a cura di Riccardo Antonucci
A margine del convegno dal titolo “I
situazionisti: teoria, arte e politica”, tenutosi all’Università di Roma
3 lo scorso 30 maggio, abbiamo intervistato Anselm Jappe, tra i
relatori di questa giornata insieme, tra gli altri, a Mario Perniola
(1). Si è parlato della recente mostra degli archivi Debord alla
Bibliothèque Nationale de France e dell’attualità, o meglio della
feconda inattualità, dell’opera del pensatore francese.
Dopo aver partecipato al collettivo tedesco Krisis, Anselm
Jappe insegna attualmente estetica all’EHESS di Parigi, e all’Accademie
d’Arte di Frosinone e di Tours. Ha studiato a fondo la corrente
situazionista, ed è autore di numerosi articoli e volumi, in francese,
tedesco e italiano, tra cui spiccano: Crédit à mort (Paris 2011), Contro il denaro (Milano 2012) e i due importanti volumi Guy Debord (Paris 2001, ried. Roma 2013) e L’avant garde inacceptable (Paris 2004).
La prima domanda è d’obbligo: non si può parlare di Guy Debord
oggi senza menzionare la grande mostra a lui dedicata alla BNF (“Guy
Debord, un art de la guerre”), in cui sono esposti i suoi archivi
recentemente dichiarati “tesoro nazionale”. All’annuncio dell’evento, si
è subito sviluppato un dibattito tra i lettori di Debord, divisi tra
chi ha salutato positivamente la scelta e chi, invece, ha denunciato
come reazionaria la scelta di mettere Debord “in mostra”, in
contraddizione con il principio di marginalità dell’opera debordiana.
Lei come si colloca rispetto a questo evento?
Anselm Jappe – Mi
sembra una grande opportunità il fatto che gli archivi di Debord siano
ora a disposizione del pubblico. Molto peggio se fossero stati dispersi
tra diverse mani, o venduti a un collezionista privato: solo in questo
modo si poteva garantire una reale disponibilità di questo fondo.
Inoltre, penso sia un bene che lo Stato francese, invece di finanziare
un altro carro armato, abbia usato i suoi soldi per acquisire questi
archivi. Per questo mi risulta difficile comprendere il dibattito sulla
cosiddetta récupération di Debord, dal momento che ormai oggi, a
vent’anni dalla sua morte, egli è senz’altro diventato un classico, e
sarebbe molto artificiale volerlo tenere ancora in una zona di
marginalità. Quel che conta sono i contenuti della sua opera, non il
modo in cui essa viene proposta.
Del resto, Debord stesso ha sempre ricordato quanto sia stato
importante per lui, da giovane, leggere certi autori, come Baudelaire,
Apollinaire o Lautréamont. Anche questi autori erano ormai dei classici,
negli anni ’50. Non è certo questo statuto a impedire un eventuale
effetto sovversivo di un’opera.
Quale interesse può avere la mostra alla BNF per un ricercatore o
per lo studioso dell’opera di Debord? Si aprono nuove prospettive di
studio o spunti per l’attualizzazione del suo pensiero?
A. J. – La mostra offre molto materiale già noto, ma anche molte cose inedite e nuove per il ricercatore. Per esempio, una buona parte delle migliaia di schede di lettura di Debord, che ho consultato. Queste schede confermano, intanto, un dato già noto, e cioè che Debord fosse un accanito lettore, ma mostrano anche un vero e proprio lavoro certosino di ricopiatura di lunghi estratti dei libri letti, che francamente si ignorava. Inoltre, si possono trovare negli archivi molti cartoncini con note e osservazioni di vario tipo, dall’Internazionale Situazionista alla sua vita privata.
A. J. – La mostra offre molto materiale già noto, ma anche molte cose inedite e nuove per il ricercatore. Per esempio, una buona parte delle migliaia di schede di lettura di Debord, che ho consultato. Queste schede confermano, intanto, un dato già noto, e cioè che Debord fosse un accanito lettore, ma mostrano anche un vero e proprio lavoro certosino di ricopiatura di lunghi estratti dei libri letti, che francamente si ignorava. Inoltre, si possono trovare negli archivi molti cartoncini con note e osservazioni di vario tipo, dall’Internazionale Situazionista alla sua vita privata.
L’interesse principale per il ricercatore è senz’altro costituito da
questa miriade di schede di lettura, in quanto esse permettono di sapere
con certezza che cosa ha letto Debord e a che cosa si è interessato nei
vari periodi della sua vita. A volte le schede sono commentate,
soprattutto quelle stilate in vista della redazione de La società dello spettacolo,
l’opera principale di Debord, uscita nel 1967. Per esempio, per me è
stata una sorpresa scoprire che Debord lesse con molta attenzione Il dispotismo orientale
di Karl August Wittfogel, sinologo e storico tedesco-americano. Su
questo libro Debord aveva effettivamente scritto una breve nota di
lettura nella rivista «Internationale Situationniste», ma soltanto
leggendo le schede di lettura mi sono potuto rendere conto di quanto
l’opera di Wittfogel abbia inciso nell’elaborazione del concetto di
“spettacolo”. In particolare per quanto riguarda l’identificazione degli
amministratori cibernetici e burocratici della società dello spettacolo
con l’antica casta di ingegneri e preti che governavano l’Egitto e la
Mesopotamia. E penso che ci saranno molte alte sorprese in questo
archivio, di cui ho soltanto cominciato il lavoro di vagliatura.