Scritti critici. Saggi, articoli e recensioni di filosofia, politica e storia del presente
lunedì 3 settembre 2012
L'antifascista (di: nique la police)
martedì 8 marzo 2011
Liberazione: il Settantasette di Valerio Verbano, tornano le carte perdute
Tra le pagine che abbiamo potuto consultare, poco meno della metà dei 379 fogli che sembrano comporre quanto resta del “dossier Verbano”, ci sono anche 41 fogli di una rubrica nei quali sono riportati circa 900 nomi di attivisti di estrema destra corredati da indirizzi e in alcuni casi con numero di telefono. Redatti tutti con la grafia di Verbano. Altri 16 fogli, trascritti da più mani, riportano appunti, minute di schede, appartenenza politica, piantine e altre informazioni, come alcuni luoghi di ritrovo dell’estrema destra. Carla Verbano vi ha già riconosciuto quella di un amico di Valerio deceduto nel frattempo. Un accurato lavoro di mappatura delle diverse realtà del neofascismo romano dove lucide intuizioni e scoperte anzitempo si sommano anche ad imprecisioni e approssimazioni notevoli. Alcune schede collimano solo in parte con quelle riportate nel recente libro di Valerio Lazzaretti, Valerio Verbano, ucciso da chi, come e perché, Odradek 2011. Questa circostanza conferma quanto ricordato nei giorni scorsi da Carla Verbano sulla esistenza di più versioni del dossier, «realizzato da Valerio insieme ad altri sei o sette amici».
domenica 21 novembre 2010
la temuta e sconvolgente efficacia della parola [da: L'internamento di Nietzsche]
“Ma la cultura, caro amico, la nostra cultura… Viviamo in un ambiente così innocente, così vago e irreale … che la violenza e la morte sembrano escluse. Eppure per secoli, per millenni, le parole hanno avuto un senso di minaccia o di salvezza, sono coese tra gli uomini come coltelli. L’idea della cultura che abbiamo ricevuto, qualcosa di molto elevato, ideale, che ha valore per il suo disinteresse, ed esprime soltanto conoscenza … Beh, questa storia non è vera: se si cercano certi testi, che oggi forse sono poco conosciuti, se si vanno a leggere quei libri che sono che sono, per così dire, ancora chiusi nelle biblioteche, che nessuno legge da secoli, e non si bada, caro amico, al senso più prossimo, almeno come noi lo intendiamo, al senso conoscitivo o puramente speculativo … le cose possono apparire sotto una luce diversa, connettersi in modo imprevedibile, sconosciuto, ma ancora dotato di senso. Così ad esempio una discussione letteraria o scientifica può nascondere una condanna a morte, o un ammonimento sinistro: nella discussione compaiono soltanto teorie diverse, ma a poco a poco si capisce, eventualmente da piccoli particolari, da sfumature interpretative, ironiche, polemiche, che ci sono dei condannati e dei condannatori, degli imputati e dei giudici, che il processo in corso è una lotta in cui ciascuno mette in gioco la vita”.
Sorrise e si avvicinò finestra scuotendo la testa, come per limitare l’importanza delle ultime parole.
“Ma non si tratta soltanto di questo. In una civiltà dominata da una religione qualsiasi, le parole non possono essere mutate arbitrariamente, a caso. Nella teoria del diritto del Medioevo, e anche del Cinquecento e del Seicento, le formule si ripetono con poche lentissime variazioni, tutto il contrario dello sproloquio moderno; in questo mondo, in cui da qualche parola ben detta dipende l’assenza o la presenza di Dio, il peso, la gravità, la temuta e sconvolgente efficacia della parola è ancora presente. Che la parola sia divenuta soltanto parola soltanto discorso, è un fenomeno che noi, in fondo abbiamo accettato come cosa ovvia, su cui ci siamo adagiati troppo presto, senza verificare, senza indagare. Capisce cosa voglio dire? Non voglio affatto spiegare le sue ultime vicende; cerco di dirle che lei si trova certamente ancora, tutti ancora ci troviamo, a orientarci in un mondo troppo complesso con strumenti inadeguati”.
Capivo il senso generale del discorso; tuttavia si era creata in me una certa diffidenza. Kleiber diceva cose interessanti ma non tali da costituire per me una specie di rivelazione. Pensavo che questo orientamento derivava in parte dai suoi studi sulle religioni primitive, studi importanti nel loro ambito, ma che non potevano assumere un significato così esteso; mi sembrava inoltre, a tratti,di notare una certa reticenza o riservatezza.
“Capisco il suo imbarazzo – riprese Kleiber sorridendo, e avvicinando il suo viso al mio – Sono sempre i vecchi discorsi, penserà, da mitologo e storico delle religioni. Eppure lei ha vissuto, osservato, subito alcune forme di violenza, si è sentito minacciato: riconosca allora che, se la parola ha un potere reale, modifica in qualche modo la realtà, anche la violenza pura, insensata o incomprensibile, che è una delle caratteristiche più rilevanti della nostra epoca, non potrà isolarsi … o nascondersi. Essa dovrà esprimersi: cioè parlare, giustificarsi, controbattere, argomentare”.
da Guglielmo Forni Rosa
“L’internamento di Nietzsche” (1977)
ora in L’internamento di Nietzsche e altri racconti
Faenza, Moby Dick 2007
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giovedì 18 novembre 2010
Antonio Gramsci - Egemonia e intellettuali
gli intellettuali
siete voi
un flm di Lino Del Fra, 1977
sabato 29 maggio 2010
Tonino Bucci: Foucault, ovvero l'anti-Marx. Una leggenda da smontare
Foucault, ovvero l'anti-Marx
Una leggenda da smontare
Una raccolta di saggi sul rapporto tra i due filosofi, a cura di Rudy M. Leonelli.
E con un'intervista di Balibar
Queste poche righe portano la firma di Michel Foucault e sono riprodotte in una delle opere che più ha contribuito a far conoscere in Italia gli aspetti militanti del suo pensiero. Parliamo di Microfisica del potere, sottotitolo Interventi politici, più che un'opera sistematica, una raccolta di testi, brevi scritti, dibattiti e interviste, uscita non a caso qui da noi nel 1977. Anno cruciale, durante il quale si registra nel campo della sinistra (soprattutto in Italia e in Francia) il massimo di rottura tra movimento operaio e partiti comunisti, da un lato, e i movimenti studenteschi dall'altro. Movimenti che dall'interno delle università cominciano a guardare a nuovi soggetti al di fuori di quelle che vengono definite strutture burocratiche e di potere, dai sindacati ai partiti. Da qui si spiega l'attenzione del Settantasette verso i non garantiti e il proletariato metropolitano, verso gli esclusi e il sottoproletariato, verso i malati mentali e verso un'intera costellazione di soggetti che per la prima volta cade al fuori della "classe operaia". Di questi soggetti si mette in evidenza non un'azione di resistenza al potere riconducibile, in qualche modo, a una strategia politica complessiva. I nuovi soggetti "desideranti" del '77 sono semmai protagonisti di pratiche quotidiane di resistenza. E' la disseminazione, l'assenza di gerarchie interne - il carattere "rizomatico" diranno Deleuze e Guattari - a distinguere le azioni contro il potere. E non a caso, è questo il periodo di massima fortuna politica di Foucault, artefice di una teoria del potere come qualcosa di capillare e diffuso nella trama dei rapporti sociali, dalla fabbrica al carcere, dalla scuola all'ospedale psichiatrico.
Forse per questo il rapporto teorico di Foucault con Marx (e il marxismo, che però è altra cosa) diventa una questione sensibile, lo specchio cioè in cui si riflette lo scontro tra partiti e movimento che non si risparmiano scomuniche reciproche - da una parte l'accusa di radicalismo piccolo-borghese e individualismo anarchico, dall'altra quella di burocratismo e difesa corporativa dell'aristocrazia operaia. Sennonché il clima rovente di quello scontro politico è forse all'origine della vulgata di un Foucault senza Marx o, addirittura, contro Marx, e proprio per questo "organico" al Settantasette.
L'impressione che invece si ricava dalla lettura di una raccolta di saggi pubblicata di recente, Foucault-Marx (a cura di Rudy M. Leonelli, Bulzoni Editore, pp. 146, euro 13) è ben diversa. A cominciare dall'intervista a Balibar che mette in guardia da un dibattito «che mi sembra riduttivo», non solo rispetto alla complessità di due pensatori come Marx e Foucault, ma anche «per quelli che ancora oggi - e bisognerebbe interrogarsi sulla ragione per cui ne hanno talmente bisogno - continuano a battere il chiodo, spiegando come, con Foucault, sarebbe stato definitivamente trovato l'antidoto al marxismo». Non regge, ad esempio, la vulgata di un Marx collettivista contro un Foucault più attento, invece, al micropolitico e alla costituzione del soggetto individuale. Anche perché la critica di Marx all'individualismo - ancora parole di Balibar - è essenzialmente «la critica delle forme borghesi dell'individualismo», cioè dell'astrazione giuridica dell'individuo proprietario che è alla base della società del mercato. «Considerare il comunismo non come l'annientamento dell'individuo nella massa, ma come l'emergenza di possibilità di individualizzazione schiacciate dalla società borghese, è un aspetto molto profondo del pensiero di Marx».
Anche se si guarda alla nozione centrale, che dovrebbe registrare la massima distanza tra Foucault e Marx, ossia l'idea di potere , la presunta incompatibilità tra i due pensieri comincia a vacillare. Anzi, proprio i testi foucaultiani sul potere potrebbero insegnare a leggere correttamente Marx. Per entrambi i filosofi, infatti, il potere è una funzione che si esercita all'interno della società come sistema .
Foucault non intende sbarazzarsi di Marx - come scrivono Alberto Burgio e Guglielmo Forni Rosa nei rispettivi interventi - ma del marxismo quando diventa una scienza legata a un sistema di potere, indifferentemente che si tratti delle università, di un partito o di uno Stato (per averne un'idea basta leggere il contributo di Manlio Iofrida sul marxismo francese degli anni 50). L'idea del potere che ha in mente Foucault come un meccanismo che produce i soggetti coinvolti, quindi come «relazione», come «rapporto di direzione che suppone anche il consenso del destinatario del flusso di potere» (Burgio) è tutt'altro che assente in Marx.
E', in breve, colpa di una lettura economicistica se si è affermata la vulgata di un Marx che si disinteressa della politica e del potere che si esercita al di fuori della fabbrica, nel grande campo dell'ideologia. Da questo punto di vista la funzione di potere come immaginata da Foucault assomiglia alla funzione intellettuale di Gramsci, pervasiva non solo sul terreno della cultura e della comunicazione di massa, «ma anche in tutti gli snodi del rapporto sociale, a cominciare dal processo di produzione e dall'epifania della merce». Questo non significa far scomparire gli scarti che in Foucault si producono rispetto a Marx, ad esempio quando nega che nel flusso di potere ci sia una direzione verticale dall'alto verso il basso, dalla classe dominata ai dominati. Il potere foucaultiano resta un sistema orizzontale che distribuisce in modo equo e imparziale i propri effetti. Forse la tesi meno adeguata a spiegare il reale funzionamento del meccanismo capitalistico che dispensa costi e benefici in modi tutt'altro che simmetrici.
mercoledì 21 marzo 2007
Il Grande Dialogo
Hans Magnus Enzensberger, Palaver