Dall’antropologia filosofica all’ontologia sociale e ritorno: che fare con la sesta tesi di Marx su Feuerbach?
di
ETIENNE BALIBAR
È in uscita per Mimesis “Il
Transindividuale. Soggetti, relazioni, mutazioni”, una raccolta di studi
sulla questione del transindividuale curata da Etienne Balibar e
Vittorio Morfino. Qui, per gentile concessione dei curatori, anticipiamo
lo stesso saggio di Balibar, in cui il filosofo francese conduce
un’analisi particolareggiata del significato filosofico della Sesta Tesi
di Marx su Feuerbach.
Le
Tesi su Feuerbach[1],
un insieme di 11 aforismi a quanto pare non destinati alla
pubblicazione in questa forma, sono state scritte da Marx nel corso del
1845 mentre stava lavorando al manoscritto dell’
Ideologia tedesca,
anch’esso non pubblicato. Sono state scoperte più tardi da Engels e da
lui pubblicate con alcune correzioni (non tutte prive di significato),
come appendice al suo pamphlet
Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca (1886)
[2].
Sono considerate largamente una delle formulazioni emblematiche della
filosofia Occidentale, talvolta comparate con altri testi estremamente
brevi ed enigmatici che combinano una ricchezza apparentemente
inesauribile con uno stile enunciativo da manifesto, che annuncia un
modo di pensare radicalmente nuovo come il
Poema di Parmenide o il
Trattato di Wittgenstein. Alcuni dei suoi celebri aforismi hanno guadagnato
a posteriori
lo stesso valore di un punto di svolta in filosofia (o, forse, nella
nostra relazione con la filosofia) come, per esempio dei già citati
Parmenide e Wittgenstein rispettivamente: «tauton gar esti noein te kai
einai »
[3], «Worüber man nicht sprechen kann, darüber muss man schweigen»
[4], ma anche lo spinoziano «ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum»
[5] il kantiano «Gedanken ohne Inhalt sind leer, Anschauungen ohne Begriffe sind blind»
[6] etc.
In tali condizioni è ovviamente allo stesso tempo estremamente
allettante e imprudente avventurarsi in un nuovo commento. Ma è anche
inevitabile far ritorno alla lettera delle
Tesi, esaminando la
nostra comprensione della loro terminologia e proposizioni, nel momento
in cui decidiamo di valutare il posto occupato da Marx (e di una
interpretazione di Marx) nei nostri dibattiti contemporanei. È ciò che
vorrei fare – almeno in parte – in questo testo, con riferimento ad
una discussione in corso sul significato e gli usi della categoria di
‘relation’ e ‘relationship’ (entrambi possibili equivalenti del tedesco
Verhältnis),
le cui implicazioni vanno dalla logica all’etica, ma in particolare
implicano una sottile – forse decisiva – sfumatura che separa
un’‘antropologia filosofica’ da un’‘ontologia sociale’ (o, una ontologia
dell’‘essere sociale’, come Lukács, tra altri, direbbe). Questo scopo
conduce in modo del tutto naturale a sottolineare l’importanza della
Tesi 6, che recita (nella versione originale di Marx):
Feuerbach löst das religiöse Wesen in das
menschliche Wesen
auf. Aber das menschliche Wesen ist kein dem einzelnen Individuum
inwohnendes Abstraktum. In seiner Wirklichkeit ist es das ensemble der
gesellschaftlichen Verhältnisse.
Feuerbach, der auf die Kritik dieses wirklichen Wesens nicht eingeht,
ist daher gezwungen: 1. von dem geschichtlichen Verlauf zu abstrahieren
und das religiöse Gemüt für sich zu fixieren, und ein abstrakt –
isoliert – menschliches Individuum vorauszusetzen. 2. Das Wesen kann daher nur als ‘Gattung’, als innere, stumme, die vielen Individuen
natürlich verbindende Allgemeinheit gefaßt werden.
Ed ecco una traduzione italiana classica:
Feuerbach risolve l’essenza religiosa nell’essenza
umana. Ma
l’essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immanente
all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti
sociali.
Feuerbach, che non penetra nella critica di questa essenza reale, è perciò costretto:
1. Ad astrarre dal corso della storia, a fissare il
sentimento religioso per sé, ed a presupporre un individuo umano
astratto – isolato.
2. L’essenza può dunque essere concepita soltanto
come ‘genere’, cioè come universalità interna, muta, che leghi molti
individui naturalmente.
Tra i molti commentari che sono stati dedicati a queste proposizioni
(e in particolare alle prime tre proposizioni), selezionerei quelli di
Ernst Bloch e Louis Althusser, che mettono in luce posizioni esattamente
antitetiche
[7]. Per Bloch, il cui commento dettagliato, parte del suo
magnum opus Das Prinzip Hoffnung, fu pubblicato in un primo tempo separatamente nel 1953
[8], le
Tesi includono la piena costruzione del concetto di
praxis rivoluzionaria, presentata come la parola d’ordine (
Losungswort),
che oltrepassa l’antitesi metafisica di ‘soggetto’ e ‘oggetto’,
‘pensiero filosofico’ e ‘azione politica’. Esse esprimo l’idea cruciale
che la
realtà (sociale) in quanto tale è ‘mutabile’ (
veränderbar) poiché la sua nozione completa non indica solo situazioni
date o
relazioni
derivanti da un processo compiuto (cioè il presente e il passato), ma implica anche sempre già l’oggettiva
possibilità di un futuro o una novità (
novum), cosa che né il materialismo classico né l’idealismo hanno mai ammesso. Per Althusser, che si sofferma sulle
Tesi
come un sintomo di una rivoluzione teorica (o ‘rottura epistemologica’)
attraverso cui Marx avrebbe lasciato cadere una lettura umanistica,
fondamentalmente feuerbachiana, del comunismo, per adottare una
problematica scientifica (non-ideologica) delle relazioni sociali e
delle lotte di classe come motore della storia, esse meritano una
lettura (alquanto controintuitiva) che mostra le ‘nuove’ idee come
forzatura di un vecchio linguaggio per esprimere (o piuttosto
annunciare, anticipare) una teoria che, fondamentalmente, non ha
precedenti, ma le cui implicazioni sono ancora
a venire (l’esempio principale di questa ermeneutica di concetti
forzati, internamente inadeguati, è la lettura althusseriana della
praxis
come nome filosofico di «un sistema articolato di pratiche sociali»). È
interessante notare che sia il commentario di Bloch che quello di
Althusser implicano una forte sottolineatura dello schema
temporale
di un ‘futuro’ oggettivamente incluso nel presente come una possibilità
dirompente – con la differenza che per Bloch questo schema caratterizza
la
storia, mentre per Althusser caratterizza la
teoria o il
discorso[9] ...
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