages, écrits autant que possible dans un style accessible, sans jargon mais sans simplification exagérée, pourraient être utiles à un lectorat plus large. Vingt ans plus tard, je crois pouvoir dire sans prétention que ces différents objectifs ont été raisonnablement atteints, aussi bien dans l’espace francophone (où le volume a été réédité plusieurs fois) qu’à l’étranger (où plusieurs traductions sont toujours en circulation). Je ne regrette donc pas l’effort que j’avais fourni en quelques semaines de travail intensif pour rassembler et résumer, dans un espace strictement limité a priori, ce que je pensais avoir appris au cours des trente années précédentes à propos des « objets » de la pensée philosophique de Marx, de ses modalités et des problèmes qu’elle recouvre. Cet effort a permis, semble-t-il, à différents groupes de lecteurs, débutants ou non, d’entrer dans l’univers intellectuel de Marx par une porte déterminée, en leur donnant les moyens d’en discuter la pertinence. Et il m’a permis à moi de formuler les clés d’interprétation que j’avais longtemps recherchées, en les confrontant à celles d’autres lecteurs de mon époque.
Mais vingt ans c’est une longue période. Le monde a changé - ce monde social que la fameuse Onzième Thèse de Marx sur Feuerbach demandait de « transformer », et pas simplement d’ « interpréter ». J’ai moi-même changé (pour ne rien dire des autres philosophes de ma génération). Est-ce que j’écrirais aujourd’hui ce petit livre de la même façon ? Telle est en somme la question que me pose Frieder Wolf au nom des lecteurs à venir de ce livre dans l’espace germanophone, en même temps qu’il propose une magistrale contextualisation de mes intentions et de mes propositions.
La réponse est évidemment non. Je ne l’écrirais plus ainsi. Mais la réponse est aussi que je ne suis pas certain d’être capable, aujourd’hui, de produire une synthèse de ce genre, alors même que, depuis les années 90, je n’ai jamais cessé de revenir aux textes de Marx : pour éprouver leur efficacité dans le traitement de diverses questions philosophiques et politiques (citons sans ordre : l’économie de la violence et l’ambivalence de ses effets, les transformations de la subjectivité et de la puissance d’agir induites par la mondialisation capitaliste, les conflits internes de l’universalisme, la fonction administrative et idéologique des frontières, les perspectives de la citoyenneté transnationale, la crise du sécularisme européen et de sa variante française, la laïcité…) ; et pour chercher, en retour, quelles virtualités ces questions d’actualité peuvent nous faire découvrir dans la pensée de l’auteur du Manifeste communiste et du Capital … Sans doute, je pourrais procéder à de nombreux enrichissements et rectifications, mais il est probable que l’effet produit serait une bien plus grande dissémination des thèmes et des problèmes, et que je ne réussirais plus aujourd’hui à inventer, comme je l’avais fait en 1993, un fil conducteur permettant de les relier entre eux au service d’une question unique ...

                                   
                                              leggi il testo completo nel sito del CIEPFC
  
                                    
                                                  

                                                              post correlati: Metamorfosi di Marx 


giovedì 7 novembre 2013

Banalizzare e sminuire. Elementi della martellante campagna revisionista di Mr. Berlusconi

L'ennesima boutade di Mister B : "I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso" 
 ha suscitato il ricercato clamore, seguito da  una  rettifica  pro forma a mo' di autoassoluzione del provocatore di Arcore.

Ora  -  e questa volta si levano numerose voci di condanna  -  che si erano sinora abitualmente attenute ad una prudente e "diplomatica"  fin de non recevoir. 

E, ancora oggi, non mancano reti  TV  e giornali che, per servilismo, o per opportunismo, o pavidità, si dilettano  nell'arte dell'eufemismo, definendo "benevolmente" le violente provocazioni  Berlusconi, come semplici "gaffes" o  "sfoghi".

Da diversi anni, questo blog ha segnalato alcune tessere ([inequivocabili] del puzzle montato dal solito  Mr. B.


Nella convinzione che
chi non ha memoria non ha futuro,
 incidenze  rinvia  per memoria il breve elenco dei post che ha pubblicato nel corso del tempo sul "caso":

humor nero: "La sapete quella del campo di concentramento?"

Humor nero: MinCulPop del Terzo millennio

humor nero: la grande scelta finale...

Consuete facezie di Berlusconi su lager, sterminio, fascismo, etc. 

venerdì 13 settembre 2013

S. Ferrari: I neofascisti italiani arruolati come sicari e torturatori al soldo di Pinochet

  il documento:


L'operazione Condor
Grazie sia alla decisione di Clinton di mettere fine nel novembre del 2000 al segreto di Stato sui documenti, soprattutto Cia e Fbi, riguardanti il Cile, che all'azione di alcuni magistrati argentini che stanno ancora indagando sull'assassinio del generale cileno Carlos Prats (fuggito in Argentina dopo essersi opposto al colpo di Stato di Pinochet) e di sua moglie, avvenuto a Buenos Aires il 30 settembre 1974, molti nuovi elementi stanno emergendo. In particolare sul ruolo svolto, negli anni '70, da gruppi di neofascisti italiani arruolati come sicari e torturatori dalle peggiori dittature sudamericane. Per inquadrare meglio il contesto è indispensabile soffermarci sulla cosiddetta "operazione Condor".


Terrore pianificato
Con questo nome era definito il piano di repressione ed eliminazione fisica degli oppositori politici comunemente progettato dalle dittature latino-americane negli anni '70 e '80. Un'operazione su vasta scala, finanziata e protetta dagli Stati Uniti, su cui è stata ormai acquisita qualche tonnellata di documenti d'archivio. Le forze armate del cosiddetto "cono-sud" (Argentina, Brasile, Paraguay, Bolivia e Uruguay) organizzarono, infatti, nel quadro di accordi fra eserciti americani e servizi segreti militari, fin dai primi anni '70, una gigantesca struttura di controllo continentale dei "sovversivi" di ogni paese per poi colpirli, con tutti i mezzi, spesso attraverso i cosiddetti "squadroni della morte" allestiti dalle stesse forze armate. Dopo il colpo di Stato dell'11 settembre 1973 anche il Cile entrò a pieno titolo nel piano. Il generale Pinochet dette poteri assoluti al colonnello Manuel Contreras ai vertici della Dina, il servizio segreto cileno, appositamente modellato per "estirpare il cancro comunista".
Nasce così l'"operazione Condor", volta alla soppressione degli oppositori, dai militanti di sinistra ai sindacalisti, dai religiosi ai giornalisti e agli uomini di cultura. Il tutto nel quadro di una spaventosa repressione che conterà alla fine 50 mila assassinii, 35 mila persone scomparse, 40 mila prigionieri. Per alcune operazioni fuori dal Cile la Dina allestirà anche una sezione "estera" affidando, come vedremo, compiti esecutivi soprattutto a terroristi di estrema destra italiani.

mercoledì 11 settembre 2013

La TV cilena del giorno 11 settembre 1973




Caricato in data 10/lug/2011


Por una sociedad libre y sin violencia ni delincuencia ,sin cadenas de drogadiccion ni alcoholismo,contra la ignorancia y la mediocridad.
Tengo un sueño ;que es ver a la gente por las calles disfrutando con su familia, en un mundo de oportunidades e igualdad para todos ,valores y principios que Dios nos regala para vivir bajo sus consejos....."recordar es un acto de justicia" ..........(el ladron no puede robar la luz de la luna en la ventana) gracias por visitar...chelo gonzalez

giovedì 5 settembre 2013

Un giorno DI FEROCE TRISTEZZA: L'11 settembre '73 di Luis Sepulveda

 intervista di Filippo Fiorini - Santiago del Cile
                                il manifesto 2013.09.05



40 anni fa, lo scrittore era nelle forze di sicurezza socialiste che difesero Santiago dal golpe di Pinochet. «Quel giorno la mia gioventù finì violentemente. E da allora il Cile non è più uscito dalla dittatura»
Quarant'anni fa iniziò la dittatura militare in Cile. Possiamo dire che oggi tutto quello che prese il potere in quel momento è stato superato, o ci sono ancora dei resti del sistema nei posti di comando del paese e della società civile?Nessuno che conosca la storia può sostenere che tutto ciò sia stato superato. A partire dall'11 settembre '73 in Cile è stata installata una feroce dittatura che ha eliminato qualsiasi tradizione democratica. Per quanto imperfetta, la democrazia cilena aveva pur sempre distinto il paese come un esempio in tutto il continente americano. Inoltre, è stato imposto un modello economico ben preciso. Il Cile è stato il primo luogo in cui sono state messe in pratica le politiche neo-liberali teorizzate da Friedman e dalla Scuola di Chicago. Un esperimento che per poter funzionare aveva bisogno di una nazione governata da un despota, senza alcuna opposizione, senza partiti politici, senza sindacati, senza organizzazioni sociali e con un sistema dei media completamente asservito alla dittatura e al suo programma economico. Uno stato si governa attraverso l'ordinamento dettato dalla propria Costituzione e oggi, a quarant'anni di distanza dal golpe, il Cile ha ancora la stessa Costituzione che approvò la dittatura. Una carta che ha permesso l'esistenza non solo di una tirannia politica, ma anche di una tirannia economica, che emargina la maggioranza delle persone, che privatizza la sanità e l'educazione, che regala le risorse nazionali all'avidità delle multinazionali e lo fa impunemente, al di sopra di qualsiasi meccanismo di controllo statale, sia sul bilancio delle risorse, che sul bilancio fiscale. Ogni paese cambia, perché il mondo è in movimento, ma in Cile il movimento è stato circolare, ritornando inevitabilmente alla legalità imposta dalla dittatura.

I media cileni e diverse personalità pubbliche nazionali hanno usato frequentemente nelle ultime settimane la parola «perdono». Crede che le vittime della dittatura di Pinochet siano pronte a perdonare? La società è arrivata a una riconciliazione?Il perdono è una categoria morale, si perdona o meno solamente dopo che il colpevole ha chiesto scusa. In Cile sono stati commessi crimini di stato, in nome dello stato, uno stato che però non ha mai chiesto scusa a nessuno, tanto meno alle sue vittime. Neanche chi fu direttamente responsabile, ovvero i militari e i civili che misero in piedi la dittatura, ha mai chiesto scusa a chicchessia. Stiamo parlando di più di 3mila desaparecidos e i loro famigliari, delle centinaia di migliaia di persone torturate, delle migliaia che furono obbligate all'esilio, dei milioni che rimasero esclusi dal sistema quando il disegno economico della dittatura ha liquidato l'industria nazionale e quando il «libero mercato» ha sostituito tutto il sistema produttivo con le merci importate. Per nulla di tutto questo si è mai chiesto scusa. La società cilena non si è riconciliata perché solo una società malata potrebbe riappacificarsi con coloro che eliminarono un modo di essere, di vivere e avere un progetto di vita.

sabato 8 giugno 2013

Mort d'un antifa [Libération, 7 juin 2013]

http://md0.libe.com/api/libe/v2/paperpage/193591/?size=x500&format=jpg

 

Portrait :

 Déjà leader lycéen et anarchiste à Brest, il était arrivé à Sciences-Po Paris en septembre, avait rejoint les antifascistes et s’était engagé contre l’homophobie.

 

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  leggi inoltre:


giovedì 6 giugno 2013

in memoria di Clément Méric, ucciso dai fascisti

 

Le mercredi 5 juin 2013, en sortant d'un magasin de vêtements, près de la gare Saint-Lazare, Clément Méric, jeune syndicaliste âgé de 18 ans et militant antifasciste a été battu à mort par des membres de l'extrême droite radicale. Venu de Brest pour ses études à Sciences Po, il a été victime du contexte de violences d'extrême droite qui s'est développé ces derniers mois. Il est décédé des suites de ses blessures, dans la nuit, à l'hôpital de la Pitié-Salpêtrière. Toutes nos pensées vont à sa famille et à ses proches auxquels nous exprimons toute notre solidarité.
Ses ami-e-s et camarades.


  *     *     *




Mercoledì 5 giugno 2013, uscendo da un negozio di abbigliamento, nei pressi della gare Saint-Lazare, Clément Méric, sindacalista diciottenne e attivista antifascista è stato picchiato a morte dai membri dell'estrema destra radicale. Venuto a Brest per i suoi studi a Scienze politiche, è stato vittima del contesto di estrema violenza di destra intensificatosi negli ultimi mesi. È morto per le ferite, nella notte, presso l'ospedale Pitié-Salpêtrière. Tutti i nostri pensieri vanno alla sua famiglia e ai suoi cari ai quali esprimiamo la nostra solidarietà.


I suoi amic* e compagn*. 




Action Antifasciste Paris-Banlieue

da: Action Antifasciste Paris-Banlieue
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vedi anche:  «L’orrore fascista torna a uccidere a Parigi»
 

martedì 4 giugno 2013

"Il sangue politico"- BO, 4 giugno: presentazione del libro di N. Orlandi Posti





Presentazione del libro "IL SANGUE POLITICO"
di Nicoletta Orlandi Posti 
Editori Riuniti

Incontro con l'autrice
Con la partecipazione di Paola Faraca

Vino& stuzzicherie a cura di Drogheria 53



martedì 4 giugno, ore 18
Casa Rude via Pietralata 83/A, Bologna (traversa di via del Pratello)
 
 

Gli anarchici della Baracca, un caso che li riassume tutti

Questa è la storia di Gianni Aricò, di Angelo Casile, di Annelise Borth, di Franco Scordo e di Luigi Lo Celso che trovarono la morte a soli vent'anni in uno strano incidente stradale sull'autostrada del Sole, nei pressi di Ferentino, la notte tra il 26 e il 27 settembre 1970. Erano partiti dalla Calabria per portare a Roma, ai compagni della Federazione Anarchica Italiana, un dossier di contro-informazione misteriosamente scomparso dal luogo dell'incidente. La loro vicenda e il dossier che avevano messo insieme si intreccia con alcune delle pagine più oscure e insanguinate della storia italiana collegate da un inquietante filo nero che parte da piazza Fontana, passa per i moti di Reggio, la strage di Gioia Tauro, il golpe Borghese. E ancora il caso Marini, l'omicidio De Mauro, la tragica fine di Mastrogiovanni. Questa è la storia di cinque anarchici che avevano scoperto cose che “avrebbero fatto tremare l'Italia”. Questa è la storia di cinque ragazzi che capirono prima di altri che l'Italia, un Paese che aveva sconfitto sul campo il fascismo, non lo aveva però estirpato, consentendo a beceri individui assetati di potere e di sangue di farlo rinvigorire e crescere fino ai giorni nostri dove convivono vecchie e nuove dittature con la loro carica di violenza e disumanità. Li hanno fermati.
 
Prefazione di Erri De Luca


martedì 30 aprile 2013

Il rogo dei libri


Bertolt Brecht



Il  rogo dei libri

Quando il regime ordinò che in pubblico fossero arsi

i libri di contenuto malefico e per ogni dove

furono i buoi costretti a trascinare

ai roghi carri di libri, un poeta scoprì

– uno di quelli al bando, uno dei meglio – l'elenco

studiando degli inceneriti, sgomento, che i suoi

libri erano stati dimenticati. Corse

al suo scrittoio, alato d'ira,e scrisse ai potenti una lettera.

Bruciatemi!, scrisse di volo, bruciatemi!

Questo torto non fatemelo! Non lasciatemi fuori! Che forse

la verità non l'ho sempre, nei libri miei, dichiarata? E ora voi

mi trattate come fossi un mentitore! Vi comando:

bruciatemi!

domenica 28 aprile 2013

La "banda Collotti", un libro di Claudia Cernigoi







 La  “Banda Collotti”.

Storia di un corpo di repressione al confine orientale d’Italia 

 ed.   Kappa Vu, Udine, 2013



“Ho cominciato a scrivere questo libro più di dieci anni fa, pensando all’inizio di farne un breve dossier, come quelli che pubblico per la Nuova Alabarda. Avevo iniziato riordinando un po’ di documenti storici e di testimonianze e poi, andando avanti, mi sono accorta che mentre scrivevo la storia del corpo di repressione avevo iniziato a ricostruire anche una parte della storia della Resistenza di queste terre, e così ho proseguito raccogliendo altri documenti, ma soprattutto testimonianze di persone che avevano vissuto quei momenti e me ne hanno resa partecipe. Così ne è uscito un libro piuttosto corposo, ricerca che per me ha significato non solo conoscere fatti storici ma anche entrare in contatto con tante persone che avevano lottato e sofferto per la libertà, ed alla fine ne sono uscita più ricca interiormente. Ringrazio ancora tutti coloro che mi hanno aiutata e che sono ricordati all’inizio del libro, e mando un pensiero particolare agli ex prigionieri che hanno accettato di visitare la sede di via Cologna, dove erano stati detenuti e torturati, per ricostruire con noi, che “viviamo tranquilli nelle nostre tiepide case” quei tempi terribili che non abbiamo vissuto, noi che grazie al sacrificio di persone come loro oggi possiamo vivere liberamente”.
                                                             
 
____________________________
 fonte: G. Aragno

 Thanks: Marginalia

genealogia:  La  Nuova Alabarda

giovedì 21 marzo 2013

Robert Castel, cinquante ans de pugnacité sociologique


castel

                              Robert Castel  1933 - 2013

Directeur d’études à l’Ecole des hautes études en sciences sociales (EHESS), Robert Castel, né à Brest en 1933, est mort à Paris, mardi 12 mars, des suites d’un cancer. A juste distance entre Michel Foucault et Pierre Bourdieu, dont il était l’ami, non sans bataille, son œuvre voulait être un diagnostic du temps présent.
Robert Castel, c’était d’abord une silhouette courbée sur sa cigarette, un regard caché sous ses longs sourcils, une présence discrète qui jaugeait longuement son interlocuteur. Il y avait chez lui quelque chose du vieux marin, légèrement méfiant, qui se manifestait par des silences, regard de travers, par une blague pour détendre le sérieux du milieu académique. Car ça le faisait rire, la pose des sociologues ou des historiens. Il devait alors penser à son certificat d’étude, passé à Brest, ou à sa mère lui disant : « A la maison, on manquera jamais de rien, il y aura toujours du vin. » Sous le manteau, il aimait brandir son diplôme d’ajusteur mécanicien, son orientation forcée dans une école technique, la rencontre d’un professeur de mathématique, surnommé Buchenwald, ancien rescapé du camp, qui le somma de quitter le collège fipour faire de la philosophie à Rennes.
…..
La fréquentation de Michel Foucault marque alors ses analyses transversales, notamment par cette démarche généalogique que l’on peut suivre dans Le psychanalysme, l’ordre psychanalytique et le pouvoir (Maspero, 1973) ; L’ordre psychiatrique (Minuit, 1977) ; La société psychiatrique avancée : le modèle américain (avec Françoise Castel et Anne Lovell, Grasset, 1979) ; La gestion des risques (Minuit, 1981).  Le traitement et la prise en charge des malades mentaux sont violemment passés au crible de la critique. Du coup, il entretenait un rapport assez particulier avec la sociologie, réintroduisant le passé « avec ses problèmes qui ne sont jamais dépassés ».
___________________
Tanks:  Clare O'Farrell

martedì 19 marzo 2013

Le pape et les "années de plomb" en Argentine


"François Ier, Argentin et péroniste", sur une affiche à Buenos Aires, le 15 mars.

Le rôle de Jorge Mario Bergoglio, le pape François, pendant la dictature militaire (1976-1983) fait l'objet de controverse depuis plusieurs années à Buenos Aires. A l'origine, le directeur du quotidien progouvernemental Pagina 12, Horacio Verbitsky, avait publié, en 2005, un livre polémique, El Silencio (non traduit), où il dénonce la complicité de l'Eglise catholique argentine avec les militaires.



 Le journaliste accuse en particulier Jorge Bergoglio, qui était à l'époque responsable de la Compagnie de Jésus en Argentine, d'être impliqué dans l'enlèvement de deux jeunes prêtres jésuites qui travaillaient dans un bidonville, en 1976. Torturés pendant cinq mois, Orlando Yorio et Francisco Jalics avaient été remis en liberté et s'étaient exilés. Le premier est mort en 2000, le second vit en Allemagne. Dans un communiqué publié, vendredi 15 mars, sur le site Internet des jésuites en Allemagne, ce dernier déclare qu'il ne peut "prononcer sur le rôle du père Bergoglio dans ces événements". Il indique aussi avoir eu "l'occasion de discuter des événements avec le père Bergoglio qui était entre-temps devenu archevêque de Buenos Aires. Nous avons ensemble célébré une messe publique (...). Je considère l'histoire comme close", a-t-il précisé.

De son côté, le porte-parole du Vatican, le Père Federico Lombardi, a dénoncé "le caractère anticlérical de ces attaques, allant jusqu'à la calomnie et la diffamation des personnes". "La justice l'a entendu une fois et à simple titre de témoin et le père Bergoglio n'a jamais été suspecté ou accusé". "Dans l'élaboration de la demande de pardon, Mgr Bergoglio a déploré les défaillances de l'Eglise argentine face à la dictature", souligne le Vatican.


"TALENTS D'ACTEUR"

Dans un article publié au lendemain de l'élection du pape François, M. Verbitsky, qui est également directeur du Centre d'études légales et sociales, une organisation non gouvernementale de défense des droits de l'homme, a renouvelé ses attaques, qualifiant le nouveau pontife de "populiste conservateur", qui introduira "des changements cosmétiques" au Vatican, "avec ses talents d'acteur". Le même jour, M. Verbitsky publie un courrier électronique de Graciela Yorio dans lequel la sœur du prêtre décédé exprime "son angoisse et sa colère". Selon elle, il aurait "laissé sans protection" les deux prêtres, adeptes de la "théologie de la libération" ...


lire  l'article complet  sur Le Monde

giovedì 14 marzo 2013

Guy Debord, da: Commentari sulla Società dello spettacolo, XXIV


 

. Ci si sbaglia ogni volta che si vuole spiegare qualcosa opponendo la mafia allo Stato: essi non sono mai in rivalità. La teoria verifica con facilità ciò che tutte le dicerie della vita pratica avevano dimostrato troppo facilmente. La mafia non è un'estranea in questo mondo: ci si trova perfettamente a suo agio. Nell'epoca dello spettacolare integrato, essa appare come il modello di tutte tutte le imprese commerciali avanzate.

martedì 12 marzo 2013

Casca Pound (by Anonymous)


      

        Attacco Anonymous al sito casapound.org



Firma la petizione per chiudere Casapound
su
Anonymous Italia

domenica 28 ottobre 2012

"Gente che non ho mai visto": Mussolini (di V. M.)


Vladimir Majakovskij

GALLERIA MAJAKOVSKIJANA
Gente che non ho mai visto



Mussolini

Ovunque si getti lo sguardo,i giornali
son pieni
              del nome di Mussolini.
A quelli che non l’hanno mai visto
                                                   lo descrivo io, Mussolini.
Punto per punto,
                         tratto per tratto.
Genitori di Mussolini,
                                 non sforzatevi di criticarmi!
Non gli somiglia?
                           La copia più esatta
                                                       è la sua politica.
Mussolini
               ha un orribile
                                    aspetto.
Nude le estremità,
                            nera la camicia,
sulle braccia
                   e sulle gambe
                                        migliaia
di peli
         a ciuffi.
Le braccia
                arrivano ai calcagni
                                              e scopano per terra.
Nell’insieme
                   Mussolini
                                  ha l’aspetto di scimpanzé
Non ha faccia :
                       al suo posto
ha un enorme
                     marchio da brigante.
Quante narici
                     ha ogni uomo!
                                           È inutile!
Mussolini
               in tutto,
                           ne ha una sola,
e anche questa
                      gli è stata spaccata
                                                   esattamente in due
alla spartizione
                        del bottino.
Mussolini
               è tutto
uno scintillio di medaglie.
Con un simile
                     armamento
                                      come non sconfiggere il nemico?!
Senza pistola,
                     senza spada,
                                        ma armato di tutto punto :
al fianco
             un litro intero
                                  d’olio di ricino ;
se
   te lo rovesciano
                           in bocca,
                                        non puoi opporti
                                                                 a una squadra
                                                                                      di fascisti.
Per sentirsi dappertutto
                                    come a casa
                                                       Mussolini
nella zampaccia
                        stringe un mazzo
                                                  di grimaldelli e di ferri da scasso.

martedì 2 ottobre 2012

Soldati senza causa. Memorie della guerra d’Algeria







di Andrea Brazzoduro
Laterza, 2012




Tra il 1954 e il 1962, 1 milione e 200 mila soldati francesi di leva sbarcano al di là del Mediterraneo per combattere contro gli indipendentisti del Fronte di liberazione nazionale algerino.

Tra le fila francesi i morti sono 26 mila e 300 mila i feriti; almeno dieci volte di più sono quelli algerini.

La guerra d'Algeria è stata una "guerra senza nome", dissimulata con le denominazioni più varie ed enigmatiche quali "pacificazione" o "mantenimento dell'ordine". Alla fine del conflitto i soldati francesi sono rifiutati dal proprio stesso Paese che vuole lasciarsi rapidamente alle spalle quel passato coloniale. Solo nel 1999 la Francia riconosce di aver combattuto una guerra tra il 1954 e il 1962.

Cinquant'anni dopo l'indipendenza dell'Algeria, cosa hanno da raccontare quei reduci, fra i gruppi maggiormente segnati dalla cesura burrascosa che ha messo fine all' "Algeria francese"?
 
Le loro memorie, raccolte in decine di interviste, sono al centro di questo libro.

giovedì 20 settembre 2012

Étienne Balibar: l’aspect le plus «foucaldien» de l’œuvre de Marx




Il y a ... bien conversion locale de la violence en formes sociales plus «avancées» de l’exploitation – plus «civilisées», et éventuellement plus «productives». Mais c’est au prix, en fait, de son déplacement ou de sa délocalisation. D’autre part, c’est à ce sujet que Marx propose une analyse de la lutte de classes comme un rapport de force évolutif qu’on peut rétrospectivement considérer comme l’aspect le plus «foucaldien» de son œuvre [*]: le «pouvoir» en effet n’y figure pas comme un terme univoque, référant à une instance qui viendrait de l’extérieur contraindre le processus social, mais plutôt comme le rapport lui même, c’est-à-dire le résultat complexe et instable du conflit qui se déploie dans le temps entre discipline et résistance, techniques d’exploitation de la force de travail humaine (que Marx appelle «méthodes d’extraction du surtravail») qui sont aussi, en un sens, des «techniques de gouvernement», et luttes individuelles ou collectives qui incarnent une forme de liberté dès leurs manifestations le plus élémentaires (et non pas seulement préparent une libération «finale») ...

   E. Balibar, Violence et civilité. Welleck Library Lectures et autres essais de philosophie politique, Paris, Galilée 2010, p. 133, «Deuxième conférence. Une violence “inconvertible”? Essai de topique».

martedì 18 settembre 2012

Roms : la commune humanité bafouée


Rom: la comune umanità schernita

Firmare una petizione e concorrere a farla circolare  è , come ha  sottolineato realisticamente Vincenza Perilli su Marginalia, un gesto limitato, ma  in casi come questo , vale comunque la pena di associarsi all'indignazione e alla protesta di fronte alla politica di espulsione dei "Rom stranieri" perseguita in Francia dal nuovo governo che ,su questi problemi cruciali, non ha rotto la continuità con il precedente governo di destra.
A cosa può servire cambiare Presidente se non a cambiare politica adoperandosi a sradicare e neutralizzare le condizioni del razzismo, del populismo, della xenofobia ?
 
Ho firmato ed invito a diffondere e firmare la petizione:
 Roms : la commune humanité bafouée,