I Paesi extraeuropei non erano la sola sede in cui emigrare: accanto ad essi, molti Italiani scelsero l’emigrazione in Francia .
La Francia, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, diviene
abituale terra di migrazioni stagionali per le popolazioni dell’arco
alpino occidentale,
le quali erano solite recarsi in Costa Azzurra per dedicarsi ad attività
di piccolo artigianato e, talvolta, per chiedere l’elemosina ai
facoltosi villeggianti
inglesi che venivano a svernare nelle lussuose località costiere. Dopo
aver valicato i confini, spesso in clandestinità, lungo quella che era
conosciuta
come “la via di Vernante” (la stessa strada fu percorsa anche dai
rifugiati politici perseguitati dal fascismo, come racconta Giorgio
Amendola in
“Lettere a Milano), un difficile sentiero che valicava le Alpi
all’Argentera, in provincia di Cuneo, gli emigranti, nella totalità dei
casi poveri contadini di
montagna malnutriti e poverissimi, si affidavano letteralmente al buon
cuore di chi li incontrava, sperando così di racimolare quel poco di
denaro in
grado di innalzare lievemente il misero tenore di vita delle vallate alpine piemontesi.
Accanto a tale migrazione per piccoli gruppi, si sviluppò ben presto
anche un’emigrazione stagionale di massa diretta sempre nel sud della
Francia,|
dove nelle cave di sale venivano impiegati moltissimi nostri
connazionali; ben presto, le tensioni fra immigrati italiani in Francia e
lavoratori francesi
aizzati dalla solita propaganda xenofoba, esplosero: gli Italiani
“portavano via il lavoro”, “erano delinquenti”, “erano per natura
semibarbari” e via di
pregiudizio in pregiudizio, tanto che nell’estate del 1893 ad Aigues
Mortes, dopo una banale lite fra lavoratori italiani e lavoratori
francesi, “grazie” ad
una bufala diffusa ad arte fra la gente, secondo la quale i lavoratori
italiani si sarebbero resi responsabili di alcuni omicidi, una folla
inferocità uccise18
nostri connazionali e ne ferì 150 (anche se le stime restano tuttora
approssimative). Nonostante ciò, le forze dell’ordine francesi
intervenirono
soltanto 18 ore dopo la strage, lasciando sostanzialmente mano libera agli xenofobi.
Un altro itinerario migratorio francese seguito dai lavoratori italiani
era quello che portava alle miniere nel nord del Paese:in alcune miniera
in
Lorena,ad esempio, gli italiani costituivano sostanzialmente il 50%
della manodopera: essi -soprattutto i sardi- erano molto richiesti in
quanto, date le
condizioni di miseria in cui vivevano, erano disponibili a ritmi di
lavoro gravosissimi. Per queste persone, lo stesso lavoro che
significava reddito
Ai padroni francesi e allo Stato italiano conveniva sfruttare questi
lavoratori: nel 1916 il Governo italiano stipula con quello francese un
accordo col
quale, in cambio di manodopera, l’Italia avrebbe ricevuto quantitativi
di carbone in base alla produttività dei suoi emigranti. Come vedremo,
tale
modalità sarà usata dai governi italiani sino agli anni Sessanta del Novecento.
Alla fine della seconda guerra mondiale, quando il Paese, ridotto allo
stremo, avvia la sua ricostruzione, le emigrazioni di massa verso i
Paesi europei
conoscono un nuovo picco: oltre alla Francia, gli Italiani, non solo del
sud, si avviano verso la Svizzera, il Belgio, la Germania e la Svezia. I
governi
stessi, al fine di ottenere materie prime a basso costo, si impegnano
con protocolli appositi a garantire l’emigrazione di quote di operai
verso i Paesi
che ne fanno richiesta: a tal fine, il Governo italiano ottiene dalla
Banca Mondiale che il nostro Paese sia inserito nella lista di quelli in
cui si agevola
l’emigrazione. Chi sono gli emigra|nti del Dopoguerra?
Si tratta soprattutto di minatori, ma non solo: accanto ad essi, fanno
le valigie centinaia di migliaia di contadini che scelgono di
trasformarsi in operai
per potersi garantire un futuro. Partono a migliaia sui “treni della
speranza” che, varcando il Sempione e il Brennero, scaricheranno in
Paesi ostili
uomini strappati alle terre e alle famiglie. Una volta giunti nei luoghi
di lavoro, molti di loro verranno avviati in apposite baracche di
legno, campi di
concentramento volontari in cui gli emigrati erano relegati al fine di
tenerli lontani dalle città, da loro viste come miraggi lontani.
“Vietato l’ingresso ai
cani e agli italiani”
stava scritto in molti locali pubblici frequentati dagli stessi padroni che facevano profitti sulla pelle di quei lavoratori misconosciuti e
stava scritto in molti locali pubblici frequentati dagli stessi padroni che facevano profitti sulla pelle di quei lavoratori misconosciuti e
discriminati. Fra tutte le vicende di sfruttamento e alienazione, la più
nota universalmente è la tragedia nella miniera Marcinelle in Belgio,
ove l’8
Agosto1956, in seguito ad un incendio, muoiono 262 lavoratori, fra cui 139 italiani immigrati.
A partire dagli anni Settanta del Novecento, i flussi migratori
dall’Italia verso i Paesi europei diminuiscono per due ragioni opposte:
per il
miglioramento delle condizioni di vita nel nostro Paese, a seguito delle
grandi conquiste economiche e politiche dei lavoratori, sia perché, con
la crisi
petrolifera del 1973, i Paesi in cui erano impiegati i nostri lavoratori
rimandano indietro una manodopera ritenuta superflua in periodo di
crisi
economica. Negli anni Ottanta del Novecento l’emigrazione dall’Italia
risulta pressoché inesistente e solo negli ultimi anni, a causa della
dura crisi
economica e delle politiche di tagli ai servizi sociali e di
precarizzazione del lavoro, essa torna prepotentemente in scena e ci fa
capire una cosa: il
benessere, le conquiste sociali, i diritti, non sono mai acquisiti
definitivamente; bastano un po’ di anni “storti”, bastano un po’ di
governi antioperai, e
tutto ciò che si credeva consolidato viene messo nuovamente in
discussione. Per questo oggi, quando vediamo arrivare milioni di persone
impoverite e alla ricerca di una nuova vita, dovremmo, in quanto
italiani con quella storia alle spalle, comprendere non una, ma due
volte le ragioni che
li hanno mossi; spesso le medesime ragioni che anche ora, mentre sto
scrivendo, stanno muovendo giovani disoccupati o precari a lasciare la
nostra
Patria alla ricerca di una vita degna di essere vissuta.
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