Saverio Ferrari - il manifesto - 21/01/2015
CasaPound Cremona, la sezione dell’organizzazione nell’ambito lombardo probabilmente più consistente, fin dalla sua nascita nel maggio 2013, seguendo una regola interna che a ogni sede corrisponda un’intestazione propria, si è scelta il nome di «Stoccafisso». Apparentemente un gioco. Nella città che fu del Ras Roberto Farinacci, gran organizzatore di squadracce, questo particolare è tutt’altro che innocuo. La storia racconta che sul finire del «biennio rosso», quando i fascisti della bassa val Padana si videro recapitare da alcune prefetture il divieto di detenere i manganelli, ricorsero all’uso di pezzi di baccalà, stecche dure lunghe più di un metro e mezzo da utilizzare come bastoni. Da qui la scelta del nome, indicativo della natura di CasaPound, che ispirandosi al primo movimento fascista, quello degli esordi, esalta ostentatamente l’epopea delle aggressioni ai dirigenti e ai militanti socialisti e comunisti come degli assalti alle sedi delle camere del lavoro e delle leghe contadine. L’attacco preordinato di domenica sera al centro sociale Dordoni di Cremona, non a caso, è stato condotto seguendo gli antichi insegnamenti, concentrando gruppi di picchiatori, anche provenienti da altre città (Parma e Brescia), per colpire in forte superiorità numerica, senza problemi.
Più volte CasaPound ha anche «mimato» in cortei per le vie di Roma le «spedizioni punitive» del 1920–1921 sfilando su camion scoperti con a bordo militanti agghindati con tanto di Fez. Le stesse denominazioni con cui ha marchiato i propri punti di ritrovo o i propri siti di riferimento, dalla libreria La Testa di Ferro (in ricordo del giornale fondato nel 1919 da Gabriele D’annunzio al tempo dell’impresa fiumana) al forum internet Vivamafarka (dal romanzo-scandalo di Marinetti del 1909, Mafarka il futurista, sottoposto in quegli anni a processo per oltraggio al pudore, in cui si decantavano le gesta immaginarie di un re nero che amava la guerra e odiava le donne), dicono di questa identificazione.
Non siamo di fronte a semplici suggestioni culturali. Dalle sue fila, analizzando i fatti accaduti, solo negli ultimi tre anni, provengono Gianluca Casseri che a Firenze nel dicembre 2011 ha assassinato a colpi di pistola due ambulanti senegalesi, ferendone gravemente un terzo, e Giovanni Ceniti, ex responsabile di Casa Pound Novara, uno dei killer di Silvio Fanella ucciso a Roma nell’estate scorsa. Un’organizzazione che la Cassazione, il 27 settembre 2013, nell’ambito di un procedimento a Napoli contro il suoi dirigenti locali ha giudicato «ideologicamente orientata alla sovversione del fondamento democratico del sistema».
Prima dell’aggressione di Cremona, solo qualche settimana fa, a fine dicembre, se ne era verificata un’altra, con le stesse modalità, a Magliano Romano, dove una ventina di squadristi di Casa Pound con i passamontagna, armati di spranghe e bastoni, avevano aggredito i tifosi dell’Ardita, un club di supporter della squadra romana di calcio del quartiere San Paolo. Sette i feriti, con fratture, escoriazioni ed ecchimosi.
L’incredibile impunità di cui gode Casa Pound è sotto gli occhi di tutti. È tempo di porre il problema.
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