... Quanto a coloro per i quali crearsi dei problemi, cominciare e ricominciare, cercare, sbagliare, riprendere tutto da cima a fondo, e trovare ancora il modo di esitare a ogni passo, coloro, insomma, per i quali lavorare in modo problematico e in un continuo travaglio intellettuale, equivale a una posizione dimissionaria, be’, non siamo, chiaramente, dello stesso pianeta.
… il motivo che mi ha spinto era molto semplice. Spero anzi che, agli occhi di qualcuno, possa apparire sufficiente di per sé. È la curiosità; la sola specie di curiosità, comunque, che meriti d’esser praticata con una certa ostinazione: non già quella che cerca di assimilare ciò che conviene conoscere, ma quella che consente di smarrire le proprie certezze. A che varrebbe tanto accanimento nel sapere se non dovesse assicurare che l’acquisizione di conoscenze, e non, in un certo modo e quanto è possibile, la messa in crisi di colui che conosce? Vi sono dei momenti, nella vita, in cui la questione di sapere se si può pensare e vedere in modo diverso da quello in cui si pensa o si vede, è indispensabile per continuare a guardare o a riflettere. Mi si potrà forse obiettare che questi giochetti personali è meglio lasciarli dietro le quinte, e che, nel migliore dei casi, fanno parte di quei lavori di preparazione che si estinguono spontaneamente non appena han preso forma. Ma che sa è dunque la filosofia, oggi – voglio dire l’attività filosofica – se non è lavoro critico del pensiero su se stesso? Se non consiste, invece di legittimare ciò che si sa già, nel cominciare a sapere come e fino a qual punto sarebbe possibile pensare in modo diverso? Vi è sempre un che di derisorio nel discorso filosofico quando pretende dall’esterno, di dettar legge agli altri, dir loro dov’è la loro verità o come trovarla, o quando trae motivo di vanto dall’istruir loro il processo con ingenua positività; ma è suo pieno diritto esplorare ciò che ciò che, nel suo stesso pensiero, può essere mutato dall’esercizio di un sapere che le è estraneo. La “prova” – che va intesa come prova modificatrice di sé nel gioco della verità e non come appropriazione semplificatrice di altri a scopi di comunicazione – è il corpo vivo della filosofia, se questa è ancor oggi ciò che era un tempo, vale a dire un’“ascesi”, un esercizio di sé nel pensiero.
Michel Foucault, L’usage des plaisirs, Gallimard, Paris 1984, tr. it. di L. Guarino, L’uso dei piaceri, Feltrinelli, Milano 1984, p. 13-14.
Michel Foucault: «una filosofia presente, inquieta, mobile lungo tutta la sua linea di contatto con la non-filosofia»
Concentrandosi inizialmente su alcuni luoghi cruciali della Storia della follia nei quali la relazione tra filosofia e non-filosofia è particolarmente intenso, il seminario tende poi a mostrare come – attraverso un ininterrotto lavoro di ripensamento contrassegnato da una serie di rettifiche dirette o indirette – il tracciato della ricerca di Michel Foucault abbia operato incessanti spostamenti, in un processo di continua problematizzazione e riproblematizzazione.
Procedendo sulla linea di contatto della filosofia con la non-filosofia, le giornate conclusive sono dedicate all’esplicitazione del rapporto forte tra le inchieste di Foucault e certe analisi di Marx, in particolare con luoghi de Il capitale, libro I, IV sezione.
Testi:
Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, qualunque ristampa.
Rudy M. Leonelli (a cura di), Foucault-Marx. Paralleli e paradossi, Bulzoni, Roma, 2010.
Parti di altri testi per i frequentanti verranno fornite in fotocopie.
Orario e sede del seminario: Giovedì, aula B, via Centotrecento 18, ore 11-13
da giovedì 15 aprile a giovedì 13 maggio 2010
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Avviso di conferenza:
giovedì 22 aprile
Giuseppe Panella
(docente presso la Scuola Normale Superiore di Pisa)
parteciperà al seminario con l'intervento:
Che Marx – e, nel suo solco, un’eterogenea e “scismatica” costellazione di teorici, filosofi e/o militanti che ad esso si richiamano – potessero trovare attualità filosofica anche attraverso certe letture di Foucault, è un fatto imprevedibile ed estraneo alla cultura corrente. Specie in Italia. Un’eventualità non contemplabile, non contemplata, in un orizzonte repentinamente divenuto familiare, pacifico, “acquisito”.
Dopo circaun quarto di secolo, dall’inizio degli anni Sessanta alla metà degli anni Ottanta, in cui aveva prevalso un forte e generale ostracismo, Foucault sembra ormai accomodarsi senza traumi nella cultura del tempo, che pare averlo “assimilato” senza troppi problemi.
Eppure, se ci fosse richiesto di indicare il tratto fondamentale e distintivo dell’intera attività di Foucault, potremmo rispondere, con una certa sicurezza: la sospensione, la rottura delle nostre evidenze: il turbamento e la trasformazione simultanea del modo in cui ci rapportiamo al “nostro” passato e a questo presente.
Di fatto, se sospendiamo il pregiudizio ordinario che relega Foucault in un postmarxismo di carattere meramente cronologico, dove il suo lavoro conduce un'esistenza apparentemente confortevole e spesso rassicurante, accediamo ad un vasto campo, in gran parte inesplorato, che offre un'ampia gamma di ricerche possibili.
È questa la prova che i lavori qui proposti hanno cercato di affrontare: riaprire, riesaminare e riformulare il rapporto tra Foucault e Marx, come un modo per pensare altrimentil’uno e l’altro. Perché l’emergere di relazioni impreviste tra due termini, trasforma i termini stessi, mutando il loro statuto, la loro rilevanza, il loro “luogo”.
Indice:
Rudy M. Leonelli, Premessa
Étienne Balibar, Foucault-Marx, paralleli e paradossi
Alberto Burgio, La passione per la critica
Stefano Catucci, Essere giusti con Marx
Guglielmo Forni Rosa, Note sul rapporto Foucault-Marx. A proposito di “Bisogna difendere la società”
Marco Enrico Giacomelli, Ascendenze e discendenze foucaultiane in Italia. Dall’operaismo italiano al futuro
Manlio Iofrida, Marxismo e comunismo in Francia negli anni ’50. Qualche appunto sul primo Foucault
Rudy M. Leonelli,L'arma del sapere. Storia e potere tra Foucault e Marx