NEWSLETTER CSA VITTORIA-Milano
via Friuli ang. Muratori 43
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ore 21.00 Csa Vittoria L’IMPERO VIRTUALE COLONIZZAZIONE DELL’IMMAGINARIO E CONTROLLO SOCIALE
Alcune aziende che quindici anni fa non esistevano, come Google e
Facebook, oggi costituiscono la nuova e potente oligarchia planetaria
del capitalismo digitale. Internet ne rappresenta l’intelaiatura, e i
suoi utenti, vale a dire circa tre miliardi di persone, la forza lavoro
utilizzata. Le nuove tecnologie digitali fanno ormai parte della nostra
vita quotidiana, le portiamo addosso e controllano tutti gli ambienti
della vita sociale, dai luoghi di lavoro ai templi del consumo. Questo
libro propone una riflessione sui dispositivi attraverso i quali questa
oligarchia e queste tecnologie catturano e colonizzano il nostro
immaginario a fini di profitto economico e di controllo sociale. E mette
in luce il risvolto di tutto ciò, ovvero l’emergere di una nuova e
impercepita sudditanza di quel popolo virtuale che, riversando
ingenuamente messaggi, fotografie, selfie, ansie e desideri su
piattaforme e social-network, contribuisce con le sue stesse pratiche a
rafforzare il dominio del nuovo impero. Non conosciamo ancora le
conseguenze sui tempi lunghi di questo ulteriore passaggio del modo di
produzione capitalistico. Chiara invece appare la necessità di
immaginare pratiche di decolonizzazione personale e collettiva per
istituire nei luoghi ordinari della vita varchi di liberazione.
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Scritti critici. Saggi, articoli e recensioni di filosofia, politica e storia del presente
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venerdì 26 giugno 2015
Renato Curcio: "L'impero virtuale" Presentazione: Giovedì 25 giugno 2015 ore 21.00 Csa Vittoria Milano
venerdì 17 aprile 2015
Ecologia esistenza lavoro - Officine Filosofiche
Dopo aver lavorato sui temi dell’ecologia e della natura, il gruppo di ricerca di Officine Filosofiche
ha rivolto la sua attenzione alla questione, oggi così attuale, del
lavoro, ponendosi una serie di interrogativi: come si prospetta il
problema del lavoro, di cui è stata dichiarata la “fine”, e che
comunque, con l’avvento della rivoluzione informatica, si è così
completamente trasformato, se lo consideriamo da un punto di vista
“ecologico”? Che ne è oggi del rapporto sociale, della collettività,
della “cooperazione” sulla base della nuova veste che ha assunto il
lavoro? Qual è il profilo di una nuova soggettività lavoratrice che
emerge dall’eredità di alcuni filoni portanti del pensiero novecentesco,
dall’operaismo all’antropologia filosofica, da Walter Benjamin a Enrico
Forni e Ferruccio Masini? Che posizione dobbiamo prendere rispetto
all’idea di limite, così importante dal punto di vista ecologico? Cosa
può significare applicare il paradigma ecologico di Gregory Bateson alla
sociologia, sia in senso teorico che pratico, e come devono essere
giudicate, da questo punto di vista, le tendenze attuali nel campo delle
politiche di Welfare? Che ne è oggi del lavoro dell’artigiano, così
legato alla corporeità del lavoratore, e assimilato da tutta una
tradizione al lavoro dell’artista? Cosa emerge, sul rapporto fra
tecnica, arte e natura, dal cinema di Jean Renoir? Come è da ripensare
la politica nel nuovo mondo della tecnica globale? E cosa ne è del
rapporto fra lavoro e gioco, su cui ha richiamato l’attenzione una
grande tradizione, da Schiller alla Scuola di Francoforte a Huizinga?
Le ricerche di Tim Ingold, il grande antropologo scozzese, hanno investito il problema della tecnica nei suoi rapporti con la biologia evoluzionistica e l’ecologia; la sua lezione ha un’importanza decisiva per rispondere alle questioni sopra sollevate. Per questo motivo, il volume si apre con un’intervista a questo studioso intorno ai temi fondamentali delle sue indagini.
Con un'intervista a Tim Ingold a cura di Ivano Gorzanelli
Gli autori: Andrea Angelini, Stefano Berni, Rosella Corda, Ubaldo Fadini, Ivano Gorzanelli, Alfonso Maurizio Iacono, Tim Ingold, Manlio Iofrida, Francesco Marchesi, Igor Pelgreffi, Stefano Righetti, Elettra Stimilli, Matteo Villa.
Le ricerche di Tim Ingold, il grande antropologo scozzese, hanno investito il problema della tecnica nei suoi rapporti con la biologia evoluzionistica e l’ecologia; la sua lezione ha un’importanza decisiva per rispondere alle questioni sopra sollevate. Per questo motivo, il volume si apre con un’intervista a questo studioso intorno ai temi fondamentali delle sue indagini.
Con un'intervista a Tim Ingold a cura di Ivano Gorzanelli
Gli autori: Andrea Angelini, Stefano Berni, Rosella Corda, Ubaldo Fadini, Ivano Gorzanelli, Alfonso Maurizio Iacono, Tim Ingold, Manlio Iofrida, Francesco Marchesi, Igor Pelgreffi, Stefano Righetti, Elettra Stimilli, Matteo Villa.
giovedì 9 aprile 2015
L'eresia bolognese - Documenti di una generazione ribelle (1967 - 1990)
Documenti di una generazione ribelle
a cura di Paolo Brunetti
EDIZIONI ANDROMEDA
EDIZIONI ANDROMEDA
Eresia bolognese perché a Bologna s'infranse per la prima volta, in modo sociale e largamente diffuso, l'ordine consacrato della virtù del lavoro salariato come orizzonte di vita . . . a vita. il movimento movimento del rifiuto del lavoro risale ai tempi biblici Adamo nel giardino dell'Eden, non lavorava), ma le lotte dei due secoli passati si erano scontrate con l'insufficiente sviluppo delle forze produttive. il grande progresso economico seguito alla Seconda Guerra Mondiale e i lunghi anni dal lungo dopoguerra avevano posto all'ordine del futuro il superamento della costrizione al lavoro. affermare tutto questo nella città capitale nella città capitale del comunismo euro-occidentale, fondato sull'ideologia del lavoro, fu un'autentica eresia portata avanti dal gruppo bolognese di Potere Operaio . . .
Se la nostra è stata un'eresia, di fronte alla catastrofe sociale cui ha portato il partito del lavoro la medesima eresia è oggi diventata il Sol dell'avvenire.
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Contenuti speciali allegati:
(DVD con oltre 2000 pagine più numerosi video)
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lunedì 23 febbraio 2015
Ribelli in paradiso,"Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti"- un libro di PAUL AVRICH
Martedì 24 febbraio ore 19.00
Ribelli in paradiso
Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti
un libro di PAUL AVRICH
A cura di Antonio Senta
Ne discutono Antonio Senta e Andrea Cavalletti
A partire dal celebre caso di Sacco e Vanzetti, i due anarchici “giustiziati” nel 1927, Avrich ci offre un intenso spaccato dell’America di inizio 900. I protagonisti delle vicende narrate sono i lavoratori, spesso italiani, quasi sempre anarchici, che vivono sulla propria pelle l’oppressione dei padroni, delle polizie private e dello stesso Stato, colpevole di difendere e legittimare lo sfruttamento capitalista attraverso le sue leggi. Un’analisi storica chiara e dettagliata della battaglia che vide fronteggiarsi il capitalismo americano e gli emigrati italiani, donne e uomini che all’America avevano affidato le speranze per un riscatto sociale da troppo tempo atteso.
Paul Avrich (1931-2006). Considerato forse il massimo storico dell’anarchismo nasce a New York da una famiglia originaria di Odessa. Compie studi in Russia che lo porteranno alla stesura di The Russian Anarchists (1967) e Kronstadt, 1921 (1970). Rientrato a New York insegna al Queens College e si interessa alla storia degli anarchici negli Stati Uniti. Tra le sue opere, pubblicate dalla Princeton University, ricordiamo Anarchist Voices: An Oral History of Anarchism in America (1995) e naturalmente Sacco and Vanzetti, The Anarchist Background, oggi tradotto per la prima volta in Italia.
MODO INFOSHOP
via Mascarella 24/b
40126 - Bologna
tel. 051/5871012
info@modoinfoshop.com
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[Storie in movimento]
Ribelli in paradiso
Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti
un libro di PAUL AVRICH
A cura di Antonio Senta
Ne discutono Antonio Senta e Andrea Cavalletti
A partire dal celebre caso di Sacco e Vanzetti, i due anarchici “giustiziati” nel 1927, Avrich ci offre un intenso spaccato dell’America di inizio 900. I protagonisti delle vicende narrate sono i lavoratori, spesso italiani, quasi sempre anarchici, che vivono sulla propria pelle l’oppressione dei padroni, delle polizie private e dello stesso Stato, colpevole di difendere e legittimare lo sfruttamento capitalista attraverso le sue leggi. Un’analisi storica chiara e dettagliata della battaglia che vide fronteggiarsi il capitalismo americano e gli emigrati italiani, donne e uomini che all’America avevano affidato le speranze per un riscatto sociale da troppo tempo atteso.
Paul Avrich (1931-2006). Considerato forse il massimo storico dell’anarchismo nasce a New York da una famiglia originaria di Odessa. Compie studi in Russia che lo porteranno alla stesura di The Russian Anarchists (1967) e Kronstadt, 1921 (1970). Rientrato a New York insegna al Queens College e si interessa alla storia degli anarchici negli Stati Uniti. Tra le sue opere, pubblicate dalla Princeton University, ricordiamo Anarchist Voices: An Oral History of Anarchism in America (1995) e naturalmente Sacco and Vanzetti, The Anarchist Background, oggi tradotto per la prima volta in Italia.
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[Storie in movimento]
lunedì 13 ottobre 2014
Marx & Foucault. Lectures, usages, confrontations. Colloque International Nanterre-Paris, 18-20 Déc. 2014
Jeudi 18 décembre
Foucault lecteur de Marx Université Paris Ouest Nanterre La Défense
Bât. B, salle des conférences
.
Matin : 9h00-12h30Ouverture : Christian Laval, Luca Paltrinieri, Ferhat Taylan
Présidence : Emilie Hache
Ouverture : 09h30-10h00 Christian Laval (CIPh/Sophiapol, Paris Ouest Nanterre La Défense) : « La productivité du pouvoir »
10h00-10h30 Rudy Leonelli (Università di Bologna) : « Foucault lecteur du Capital »
10h30-10h45
Discussion
Pause
11h00-11h30 Jason Read (University of Southern Maine) : « Being Productive: Work and Subjectivity in Marx and Foucault »
11h30-12h00 Alberto Toscano (Goldsmiths, London) : « Of Sub-Powers and Surplus-Profits: Money, Capital and Class-struggle in Foucault »
12h00-12h30
Discussion
Pause
Pause
.
Après-midi 14h15-18h
Présidence : Mathieu Potte-Bonneville
14h15-14h45 Jean-François Bert (IRCM, Université de Lausanne) : « Cartographier les marxismes avec Foucault : les années 1950 et 1960 »
14h45-15h15 Manlio Iofrida (Università di Bologna) : « Michel Foucault entre Marx et Burckhardt : esthétique, jeu, travail »
15h15-15h45 Roberto Nigro (CIPh/ZHDK Zurich) : « …Communiste nietzschéen. L’expérience Marx de Foucault »
15h45-16h15
Discussion
Pause
16h30-17h00 Ferhat Taylan (CIPh/Université Bordeaux III) : « La place de Marx : des Mots et les Choses à La Société punitive »
17h00-17h30 Hervé Oulc’hen (BelPD-COFUND, Université de Liège)
: « Stratégie et praxis : Foucault et Sartre lecteurs des enquêtes
historiques de Marx »
17h30-18h
Discussion
lunedì 22 settembre 2014
Sandro Mezzadra, Brett Neilson: Confini e frontiere
La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale
il Mulino, Bologna 2014
Edizione originale :
Border as method, or, the Multiplcation,
Durham, Duke University Press 2013
In Europa, in Asia, nel Pacifico, nelle Americhe, i confini e le terre che li circondano sono oggi scenario di forti tensioni, di lotte violente e di tragedie umanitarie. Basta pensare alle morti, spesso senza nome, dei migranti che vanno in cerca di un futuro sfidando le acque del Mediterraneo o il deserto tra Messico e Stati Uniti. I moderni processi di globalizzazione non hanno affatto creato un mondo senza barriere, e hanno anzi generato una vera moltiplicazione di confini. Il libro ne traccia l’intricata mappa, indagando gli effetti che tale dinamica produce sul lavoro, sui movimenti migratori e sulla vita politica. Sullo sfondo della crisi e della trasformazione dello Stato-nazione, sono i concetti stessi di cittadinanza e sovranità a essere ridefiniti.
Sandro Mezzadra è professore di
Filosofia politica nell’Università di Bologna. Fra i suoi libri
ricordiamo: «La condizione postcoloniale» (Ombre Corte, 2008). Per il
Mulino ha già pubblicato «La costituzione del sociale» (1998) e «Il
pensiero politico del Novecento» (con C. Galli e E. Greblo, nuova ed.
2009).
Brett Neilson è professore all’Institute for
Culture and Society della University of Western Sydney (Australia). È
autore fra l’altro di «Free Trade in the Bermuda Triangle… and Other
Tales of Counter-Globalization» (2004).
domenica 16 giugno 2013
Repetita iuvant
Étienne Balibar:
L’aspect le plus «foucaldien» de l’œuvre de Marx
L’aspetto più «foucaultiano» dell’opera di Marx
trad. dal francese di Rudy M. Leonelli
… C'è ... certo conversione locale della violenza in forme sociali più
«avanzate» dello sfruttamento – più «civilizzate», ed eventualmente più «produttive». Ma ciò avviene di fatto al prezzo del suo spostamento o della sua delocalizzazione. D’altra parte, è su questo soggetto che Marx propone un'analisi delle lotte di classe
come un rapporto di forza evolutivo che possiamo retrospettivamente considerare come l’aspetto più «foucaultiano»
della sua opera [*]: il
«potere» in effetti non vi figura come un termine univoco,
riferito ad un'istanza che verrebbe dall’esterno a costringere
il processo sociale, ma piuttosto come il rapporto stesso, vale a dire dire il risultato complesso e
instabile del conflitto che si dispiega nel tempo tra disciplina e resistenza, tecniche di sfruttamento della forza lavoro umana (che Marx chiama «metodi di estrazione del pluslavoro» [Mehrwert (fr. surtravail)] che sono anche, in un certo senso, delle «tecniche di governo», e
lotte individuali o collettive che incarnano una forma di libertà sin dalle loro manifestazioni più elementari (e non soltanto
preparano una liberazione «finale») ...
da: E.
Balibar, Violence et civilité. Welleck Library Lectures et autres essais de philosophie politique, Paris, Galilée 2010, p. 133, «Deuxième conférence. Une violence
“inconvertible”? Essai de topique».
____________________
[*] Foucault stesso l'ha riconosciuto. Vedi in particolare il suo riferimento al «Libro II del Capitale» in «Les mailles du pouvoir» [1981], Dits
et écrits,
Gallimard, 1994, t. IV, p.186-187). Questo «lapsus calami» di
Foucault è sfortunatamente perpetuato da molti dei de suoi commentatori: si tratta in realtà del tomo II dell’edizione di
Marx correntemente utilizzatoall'epoca in Francia (Le
Capital in 8 volumi, Éditions Sociales, 1960), dunque verosimilmente del capitolo del Libro I su «la manifattura», che è anche una delle fonti essenziali in Sorvegliare e
et punire. Questo errore è stato rettificato e spiegato da Rudy M. Leonelli in «Fonti marxiane in Foucault», in «Altreragioni»,
n° 9, 1999.
sabato 15 giugno 2013
Sandro Mezzadra su P. Macherey, Il soggetto produttivo. Da Foucault a Marx
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mercoledì 27 marzo 2013
Karl Marx & Klassenkämpfen : Sometime they come back
TIME: Marx’s Revenge: How Class Struggle Is Shaping the World
La vendetta di Marx. Il Time lo rivaluta:
“È stato un profeta, le sue previsioni si sono avverate”
Un lungo articolo del TIME rivaluta Karl Marx. Teorizzò i rischi del capitalismo: impoverimento e conflitti sociali
Il settimanale statunitense dedica una lunga analisi alla rivalutazione
delle teorie di Marx, da sempre osteggiate dagli Usa. “Se i politici non
praticheranno nuovi metodi per garantire eque opportunità economiche a
tutti, i lavoratori di tutto il mondo non potranno che unirsi. E Marx
potrebbe avere la sua vendetta”…
(leggi tutto su Reset Italia)
(leggi tutto su Reset Italia)
lunedì 25 marzo 2013
sabato 23 marzo 2013
La via italiana all’apartheid. I predatori del voto negato
Gli immigrati non possono votare alle elezioni
politiche. Ma "contano" come popolazione residente, gonfiando la torta
dei seggi da spartire. Soprattutto al Nord-Ovest, dove vive più di un
terzo degli stranieri. Lampante il caso della "Ohio d'Italia", la
Lombardia
1. Una rendita elettorale che non fa notizia
L’esclusione di tutti i migranti residenti in Italia dal voto nelle elezioni politiche del 24 febbraio 2013 è uno dei tanti atti di discriminazione contro gli stranieri che si consumano nel mondo e che di solito passano inosservati. Ne sono autori molti governi e organi legislativi di paesi d’immigrazione, che negano il voto ai migranti e allo stesso tempo li contano come parte della popolazione nazionale, gonfiando così la torta dei seggi elettorali da spartire, una vera e propria rendita elettorale a favore dei sistemi politici vigenti.[1]
Nel caso italiano, ormai da più un ventennio perdura l’ostilità endemica al voto dei migranti nelle elezioni politiche, nelle quali possono votare solo i cittadini.[2] La legge per il difficile ottenimento della cittadinanza risale al 1992. Il ceto politico che allora non prendeva sul serio la questione del voto dei migranti ha finito poi per non prendere sul serio neppure il voto dei cittadini e per presentare liste bloccate di nominati dalle segreterie dei partiti (legge elettorale cosiddetta Porcellum del 2005).[3] A loro volta molti dei cittadini ricambiano o rifiutandosi di votare o acconciandosi passivamente a mettere una croce su quello che passa il convento.
Dunque, in sovrimpressione sul crescente numero dei non votanti, delle schede bianche e nulle nelle elezioni di febbraio andrebbe stampata la quindicennale parabola ascendente del numero dei migranti in età di voto, che non compaiono sui radar elettorali ma – in modo intermittente – sui radar della Guardia costiera e della Nato. Non sorprende poi che il maggiore partito nelle elezioni di febbraio è risultato quello dei non-votanti.[4] Si aggiungano inoltre le schede bianche e nulle.[5] In totale coloro che non se la sono sentita di mettere una croce sulla scheda sono 13 milioni e 841mila alla Camera (27, 28%) e 12 milioni 617 mila al Senato (27,15%).[6] A loro va premesso il numero dei migranti residenti in Italia, ossia 3 milioni e 104mila in età di voto per la Camera, due milioni e 737mila in età di voto per il Senato. [7] Addizionando i migranti esclusi dalle urne, gli assenteisti e le schede bianche e nulle i non votanti sono un terzo della popolazione in età di voto.[8]
L’esclusione di tutti i migranti residenti in Italia dal voto nelle elezioni politiche del 24 febbraio 2013 è uno dei tanti atti di discriminazione contro gli stranieri che si consumano nel mondo e che di solito passano inosservati. Ne sono autori molti governi e organi legislativi di paesi d’immigrazione, che negano il voto ai migranti e allo stesso tempo li contano come parte della popolazione nazionale, gonfiando così la torta dei seggi elettorali da spartire, una vera e propria rendita elettorale a favore dei sistemi politici vigenti.[1]
Nel caso italiano, ormai da più un ventennio perdura l’ostilità endemica al voto dei migranti nelle elezioni politiche, nelle quali possono votare solo i cittadini.[2] La legge per il difficile ottenimento della cittadinanza risale al 1992. Il ceto politico che allora non prendeva sul serio la questione del voto dei migranti ha finito poi per non prendere sul serio neppure il voto dei cittadini e per presentare liste bloccate di nominati dalle segreterie dei partiti (legge elettorale cosiddetta Porcellum del 2005).[3] A loro volta molti dei cittadini ricambiano o rifiutandosi di votare o acconciandosi passivamente a mettere una croce su quello che passa il convento.
Dunque, in sovrimpressione sul crescente numero dei non votanti, delle schede bianche e nulle nelle elezioni di febbraio andrebbe stampata la quindicennale parabola ascendente del numero dei migranti in età di voto, che non compaiono sui radar elettorali ma – in modo intermittente – sui radar della Guardia costiera e della Nato. Non sorprende poi che il maggiore partito nelle elezioni di febbraio è risultato quello dei non-votanti.[4] Si aggiungano inoltre le schede bianche e nulle.[5] In totale coloro che non se la sono sentita di mettere una croce sulla scheda sono 13 milioni e 841mila alla Camera (27, 28%) e 12 milioni 617 mila al Senato (27,15%).[6] A loro va premesso il numero dei migranti residenti in Italia, ossia 3 milioni e 104mila in età di voto per la Camera, due milioni e 737mila in età di voto per il Senato. [7] Addizionando i migranti esclusi dalle urne, gli assenteisti e le schede bianche e nulle i non votanti sono un terzo della popolazione in età di voto.[8]
giovedì 21 marzo 2013
Robert Castel, cinquante ans de pugnacité sociologique
Robert Castel 1933 - 2013
Directeur d’études à l’Ecole des hautes études en sciences sociales
(EHESS), Robert Castel, né à Brest en 1933, est mort à Paris, mardi 12
mars, des suites d’un cancer. A juste distance entre Michel Foucault et
Pierre Bourdieu, dont il était l’ami, non sans bataille, son œuvre
voulait être un diagnostic du temps présent.
Robert Castel, c’était d’abord une silhouette courbée sur sa
cigarette, un regard caché sous ses longs sourcils, une présence
discrète qui jaugeait longuement son interlocuteur. Il y avait chez lui
quelque chose du vieux marin, légèrement méfiant, qui se manifestait par
des silences, regard de travers, par une blague pour détendre le
sérieux du milieu académique. Car ça le faisait rire, la pose des
sociologues ou des historiens. Il devait alors penser à son certificat
d’étude, passé à Brest, ou à sa mère lui disant : « A la maison, on
manquera jamais de rien, il y aura toujours du vin. » Sous le manteau,
il aimait brandir son diplôme d’ajusteur mécanicien, son orientation
forcée dans une école technique, la rencontre d’un professeur de
mathématique, surnommé Buchenwald, ancien rescapé du camp, qui le somma
de quitter le collège fipour faire de la philosophie à Rennes.
…..
La fréquentation de Michel Foucault marque alors ses analyses
transversales, notamment par cette démarche généalogique que l’on peut
suivre dans Le psychanalysme, l’ordre psychanalytique et le pouvoir (Maspero, 1973) ; L’ordre psychiatrique (Minuit, 1977) ; La société psychiatrique avancée : le modèle américain (avec Françoise Castel et Anne Lovell, Grasset, 1979) ; La gestion des risques
(Minuit, 1981). Le traitement et la prise en charge des malades
mentaux sont violemment passés au crible de la critique. Du coup, il
entretenait un rapport assez particulier avec la sociologie,
réintroduisant le passé « avec ses problèmes qui ne sont jamais dépassés ».
___________________
giovedì 13 dicembre 2012
Per la figlia senza nome di Samb Modou - a un anno dalla strage di via Dalmazia 13 dic. 2011-2012
Pina Piccolo
Per la figlia senza nome di Samb Modou
DIEREDIEF SERIGNE TOUBA*
Puoi smettere di aspettarlo
tredicenne dagli occhi ridenti
e col vestitino buono color di lillà comprato
per la foto da mandare a papà
con i soldi della rimessa
DIEREDIEF SERIGNE TOUBA
Il padre che anelavi di carne e ossa e respiro
per 13 anni trafelato
a correre con borsoni
nella palestra dello stato italiano
destra e sinistra ne hanno allenati
polpacci, bicipiti e polmoni
ma non torna più sulle sue gambe
Ora dopo tredici anni
ti rimandano “la salma”
non in barcone
ma con l’aereo pagato da lacrime di coccodrillo
DIEREDIEF SERIGNE TOUBA
Te lo rispediscono dal pulpito dolente politici malfattori e conniventi
abituati a lanciare il sasso nascondendo la mano inguantata
di odio e superiore ingordigia
mentre dalla bocca cascano
perle d’ipocrisia ...
________________________________________
continua a leggere il testo completo su Marginalia
giovedì 20 settembre 2012
Étienne Balibar: l’aspect le plus «foucaldien» de l’œuvre de Marx
… Il y a ... bien conversion locale de la violence en formes sociales plus «avancées» de l’exploitation – plus «civilisées», et éventuellement plus «productives». Mais c’est au prix, en fait, de son déplacement ou de sa délocalisation. D’autre part, c’est à ce sujet que Marx propose une analyse de la lutte de classes comme un rapport de force évolutif qu’on peut rétrospectivement considérer comme l’aspect le plus «foucaldien» de son œuvre [*]: le «pouvoir» en effet n’y figure pas comme un terme univoque, référant à une instance qui viendrait de l’extérieur contraindre le processus social, mais plutôt comme le rapport lui même, c’est-à-dire le résultat complexe et instable du conflit qui se déploie dans le temps entre discipline et résistance, techniques d’exploitation de la force de travail humaine (que Marx appelle «méthodes d’extraction du surtravail») qui sont aussi, en un sens, des «techniques de gouvernement», et luttes individuelles ou collectives qui incarnent une forme de liberté dès leurs manifestations le plus élémentaires (et non pas seulement préparent une libération «finale») ...
E.
Balibar, Violence et civilité. Welleck Library Lectures et autres essais de philosophie politique, Paris, Galilée 2010, p. 133, «Deuxième conférence. Une violence
“inconvertible”? Essai de topique».
domenica 16 settembre 2012
giovedì 7 giugno 2012
Appello per un'Europa democratica: Sosteniamo la sinistra radicale greca
Sosteniamo la sinistra radicale greca
Appello per un'Europa democratica
Appello per un'Europa democratica
Étienne Balibar, Rossana Rossanda, Michel Vakaloulis
Tutti sanno che, nell'evolversi degli avvenimenti che in tre anni hanno
spinto la Grecia nell'abisso, le responsabilità dei partiti al potere
dal 1974 sono schiaccianti. Nuova Democrazia e Pasok hanno perpetuato
corruzione e privilegi, ne hanno beneficiato e fatto ampiamente
beneficiare fornitori e creditori della Grecia, mentre le istituzioni
comunitarie guardavano altrove. Potremmo stupirci del fatto che la Ue o
l'Fmi, trasformati in baluardi di virtù e di rigore, si impegnino a
riportare al potere questi stessi partiti che non hanno più nessun
credito, denunciando il «pericolo rosso» incarnato da Syriza,
minacciando di tagliare i viveri se le elezioni del 17 giugno
confermeranno il rigetto del Memorandum come il 6 maggio scorso. Non
soltanto questa ingerenza è in flagrante contraddizione con le regole
democratiche più elementari, ma le sue conseguenze sarebbero drammatiche
per il nostro avvenire comune. Ci sarebbe una ragione sufficiente per
rifiutare, in quanto cittadini europei, di lasciar soffocare la volontà
del popolo greco. Ma la situazione è ancora più grave. Da due anni i
dirigenti dell'Unione europea, in stretta concertazione con l'Fmi,
lavorano per spossessare il popolo greco della sovranità. Con il
pretesto del risanamento delle finanze pubbliche e di modernizzare
l'economia impongono un'austerità che soffoca l'attività economica,
riduce alla miseria la maggioranza della popolazione, smantella il
diritto del lavoro. Questo programma di risanamento sul modello
neoliberista sfocia nella liquidazione dell'apparato produttivo e nella
disoccupazione di massa. Per imporlo, c'è stato bisogno addirittura di
uno stato d'emergenza senza equivalenti in Europa occidentale dalla fine
della seconda guerra mondiale: il bilancio dello Stato è dettato dalla
troika, il parlamento greco è ridotto a una camera di registrazione, la
Costituzione più volte aggirata. La decadenza del principio di sovranità
popolare va di pari passo con l'umiliazione di un intero paese. In
Grecia è stato toccato il fondo, ma questa deriva non riguarda solo la
Grecia. Sono tutti i popoli delle nazioni che la costituiscono ad essere
considerati dall'Unione europea alla stregua di entità trascurabili,
quando si tratta di imporre un'austerità contraria ad ogni razionalità
economica, di combinare gli interventi dell'Fmi e della Bce a favore del
sistema bancario, o di imporre dei governi di tecnocrati non eletti.
domenica 27 maggio 2012
da Guy Debord, La société du spectacle
Estratti del film del 1973 ispirato a La société du spectacle di Guy Debord, con testi recitati dall'autore
sabato 25 febbraio 2012
Salviamo la Grecia dai suoi salvatori: un appello agli intellettuali europei
Alain Badiou, Jean-Christophe Bailly, Étienne Balibar, Claire Denis, Jean-Luc Nancy, Jacques Ranciere, Avital Ronell. Salviamo la Grecia dai suoi salvatori: Un appello agli intellettuali europei. la Repubblica.it. February 22, 2012.
Traduzione in Italiano di Vicky Skoumbi, Dimitris Vergetis, Michel Surya
rispettivamente redattrice e direttore della rivista Aletheia di Atene e direttore della rivista Lignes, Parigi.
Nel momento in cui un giovane greco su due è disoccupato, 25.000 persone senza tetto vagano per le strade di Atene, il 30 per cento della popolazione è ormai sotto la soglia della povertà, migliaia di famiglie sono costrette a dare in affidamento i bambini perché non crepino di fame e di freddo e i nuovi poveri e i rifugiati si contendono l’immondizia nelle discariche pubbliche, i "salvatori" della Grecia, col pretesto che i Greci "non fanno abbastanza sforzi", impongono un nuovo piano di aiuti che raddoppia la dose letale già somministrata. Un piano che abolisce il diritto del lavoro e riduce i poveri alla miseria estrema, facendo contemporaneamente scomparire dal quadro le classi medie.
L’obiettivo non è il "salvataggio"della Grecia: su questo punto tutti gli economisti degni di questo nome concordano. Si tratta di guadagnare tempo per salvare i creditori, portando nel frattempo il Paese a un fallimento differito.Si tratta soprattutto di fare della Grecia il laboratorio di un cambiamento sociale che in un secondo momento verrà generalizzato a tutta l’Europa. Il modello sperimentato sulla pelle dei Greci è quello di una società senza servizi pubblici, in cui le scuole, gli ospedali e i dispensari cadono in rovina, la salute diventa privilegio dei ricchi e la parte più vulnerabile della popolazione è destinata a un’eliminazione programmata, mentre coloro che ancora lavorano sono condannati a forme estreme di impoverimento e di precarizzazione.
Ma perché questa offensiva neoliberista possa andare a segno, bisogna instaurare un regime che metta fra parentesi i diritti democratici più elementari. Su ingiunzione dei salvatori, vediamo quindi insediarsi in Europa dei governi di tecnocrati in spregio della sovranità popolare. Si tratta di una svolta nei regimi parlamentari, dove si vedono i "rappresentanti del popolo" dare carta bianca agli esperti e ai banchieri, abdicando dal loro supposto potere decisionale. Una sorta di colpo di stato parlamentare, che fa anche ricorso a un arsenale repressivo amplificato di fronte alle proteste popolari. Così, dal momento che i parlamentari avranno ratificato la Convenzione imposta dalla Troika (Ue, Bce, Fmi), diametralmente opposta al mandato che avevano ricevuto, un potere privo di legittimità democratica avrà ipotecato l’avvenire del Paese per 30 o 40 anni.
Parallelamente, l’Unione europea si appresta a istituire un conto bloccato dove verrà direttamente versato l’aiuto alla Grecia, perché venga impiegato unicamente al servizio del debito. Le entrate del Paese dovranno essere "in priorità assoluta" devolute al rimborso dei creditori e, se necessario, versate direttamente su questo conto gestito dalla Ue. La Convenzione stipula che ogni nuova obbligazione emessa in questo quadro sarà regolata dal diritto anglosassone, che implica garanzie materiali, mentre le vertenze verranno giudicate dai tribunali del Lussemburgo, avendo la Grecia rinunciato anticipatamente a qualsiasi diritto di ricorso contro sequestri e pignoramenti decisi dai creditori. Per completare il quadro, le privatizzazioni vengono affidate a una cassa gestita dalla Troika, dove saranno depositati i titoli di proprietà dei beni pubblici.. In altri termini, si tratta di un saccheggio generalizzato, caratteristica propria del capitalismo finanziario che si dà qui una bella consacrazione istituzionale.
venerdì 25 novembre 2011
" Una sovranità chiamata debito" - di: Étienne Balibar
La messa in discussione delle politiche di austerità è la premessa per contrastare la governance dei tecnocrati di Bruxelles e Francoforte. E potere così rilanciare il processo di unificazione politica del vecchio continente
Che cosa è accaduto in Europa, tra la caduta del governo greco e italiano, e il disastro della sinistra spagnola alle elezioni di domenica scorsa? Una peripezia nella piccola storia dei rimpasti politici che si estenuano a inseguire la crisi finanziaria? Oppure il superamento della soglia nello sviluppo di questa crisi che ha compromesso irreversibilmente le istituzioni e le loro modalità di legittimazione? A dispetto delle incognite, bisogna rischiare un bilancio.
Le peripezie elettorali (quelle che forse ci saranno anche in Francia tra sei mesi) non richiedono grandi commenti. Abbiamo capito che gli elettori giudicano i loro governi responsabili dell’insicurezza crescente nella quale vive oggi la maggioranza dei cittadini dei nostri paesi e non si fanno troppe illusioni sui loro successori. Bisogna però contestualizzare: dopo Berlusconi, si può capire che Mario Monti, almeno in questo momento, batta ogni record di popolarità. Il problema più serio riguarda però la svolta istituzionale. La congiuntura delle dimissioni avvenuta sotto la pressione dei mercati che fanno alzare o diminuire i tassi di interesse sul debito, l’affermazione del «direttorio» franco-tedesco nell’Unione Europea, e l’intronizzazione dei «tecnici» legati alla finanza internazionale, consigliati o sorvegliati dall’Fmi, non può evitare di provocare dibattiti, emozioni, inquietudini e giustificazioni.
Una strategia preventiva
Uno dei temi più frequenti è quello della «dittatura commissaria» che sospende la democrazia al fine di rifondarne la stessa possibilità, nozione definita da Jean Bodin all’alba dello Stato moderno e più tardi teorizzata da Carl Schmitt. Oggi i «commissari» non possono essere militari oppure giuristi, ma sono economisti. È quello che ha scritto l’editorialista de Le Figaro il 15 novembre scorso: «Il perimetro e la durata del mandato (di Monti e di Papademos) devono essere sufficientemente estesi per garantirgli l’efficacia. Ma entrambi devono essere limitati per assicurare, nelle migliori condizioni, il ritorno alla legittimità democratica. Non è concepibile pensare di fare l’Europa sulle spalle dei popoli».
A questa citazione, io ne preferisco un’altra: quello di una rivoluzione dall’alto che, sotto la frusta della necessità (il crollo annunciato della moneta unica), starebbe tentando i dirigenti delle nazioni dominanti e la «tecnostruttura» di Bruxelles e di Francoforte. Sappiamo che questa nozione, inventata da Bismarck, indica un cambiamento della struttura della «costituzione materiale», e quindi degli equilibri di potere tra la società e lo Stato, l’economia e la politica, ed è il risultato di una strategia preventiva delle classi dirigenti. Non è questo che sta accadendo con la neutralizzazione della democrazia parlamentare, l’istituzionalizzazione dei controlli sul bilancio e sulla fiscalità da parte dell’Unione Europea, la sacralizzazione degli interessi bancari in nome dell’ortodossia neo-liberista? Queste trasformazioni sono senz’altro in gestazione da molto tempo, ma esse non erano mai state rivendicate nei termini di una nuova configurazione del potere politico. Wolfgang Schäuble non ha quindi torto quando presenta come una «vera rivoluzione» l’elezione del Presidente del Consiglio Europeo a suffragio universale che conferirebbe al nuovo edificio un alone di democrazia. Salvo che questa rivoluzione è già in corso o, perlomeno, è già stata abbozzata.
martedì 22 novembre 2011
E. Balibar - Union européenne : la révolution par en haut ?
Étienne Balibar
Union européenne : la révolution par en haut ?
Que s’est-il donc passé en Europe entre la chute des gouvernements grec et italien et le désastre de la gauche espagnole aux élections de ce dimanche ? Une péripétie dans la petite histoire des remaniements politiques qui s’épuisent à courir derrière la crise financière ? Ou bien le franchissement d’un seuil dans le développement même de cette crise, produisant de l’irréversible au niveau des institutions et de leur mode de légitimation ? Malgré les inconnues, il faut prendre le risque d’un bilan.
Les péripéties électorales (comme celle qui se produira peut-être en France dans six mois) n’appellent pas de grands commentaires. On a compris que les électeurs tiennent les gouvernements pour responsables de l’insécurité croissante dans laquelle vit aujourd’hui la majorité des citoyens de nos pays et ne se font pas trop d’illusions sur leurs successeurs (même s’il faut moduler : après Berlusconi, on peut comprendre que Monti, pour l’instant, batte tous les records de popularité). La question la plus sérieuse concerne le tournant institutionnel. La conjonction des démissions sous la pression des marchés qui font monter et descendre les taux d’emprunt, de l’affirmation d’un «directoire» franco-allemand au sein de l’UE, et d’une intronisation de «techniciens» liés à la finance internationale, conseillés ou surveillés par le FMI, ne peut manquer de provoquer débats, émotions, inquiétudes, justifications.
L’un des thèmes les plus fréquents est celui de la «dictature commissariale» qui suspend la démocratie en vue d’en recréer la possibilité - notion définie par Bodin aux aurores de l’Etat moderne et plus tard théorisée par Carl Schmitt. Les «commissaires» aujourd’hui ne peuvent être des militaires ou des juristes, il faut des économistes. C’est ce qu’écrit l’éditorialiste du Figaro le 15 novembre : «Le périmètre et la durée du mandat [de MM. Monti et Papademos] doivent être suffisamment étendus pour permettre l’efficacité. Mais ils doivent, l’un comme l’autre, être limités afin d’assurer, dans les meilleures conditions, le retour à la légitimité démocratique. Il ne faut pas que l’on puisse dire que l’Europe ne se fait que sur le dos des peuples.»
A cette référence, j’en préfère néanmoins une autre : celle d’une «révolution par en haut» que, sous le fouet de la nécessité (l’effondrement annoncé de la monnaie unique), tenteraient les dirigeants des nations dominantes et la «technostructure» de Bruxelles et de Francfort. On sait que cette notion, inventée par Bismarck, désigne un changement de structure de la «constitution matérielle», donc des équilibres de pouvoir entre la société et l’Etat, l’économique et le politique, résultant d’une «stratégie préventive» de la part des classes dirigeantes. N’est-ce pas ce qui est en train de se passer avec la neutralisation de la démocratie parlementaire, l’institutionnalisation des contrôles budgétaires et de la fiscalité par l’UE, la sacralisation des intérêts bancaires au nom de l’orthodoxie néolibérale ? Sans doute ces transformations sont en germe depuis longtemps, mais elles n’avaient jamais été revendiquées au titre d’une nouvelle configuration du pouvoir politique. Wolfgang Schäuble n’a donc pas eu tort de présenter comme une «vraie révolution» à venir l’élection du président du Conseil européen au suffrage universel, qui conférerait au nouvel édifice son halo démocratique. Sauf que la révolution est en cours, ou du moins elle est esquissée.
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musica: Gaetano Curreri
album: Ancora Barabba, 2010