Stefano Righetti
Foucault interprete di Nietzsche
Dall'assenza d'opera all'estetica dell'esistenza
Mucchi Editore, Modena 2012
Prefazione
di Manlio Iofrida:
La
ricerca di Stefano Righetti è un lavoro non solo di ampia portata
dal punto di vista quantitativo, ma particolarmente rilevante dal
punto di vista dell'originalità con cui viene affrontato
l’argomento. Il problema scientifico del rapporto fra Nietzsche e
Foucault è naturalmente di quelli che sono ben noti agli
specialisti; tuttavia, nonostante i numerosi lavori, anche
apprezzabili, che ad esso sono stati dedicati, i nodi più essenziali
della questione, sia dal punto di vista teoretico che storico, non
sono stati ancora sufficientemente messi a fuoco; e del resto, se si
pensa alla questione più generale dell'influenza di Nietzsche sul
pensiero francese, si deve dire che, nonostante l’esistenza di
studi validi, anche recenti, come quello, ad esempio, di Jacques Le
Rider (Nietzsche en France, Paris, puf, 1999), molto rimane da
fare. Quindi, per entrambi i versanti su cui verteva la sua ricerca,
si deve dire che l'autore ha dovuto fare molto da solo, andando alle
fonti originali, e soprattutto mettendo a fuoco le domande giuste da
porre alle fonti. In questo senso, il lavoro si avvale di un solido
metodo storico-filologico, che è quello più consono alla nostra
tradizione italiana ma, naturalmente, corretto e tarato con
riferimento all’oggetto di cui si occupa: si trattava di applicare
a Foucault il metodo storico, ma anche il suo metodo storico,
secondo un circolo vizioso che non si può aggirare nei lavori che
riguardano la filosofia contemporanea. Questo ha permesso di evitare
la sterilità di un procedimento meramente filologico, che accumula
dati senza alcuno schema organizzativo: anche il primo capitolo, che
affronta la ricezione di Nietzsche in Francia che sta alle spalle di
Foucault, sceglie i suoi dati allo scopo di mettere ben in rilievo la
specificità della, anzi delle letture che di Nietzsche farà il
filosofo francese. Questa limitazione o modificazione del metodo
storico-filologico non significa però che esso sia stato messo del
tutto fuori gioco: al contrario, la scommessa, largamente riuscita,
del lavoro è quella di mettere in contatto Foucault con la storia,
culturale e non solo culturale, del suo tempo, e di evitarne così
una lettura tutta interna, una di quelle interpretazioni di Foucault[
sulla base dello stesso Foucault che riempiono sempre di più, e
sempre più inutilmente, gli scaffali delle biblioteche. I risultati
di questo attento dosaggio di metodo strutturale e metodo storico, o,
se si vuole, di metodo francese e metodo italiano, perché qui sono
le rispettive tradizioni di Italia e Francia ad essere in gioco, è
una profonda differenziazione dell'oggetto studiato, una sua
articolazione diacronica molto ricca: tanto che viene da domandarsi
se fra il Foucault di cui Righetti tratta nel secondo capitolo,
essenzialmente quello di Folie et Déraison, e il Foucault
terminale, quello degli ultimi due corsi al Collège de France, non
ci siano, dal punto di vista dell’impianto teorico di fondo, più
discontinuità che continuità. Certo, Nietzsche rimane un
riferimento essenziale dall’inizio alla fine della traiettoria del
filosofo di Poitiers, ma, appunto, uno dei meriti del lavoro è di
far vedere, e in modo molto chiaro e documentato, che, di volta in
volta, sono diverse fasi, diverse opere del filosofo tedesco ad
essere da lui sfruttate: e quale autore meno di Nietzsche, con le sue
infinite maschere, potrebbe servire da collante unitario di un lavoro
intellettuale durato trent’anni?
Non
starò ora a fare un resoconto dettagliato di tutto quello che emerge
dalla vasta ricerca dell’autore: mi limiterò a mettere in evidenza
quelli che a mio modo di vedere sono i punti essenziali.
Dunque
, innanzitutto, la peculiare lettura di Nietzsche che sta dietro a
Folie et Déraison: che un
impianto romantico, o romantico-schopenhaueriano, sia il nucleo forte
di tale lettura mi sembra indubbio[1].
Certo, il testo è complesso, e se ne attende un’edizione critica,
che permetta di mettere a fuoco le differenti stesure: si può
ipotizzare infatti che esse siano il motivo dei frequenti cambiamenti
di prospettiva del discorso di Foucault, che si riflettono in una
terminologia oscillante, quando non contraddittoria; ma la sostanza
della posizione filosofica dell’autore è quella che è bene
espressa dalla Préface della I edizione dell’opera [2],
in cui centrale è il riferimento alla coppia concettuale
apollineo-dionisiaco e, quindi, al Nietzsche de La
nascita della tragedia.
Righetti
mette peraltro ben in evidenza come il riferimento a Nietzsche sia ,
oltre che diretto, mediato da altri, ingombranti numi tutelari del
lavoro del filosofo francese: il Blanchot del saggio La
parole «sacrée» de Hölderlin
[3]
in poi, naturalmente, Georges Bataille.
Ma un altro fatto ancora
più interessante è il fatto che l’autore mostra come, nel giro di
pochi anni, questa posizione sia abbandonata da Foucault: già con Le
parole e le cose,
episteme logica e la verità scientifica assumono un rilievo assai
maggiore; netta è ora la rottura col dionisismo e il romanticismo
delle prime opere; netta presa di distanza di Foucault da una critica
meramente negativa della scienza …
_________________
Note:
[1].
Questa affermazione va bilanciata con la presa in considerazione
dell'influenza dello Hegel della Fenomenologia
dello spirito
e del pensiero di Jean Hyppolite: in proposito si rinvia, per i vari
studi dedicati alla questione, alla bibliografia citata in R.
M. Leonelli,
Foucault
généalogiste, stratège et dialecticien. De l’histoire critique
au diagnostic du présent.
thèse pour l’obtention du grade de Docteur en Philosophie,
Université de Paris X - Nanterre, Année Universitaire 2006-2007,
cap. I, Une
archéologie du «pour nous». Pratique généalogique et
métamorphose de l’hégélianisme dans l’Histoire de la folie,
pp. 15-72: tale capitolo, di cui è da auspicare la pubblicazione, è
a mio avviso il punto più maturo a cui è giunta la ricerca su
questo tema fino ad ora.
[2].
Cfr. M. Foucault,
Preface, in Folie et déraison. Histoire de la folie à l’âge
classique, Plon, Paris 1961, pp;. I-XI.
[3].Cfr.
M. Blanchot,
La parole «sacrée» de Hölderlin, in La part du feu, Gallimard,
ParisParis1943.