Souvent, pour
s’amuser, les hommes d’équipage Prennent des albatros, vastes
oiseaux des mers, Qui suivent, indolents compagnons de voyage, Le
navire glissant sur les gouffres amers.
À peine les
ont-ils déposés sur les planches, Que ces rois de l’azur,
maladroits et honteux, Laissent piteusement leurs grandes ailes
blanches Comme des avirons traîner à côté d’eux.
Ce voyageur
ailé, comme il est gauche et veule! Lui, naguère si beau, qu'il
est comique et laid! L'un agace son bec avec un
brûle-gueule, L'autre mime, en boitant, l'infirme qui volait!
Le Pöete
est semblable au prince des nuées Qui hante la tempête et se rit
de l’archer; Exilé sur le sol au milieu des huées, Ses
ailes de géant l’empêchent de marcher.
La pubblicazione dei corsi tenuti da Michel Foucault al
Collège de France tra il 1970 e il 1984 ha ormai sedimentato un
secondo corpus di opere del filosofo francese, accanto a quelle da
lui pubblicate. E non si può che rimanere affascinati, anche
semplicemente scorrendo i volumi, dall’inquietudine e dal rigore con
cui egli apriva continuamente nuovi cantieri di ricerca, da quello
sul neoliberalismo (a cui è dedicato il corso del 1979) a quelli
greci e tardo-antichi degli ultimi anni. Temi e concetti associati al
lavoro di Foucault, ad esempio quelli di «governamentalità» e
«biopolitica», trovano nei corsi della seconda metà degli anni
Settanta sviluppi di straordinaria e talvolta imprevista
ricchezza. E d’altro canto, ascoltando «la parola pubblicamente
proferita da Foucault» (a cui i curatori si attengono con
scrupoloso rigore), ne abbiamo imparato a conoscere lo stile di
insegnante, l’eleganza ma anche la capacità di affascinare
e coinvolgere chi lo ascoltava.
Si capisce dunque come l’uscita di un nuovo corso, mentre
l’edizione si avvia alla conclusione, costituisca sempre un evento.
Quello da poco pubblicato in Francia si intitola La societé punitive
(a cura di Bernard E. Harcourt, EHESS/Gallimard/Seuil, pp. 354, euro
26), ed è stato tenuto nel primo trimestre del 1973. Si situa dunque
in uno dei momenti di più intensa militanza politica di Foucault, in
particolare sui temi della penalità e della prigione, a fianco
delle lotte e dell’organizzazione autonoma dei detenuti.
«Indignazione» e «collera», come giustamente sottolinea
Harcourt, danno il tono generale a questo corso, e lo rendono tra le
altre cose un documento dell’appassionata ricerca di uno stile di
lavoro intellettuale capace di situarsi del tutto all’interno della
lotta politica. Sotto il profilo del metodo, poi, è un corso in
qualche modo di transizione, caratterizzato dalla ricerca e dalla
sperimentazione di un’articolazione tra «archeologia» e
«genealogia». Molti temi qui affrontati sono ripresi da Foucault in
conferenze e testi dello stesso periodo (in particolare in La verità e le forme giuridiche, in La vita degli uomini infami e in Io, Pierre Rivière), nonché naturalmente nel grande libro dedicato nel 1975 alla nascita della prigione, Sorvegliare e punire, di cui il corso del 1973 costituisce una sorta di prova generale.
Tattiche penali
«Perché questa strana istituzione che è la prigione?». Questa domanda guida tanto Sorvegliare e punire quanto La societé punitive.
È tuttavia significativo che nel corso del 1973 essa venga
formulata in termini espliciti soltanto all’inizio dell’ultima
lezione. Foucault, a quel punto, aveva già ampiamente mostrato come la
detenzione e la reclusione si fossero installate al centro dei
sistemi penali europei soltanto con le «grandi riforme avviate negli
anni compresi tra il 1780 e il 1820». La prigione era stata dunque
«de-naturalizzata», e poteva a buon diritto apparire come una «strana
istituzione»: la sua emergenza storica era stata studiata nelle
lezioni precedenti dall’interno di trasformazioni profonde della
morale, delle tecniche di governo e di polizia e delle «tattiche
penali». Proprio l’attenzione rivolta alla sua emergenza storica in
qualche modo «de-centra» la prigione rispetto all’analisi condotta in
Sorvegliare e punire: Foucault, in altri termini, non
guarda alla società a partire dalla prigione (come sembra avvenire
in alcuni capitoli del libro del 1975), ma punta piuttosto
a comprendere quest’ultima a partire dalle trasformazioni più
generali che segnano l’avvento del capitalismo moderno.
La stessa categoria di «potere disciplinare» (di «società
a potere disciplinare») appare nel corso del 1973 forse definita in
modo meno preciso, ma più duttile e meno rigidamente ancorata alla
produzione di una determinata figura di soggettività
(l’individuo) e a una specifica forma di istituzione (sul celebre
modello benthamiano del panopticon).
Foucault comincia del resto il corso con una serrata critica
della categoria di «esclusione», che a suo avviso non consente di
«analizzare le lotte, i rapporti, le operazioni specifiche del
potere». In questione non è qui soltanto il riferimento alla natura
«produttiva» (e non solamente repressiva) del potere e al nesso
strettissimo tra potere e sapere: La societé punitive studia
questo nesso sul terreno della penalità e lo contrappone, in
termini teorici, allo «schema dell’ideologia», secondo cui «il potere
non può produrre nell’ordine della conoscenza che degli effetti
appunto ideologici», di copertura e di falsa coscienza. Sono temi
noti ai lettori di Foucault, così come – soprattutto negli scritti di
questi anni – è ricorrente l’enfasi posta sulla natura relazionale
del potere, sul suo costitutivo nesso con le resistenze e con
le lotte.
È tuttavia proprio a quest’ultimo riguardo che il corso del 1973
presenta elementi di indubbia originalità, a partire dalla scelta
della «guerra civile» come schema teorico fondamentale per la
comprensione critica del potere (la politica, afferma Foucault, «è
la prosecuzione della guerra civile»). Tanto lo sviluppo dei sistemi
morali, la cui ricostruzione prende avvio dallo studio della
dissidenza religiosa in Inghilterra tra Sei e Settecento, quanto
le trasformazioni dei regimi di governo e di controllo vengono
analizzati sullo sfondo di una fitta trama di «illegalismi
popolari», che condizionano in profondità l’evoluzione dei regimi
giuridici e delle tecniche punitive.
Con questo “piccolo” libro, Étienne Balibar si propone di «comprendere e far comprendere perché si leggerà ancora Marx nel XXI secolo: non soltanto come un momento del passato, ma come un autore ancora attuale, per le questioni che pone alla filosofia e per i concetti che le propone»1, e di fornire al contempo uno strumento per orientarsi nei testi di Marx e nei dibattiti che suscitano. La formulazione del primo (principale) obiettivo non è semplicemente un pronostico, ma un performativo, essendo l’eventuale sparizione di una teoria non «un destino, ma l’effetto di un rapporto di forze»2.
«Molto nuova e così antica – scrive Derrida – la congiura sembra al tempo stesso potente e, come sempre, inquieta, fragile, angosciata. Il nemico da scongiurare (conjurer), per i congiurati (conjurés) si chiama certo il marxismo. Ma si ha ormai paura di non riconoscerlo più. Si trema di fronte all’ipotesi che grazie a una di queste metamorfosi di cui Marx ha tanto parlato (“metamorfosi” fu per tutta la sua vita una delle sue parole preferite) un nuovo “marxismo” non abbia più la figura sotto la quale sotto la quale ci si era abituati a identificarlo e a metterlo in rotta. Non si ha forsepiù paura dei marxisti, ma si ha paura di certi non-marxisti che non hanno rinunciato all’eredità di Marx, paura dei cripto-marxisti, degli pesudo- o dei para- marxisti che sarebbero pronti a dare il cambio sotto dei tratti o delle virgolette che gli esperti angosciati dell’anticomunismo non sono allenati a smascherare»3.
Credo – è il compito che vorrei assegnate a queste note – che sia possibile rilevare l’apertura di un nuovo spazio per la filosofia: un rientro esplicito di Marx (in nessun caso un semplice “ritorno a”) che, fuori e contro la sempre più insicura “euforia trionfante” della democrazia liberale, permetterà di pensare altrimenti: il tempo, i conflitti, le possibilità di resistenza e di trasformazione. La scrittura dovrebbe, in questa congiuntura, avvicinarsi al movimento di un sismografo: registrare, con un tratto minimo, uno spostamento più grande. E segnare alcune rilevazioni provvisorie: i sintomi, ancora dispersi, delle modificazioni di territori non uniformi, ma interessati da un generale processo di cambiamento.
Per Balibar, la chiusura del ciclo storico in cui il marxismo ha funzionato come dottrina d’organizzazione apre inedite possibilità di leggere Marx: «Liberati da un’impostura, guadagniamo un universo teorico» 4. La negazione dell’esistenza di una “dottrina” filosofica marxista non dissolve le determinazioni né sfocia su un pensiero “debole”; consente al contrario di delimitare i concetti, di sottolinearne le tensioni e gli spostamenti interni, di costruire un diagramma delle biforcazioni e delle “rettifiche”, dei possibili luoghi di dissidio e linee di fuga.: una prospettiva ai limiti del marxismo che cerca di cogliere, insieme, ciò che nel pensare – non solo “con”, ma anche eventualmente “contro” Marx – è ancora marxiano 5.
Leggendo Marx nella congiuntura, notiamo che Marx stesso «ha scritto nella congiuntura»; i suoi concetti solo ad un tempo rigorosi e «incompatibili con la stabilità delle conclusioni». La possibilità di un approccio di questo tipo è evidentemente data dal fatto che nel marxismo, e in particolare nel marxismo degli anni Sessanta e Settanta, di sono prodotti avvenimenti, aperture, spostamenti che, retroagendo sui testi di Marx, hanno irreversibilmente modificato il modo in cui possiamo leggerli. C’è un rapporto forte tra questo Marx «filosofo dell’eterno ricominciamento»6 e «una caratteristica significativa dei concetti “althusseriani”: questi concetti sono sempre già “autocritici”. Contengono sempre già un elemento di negazione che li mette in pericolo, che fa vacillare il loro senso nel momento stesso in cui pretendono al più grande rigore. Contengono dunque in anticipo, un elemento che si oppone al fatto che il loro uso, il loro sviluppo, sfoci nell’univocità di una teoria “infine trovata”. Sono così sin dalla loro origine, un modo discorsivo di porsi essi stessi in disequilibrio, di assicurarsi contro la sicurezza di una “tesi” nel momento in cui la si sostiene» 7. In modo più specifico: la precedente problematizzazione, da parte di Balibar, del concetto di rottura epistemologica in Althusser, tesa a sottolinearne il carattere di rottura continuata, al tempo stesso irreversibile e incompiuta8, presiede direttamente a questo attraversamento della «totalità aperta» 9 degli scritti di Marx, come tracciato costellato da ripetute oscillazioni, punti di crisi, focolai di instabilità. Questo andamento sismico o scismatico della teoria non è semplicemente uno “svolgimento” interno ad essa, ma l’effetto della sua costante messa in tensione con altre pratiche, della sua “programmatica” implicazione in congiunture storiche.
Quanto alla congiuntura attuale, – in cui il libro si iscrive – il marxismo «è oggi una filosofia improbabile. Ciò attiene al fatto che la filosofia di Marx è nel corso del lungo e difficile processo di separazione dal “marxismo storico”, che deve attraversare tutti gli ostacoli accumulati da un secolo di utilizzazione ideologica. Ora, non si tratta per essa di ritornare al suo punto di partenza, ma al contrario di imparare dalla sua propria storia e di trasformarsi nel corso della traversata. Chi vuole filosofare oggi in Marx non viene soltanto dopo di lui, ma dopo il marxismo: non può accontentarsi di registrare la cesura provocata da Marx, ma deve anche riflettere sull’ambivalenza degli effetti che essa ha prodotto – sui suoi sostenitori come sui suoi avversari»10.
Ma, se l’impossibilità di «funzionare come impresa di legittimazione» è indicata come «una condizione quanto meno negativa» della vitalità del marxismo, sarà la condizione positiva a decidere della rilevanza presente e a venire di Marx. Essa «dipende dalla parte che i concetti di Marx giocheranno nella critica di altre impresa di legittimazione»11.
«Sesso, razza e sessualità sono evidenze socialmente radicate e ben fondate e, per questo, tanto efficacemente e inerzialmente riprodotte come fossero invarianti sociali, dati di natura. Lo studiare i modi con cui i rapporti sociali diventano talmente solidi da sembrare naturali permette di iscriverle nella storia, aprendo, in tal modo, uno spazio di possibilità perché le cose possano essere altrimenti.»
Nuovi manoscritti smontano dogmatismi antichi e offrono
analisi attuali sulla crisi. Dopo anni di lodi sperticate alla logica di
mercato, è molto utile analizzare la sua opera e i suoi appunti
Se la perpetua giovinezza di un autore sta nella sua capacità di riuscire a stimolare sempre nuove idee, si può allora affermare che Karl Marx possiede, senz’altro, questa virtù.
Nonostante, dopo la caduta del Muro di Berlino, conservatori e progressisti, liberali ed ex-comunisti, ne avessero decretato, quasi all’unanimità, la definitiva scomparsa, con una velocità per molti versi sorprendente, le sue teorie sono ritornate di grande attualità. Di fronte alla recente crisi economica e alle profonde contraddizioni che dilaniano la società capitalistica, si è ripreso a interrogare il pensatore frettolosamente messo da parte dopo il 1989 e, negli ultimi anni, centinaia di quotidiani, periodici, emittenti televisive e radiofoniche, di tutto il mondo, hanno celebrato le analisi contenute ne Il capitale.
Nuovi sentieri per la ricerca
Questa riscoperta è accompagnata, sul fronte accademico, dal proseguimento della nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels, la MEGA². In essa, le numerose opere incompiute di Marx sono state ripubblicate rispettando lo stato originario dei manoscritti e non, come avvenuto in precedenza, sulla base degli interventi redazionali cui essi furono sottoposti.
Grazie a questa importante novità e tramite la stampa dei quaderni di appunti di Marx (precedentemente quasi del tutto sconosciuti), emerge un pensatore per molti versi differente da quello rappresentato da tanti avversari e presunti seguaci. Alla statua dal profilo granitico che, nelle piazze di Mosca e Pechino, indicava il sol dell’avvenire con certezza dogmatica, si sostituisce l’immagine di un autore fortemente autocritico che, nel corso della sua esistenza, lasciò incompleta una parte significativa delle opere che si era proposto di scrivere, perché sentì l’esigenza di dedicare le sue energie a studi ulteriori che verificassero la validità delle proprie tesi.
"Raccogliendo questi articoli mi è parso di radunare merci per uno scaffale improbabile.
Solo una parola meticcia e portuale come magazzino, di origini arabe e di casa in decine di lingue, poteva rappresentare questo accatastare casuale sotto l'etichetta jazz.
Magazine in inglese indica quei periodici che contengono gli argomenti più disparati, come questo libro, un bric à brac di personaggi e cianfrusaglie: dischi nello spazio, poeti e pugili, pittori musicofili, collezionisti folli, batteristi visionari, trombettisti in fuga, un Coltrane diverso e un Parker dantesco ..."