Nel dicembre del 2008 il Consiglio
comunale di Bologna ha approvato un ordine del giorno che chiedeva «la
messa fuorilegge del movimento politico Forza Nuova, per ricostruzione
del partito fascista e per inottemperanza delle norme previste dalla
legge Mancino, essendo stati diversi dirigenti e militanti di Forza
Nuova più di una volta coinvolti in episodi di violenza razzista e
fascista».
Ma oggi, con l’avanzare della crisi
economica, il clima è cambiato. Istituzioni e centri di potere fanno a
gara nel promuovere una cultura nazionalista e autoritaria, favorendo
fra l’altro la riorganizzazione della destra.
A Bologna negli ultimi mesi la Questura
di Bologna ha espressamente vietato l’ingresso nel centro storico a
manifestazioni antifasciste e antirazziste: ai Rom e Sinti che
commemoravano la rivolta antinazista del 16 maggio 1944, agli occupanti della Notte Rossa che rivendicavano «casa, reddito e dignità»…
Invece, ogni volta che i camerati di
Forza Nuova vogliono sfilare e fare saluti romani al grido di «Boia chi
molla», la Questura di Bologna concede loro le più prestigiose piazze
del centro storico: Piazza Santo Stefano, Piazza Galvani, Piazza San
Domenico, e sempre con un enorme schieramento di blindati e uomini neri
col manganello in mano…
Non importa se i camerati di Forza Nuova a volte nemmeno si presentano, se sono in tre o quattro a sventolare le loro bandierine nere, se li devono trasportare a Bologna in autobus da altre regioni italiane. Perché quello che importa a Forza Nuova e alla Questura di Bologna è provocare.
Ora Forza Nuova annuncia che terrà a Bologna un corteo nazionale il 17 ottobre prossimo con lo slogan «Ordine contro il caos».
È inaccettabile che, autorizzando anche
questo corteo, la Questura di Bologna continui a contrapporsi al sentire
diffuso di questa città: una città che rifiuta l’antisemitismo,
l’islamofobia, l’omofobia, il razzismo, il sessismo, il militarismo e lo
squadrismo; una città che – dalla strage del 2 agosto 1980 alla banda
della Uno bianca – ha pagato a caro prezzo le strategie autoritarie dei
neofascisti e delle loro sponde negli apparati dello Stato.
Ormai ogni anno si dedicano celebrazioni a questo argomento sempre più
di matrice neofascista con parate inquietanti in Lombardia come in
altre parti d’Italia.
Interveniamo oggi per dire la nostra opinione critica. E crediamo che
sia il caso di tornare ad affrontare in maniera un po’ più approfondita
questo tema.
Nel 2004 il governo di centrodestra, con l’avallo del centrosinistra,
stabilì di celebrare il 10 febbraio (anniversario del Trattato di pace
che nel 1947 aveva fissato i nuovi confini con la Jugoslavia) una
“Giornata del Ricordo” per celebrare “i martiri delle foibe e dell’esodo
istriano, fiumano e dalmata”. Una ricorrenza situata a dieci giorni
dalla “Giornata della Memoria” (istituita nel 2000 per il ricordo dalla
Shoah e di tutte le vittime e i perseguitati del nazifascismo). In
questi anni il senso comune ha portato a fare di tutto un polverone,
cosicché si parla correntemente di “foibe” come “olocausto degli
italiani”.
Noi riteniamo che in tutto questo ci sia un’operazione di confusione e
di ribaltamento dei fatti. L’obiettivo di raggiungere una “memoria
condivisa” attraverso una specie di “par condicio della storia”, per la
quale ricordiamo “tutte le vittime”, nasconde i giudizi di valore sulle
responsabilità storiche specifiche, in particolare quelle del regime
fascista italiano in collaborazione con il nazismo tedesco. Chi ha
provocato le tragedie della seconda guerra mondiale e chi, dopo averle
subite, ha reagito, diventano la stessa cosa.
Oggi, correntemente, con il nome di “foibe” ci si riferisce a due
periodi distinti: in Istria dopo l’8 settembre del 1943, fino all’inizio
dell’ottobre dello stesso anno, e a Trieste nel maggio 1945, dopo la
liberazione da parte delle truppe partigiane jugoslave (ufficialmente
alleate del fronte antinazista) e durante i 42 giorni di amministrazione
civile della città. In questi due periodi, secondo la vulgata corrente,
un numero imprecisato di persone, comunque “molte migliaia”, sarebbero
state uccise solo perché erano di nazionalità italiana e poi
“infoibate”, ossia gettate nelle cavità naturali presenti in quelle
zone. Si tratterebbe di una “pulizia etnica”, di un “genocidio
nazionale”. La responsabilità principale viene in genere attribuita ai
“titini”, ossia ai partigiani jugoslavi comunisti. Chi propone un esame
critico di questa versione viene chiamato “negazionista” o, ben che
vada, “riduzionista” (usando quindi le stesse categorie utilizzate per
chi nega o sminuisce la Shoah).
Gli “antagonisti” di Casa Pound Milano se la sono spassata questa estate
dalle parti di Portofino, festeggiando alla grande in una mega villa,
alla fine di luglio, ospiti di Massimiliano Lucchini, della omonima
dinastia di industriali e banchieri. Vuoi vedere che da lì arriva anche
qualche soldo? Il nostro è ovviamente solo un sospetto.Della partita facevano parte l'industriale Lorenzo Castello detto "il
Cileno" (già vice presidente di Destra per Milano), l'industriale Moreno
Pracemi di Roccabruna (uno dei titolari della Trezzi Tubi Spa di
Vimodrone), Giacomo Trezzi, il responsabile nazionale dei "motociclisti"
di Casa Pound (candidato alle ultime elezioni politiche al Senato, come
Francone Pascucci) e Luca Repentaglia, il suo vice. Con loro anche
Marco Clemente, il vero capo di Casa Pound in Lombardia, e Marchino
Arioli, il segretario regionale.
Eccoli quasi tutti ritratti in una bella fotografia per celebrare
l’evento. Quando si dice far vita da “rivoluzionari”!
* * *
Sintetizzandoil senso dell'evento storico (ormai un genere ricorrente...), incidenzesi limita a rievocare un folgorante fotomontaggio dada di John Heartfield, [16 ottobre 1932]
Storia di un corpo di repressione al confine orientale d’Italia
ed. Kappa Vu, Udine, 2013
“Ho cominciato a scrivere questo libro più di dieci anni fa, pensando
all’inizio di farne un breve dossier, come quelli che pubblico per la
Nuova Alabarda. Avevo iniziato riordinando un po’ di documenti storici e
di testimonianze e poi, andando avanti, mi sono accorta che mentre
scrivevo la storia del corpo di repressione avevo iniziato a ricostruire
anche una parte della storia della Resistenza di queste terre, e così
ho proseguito raccogliendo altri documenti, ma soprattutto testimonianze
di persone che avevano vissuto quei momenti e me ne hanno resa
partecipe. Così ne è uscito un libro piuttosto corposo, ricerca che per
me ha significato non solo conoscere fatti storici ma anche entrare in
contatto con tante persone che avevano lottato e sofferto per la
libertà, ed alla fine ne sono uscita più ricca interiormente. Ringrazio
ancora tutti coloro che mi hanno aiutata e che sono ricordati all’inizio
del libro, e mando un pensiero particolare agli ex prigionieri che
hanno accettato di visitare la sede di via Cologna, dove erano stati
detenuti e torturati, per ricostruire con noi, che “viviamo tranquilli
nelle nostre tiepide case” quei tempi terribili che non abbiamo vissuto,
noi che grazie al sacrificio di persone come loro oggi possiamo vivere
liberamente”.
Le rôle de Jorge Mario Bergoglio, le pape
François, pendant la dictature militaire (1976-1983) fait l'objet de
controverse depuis plusieurs années à Buenos Aires. A l'origine, le
directeur du quotidien progouvernemental Pagina 12, Horacio Verbitsky, avait publié, en 2005, un livre polémique, El Silencio (non traduit), où il dénonce la complicité de l'Eglise catholique argentine avec les militaires.
Le journaliste accuse en particulier Jorge Bergoglio,
qui était à l'époque responsable de la Compagnie de Jésus en Argentine,
d'être impliqué dans l'enlèvement de deux jeunes prêtres jésuites qui
travaillaient dans un bidonville, en 1976. Torturés pendant cinq mois, Orlando Yorio et Francisco Jalics
avaient été remis en liberté et s'étaient exilés. Le premier est mort
en 2000, le second vit en Allemagne. Dans un communiqué publié, vendredi
15 mars, sur le site Internet des jésuites en Allemagne, ce dernier déclare qu'il ne peut "prononcer sur le rôle du père Bergoglio dans ces événements". Il indique aussi avoir eu "l'occasion de discuter des événements avec le père Bergoglio qui était entre-temps devenu archevêque de Buenos Aires. Nous avons ensemble célébré une messe publique (...). Je considère l'histoire comme close", a-t-il précisé.
De son côté, le porte-parole du Vatican, le Père Federico Lombardi, a dénoncé "le caractère anticlérical de ces attaques, allant jusqu'à la calomnie et la diffamation des personnes". "La justice l'a entendu une fois et à simple titre de témoin et le père Bergoglio n'a jamais été suspecté ou accusé". "Dans l'élaboration de la demande de pardon, Mgr Bergoglio a déploré les défaillances de l'Eglise argentine face à la dictature", souligne le Vatican.
"TALENTS D'ACTEUR"
Dans un article publié au lendemain de l'élection du pape François, M. Verbitsky, qui est également directeur du Centre d'études légales et sociales, une organisation non gouvernementale de défense des droits de l'homme, a renouvelé ses attaques, qualifiant le nouveau pontife de "populiste conservateur", qui introduira "des changements cosmétiques" au Vatican, "avec ses talents d'acteur". Le même jour, M. Verbitsky publie un courrier électronique de Graciela Yorio dans lequel la sœur du prêtre décédé exprime "son angoisse et sa colère". Selon elle, il aurait "laissé sans protection" les deux prêtres, adeptes de la "théologie de la libération" ...
''Donna
Rachele come riconosciuto da tutti è stata una grandissima figura di
donna italiana, è sempre rimasta fuori dalla politica, ha sempre
cresciuto e difeso i figli con una grande umiltà e onestà in momenti
difficilissimi dedicando tutta la sua vita a loro''.
Queste
sono le motivazioni in base alle quali il consigliere di quartiere
Michele Laganà ritiene che la nostra città dovrebbe intitolare una sala
pubblica alla moglie di Mussolini. Noi donne dell’ANPI non
identifichiamo affatto nel rimaner fuori dalla politica un titolo di
merito. Anzi, notiamo come questo non sia propriamente il modello di
cittadina e di cittadino che la nostra Costituzione promuove quando,
nell’articolo 4, dichiara che
“Ogni cittadino ha il dovere di
svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta,
un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale della società”.
Per ingannare il mondo, assumi il suo aspetto, abbi il benvenuto nell'occhio, nella mano, nella lingua, appari come il fiore innocente ma sii la serpe che vi si cela sotto. Macbeth, I,1
(ASCA) - Roma, Il Presidente della Camera dei deputati,
Gianfranco Fini, esprime il più profondo cordoglio per la
scomparsa dell'on. Pino Rauti, ''uomo politico che ha
rappresentato una parte di rilievo nella storia della Destra italiana. Parlamentare rigoroso, intellettuale di profonda
cultura, Rauti ha testimoniato con passione e dedizione gli ideali della nazione e della società che appartengono alla
storia politica del nostro Paese. Ai familiari esprimo i
sentimenti della più intensa vicinanza mia personale e della
Camera dei deputati''. E' quanto si legge in un comunicato.
ABBATEGGIO. Fa parte della maggioranza di centrosinistra, ma questo non le ha impedito di aderire al movimento di estrema destra Forza Nuova. E' la scelta fatta da Natascia De Sanctis, 25 anni, vice presidente del consiglio comunale, che figura nel direttivo della neonata sezione di Abbateggio del movimento, che conta una quindicna di iscritti, con presidente Mauro D'Atri e vice Walter Zaminga. La sua adesione a Forza Nuova ha generato dubbi e perplessità su possibili riflessi nell'amministrazione e in consiglio comunale. La De Sanctis è stata eletta, riportando il maggior numero di preferenze, nella lista civica di centrosinistra capeggiata dal sindaco Antonio Di Marco, attuale segretario provinciale aggiunto del Pd e consigliere provinciale. In paese si è subito pensato a possibili dissapori fra la De Sanctis, il sindaco e gli altri amministratori, ipotesi però presto smentite dai diretti interessati. Non ci sono contrasti: Natascia De Sanctis resta al suo posto di vice presidente del consiglio e continua ad amministrare in armonia con il sindaco Antonio Di Marco. «Mi sono candidata in una lista civica», spiega la consigliera, «senza avere una appartenenza politica. Oggi ho aderito al movimento nato ad Abbateggio come scelta del tutto personale, il che non mi impedisce di assolvere al ruolo che mi è stato affidato dagli elettori. Con sindaco ed amministrazione continua a regnare l'armonia». La conferma arriva anche dal sindaco Antonio Di Marco: «Non ci sono stati mai contrasti finora con nessun membro della maggioranza per loro presunte appartenenze o scelte politiche, tanto meno con la vice presidente del consiglio comunale. La nostra è una formazione civica, formatasi per amministrare il paese in sintonia di intenti, atmosfera che non si mai incrinata» ...
E n c i c l o p e d i a d e l l a n e o l i n g u a
.
B
bel
[sabato]
"Siamo tutti danneggiati. Per cosa e per chi manifestano? Se ne vadano a casa". Dura reazione dei rappresentanti dei commercianti e i cittadini di corso Buenos Aires, presenti oggi in piazza Aspromonte per l'incontro nella sede storica di Forza Nuova, contro il presidio di protesta organizzato da sindacati e antifascisti in Porta Venezia. Secondo i commercianti, il presidio antifascista, indetto contro l'iniziale scelta di Forza Nuova di inaugurare la nuova sede di corso Buenos Aires, poi revocata dal Comune, e' una manifestazione "ingiustificata" dal momento che Forza Nuova, "dimostrando grande senso civico", ha deciso di disdire l'iniziativa e promuovere un incontro nella vecchia sede per evitare altre polemiche. L'accusa rivolta alle associazioni promotrici del presidio e' che la loro presenza, con conseguente presidio di polizia, ha allontanato i clienti dai negozi del corso. "Rovinano il nostro lavoro - ha spiegato Paolo Uguccioni, presidente del Comitato Cittadini di Corso Buenos Aires-Venezia - i sindacati vadano a fare le loro trattative per i lavoratori, non vengano a rovinare un bel sabato in cui le famiglie dovrebbero venire a fare gli acquisti di Natale".
______ fonte: Forza Nuova, commercianti Buenos Aires: "Danneggiati da presidio sindacati" , il Giornale, sabato18/12/2010
E n c i c l o p e d i a
d e l l a
n e o l i n g u a
D
[va] da sé, dunque ...
«Sono fascisti, fascisti sociali che credono nella Carta di Verona. Sono fascisti del nuovo millennio, come Gianfranco Fini definiva se stesso una ventina di anni fa. Va da sé che se devono menar le mani le menano. Ultimamente è successo spesso, anche se a Napoli il 1° maggio è stato uno di loro a rischiare la vita. Menano dunque. Ma sempre controvoglia. Il dettaglio è tutt’altro che secondario».
Lanfranco Pace:
"Ecco perché ho firmato l'appello in favore dei fascisti solari di CasaPound"
da Il Foglio, 7 maggio 2010
________________________________
L'immagine è tratta da: Indymedia Italia
La biografia di Vincenzo La Russa, fratello del ministro Ignazio, santifica il leader del Msi. Tacendo sul bando contro i partigiani e sdoganando Salò. Una revisione piena di errori e omissioni sugli anni ’60 e ’70.
Sono tali e tanti i silenzi, le reticenze e le omissioni della biografia di Giorgio Almirante curata da Vincenzo La Russa (Giorgio Almirante. Da Mussolini a Fini, Mursia, p. 247, 17 euro), che potrebbe addirittura sorgere il sospetto che si stia parlando di un’altra persona. Davvero scoperto e grossolano appare il tentativo, tutto politico, di santificare il leader del neofascismo italiano, in spregio alle conoscenze storiche pacificamente acquisite.
Dopo poche pagine iniziali in cui si concentrano le origini familiari e i primi passi compiuti da giornalista al seguito di Telesio Interlandi (un autentico invasato razzista nei confronti del quale Almirante manterrà sempre «stima e devozione»), prima al quotidiano Tevere e poi come segretario di redazione al quindicinale La difesa della razza, si passa subito a narrare del ruolo svolto dal settembre 1943 in veste di capo di gabinetto di Fernando Mezzasoma al ministero della Cultura popolare nella Rsi. Circostanza che viene presentata come frutto di un incontro del tutto fortuito a Roma con lo stesso Mezzasoma. Così la sua elezione a segretario del Msi nel giugno 1947, raccontata come un accidente non previsto, avvenuta a pochi mesi dalla costruzione della formazione politica da parte di un gruppo di nostalgici della Repubblica di Salò, che lo innalzarono a tale carica essendo loro ben più compromessi con il passato ventennio o addirittura latitanti. È il caso di Pino Romualdi, la più importante figura del neofascismo di quel periodo, costretto ad operare nella clandestinità. In realtà Almirante, come ricorderà egli stesso anni dopo, giunse a questo ruolo portando in dote al Msi un intero movimento da lui fondato, il Movimento italiano di unità sociale (Mius), «che raccoglieva l’élite direttiva del fascismo». Fu lui a sottolinearlo nella sua storia del Movimento sociale italiano, scritta con Francesco Palamenghi-Crispi nel 1958. Non proprio, dunque, come si vorrebbe, un’elezione casuale. Sul terrorismo delle Sam (Squadre d’azione Mussolini) e dei Far (Fasci di azione rivoluzionaria), che precedettero e accompagnarono la fase iniziale del Msi, in buona parte composti e diretti dagli stessi missini, non una sola parola. Eppure gli attentati furono innumerevoli, spesso tutt’altro che dimostrativi, con tanto di morti e feriti. Ma siamo solo agli inizi. Tutta la vita politica di Almirante e del Msi viene, infatti, nel complesso collocata in un contesto volutamente depurato da tutti quegli elementi che potrebbero contraddire una ricostruzione di comodo. Si cita più volte l’importante lavoro di Giuseppe Parlato Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, edito dal Mulino nel 2006, forse la miglior ricerca su quel periodo da parte di uno storico di destra, ma, ad esempio, si tralascia clamorosamente di riprenderne la parte essenziale, minuziosamente documentata anche con carte tratte dagli archivi americani, relativa agli intensi rapporti intercorsi tra i dirigenti neofascisti, Pino Romualdi in testa, e i servizi segreti americani che appoggiarono, anche economicamente, e favorirono i chiave anticomunista la nascita del Msi. Una tessitura di contatti avviata ancor prima della fine della guerra, che consentì allo stesso Romualdi, il 27 aprile del 1945, di scampare a fucilazione certa. Queste le conclusioni di Giuseppe Parlato: «Da lì discendono una serie di legami che consentono di leggere la nascita del Msi in modo totalmente diverso: non un movimento di reduci, ma una forza atlantica e nazionale nel quadro della Guerra Fredda» (dall’intervista rilasciata a Simonetta Fiori apparsa su La Repubblica del 9 novembre 2006). Nulla di tutto ciò, neanche un cenno, nel libro di Vincenzo La Russa. Un approccio teso, il suo, da un lato a rileggere, all’opposto, il neofascismo italiano come un’area posta ai margini della vita politica e vessata dalla violenza comunista, mai attraversata da spinte eversive, frustrata nei suoi tentativi di inserimento nel sistema anche a causa del peso che vi ebbero i nostalgici del fascismo repubblichino (in ciò una critica) come Almirante, comunque conquistati al metodo democratico, dall’altro lato, a cercare di “salvare” proprio questa figura da ogni sospetto riguardo alla sua buona fede democratica, non si capisce bene quando acquisita. Forse da sempre.
Che la Repubblica sociale e il fascismo fossero stati democratici? Il dubbio è lecito. Un esercizio spericolato, in definitiva, che per essere condotto ha bisogno di pesanti manipolazioni storiche. E queste davvero non mancano.
In particolare in questa biografia, salvo poche righe su Piazza Fontana, sembrerebbe non essere mai esistita la strategia della tensione con le sue stragi nere, in cui rimasero coinvolti e in alcuni casi condannati (si vedano le sentenze definitive per la strage di Peteano del 31 maggio 1972 e per la tentata strage del 7 aprile 1973 sul treno Torino-Roma) proprio quegli esponenti di Ordine Nuovo che Giorgio Almirante invitò «lui a rientrare» nel 1969 nel Msi. Ovviamente La Russa omette anche di ricordare il pesante coinvolgimento di Almirante in relazione a Peteano, quando fu rinviato a giudizio per favoreggiamento di Carlo Cicuttini (ex-segretario di una sezione missina), latitante in Spagna, al quale fece pervenire 34mila dollari affinché si sottoponesse a un’operazione alle corde vocali per vanificare il suo riconoscimento come autore della telefonata che attirò una pattuglia di carabinieri a Peteano, in provincia di Gorizia, dove aveva predisposto, insieme con Vincenzo Vinciguerra, un’autobomba che esplose all’apertura del cofano. Tre militi rimasero uccisi sul colpo. Carlo Cicuttini fu condannato all’ergastolo. Almirante evitò invece il processo beneficiando dell’amnistia nel febbraio del 1987.
Del bando rinvenuto nel giugno 1971 in un comune della provincia di Arezzo, firmato il 17 maggio 1944 dal capo di gabinetto Giorgio Almirante per conto del ministro Mezzasoma, in cui si minacciavano «gli sbandati» e gli appartenenti a bande partigiane di «fucilazione nella schiena», che suscitò nel Paese una forte ondata di sdegno, Vincenzo La Russa ne parla come di un semplice e dovuto adempimento burocratico. Come se Almirante fosse stato a Salò un semplice passacarte, quando invece collaborava con uno dei più fanatici ministri di Mussolini, e secondo diverse testimonianze era chiamato «il prete nazista» proprio dagli altri componenti del gabinetto per il suo acceso estremismo e il furore con cui si scagliava contro ogni pietismo.
Ma è proprio riguardo al nodo della violenza, «lui non incitava certo», che forse sarebbe il caso di ricordare a La Russa il famoso comizio di Almirante a Firenze, il 4 giugno 1972, in cui il segretario del Msi proclamò che i giovani di destra erano «pronti allo scontro frontale con i comunisti», e ancor prima la famosa intervista al settimanale tedesco Der Spiegel, il 10 dicembre 1969, solo due giorni prima della strage di Piazza Fontana, dove il segretario missino confessò che «le organizzazioni fasciste si preparano alla guerra civile… tutti i mezzi sono giustificati per combattere i comunisti… misure politiche e militari non sono più distinguibili». Non c’è male come “pacificatore”.
Di diversi episodi degli anni Settanta Vincenzo La Russa fa poi letteralmente strazio. Ricostruisce l’uccisione dell’agente Antonio Marino, avvenuta a Milano il 12 aprile 1973, nel corso di scontri provocati da una manifestazione missina, inventandosi di sana pianta la dinamica dei fatti. Non fu, infatti, mai lanciata una bomba contro alcuna camionetta di polizia, ma ben tre per colpire i cordoni degli agenti. Il poliziotto Marino morì perché raggiunto in pieno petto da una di queste e non perché esplose il tascapane con i candelotti lacrimogeni, che per altro non portava. Sarebbe bastato a La Russa leggere seppur sommariamente gli atti giudiziari o più semplicemente chiedere informazioni ai suoi fratelli, Ignazio e Romano, presenti alla manifestazione. Romano fu anche fermato dopo gli incidenti.
Sempre secondo l’autore, e qui siamo davvero oltre ogni limite, nell’aprile del 1975 «il giovane milanese Claudio Varalli» sarebbe stato addirittura «ucciso da estremisti di sinistra» (pag. 173, leggere per credere). Si potrebbe pensare a uno svarione, dato che Varalli militava nel Movimento lavoratori per il socialismo e che per il delitto fu condannato Antonio Braggion di Avanguardia nazionale. Ma solo poche righe più sotto troviamo scritto che nello stesso anno, a giugno, «Alceste Campanile, militante di Lotta Continua, viene trovato ucciso (si scoprirà dopo che il delitto era maturato nell’ambiente dell’estrema sinistra)».
Vale la pena di ricordare che l’assassino confesso di Alceste Campanile si chiama Paolo Bellini, ex militante di Avanguardia nazionale poi finito come killer al servizio di grandi organizzazioni criminali. Un caso ormai risolto da diversi anni. Noi non sappiamo da dove Vincenzo La Russa tragga le proprie informazioni. Qui non si tratta di spulciare polverosi archivi o di impegnarsi in estenuanti e difficili inchieste. Basterebbe a volte solo leggere i giornali.
Anche relativamente alle fotografieallagate al volume va citata una perla. In una di queste, a un certo punto, si ritrae Giorgio Almirante a Roma, il 16 marzo 1968, su una scalinata dell’Università La Sapienza, circondato da giovani con bastoni. La didascalia recita: «Almirante viene aggredito da alcuni studenti». L’episodio, che Vincenzo La Russa si guarda bene dal commentare, è relativo alla spedizione di circa trecento mazzieri missini, arrivati da tutta Italia, più qualche decina di bulgari reclutati nel campo profughi di Latina, guidati proprio da Almirante e Giulio Caradonna, che tentarono di sgomberare a forza alcune facoltà occupate. Una vicenda notissima, immortalata da centinaia di fotografie e più di un filmato, che ritrassero per altro Almirante sorridente attorniato dai suoi squadristi con tanto di mazze, spranghe e catene. Lui che «non incitava alla violenza». Finì semplicemente male. Gli studenti di sinistra si difesero e il nostro fu costretto a battere in ritirata protetto dalle forze di polizia. Tra i circa 160 fascisti fermati quel giorno figureranno, tra l’altro, anche Mario Merlino e Stefano delle Chiaie.
Una biografia, in conclusione, per molti versi inservibile. Forse non l’avrebbe apprezzata neanche Giorgio Almirante. Sarebbe stato davvero difficile riconoscersi anche per lui.
Vous n'aviez réclamé la gloire ni les larmes Ni l'orgue ni la prière aux agonisants. Onze ans déjà que cela passe vite onze ans Vous vous étiez servi simplement de vos armes La mort n'éblouit pas les yeux des Partisans
Vous aviez vos portraits sur les murs de nos villes Noirs de barbe et de nuit hirsutes menaçants L'affiche qui semblait une tache de sang Parce qu'à prononcer vos noms sont difficiles Y cherchait un effet de peur sur les passants
Nul ne semblait vous voir Français de préférence Les gens allaient sans yeux pour vous le jour durant Mais à l'heure du couvre-feu des doigts errants Avaient écrit sous vos photos MORTS POUR LA FRANCE Et les mornes matins en étaient différents
Tout avait la couleur uniforme du givre A la fin février pour vos derniers moments Et c'est alors que l'un de vous dit calmement Bonheur à tous Bonheur à ceux qui vont survivre Je meurs sans haine en moi pour le peuple allemand
Adieu la peine et le plaisir Adieu les roses, Adieu la vie adieu la lumière et le vent Marie-toi sois heureuse et pense à moi souvent Toi qui va demeurer dans la beauté des choses Quand tout sera fini plus tard en Erivan
Un grand soleil d'hiver éclaire la colline Que la nature est belle et que le coeur me fend La justice viendra sur nos pas triomphants Ma Mélinée ô mon amour mon orpheline Et je te dis de vivre et d'avoir un enfant
Ils étaient vingt et trois quand les fusils fleurirent Vingt et trois qui donnaient leur coeur avant le temps Vingt et trois étrangers et nos frères pourtant Vingt et trois amoureux de vivre à en mourir Vingt et trois qui criaient La France en s'abattant
Louis Aragon, Le Roman Inachevé, Gallimard, Paris 1955 Musique de Léo Ferré, 1959
Saggio sui crimini fascisti e i processi del dopoguerra (1945-46)
Rastrellamenti, deportazioni, fucilazioni, torture. I venti mesi di sangue della Repubblica di Salò lasciarono una striscia di dolore e rancore che trovò come primo drammatico esito la giustizia sommaria dei giorni della liberazione e poi i processi istruiti a carico dei maggiori criminali fascisti. Utilizzando per la prima volta gli atti della Corte di Assise Straordinaria di Reggio Emilia si ripercorrono i drammatici giorni della feroce repressione antipartigiana e il tentativo fallito di dare giustizia alle centinaia di vittime della repressione dei corpi armati di Salò, al servizio dell'occupante tedesco.
di Francesco Raparelli
[da il manifesto, 31 gennaio 2009]
Ci sono alcune pagine di Nietzsche sulla «cattiva coscienza» che più di altre ci aiutano a capire la «questione Morucci», ma i giganti vanno scomodati di fronte alle cose serie e il caso dell’ex-Br (che sarà ospite del centro sociale neofascista Casa Pound) di certo non rientra tra queste. A cercare meglio, dietro la rabbia che immagino abbia colpito molti, c’è una biografia che per i movimenti, quelli di massa, ha avuto poco amore. Meglio i western.
Sono passati solo pochi giorni, dal divieto di Frati, pochi giorni da una questione che ha visto protagonista la Sapienza, Morucci e, suo malgrado l’Onda. Durante le feste natalizie, infatti, un docente di Scienze umanistiche ha deciso di invitare Morucci per parlare degli anni di piombo. Puntuale la replica del Rettore: l’iniziativa è stata vietata e in compenso Rettore e sindaco Alemanno hanno pensato bene di attaccare l’Onda («i trecento criminali»), di riproporre la questione del Papa e della libertà di parola. Il professore si difese chiamando in causa il consiglio poliziesco, Morucci fece finta di nulla, l’Onda rispose al meglio (era il 5 gennaio!). Oggi la musica cambia, a parlare è Iannone che presenta l’iniziativa di Casa Pound (di cui è portavoce), «oasi» del libero pensiero e della democrazia. Casa Pound e Morucci, infatti, sono accomunati da un problema comune e dallo stesso desiderio: interdetti dall’università, il problema; farla finita con «l’antifascismo ideologico», il desiderio. Sul desiderio Casa Pound ha già lavorato sodo in questi anni, con tutti gli strumenti tecnici a sua disposizione: per chi ha la memoria corta basta ricordare le cinte e i bastoni tricolore di Piazza Navona (29 ottobre 2008), quelli che colpivano con forza (altro che ideologia!) studenti e studentesse di non più di sedici, diciassette anni. Parlano le foto, parlano le ricostruzioni più oneste (Curzio Maltese primo fra tutti), parla la verità.
Ma a Morucci interessa poco la verità, tanto che – ci racconta Iannone sul Corriere della sera di ieri ‒ dopo i fatti del 29 ottobre ha chiamato proprio i giovani di Blocco studentesco e non certo gli studenti dell’Onda per esprimere la sua solidarietà. Sulla Stampa dello scorso maggio stessa cosa: nessuna difesa per gli studenti aggrediti in via De Lollis dai neofascisti di Forza nuova, piuttosto una condanna bipartisan. Verrebbe da diventare scortesi, fortunatamente la vita e la storia di Morucci non parlano più a nessuno. Ci spiace per le sue ambizioni pretesche (Ratzinger è interessato all’acquisto?) e per quanto riguarda i movimenti appartengono ad un’altra era, un’era in cui l’antifascismo è un fatto di realtà, non una patologia da nostalgici.
Il Corriere della sera del 18 gennaio, genuflesso, lo ha definito "Silvio show". In visita a Nuoro per un giro preelettorale il presidente del consiglio Silvio Berlusconi non ha saputo resistere alla tentazione di raccontare una barzelletta al pubblico dei sostenitori accorso al suo comizio.
"La sapete quella del campo di concentramento?", ha chiesto. E subito, incalzante: "Un kapò dice: 'Per foi ho una puona notizzia e una meno puona. Metà di foi saranno trasferiti in un altro campo'. A questo punto tutti gridano evviva e chiedono quale sia la notizia cattiva. 'Qvella meno puona è che la parte di foi che sarà traferita è qvella ke va da qui in giù', e nel dire questo segna dalla cintola in giù".
La cronaca non dice dell'accoglienza, immaginiamo esultante, del pubblico alla battuta del capo. Noi, che i campi di concentramento li abbiamo conosciuti bene, vorremmo sommessamente dire al presidente del consiglio che le sue barzellette concentrazionarie non fanno ridere: fanno pena. E non fanno onore né a lui né al suo governo, tanto più alla vigilia del Giorno della memoria.
daANED Associazione nazionale ex deportati politici nei lager nazisti
A 64 anni dall'eccidio nazifascista, Walter Cardi, presidente dei familiari delle vittime della strage, diffida dell'antifascismo dichiarato da Fini - che vorrebbe fare da garante di un partito i cui uomini collocati in posti strategici (La Russa, Alemanno...) nei giorni scorsi hanno tentato di legittimare la Repubblica di Salò. Come riferisce un articolo dell'Unità - Bologna , Cardi (10 familiari uccisi nell'eccidio) ha dichiarato che è difficile credere alle dichiarazioni di Fini, in quanto la sua "è solo un'apertura che fa a con obiettivi politici, per legittimarsi come uomo di governo. La realtà è che nessuno di loro ha mostrato pentimento, nessuno di loro è mai venuto a chiederci scusa [...] Noi come familiari non potremo mai condividere alcuna forma di revisionismo, e su queste vicende c'è una verità acclarata dalla magistratura. e in An non c'è mai stata una discussione sul fascismo" [l'Unità - Bologna , 26/9/08, p. 1].
___________________________
A molti di noi, 29 settembre non ricorda tanto il titolo di una celebre canzone di Mogol-Battisti: è in primo luogo la data di inizio, nel 1944, di una delle più grandi e atroci stragi di civili perpetrate dai nazisti, con il supporto attivo (e informativo) dei cosiddetti "ragazzi" di Salò. E le parole di Walter Cardi sono perfettamente comprensibili, cosi come si comprende il perché di questa sua presa di posizione proprio nel giorno della presentazione del vasto programma delle celebrazioni che si svolgeranno a partire dal 29 settembre, pubblicato nel sito dell'Associazione vittime degli eccidi nazifascisti nei comuni di Grizzana, Marzabotto, Monzuno e zone limitrofe -1943-1944. Il programma prevede il 4 Ottobre, due iniziative di rilevante carattere storico, politico e simbolico: l'intitolazione di un parco di Marzabotto a Peppino Impastato e il gemellaggio dei comuni di Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi con il comune di Sant'Anna di Stazzema (in provincia di Lucca). E la lunga striscia di sangue lasciata delle stragi di civili perpetrate dai nazisti (e dai loro complici "locali") conduce proprio da Sant'Anna di Stazzema a Marzabotto.
Al termine questo breve percorso a ritroso nel tempo, ci ritroviamo nel pieno grigiore della "nostra" attualità e, nel punto più grigio delle quotidiane notti e nebbie, ci imbattiamo di nuovo in Alleanza Nazionale: il partito che, per bocca di Fini, sarebbe divenuto "antifascista". In questi giorni, un'esponente di AN, Manuela Clerici, presidentessa della Versilia Viareggio Congressi, secondo diverse testimonianze, avrebbe ordinato di rimuovere la lapide che ricorda i 650 morti della strage di Sant'Anna di Stazzema, incontrando la resistenza dei lavoratori, che si sono rifiutati di eseguire l'ordine [nella foto tratta da un articolo pubblicato da Cani sciolti, la lapide da cui sono state asportete tre borchie, che una dipendente dichiara di aver visto sulla scrivania della burocrate di AN]. Altre notizie (continuamente aggiornate sugli sviluppi del caso di Viareggio) sono pubblicate da Officina21, (che ho conosciuto grazie alla segnalazione di Samanta in un commento al mio post sulla soppressione Via Gramsci a Cento di Ferrara).
_______________
... una scheda.
A integrazione del programma delle celebrazioni, linkato più sopra, traggo dal programma più dettagliato inviatomi dall'Associazione Familiari delle Vittime degli eccidi nazifascisti di Grizzana, Marzabotto, Monzuno e zone limitrofe, riproduco questa scheda:
Tratto da “In quelle tenebre” di Gitta SerenyConsulenza drammaturgica di Giovanna GuaitoliCon Roberta Biagiarelli e Filippo PlancherProduzione SS9teatro
Soluzione finale è la messa in scena dell’intervista di Gitta Serenya Franz Stangl, sovrintendente di polizia dell’istituto di eutanasia dal 1940 al 1942, tratta da In quelle tenebre della stessa autrice. Franz Stangl fu comandante di Treblinka nel 1942-43. Nei mesidi aprile e giugno del 1971 acconsentì a farsi intervistare daGitta Sereny per conto del Daily Telegraph Magazine nel carceregiudiziario di Dusseldorf dove era in attesa della sentenza diappello contro la condanna all’ergastolo. Sessantatre anni, alto,ben piantato, rilassato e controllato insieme, in prigione daquattro anni, trascorsi per quasi tutto il tempo in isolamento,poiché il Direttore del carcere temeva ritorsioni degli altriprigionieri nei suoi confronti. Era stato arrestato in Brasile doveviveva tranquillamente con la sua famiglia. Il lungo racconto ‘Inquelle tenebre’ raccoglie integralmente l’intervista condotta dallagiornalista di origine viennese all’uomo di cui Simon Wiesenthal,il “cacciatore dei nazisti” diceva: “Se non avessi fatto altro nellamia vita che quello di catturare quest’uomo malvagio, non sareivissuto invano”. Da questa drammatica testimonianza il registaFranco Brambilla ha tratto un dialogo denso e serrato, su unascena volutamente essenziale, che ricostruisce l’intera vicendadi Franz Stangl e dei tragici avvenimenti di cui fu artefice eprotagonista, eventi e fatti circostanziati che rivivono nelledomande incalzanti di Gitta Sereny e nelle sue dolenti riflessioni. Franz Stangl morì per un attacco di cuore diciannove ore dopo la fine dell’intervista.
_______________________
Un appuntamento domenica 5 ottobre a Marzabotto
Alcuni compagni dell’AAP (Assemblea Antifascista Permanente) Bologna si troverannopoco prima delle 10.30 presso il Sacrario