«Il giorno della rivoluzione», con Forza Nuova e Casa Pound
il movimento. Militanti neri, produttori e "padroncini"
da il manifesto - 10/12/2013
«Saremo noi per primi a difenderci da eventuali infiltrati. Io per
primo ho paura perché le infiltrazioni (…) non ci fanno bene, fanno
un favore al sistema. Purtroppo, però, ci sono». Era stato lo stesso
leader del Movimento siciliano dei Forconi, Mariano Ferro, ad
ammettere che la mobilitazione del 9 dicembre correva il rischio
di trasformarsi in una straordinaria vetrina per chi volesse
cercare visibilità. Come l’estrema destra che cerca oggi di
speculare sul malessere alimentato dalla crisi, nel tentativo di
riposizionarsi in forme più radicali dopo il lungo flirt con la
destra di governo berlusconiana.
Perciò, non deve sorprendere più di tanto se tra gli esiti delle
manifestazioni che si sono svolte ieri in molte città, dalla Sicilia
fino al Nordest, vi è anche quello di una rinnovata presenza dei
neofascisti. Un dato da non enfatizzare, ma pur sempre reale.
Ultrà «neri» del calcio organizzati militarmente a Torino — anche
se dai microfoni di Radio Black Out, vicina ai centri sociali, si
invitava a una lettura più articolata della composizione della
piazza -, militanti di Casa Pound e Forza Nuova a Roma e in altre città
del centro-sud, attivisti del Movimento Sociale Europeo, sigla di
comodo in realtà legata ad alcuni dirigenti del partito La Destra di
Storace a bloccare qualche strada sempre nella Capitale, mentre
qui e là si è visto anche qualche esponente di Fratelli d’Italia.
Estremisti di destra confusi tra i manifestanti: una situazione
resa possibile anche dal profilo politicamente indefinito
dell’iniziativa.
Scritti critici. Saggi, articoli e recensioni di filosofia, politica e storia del presente
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mercoledì 11 dicembre 2013
venerdì 13 settembre 2013
S. Ferrari: I neofascisti italiani arruolati come sicari e torturatori al soldo di Pinochet
il documento:
L'operazione Condor
Grazie sia alla decisione di Clinton di mettere fine nel novembre del 2000 al segreto di Stato sui documenti, soprattutto Cia e Fbi, riguardanti il Cile, che all'azione di alcuni magistrati argentini che stanno ancora indagando sull'assassinio del generale cileno Carlos Prats (fuggito in Argentina dopo essersi opposto al colpo di Stato di Pinochet) e di sua moglie, avvenuto a Buenos Aires il 30 settembre 1974, molti nuovi elementi stanno emergendo. In particolare sul ruolo svolto, negli anni '70, da gruppi di neofascisti italiani arruolati come sicari e torturatori dalle peggiori dittature sudamericane. Per inquadrare meglio il contesto è indispensabile soffermarci sulla cosiddetta "operazione Condor".
Terrore pianificato
Con questo nome era definito il piano di repressione ed eliminazione fisica degli oppositori politici comunemente progettato dalle dittature latino-americane negli anni '70 e '80. Un'operazione su vasta scala, finanziata e protetta dagli Stati Uniti, su cui è stata ormai acquisita qualche tonnellata di documenti d'archivio. Le forze armate del cosiddetto "cono-sud" (Argentina, Brasile, Paraguay, Bolivia e Uruguay) organizzarono, infatti, nel quadro di accordi fra eserciti americani e servizi segreti militari, fin dai primi anni '70, una gigantesca struttura di controllo continentale dei "sovversivi" di ogni paese per poi colpirli, con tutti i mezzi, spesso attraverso i cosiddetti "squadroni della morte" allestiti dalle stesse forze armate. Dopo il colpo di Stato dell'11 settembre 1973 anche il Cile entrò a pieno titolo nel piano. Il generale Pinochet dette poteri assoluti al colonnello Manuel Contreras ai vertici della Dina, il servizio segreto cileno, appositamente modellato per "estirpare il cancro comunista".
Nasce così l'"operazione Condor", volta alla soppressione degli oppositori, dai militanti di sinistra ai sindacalisti, dai religiosi ai giornalisti e agli uomini di cultura. Il tutto nel quadro di una spaventosa repressione che conterà alla fine 50 mila assassinii, 35 mila persone scomparse, 40 mila prigionieri. Per alcune operazioni fuori dal Cile la Dina allestirà anche una sezione "estera" affidando, come vedremo, compiti esecutivi soprattutto a terroristi di estrema destra italiani.
giovedì 5 settembre 2013
Un giorno DI FEROCE TRISTEZZA: L'11 settembre '73 di Luis Sepulveda
intervista di Filippo Fiorini - Santiago del Cile
il manifesto 2013.09.05
40 anni fa, lo
scrittore era nelle forze di sicurezza socialiste che difesero Santiago
dal golpe di Pinochet. «Quel giorno la mia gioventù finì violentemente. E
da allora il Cile non è più uscito dalla dittatura»
Quarant'anni fa iniziò la dittatura
militare in Cile. Possiamo dire che oggi tutto quello che prese il
potere in quel momento è stato superato, o ci sono ancora dei resti del
sistema nei posti di comando del paese e della società civile?Nessuno
che conosca la storia può sostenere che tutto ciò sia stato superato. A
partire dall'11 settembre '73 in Cile è stata installata una feroce
dittatura che ha eliminato qualsiasi tradizione democratica. Per quanto
imperfetta, la democrazia cilena aveva pur sempre distinto il paese come
un esempio in tutto il continente americano. Inoltre, è stato imposto
un modello economico ben preciso. Il Cile è stato il primo luogo in cui
sono state messe in pratica le politiche neo-liberali teorizzate da
Friedman e dalla Scuola di Chicago. Un esperimento che per poter
funzionare aveva bisogno di una nazione governata da un despota, senza
alcuna opposizione, senza partiti politici, senza sindacati, senza
organizzazioni sociali e con un sistema dei media completamente
asservito alla dittatura e al suo programma economico. Uno stato si
governa attraverso l'ordinamento dettato dalla propria Costituzione e
oggi, a quarant'anni di distanza dal golpe, il Cile ha ancora la stessa
Costituzione che approvò la dittatura. Una carta che ha permesso
l'esistenza non solo di una tirannia politica, ma anche di una tirannia
economica, che emargina la maggioranza delle persone, che privatizza la
sanità e l'educazione, che regala le risorse nazionali all'avidità delle
multinazionali e lo fa impunemente, al di sopra di qualsiasi meccanismo
di controllo statale, sia sul bilancio delle risorse, che sul bilancio
fiscale. Ogni paese cambia, perché il mondo è in movimento, ma in Cile
il movimento è stato circolare, ritornando inevitabilmente alla legalità
imposta dalla dittatura.
I media cileni e diverse personalità pubbliche nazionali hanno usato frequentemente nelle ultime settimane la parola «perdono». Crede che le vittime della dittatura di Pinochet siano pronte a perdonare? La società è arrivata a una riconciliazione?Il perdono è una categoria morale, si perdona o meno solamente dopo che il colpevole ha chiesto scusa. In Cile sono stati commessi crimini di stato, in nome dello stato, uno stato che però non ha mai chiesto scusa a nessuno, tanto meno alle sue vittime. Neanche chi fu direttamente responsabile, ovvero i militari e i civili che misero in piedi la dittatura, ha mai chiesto scusa a chicchessia. Stiamo parlando di più di 3mila desaparecidos e i loro famigliari, delle centinaia di migliaia di persone torturate, delle migliaia che furono obbligate all'esilio, dei milioni che rimasero esclusi dal sistema quando il disegno economico della dittatura ha liquidato l'industria nazionale e quando il «libero mercato» ha sostituito tutto il sistema produttivo con le merci importate. Per nulla di tutto questo si è mai chiesto scusa. La società cilena non si è riconciliata perché solo una società malata potrebbe riappacificarsi con coloro che eliminarono un modo di essere, di vivere e avere un progetto di vita.
I media cileni e diverse personalità pubbliche nazionali hanno usato frequentemente nelle ultime settimane la parola «perdono». Crede che le vittime della dittatura di Pinochet siano pronte a perdonare? La società è arrivata a una riconciliazione?Il perdono è una categoria morale, si perdona o meno solamente dopo che il colpevole ha chiesto scusa. In Cile sono stati commessi crimini di stato, in nome dello stato, uno stato che però non ha mai chiesto scusa a nessuno, tanto meno alle sue vittime. Neanche chi fu direttamente responsabile, ovvero i militari e i civili che misero in piedi la dittatura, ha mai chiesto scusa a chicchessia. Stiamo parlando di più di 3mila desaparecidos e i loro famigliari, delle centinaia di migliaia di persone torturate, delle migliaia che furono obbligate all'esilio, dei milioni che rimasero esclusi dal sistema quando il disegno economico della dittatura ha liquidato l'industria nazionale e quando il «libero mercato» ha sostituito tutto il sistema produttivo con le merci importate. Per nulla di tutto questo si è mai chiesto scusa. La società cilena non si è riconciliata perché solo una società malata potrebbe riappacificarsi con coloro che eliminarono un modo di essere, di vivere e avere un progetto di vita.
martedì 4 giugno 2013
"Il sangue politico"- BO, 4 giugno: presentazione del libro di N. Orlandi Posti
Presentazione del libro "IL SANGUE POLITICO"
di Nicoletta Orlandi Posti
Editori Riuniti
Incontro con l'autrice
Con la partecipazione di Paola Faraca
Vino& stuzzicherie a cura di Drogheria 53
martedì 4 giugno, ore 18
Casa Rude via Pietralata 83/A, Bologna (traversa di via del Pratello)
Gli anarchici della Baracca, un caso che li riassume tutti
Questa è la storia di Gianni
Aricò, di Angelo Casile, di Annelise Borth, di Franco Scordo e di Luigi
Lo Celso che trovarono la morte a soli vent'anni in uno strano incidente
stradale sull'autostrada del Sole, nei pressi di Ferentino, la notte
tra il 26 e il 27 settembre 1970. Erano partiti dalla Calabria per
portare a Roma, ai compagni della Federazione Anarchica Italiana,
un dossier di contro-informazione misteriosamente scomparso dal luogo
dell'incidente. La loro vicenda e il dossier che avevano messo insieme
si intreccia con alcune delle pagine più oscure e insanguinate della
storia italiana collegate da un inquietante filo nero che parte da
piazza Fontana, passa per i moti di Reggio, la strage di Gioia Tauro, il
golpe Borghese. E ancora il caso Marini, l'omicidio De Mauro, la
tragica fine di Mastrogiovanni. Questa è la storia di cinque anarchici
che avevano scoperto cose che “avrebbero fatto tremare l'Italia”. Questa
è la storia di cinque ragazzi che capirono prima di altri che l'Italia,
un Paese che aveva sconfitto sul campo il fascismo, non lo aveva però
estirpato, consentendo a beceri individui assetati di potere e di sangue
di farlo rinvigorire e crescere fino ai giorni nostri dove convivono
vecchie e nuove dittature con la loro carica di violenza e disumanità.
Li hanno fermati.
Prefazione di Erri De Luca
domenica 11 settembre 2011
Como una ola de fuerza y luz. A un rivoluzionario cileno
Nel settembre 1971 “mi giunse dal Cile la notizia della morte accidentale
di Lusiano Cruz, giovane dirigente del M.I.R (movimento di sinistra
rivoluzionaria)… L’avevo conosciuto a Santiago in giugno dello stesso anno, di
forte intelligenza: ne era sorta una amicizia solidale. La sua presenza-assenza
mi determinò nella scelta della struttura sonora, del suo perché. Ampliai il
primo progetto con l’inserimento della voce (soprano) su alcuni versi scelti da
un poema del poeta argentino Julio Huasi… poema per Lusiano Cruz …”
Luigi Nono
Como una ola de fuerza y luz
Come un'onda di forza e di luce
Luciano!
Luciano!
Luciano!
nei venti avventurosi
di questa terra
continuerai
a gettare luce di fiamma
giovane come la rivoluzione
in ogni lotta del tuo popolo
sempre vivo
e vicino
come il dolore per la tua morte
come una – Luciano! – onda
di forza
giovane come la rivoluzione
sempre vivo
e continuerai a gettare luce di fiamma
luce
per vivere
voci di bambini
si uniscono
a dolci campane
per
la tua giovinezza.
Luciano!
Luciano!
nei venti avventurosi
di questa terra
continuerai
a gettare luce di fiamma
giovane come la rivoluzione
in ogni lotta del tuo popolo
sempre vivo
e vicino
come il dolore per la tua morte
come una – Luciano! – onda
di forza
giovane come la rivoluzione
sempre vivo
e continuerai a gettare luce di fiamma
luce
per vivere
voci di bambini
si uniscono
a dolci campane
per
la tua giovinezza.
mercoledì 1 dicembre 2010
Mario Monicelli ... l'immagine che balena una volta per tutte ...
La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza » in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza .… Lo stupore che le cose che viviamo sono «ancora» possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è l’inizio di alcuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.
mercoledì 9 dicembre 2009
"Piazza Fontana, una strage lunga quarant'anni - Presentazione a Bologna, 9/12/09
Piazza Fontana.
Una strage lunga quarant'anni
Presentazione mercoledi 9 dicembre ore 21.00
HUB via Serra 2/c - Bologna
HUB via Serra 2/c - Bologna
* * *
Il sommario del quaderno:
- Introduzione
- Piazza Fontana. Una strage lunga quaranta anni. In Italia non è ancora finita la “guerra dei quaranta anni”. Dalla Guerra Fredda alla Guerra sul “fronte interno”. Il cambio di passo degli anni Sessanta. La Madre di tutti i depistaggi: la tesi del “Doppio Stato”. Il sovversivismo permanente delle classi dominanti
- La storia rovesciata. La cooptazione dei fascisti negli apparati dello Stato repubblicano. Dalla guerra fredda alla guerra interna in funzione anticomunista. La spaccatura tra i neofascisti. Il Partito Atlantico coopta gli ex nemici. La strategia della guerra a bassa intensità è indicata già diciassette anni prima della strage. Perché la sinistra antagonista passa all’autodifesa collettiva
- La reazione della sinistra alla Strage di Stato. Quei giorni a metà del dicembre del 1969. Parte la controinformazione e sarà una vittoriosa battaglia politica
I documenti
- Una questione di verità e di responsabilità (di Roberto Mander)
- Cos’è questo golpe? Io so (di Pierpaolo Pasolini)
- Estate 1969 (di Giangiacomo Feltrinelli)
- Le “Cinque entità” stragiste nelle audizioni del giudice Salvini alla Commissione Stragi
- L’uso dei fascisti contro i movimenti (Contropiano)
- Gli “Uomini Neri” (Contropiano)
Schede e bibliografia ragionata sulla Strage di stato
Gli autori di questa pubblicazione
___________________
vedi: Contropiano.org
sabato 8 agosto 2009
Ricetta (immorale) per il golpe perfetto [di L. Coluccini]
Ricetta (immorale) per il golpe perfetto
La teoria di Moisés Naìm sul Sole 24 Ore indica ingredienti e istruzioni per un moderno colpo di stato. Sembra l'Italia
di Lorenzo ColuccinI, Liberazione, 7 agosto 2009
Sarà per la storia personale dell’autore; sarà perché d’estate la letteratura “nera” trova spazio sui giornali; sarà forse anche per sposare la causa del “capitalismo autoritario” (definizione del filosofo e studioso di psicoanalisi sloveno Slavoj Zizek), che Moisés Naìm, sul Sole 24 Ore del 28 luglio scorso, ha firmato un articolo dal titolo “Così ti cucino un colpo di Stato”.
L’autore, esperto conoscitore di politica internazionale, in punta di penna, ha stilato un elenco degli ingredienti che occorrono per la preparazione di “un golpe ad alta digeribilità”.Scopo di quella “missiva” uscita sul prestigioso quotidiano «fornire istruzioni» per «preparare colpi di stato che non dipendano, almeno nella fase iniziale, dall’uso delle forze armate». Del resto si sa, un colpo di stato manu militari, oggi giorno, risulterebbe indigesto a molti. La palese manifestazione della violazione dei principi democratici con gli assalti al palazzo, come fu per quello della “Moneda” nel ’73 in Cile, non è più conveniente, prima di tutto per il Paese stesso e per la sua economia, che in questo modo verrebbe esclusa dal capitalismo globalizzato. Meglio dunque fare affidamento «più sugli avvocati che sui tenenti colonnello»; meglio puntare «sulle riforme costituzionali e sui referendum». Il fine? Il medesimo che in un golpe: «Un leader autocratico che, mantenendo le apparenze democratiche, conserva il potere a tempo indefinito e fa quello che vuole».
Il nostro rinomato “chef ” non si perita quindi nel fornire un elenco degli ingredienti necessari per la preparazione di cotanto agognato colpo di stato: milioni di poveri; una robusta dose di disuguaglianza sociale; ingiustizia giuridica diffusa; partiti politici molto screditati; discriminazioni
razziali; corruzione in gran quantità; una borghesia apatica e disillusa nei confronti della democrazia; parlamento, magistratura e forze armate lasciate “marinare a lungo” così da “ammorbidirle”; media e televisioni controllate dal padrone; un’opinione pubblica distratta e anestetizzata; squadracce al soldo della causa pronte a spaccare il cranio agli ultimi rimasti che non si ravvedono (il nostro le chiama “Brigate d’intervento popolari”, poche ma “buone”); infine, e non meno importante, come in ogni regime autoritario che si rispetti, ci vuole un nemico esterno, una concreta minaccia che rischia di distruggere la nazione, la sua coesione.
Naìm suggerisce la Cia, o un Paese vicino, ma si può andare anche sul classico gli ebrei, oppure gli immigrati - basta che ci sia un’entità esterna ritenuta pericolosa così da cementificare l’opinione pubblica, anestetizzata ma impaurita, risolutanquindi nel cedere pieni poteri al leader autocratico che difenderà la Nazione senza mai indietreggiare.
Che gran piatto succulento, che acquolina… Ma chi è questo cuoco così padrone delle dinamiche culinarie,sociali e politiche internazionali da dispensare, con animo generoso, una ricetta così allettante? Moisés Naìm è un ex ministro del governo venezuelano del socialdemocratico Carlos Andres Perez, un presidente così avvertito che non si risparmiò nell’applicare alla virgola i diktat draconiani del Fondo Monetario Internazionale, in modo così ossequioso che Caracas nel 1989 fu teatro di una rivolta per mano dei ceti popolari esasperati. Naìm, nonostante questo, rimane uno chef ineguagliato, tanto che fu premiato per la sua lungimiranza in campo neoliberista con la chiamata nell’entourage di Bush figlio. Il nostro cultore del fondamentalismo economico più spinto ha fatto anche parte del vertice della Banca Mondiale. Oggi dirige la rivista Foreign Policy, sovvenzionata da Carnegie Endowment for International Peace. Tra i finanziatori di questo organismo troviamo Bp Usa, Exxon Mobil, la Fundación Ford, General Motors. Naìm, però, fa parte anche del National Endwment for Democracy, altro organismo internazionale che riceve cospicui finanziamenti da parte del Congresso degli Stati Uniti, indicato da tutti come il braccio esecutivo nella destabilizzazione e nelle manipolazioni elettorali in tutti quei Paesi la cui politica è sgradita agli Usa.
Le ricette del cuoco modello sono state così applicate, con successo, in Serbia, Georgia, Bolivia, Ucraina, Venezuela, Kenia, Nicaragua ecc., tutte nazioni che sono state sconvolte da guerre civili, rivolte armate, crolli economici, dittature palesi o vestite con abiti democratici. Una volta, infatti, che si hanno tutti gli ingredienti, lontano dalle desuete dinamiche militaresche, il golpe moderno è di facile e veloce preparazione: creare conflitto sociale a tavolino in modo aggressivo; aizzare scontri ideologici e fisici tra le diverse classi; arrivare al potere tramite elezioni “democratiche” (queste non vanno mai eliminate). Poi, con ogni mezzo, vincere sempre alle successive («Mai lasciare il potere – dice l’autore – Le elezioni non servono mica a questo»); sostituire magistrati, parlamentari e generali poco fedeli e poco inclini a sposare il progetto del presidente. Fatto questo, quindi, non resta che passare alle modifiche costituzionali, così da introdurre nuove norme poco comprensibili che consentano, però, al presidente di concentrare nelle proprie mani tutto il potere e che garantiscano a tempo indeterminato la sua rielezione; screditare e rendere ininfluente l’opposizione; infine lasciare che qualche organo di stampa, piccolo però e con pochi lettori o ascoltatori, critichi l’operato del governo, per dar prova che la libertà di stampa non è minacciata. Et voilà signori, il golpe ad alta digeribilità è servito.
Che invidia però per quei Paesi che già si gustano queste prelibatezze! A loro questa pietanza così succulenta e a noi italiani mai niente di buono… Eppure la nostra cucina è apprezzata in tutto il mondo: siamo sicuri che anche nel nostro Bel Paese non si possa fare altrettanto? L’unica cosa da fare è vedere se disponiamo già di tutti gli ingredienti necessari. Vediamo…: «Milioni di poveri››, secondo i dati oggi ce ne sono 8, non sembrano pochi; una «robusta dose di disuguaglianza sociale e giuridica », sì, questa ce l’abbiamo; «corruzione in gran quantità», la esportiamo; «elite politiche ed economiche compiacenti ed una borghesia apatica », direi che sono sotto gli occhi di tutti; «parlamento, magistratura e forze armate da far marinare a lungo », se riuscissimo a sradicare qualche ultimo arcigno nostalgico delle minestre democratiche così insipide, forse potremmo farcela definitivamente; «un nemico esterno», beh questo sì (ah - gli immigrati - la minaccia estrema!); le «brigate d’intervento “popolari” ben addestrare per spaccare la testa» ce l’abbiamo, vedi il ddl sulla sicurezza con le ronde; l’opinione pubblica è già anestetizzata e i media controllati. Beh, sì, gli ingredienti, in Italia, possiamo dire di averli tutti…
Per quanto riguarda la preparazione siamo già avanti: il conflitto sociale cresce e il manganello arriva; le elezioni “democratiche” ci sono ancora ma vince sempre il medesimo politico; i partiti politici si screditano anche da soli, proponendo deboli alchimie combinatorie; alcuni vertici della magistratura a volte vanno a cena con il presidente del Consiglio, quelli delle forze armate, talvolta, più hanno fedine penali dubbie più ricevono riconoscimenti; qualche piccolo giornale e qualche ininfluente emittente radiotelevisiva che si scaglia contro il potere conserva ancora il suo posto; per quanto riguarda infine la Costituzione, in attesa di riformarla ancora di più, non la si osserva minimamente.
Evviva, forse anche l’Italia allora potrà entrare nel novero delle nazioni fortunate! Il tempo necessario per la cottura - manca solo quello - e poi… buon appetito a tutti!
___________________________
* l'immagine è tratta da Marginalia
giovedì 30 luglio 2009
Due Agosto: Noi sappiamo. Noi non dimentichiamo
NOI SAPPIAMO
NOI NON DIMENTICHIAMO
NOI NON DIMENTICHIAMO
«Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di i Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle prime stragi, sia, infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.»
Così incominciava il “Romanzo delle stragi” di Pasolini (1975). Ma in anni recenti, anche e soprattutto negli appelli alla verità fatti dai palchi e dagli scranni istituzionali, assistiamo al tentativo di trasformare la memoria delle stragi in una commedia, dove vengono messi in scena personaggi improbabili e continui depistaggi. Non potendo tutto negare, le dichiarazioni di rappresentanti di governo, così come i tanti libri recenti scritti da postfascisti e le cicliche rivelazioni giornalistiche al soldo del regime, tendono ad accreditare una verità dimezzata: furono alcune “menti bacate” neofasciste a promuovere la “strategia della tensione” e la violenza stragista degli anni Settanta.
Ma noi sappiamo qual è il loro gioco: nascondere e far dimenticare i mandanti e la finalità delle stragi, la loro genesi nelle istituzioni opache dello Stato italiano, dimostrata in tanti processi. Dalla strage di piazza Fontana del 1969 fino a quella di Bologna del 1980, l’Italia ha sperimentato infatti una lunga “strategia delle stragi” condotta da uomini degli apparati dello Stato e da neofascisti da essi personalmente organizzati, indirizzati, finanziati e protetti. Quelle bombe contribuirono a reprimere il movimento operaio e studentesco: il loro scopo era quello di spaventare, di manipolare l’opinione pubblica, di promuovere con la violenza un “ritorno all’ordine”. E quei crimini sono effettivamente serviti per costruire un mondo più ingiusto, ipocrita e violento. Oggi è importante ricordare che lo stragismo fu di Stato. Non solo contro tutti i tentativi di depistaggio e di revisionismo, ma soprattutto perché la memoria diffusa è l’unico antidoto contro la possibilità che certi eventi possano ripetersi.
Per questo, in occasione dell’anniversario della strage di stato del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, vogliamo ribadire, con Pasolini, che noi sappiamo e non dimentichiamo. Vogliamo ribadirlo soprattutto oggi che la repressione della diversità, delle lotte sociali, dei desideri di liberazione, dei diritti delle persone si fa sempre più violenta. E non intendiamo essere complici di chi, ancora una volta, utilizzerà l’anniversario di una strage per sdoganare il proprio criminale revisionismo e negare le complicità con il fascismo di ieri e di oggi.
Invitiamo le donne e gli uomini che considerano la memoria e l’antifascismo valori etici irrinunciabili a lasciare, dopo il suono della sirena alle 10.25, il piazzale della stazione e proseguire con noi nel “corteo della memoria” verso piazza dell’Unità.
Antifasciste e antifascisti
(riunit* in assemblea il 27 luglio)
______________
vedi anche: Assemblea Antifascista Permanente
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