l'assalto a Palazzo d'Accursio da: Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva
-->
I fatti del 21 novembre a Bologna precipitarono questo processo di reazione.
Che qualcosa di grave si preparasse lo si sentiva nell’aria. Già durante i comizi elettorali si capiva che l’intransigenza formale ed elettorale dei socialisti a tendenza estremista avrebbe vinto, ma inutilmente. Il programma annunciato a Bologna era stravagante e impossibile, dato l’ambiente e l’atmosfera già mutati in tutta Italia; era un vero castello sulla sabbia. Inoltre la borghesia bolognese, non più timorosa dei socialisti e degli operai, non credeva più. Da più d’un mese non si facevano scioperi, e qualcuno tentato era apparso stentato e senza effetto. Durante la campagna elettorale un oratore radicale (poi divenuto fascista) mi assicurano che abbia in un comizio senza ambagi dichiarato, che se i bolscevichi avessero conquistato il comune, non si sarebbe permesso alla loro amministrazione di funzionare.
Dopo l’esito delle elezioni, che avevan dato una strabocchevole maggioranza ai socialisti estremi, questi erano assai preoccupati per la cerimonia dell’insediamento. Rinunciarvi, rinunciare all’esposizione della loro rossa bandiera, al loro comizio di vittoria oggi sembrerebbe facile; allora sarebbe parsa vigliaccheria, e sarebbe stata agli occhi di tutti la prima rinuncia al pomposo programma nel cui nome s’era vinto. Ma proprio questo volevano i fascisti: cacciare dalle piazze la folla operaia, far abbassare in segno di resa la bandiera rossa. Come uscirne?
Alcuni socialisti, che allora tenevano il mestolo in mano, scesero a indecorosi patteggiamento con la questura, e forse promisero più di ciò che i loro seguaci avrebbero mantenuto; ma parve alla vigilia del 21 novembre, giorno convenuto per l’insediamento, che le cose potessero passar lisce, quando fu noto in questura e affisso alle cantonate un manifestino a macchina, in cui i fascisti annunciavano battaglia per l’indomani, avvertendo le donne e i ragazzi di star lontani dal centro e dalle vie principali. I socialisti ormai non potevan più ritirarsi decentemente; è naturale che i più bollenti (e furon purtroppo anche i più scriteriati, stando almeno ai risultati) pensassero ad improvvisare una qualche difesa contro gli annunciati ed eventuali assalti. Ormai solo un miracolo poteva evitare la tragedia. Il miracolo non avvenne; al contrario!
domani,
le grandi "democrazie"
potrebbero riporre
con tutta naturalezza
l'antifascismo
nel magazzino degli attrezzi usati.
Già fin d'ora,
questa parola magica,
che ha fatto
insorgere
i lavoratori
contro l'hitlerismo,
viene considerata con sospetto
e avversata
non appena
serve a riaggregare tra loro
gli avversari del sistema capitalistico.
Daniel Guérin, 1945[*]
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NON UN PASSO INDIETRO!
«La violenza dei pubblici poteri e la violenza fascista non hanno mai allentato la loro stretta. Se ieri era la Strategia della Tensione, oggi è una Strategia della Paura ad alimentarle. Paura che la retorica securitaria scatena verso chiunque appaia diverso, perché “straniero”, per la sua identità di genere e/o orientamento sessuale, per una maglietta sbagliata, per il suo modo di vestirsi o di tenere i capelli. E “dalla strategia della tensione alla strategia della paura”, raccogliendo una proposta della Rete Antifascista Metropolitana di Roma, è stato il filo conduttore di iniziative diffuse in varie città italiane il 12 dicembre 2007. A Bologna un corteo comunicativo ha attraversato i quartieri Barca e S. Viola, dove i movimenti operai, antagonisti e libertari bolognesi mancavano da decenni. Quest’anno [abbiamo ritenuto] più che mai urgente e necessaria una presenza di piazza antirazzista, antisessista e antifascista nell’anniversario della strage di Piazza Fontana ».
Amazora di femministe e lesbiche
ANPI Pianoro
Antagonismo Gay
Archivio Storico "Marco Pezzi"
Assemblea Antifascista Permanente
Assemblea Permanente noGelmini Scienze Politiche
Associazione Politica e Classe di Bologna
Atlantide
Ciclofficina AmpioRaggio
Circolo anarchico Camillo Berneri
Circolo Arci Iqbal Masih
Collettivo Mujeres Libres - Bologna
Confederazione Cobas Bologna
CUB - Bologna
Facciamo Breccia - Bologna
Fuoricampo Lesbian Group
Giovani Sinistra Critica
Laboratorio femminista Kebedech Seyoum
LAI - Lesbiche Antifasciste in Italia
Lazzaretto autogestito
Lista Reno per il rilancio dello stato sociale
QueeRevolution
Rete dei Comunisti
Vag61
Xm24
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L'immagine (in alto) di partigiani e partigiane è tratta daivangel
La fotografia della testa del corteo con striscione è tratta daMarginalia
Poco fa, ho spedito via email una lettera ai gestori dell'Osteria il Moretto (Bologna). Dato che si tratta di una questione pubblica, la pubblico integralmente qui di seguito:
Ho appreso con sconcerto e disappunto che l'Osteria il Moretto intenderebbe ospitare la presentazione di un libro sul terrorista fascista Concutelli (come se non bastasse, il 13 dicembre cioè a ridosso dell'anniversario della strage di Piazza Fontana, ricordate?).
La riprovevole serata è organizzata dai fascisti dichiarati di Casapound (e del cosiddetto "Blocco studentesco"), dei quali si è molto parlato nei media in particolare in relazione all'aggressione contro giovani manifestanti "no Gelmini" a Piazza Navona, consumata con bastoni travestiti da aste di bandiere tricolore e con colpi di cinture. Sono letteralmente trasalito, stupito, incredulo amareggiato, indignato. Sono stato per anni frequentatore di quell'Osteria, piacevole, aperta, e che sentivo un po' come un posto in cui trovavo persone interessanti, intelligenti e a dir poco di idee progressiste e di stili di vita che non contemplavano il disprezzo per gli immigrati, il razzismo più o meno velato, etc. Pur vivendo a Bologna, non ho avuto occasione, da tempo, di recarmi in quello che ritenevo un ambiente fondamentalmente salubre, dove una serata del tipo "Io, l'uomo nero" (a me questo titolo non fa né paura né ridere, mi fa semplicemente schifo) sarebbe stata inconcepibile, inimmaginabile. Non so se la gestione sia cambiata, ma vi garantisco, chiunque siano i gestori, che nel caso si realizzi quel riprovevole "evento", mi adopererò in ogni modo lecito, pacifico, e non illegale, invitando tutte le persone che RISPETTANO UNA CITTÀ MEDAGLIA D'ORO DELLA RESISTENZA a disertare l'Osteria. Vi prego di capire la serietà e la gravità di quella sciagurata iniziativa e di recedere (nel caso la notizia della squallida serata che sarebbe in programma al Moretto fosse fondata, ma stento ancora a crederci) dal realizzarla e di comunicare pubblicamente il vostro ritiro o ripensamento o come volete chiamarlo.
Ringraziandovi per l'attenzione,
Rudy Leonelli Bologna
AGGIORNAMENTO: ho appreso oggi 6/12 con piacere che i gestori dell'osteria Il Moretto, resisi conto del carattere di un'iniziativa che avevano accettato sulla base di informazioni evidentemente incomplete, hanno annullato la serata di presentazione del libro sul terrorista nero Concutelli.
Ringrazio i gestori per la sensibilità dimostrata in questo increscioso incidente, estraneo per quanto ne so alla più che rispettabile storia del locale. Ed al suo stile.
Tentò la fuga in tram
verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata
dove galleggia Milano non fu difficile seguirlo il poeta della Baggina la sua anima accesa
mandava luce di lampadina gli incendiarono il letto
sulla strada di Trento
riuscì a salvarsi dalla sua barba
un pettirosso da combattimento
I Polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime
lanciate verso il mare
i trafficanti di saponette
mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta
ne era dispensato nel novantuno
la scimmia del quarto Reich
ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava
le abbiamo visto tutto il culo
la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista
La domenica delle salme
non si udirono fucilate
il gas esilarante
presidiava le strade la domenica delle salme
si portò via tutti i pensieri
e le regine del ''tua culpa''
affollarono i parrucchieri
Nell'assolata galera patria
il secondo secondino
disse a ''Baffi di Sego'' che era il primo
si può fare domani sul far del mattino
e furono inviati messi
fanti cavalli cani ed un somaro
ad annunciare l'amputazione della gamba
di Renato Curcio
il carbonaro
il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
voglio vivere in una città
dove all'ora dell'aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile
La domenica delle salme
nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro
del defunto ideale
la domenica delle salme
si sentiva cantare
quant'è bella giovinezza
non vogliamo più invecchiare
Gli ultimi viandanti
si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz'oretta
poi ci mandarono a cagare
voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l'Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti
e dai padri Maristi
voi avete voci potenti
lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti
adatte per il vaffanculo
La domenica delle salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia
la domenica delle salme
fu una domenica come tante
il giorno dopo c'erano i segni
di una pace terrificante
mentre il cuore d'Italia
da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta.
-->21 novembre 2008: giornata "agitata" a Bologna: uno sciopero fortemente partecipato dei lavoratori Atc, il centro città bloccato, l'entrata degli scioperanti Comune, il parapiglia con i vigili e - dulcis in fundo - l'irruzione a Palazzo d'Accursio della polizia contro l' "invasione" degli ospiti non invitati [vedi: (gli scioperanti) Dire, Rdb Cub, il pane e le rose ]. Su questo sfondo animato, c'è un particolare che ha attirato la mia attenzione e mi ha condotto a decidermi di rieditare qualche pagina di un bel libro di Luigi Fabbri.In quella calda giornata di novembre in consiglio comunale, dai banchi del centrodestra è partito - per voce di tal Patrizio Gattuso (PdL) - un sonoro "basta coi comunisti!" che ha suscitato la comprensibilissima indignazione ed ira del consigliere di sinistra Valerio Monteventi.
Perché assegno tanta importanza a un enunciato stolido e banale - originale, con i tempi che corrono, come un ennesimo duplicato: monotono, ricorrente e inflazionato? E' che per enunciare provocatoriamente il "suo" banale e stolido slogan nella sala del Consiglio comunale di Bologna, il signor Gattuso ha scelto proprio il giorno sbagliato o, forse, nella logica sua e del suo gruppo, il giorno "giusto".
Sta di fatto che la data del 21 novembre ha, per il consiglio comunale di Bologna, un'importanza storica: 88 anni fa, i fascisti, dopo aver anticipatamente minacciato pubblicamente guerra nel caso in cui la bandiera rossa fosse stata innalzata o esibita in occasione della cerimonia d'insediamento dell'amministrazione socialista uscita dalla vittoria alle elezioni comunali, il 21 novembre 1920 passarono all'atto, aprendo il fuoco contro Palazzo d'Accursio e sulla folla, provocando una prevedibile e premeditata carneficina.
Una storia che, proprio il nel giorno in cui il consigliere Gattuso ha emesso il "suo" basta coi comunisti! (che, come come sappiamo, avendo avuto energici - ma che dico: energumenici! - precursori, rasenta il citazionismo) è stata ricordata dall'ANPI ANPPIAcon un incontro pubblico e commemorata con la deposizione di corone: al sacrario dei Caduti Partigiani, alla lapide che ricorda il giovane Anteo Zamboni, trucidato dai fascisti, e alla lapide che - nel cortile di Palazzo d'Accursio, ricorda, appunto, l'assalto fascista del 21 novembre e le vittime che ha provocato.
Di qui, al punto d'intersezione tra la storia e l'attualità, la mia scelta di riproporre alcune pagine del lucido e oggi, credo, più che mai illuminante libro di Luigi Fabbri.
Bologna culla del fascismo
I.
Autunno 1920
da Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva [*]
Ma fino ad un certo momento il fascismo sembrò relativamente indipendente finché i fascisti eran pochi e i socialisti eran potenti ed in auge. Aveva il suo nucleo centrale più forte a Milano con ramificazioni un po’ dovunque, ma non era preponderante in alcun luogo, – e tanto meno lo era a Bologna; dove invece tutto ad un tratto divenne forte, tanto che proprio da qui, come forza politica coercitiva e violenta cominciò ad estendersi in tutta Italia. Ebbe ragione non so più qual fascista a scrivere, in una polemica, che se è vero che il fascismo è nato a Milano la sua culla è stata Bologna.
* * *
A Bologna il fascismo è diventato forte prima che altrove; sia perché il caso e gli errori dei socialisti più li aiutarono, sia perché i fascisti bolognesi furono primi; malgrado il linguaggio sbarazzino e pseudo-sovversivo, del loro giornale, a stringere rapporti di collaborazione ed aiuto con quella forza conservatrice ch’è la polizia, mettendo da parte in pratica ogni fisima d’opposizione politica.
Nei primi mesi, dall’ottobre in poi, il fascismo ebbe nella polizia bolognese l’alleata più evidente, anche ufficialmente, godendo della protezione aperta del questore e di quella appena larvata del Prefetto [1]. I commissari di P. S. se n’andavano pel Corso sotto braccio coi capi fascisti, guardie regie e fascisti se n’andavano a spasso insieme,; e in Questura i fascisti eran come a casa loro, e questurini e guardie regie stavano alla sede del Fascio come in un loro corpo di guardia. Mi è stato assicurato che anche pel rifornimento e trasporto delle sua armi, il fascio più d’una volta s’è servito dei camions della questura e militari.
Dell’autorità militare vera e propria non parlo. Essa è assai più guardinga; ma è noto che quasi tutti gli ufficiali sono fascisti e che lo Stato Maggiore dell’esercito non è estraneo al fascismo.
[…]
Ma, per tornare a Bologna come culla del fascismo, dirò che tutti questi coefficienti non sarebbero valsi a far crollare le posizioni socialiste ed a formare la potenza fascista senza alcune circostanze fortuite e soprattutto senza certi errori più gravi dei socialisti. Le scaramucce nella piazza di Bologna del 20 settembre 1920 e lo stesso conflitto sanguinoso del 14 ottobre, quando una folla andò a fare una dimostrazione alla carceri per solidarietà con le vittime politiche, vicino alla caserma delle guardie regie [2] non erano riusciti a scuotere la preponderante forza socialista. Lo sbandamento di questa cominciò la notte del 4 novembre, in cui per pochi fascisti fattisi all’uscio e nell’atrio della Camera Confederale del lavoro in atto aggressivo e minaccioso di giovani armati, l’allora segretario on. Bucco, che pure era circondati da un certo numero non trovò di meglio che telefonare per soccorso alla questura filofascista! La polizia venne, ed in numero, ma per arrestare i socialisti e far fare una figura ancora più ridicola al deputato Bucco… La fortezza era ormai smantellata: i fascisti vi avevano in certo modo libero ingresso.
Se quella sera i socialisti fossero stati un po’ più prudenti – mi dicono che a mezzanotte circa il portone della Camera del Lavoro era ancora aperto; senza alcuna ragione, quasi per invitare il nemico ad entrare – e nel tempo stesso, se realmente assaliti, si fossero energicamente difesi con la forza che avevano e senza esclusione di colpi, forse la Camera del lavoro di Bologna sarebbe stata invasa allora invece che tre mesi dopo, ma probabilmente sarebbe stata la prima e l’ultima in Italia. Essa sarebbe stata invasa non dai fascisti ma dalla forza pubblica; la quale, avendo lei presa l’iniziativa, avrebbe tolto al governo la maschera d’una inesistente neutralità, resa impossibile l’indegna commedia recitata poi, tolta al fascismo la direzione delle operazioni antisocialiste. Se reazione fosse venuta, avrebbe preso un carattere statale, e la lotta avrebbe conservato il suo carattere tradizionale di conflitto fra sudditi e governo, senza deviare verso la insensata, feroce ed inutile guerriglia di fazioni che seguì.
Ma inutile far delle ipotesi su dei se retrospettivi. Il fatto sta, che quell’episodio penoso e ridicolo insieme fece capire alle autorità politiche ed ai fascisti che tutta la vantata preparazione rivoluzionaria, di cui Bucco ed atri menavan vanto, era un bluff, e che l’esercito socialista, già in ritirata sul terreno economico e politico, non solo aveva smessa l’offensiva ma non sapeva neppure profittare della forza del numero, di cui disponeva indiscutibilmente, per difendersi con la propria azione diretta. Se si fosse subito resistito con l’energia e la violenza necessarie, e la necessaria concordia, ai primi assalti fascisti, il fascismo sarebbe morto sul nascere. Invece, avendo il proletariato preferito riparare dietro la legalità, anche questa debole trincea fu in più punti demolita dal nemico, giacché – visto che i socialisti risultavano i più deboli – polizia e forza pubblica non ebbero più alcun scrupolo a palesarsi alla luce del sole alleati del fascismo; e l’offensiva combinata delle forze illegali e legali, cui si aggiungeva poco più tardi anche la magistratura, incominciò.
Né valse ad arrestarla l’esito delle elezioni amministrative della fine d’ottobre e del principio di novembre 1920, favorevoli i socialisti che vi guadagnarono circa 3000 comuni. Anzi questo fu una spinta di più alla classi dirigenti per incoraggiare il fascismo summa via dell’illegalità. Capitalismo e governanti – dei governanti, non questo o quel ministro personalmente, certo l’alta burocrazia, i prefetti, i questori, ecc. – prima riluttanti, capirono che il fascismo era una buona arma e gli assicurarono subito tutti i propri aiuti, in danaro e armi, chiudendo gli occhi sugli atti illegali, e dov’era necessario assicurandogli le spalle con l’intervento della forza armate che, col pretesto di rimetter l’ordine, correva a dar mano ai fascisti dove questi invece di darle cominciavano a prenderle.
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NOTE:
[*] Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva (riflessioni sul fascismo), Collana "V. Vallera", Pistoia, 1975 [prima edizione 1922 - Editore Licinio Cappelli],
[1] Tale cooperazione dura tutt'ora un po' dappertutto , ma viene alcun poco dissimulata per ragioni di governo. Alla Vecchia Camera del lavoro di Bologna le guardie regie mandate a proteggerla, e ricoverate in un salone della stessa in una notte di pioggia scrivevano nella scorsa primavera sui muri, fra tante minacce contro i socialisti e gli anarchici: "Presto il Fascio e la Regia bruceranno anche questa Camera"
[2] Si è parlato a tal proposito, e le guardie regie vi credettero sul serio, di un vero e proprio assalto popolare e rivoluzionario alla Caserma. In processo questa diceria non fu confermata da alcuna prova; ed infatti nessuna intenzione del genere aveva la folla. Il conflitto avvenne casualmente nei dintorni; e chi si è recato da quelle parti una volta sola capisce quanto impossibile e pazzesco sarebbe stato un proposito simile di assalto, oltre che inutile e sproporzionato ad ogni scopo.
In questi giorni è di gran moda tributare onori al vecchio Marx. La crisi del capitalismo incoraggia le palinodie. Ancora ieri era un reperto fossile, oggi è la mascotte di banchieri e economisti di radicata (e in realtà incrollabile) fede liberista. Lasciamo andare ogni considerazione sulla scarsa decenza di tanti improvvisi ripensamenti. Proviamo piuttosto a divertirci un po’ immaginando lo spasso che procurerebbero a Marx tutti questi discorsi e quanto sta accadendo in queste turbolente settimane. A Marx e non soltanto a lui. C’è un altro grande vecchio, di cui nessuno parla, che si sta godendo una tardiva ma non imprevista rivincita. Un vecchio molto caro all’autore del Capitale. Insomma, questa crisi è un momento di riscatto anche per Hegel, il grande maestro di Marx. Attenti a quei due. La rappresentazione prevalente descrive un movimento che va dalla crisi finanziaria («originata - recita la vulgata - dalla caduta dei mutui subprime») all’economia reale.
Le implicazioni di questa narrazione ideologica sono principalmente due. La prima è che l’«economia reale» (in sostanza, il capitalismo) sarebbe di per sé sana; la seconda, che ne consegue, è che si tratta in definitiva di un problema di «assenza di regole e controlli» in grado di prevenire (e adeguatamente reprimere) i comportamenti «devianti» degli speculatori troppo ingordi.
Tale descrizione omette il dato essenziale. Prima del movimento descritto, ne opera uno opposto (dall’economia reale alla finanza) che si fa di tutto per occultare. Si capisce perché.
In realtà è il modo in cui funzionano la produzione e la riproduzione (cioè il rapporto capitale-lavoro) a decidere il ruolo della finanza e le forme concrete del suo funzionamento. Nella fattispecie, è l’ipersfruttamento del lavoro (a mezzo di precarizzazioni, delocalizzazioni, bassi salari e tagli del welfare) a far sì che all’indebitamento di massa sia affidato il ruolo di fondamentale volano della crescita. Non stupisce allora che su questo si cerchi di instaurare un tabù. Non si può dire chiaramente - pena l’esplicita delegittimazione del sistema - che all’origine della crisi è la crescente povertà imposta alle classi lavoratrici da trent’anni a questa parte.
Ma che c’entra Marx con questo e cosa c’entra soprattutto Hegel? Proviamo a vederla così. Se è vero che l’economia reale è sia il luogo originario del processo di crisi, sia il terreno del suo compiuto dispiegarsi, allora si può dire che la produzione si serve della finanza per sopravvivere. Nel concreto, la speculazione finanziaria fondata sull’indebitamento è il mezzo che il capitale usa per svilupparsi in costanza del vincolo-base del neoliberismo: la deflazione salariale a tutela del saggio di profitto.
Oggi, 7 novembre (25 ottobre secondo l'antico calendario giuliano che vigeva all'epoca in Russia) è l'anniversario della
Rivoluzione d'ottobre. Incidenze ricorda questo evento con le parole di un grande anarchico italiano:
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Armando Borghi
Noi facemmo della rivoluzione russa
la nostra stella polare
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Ebbene sì, noi siamo qui a proclamarlo: noi facemmo della rivoluzione russa la nostra stella polare. Esultammo alle sue audacie, alla sua vittorie sanculotte, ai suoi rischi. Alzi la mano chi abbia una questione di patriottismo, di quello di sana pianta, da sollevare sulla frontiera della rivoluzione nei secoli. Ci si indichi, chi patriota non da operetta, non abbia dato e chiesto sangue, entusiasmo e persino denaro per il trionfo della sua idea nel mondo, facendo di questa idea, dovunque sorgesse la voce di Spartaco, il centro della sua patria.
Dovevamo chiedere al popolo russo di presentarci il certificato di legittimità della sua rivoluzione? Se era matura? Se era esattamente al suo ciclo storico; se era la rivoluzione russa che aveva bisogno di noi o noi che avevamo bisogno di essa per avviare la nostra rivoluzione?
Noi guardammo alla rivoluzione russa con l’occhio dei nostri bisnonni della Rivoluzione Partenopea nei confronti della Rivoluzione Francese. Ma quello che pochi ricorderanno è questo: che anche i guerrafondai del 1914 e seguenti, in un primo tempo furono entusiasti della rivoluzione russa, aspettando da quella parte una ripresa giacobina della guerra. Fu Arturo Labriola, dopo il ritorno dalla sua missione intesista in Russia, a dare l’allarme nel campo interventista contro l’abbaglio di una rivoluzione russa invocante la super guerra. Mussolini lasciava traccia della sua infallibilità nel suo quotidiano su questo tema: «Questa volta la rivoluzione aveva dei muscoli. Doveva vincere e ha trionfato propagandosi dalle vie della Neva alla città santa del Kremlino; ha completamente trionfato. Storiche giornate che iniziano un’era nuova» [1].
Una altro genialissimo, tra i mentecatti ravveduti, Gustavo Hervé, da Parigi ricalcava le orme di Mussolini sulla famosa rivoluzione russa invocante la super guerra dell’Intesa. La prova delle cose venne tentata quando sui Carpazi Kerensky si improvvisò gran maresciallo e il suo esercito prese un gran sacco di botte.
Un indice del fenomeno che covava sotto la quiete apparente imposta dai rigori di guerra si ebbe in occasione della venuta in Italia dei cosiddetti «argonauti della pace», che erano già i rappresentanti dei soviet. Fu uno straripamento meraviglioso di folle inneggianti alla Russia. A Roma ne allibirono. I delegati russi ne restarono stupiti. Io ricordo di averli sorpresi con le lagrime agli occhi nel comizio di Firenze. «Siamo venuti a scoprire la rivoluzione in Italia », diceva Goldenberg, capo della missione russa, nel grande comizio tenutosi nella casa del popolo di Rifredi, dove lo stesso Morgari aveva pronunciato un discorso infiammato. La prima grande colpa della rivoluzione russa fu quindi, non la sua dittatura, ma il suo «no» alla guerra. La dittatura nella guerra ad oltranza non avrebbe fatto schifo alla democrazia dell’Intesa.
Per lungo tempo il temine stesso di «bolscevismo» non era chiaro. Lo si prendeva come sinonimo di rivoluzione sociale. Scriveva il repubblicano Oliviero Zuccarini: «Il bolscevismo è diventato il bau bau agitato da tutte le inquiete coscienze conservatrici. Siete rivoluzionari, dunque siete bolscevichi! Ogni rivoluzionario per non sentirsi attribuire idee e motivi bolscevichi russi dovrebbe rinunciare ad essere rivoluzionario» [2] .…
Che dire poi dei socialriformisti i quali in ogni occasione di moti e di rivolte avevano sulle labbra l’accusa di dittatura contro i movimenti di proteste e di agitazioni. Non era da questo pulpito che potevamo aspettarci una predica seria contro la dittatura.
da: Armando Borghi, La rivoluzione mancata
Edizioni Azione Comune, Milano 1964
[riedizione a cura dei gruppi d’Azione Carlo Pisacane, del libro di A. Borghi,
L’Italia tra due Crispi. Cause e conseguenze di una rivoluzione mancata,
“uscito nel 1925, semiclandestino in Francia e ignorato in Italia"].
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NOTE
[1]Il Popolo d’Italia; 17 maggio 1917
[2] Olivero Zuccarini, Pro e contro la Dittatura, Libreria Politica Moderna, Roma 1920.
Nel corso delle ultime settimane, da quando la crisi finanziaria internazionale si è sviluppata così violentemente da sradicare, con le furie dei propri venti, non solo alcune delle più grandi istituzioni del capitalismo americano, ma lo stesso modello neoliberale spacciato come pensiero unico fino a pochi mesi fa, tutti i principali quotidiani internazionali, non importa se di tendenza riformista o liberale, hanno reso omaggio a Karl Marx e alle sue tesi. Egli è ritornato a essere citato negli editoriali dei maggiori quotidiani finanziari mondiali e a essere ritratto sulle copertine di diffusissimi e autorevoli settimanali di Stati Uniti ed Europa.
Alcuni di questi hanno sostituito il viso della Statua della libertà con un profilo soddisfatto di Marx, mentre l’Economist di due settimane fa raffigurava il presidente francese François Sarkozy, in visita a New York, intento a leggere avidamente una copia de Il capitale mentre, sullo sfondo, i palazzi di Wall Street crollavano inesorabilmente. In tutte le descrizioni e le immagini in cui ho visto ritratto Marx durante queste settimane, egli appariva sempre sorridente e, nonostante il passar degli anni, mi è sembrato piuttosto in forma, anche quando a fare i conti con le sue analisi erano giornalisti che non possono certo essere definiti suoi seguaci.
Il maldestro lavoro di tentata ripulitura dell'immagine del lavoro svolto dai cosiddetti "ragazzi" del Blocco studentesco a Piazza Navona, ha subito un'ulteriore smentita grazie ad alcune foto pubblicare nel sito flickr, che documentano le aggressioni fasciste precedenti allo scontro documentato da tutti i media. Incidenze ne ripubblica velocemente due, rinviando per la serie completa e le relative didascalie alla serie completaoriginale.
Sono uno studente del liceo Tasso che il 29/10/08 si trovava a manifestare a piazza Navona contro la riforma Gelmini, una manifestazione pacifica con cori simpatici assolutamente non violenta quand'ecco che si avvicina un camioncino con musica a tutto volume che vuole raggiungere la testa del corteo, ma non c'è posto per avanzare gli studenti sono troppi non possono smaterializzarsi, allora ecco che la tensione cresce, inizia una discussione con questi nuovi venuti, tutti ventenni di blocco studentesco, capisco che aria tira e mi metto ad osservare la scena in una postazione più defilata anche se mi sembra assurdo che si possa arrivare ad uno scontro violento, siamo ragazzi e ragazze la maggior parte quindicenni, addirittura scolaresche accompagnate dai professori e poi questi cantano "né rossi né neri ma liberi pensieri". Ma alla fine di questo coro si scatena la violenza, lo squadrismo di questo gruppo di esaltati dichiaratamente neofascisti. I ragazzi di Blocco fanno spuntare manganelli, catene, coltelli, spranghe, un vero e proprio arsenale passato magicamente inosservato alla polizia; é il panico caricano chiunque trovino di fronte, un ragazzo prova a difendersi è circondato da 10 persone e massacrato di botte, chi può si rifugia nei bar, cerca scampo a questa violenza cieca scatenatasi tutt'ad un tratto davanti all'occhio sornione degli agenti.
Con questa prima carica Blocco si assicura la postazione migliore per governare la manifestazione, noi ragazzi siamo confusi, spaventati, il morale è a terra, ci si conta per vedere se un amico è rimasto ferito. Quelle bestie di blocco intonano ironicamente un coro: "siamo tutti studenti", i più temerari rispondono;"siamo tutti anti-fascisti" e di nuovo parte un'altra carica più feroce che ci sposta ancora più lontano dal centro di piazza navona, ancora feriti, ancora manganellate, ancora quella noncuranza da parte delle forze dell'ordine che mi sconvolge, mi atterrisce, perché in un paese democratico non posso essere difeso? E' una sensazione stranissima, di smarrimento, lo Stato che avevo sempre creduto dalla mia parte se ne fotte se prendo delle manganellate.
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Tutto torna alla "normalità", Blocco ha ottenuto la postazione che voleva ma veniamo a sapere che ragazzi dei centri sociali delle università stanno arrivando, capisco che qui tra poco sarà l'inferno e con i miei amici torno al Tasso dove, inoltre, ci si aspetta un raid di blocco studentesco ma questa è un'altra triste storia di un paese dove i politici fanno passare i partigiani per assassini e i fascisti come vittime.
PS. sono venuto a sapere che il governo ha dichiarato che siamo stati noi studenti di sinistra ad aggredire Blocco, bene o noi siamo dei deficienti a non esserci accorti che un gruppo che massacra di botte dei ragazzi innocenti che avevano la colpa di trovarsi lì, lo fa per legittima difesa oppure forse siete voi che tentate di vendere ancora una volta la vostra vergognosa verità al punto di difendere anche lo squadrismo fascista.
La vecchia intuizione secondo cui più la democrazia si fascistizza, più i fascisti si democratizzano, sta trovando ormai piena conferma: dopo il neofascismo divenuto postfascismo, siamo giunti al paradosso dell'antifascismo fatto proprio da chi fino ad ieri lo combatteva. Per questo può essere utile chiedere soccorso alla storia recente. In qualche archivio della Rai è sicuramente conservata la registrazione di una vecchia Tribuna Politica, se il ricordo non inganna, risalente al 1972 in cui l'allora segretario del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Almirante, rispose polemicamente ad un giornalista affermando di essere "antifascista" ed anzi "il primo antifascista d'Italia". Giorgio Almirante, al quale oggi s'intitolano persino strade, aveva alle spalle una significativa carriera sotto il segno del fascio, contrassegnata in particolare dal suo impegno come segretario di redazione de La difesa della razza su cui, tra l'altro, ebbe a scrivere che "in fatto di razzismo e antigiudaismo gli italiani non hanno avuto né avranno bisogno di andare a scuola da chicchessia". Firmatario quindi nel 1938 del Manifesto del Razzismo Italiano, durante la Repubblica di Salò fu capo di gabinetto del Ministero della cultura popolare e nel 1944 si rese responsabile di un bando repubblichino in cui si prometteva la fucilazione per "gli sbandati e gli appartenenti alle bande". Nel dopoguerra, era stato uno dei principali artefici della ripresa delle attività squadriste e della riorganizzazione neofascista (formalmente vietata dalla Costituzione), tanto da essere stato quasi ininterrottamente per un quarantennio il segretario del principale partito erede del ventennio mussoliniano e della Repubblica Sociale, l'Msi (1). La sua dichiarazione di "antifascismo" provocò all'epoca un certo scalpore, ma anche ovvie proteste tra i nostalgici del littorio e i più oltranzisti dell'estrema destra. Da allora la tesi della "pacificazione nazionale" e dell'equiparazione morale dei partigiani e dei militi fascisti come ugualmente patrioti è stata portata avanti dalla destra in modo pressoché corale, proprio sulla falsariga almirantiana. Simile processo è stato comunque possibile anche grazie alla costante criminalizzazione della Resistenza e alla parallela indulgenza verso i crimini nazifascisti: operazione questa a cui si è perfettamente adattata la storia romanzata di Giampaolo Pansa. Questa pagina di storia serve per meglio inquadrare e comprendere le recenti professioni di "antifascismo" recitate da Gianfranco Fini che, tra l'altro, proprio Almirante designò come successore alla guida del Msi, poi divenuto Alleanza Nazionale e quindi oggi componente del PdL.
Che incidenze abbia una grande considerazione del blog Marginalia non è una sorpresa per chi visita questo blog. E' stata invece una gradita sorpresa il premio che Marginalia ha scelto di assegnare (tra gli altri) ad incidenze, che si trova così in buona compagnia, in una lista di blog scelti con perizia da Vincenza Perilli.
E adesso, stando alle regole del gioco, tocca me. Il premio Brillante weblog live specifica: 1) nel ricevere il premio, devi scrivere un post mostrando il premio e citando il nome di chi ti ha premiato, e il link del suo bloglive; 2) scegli un minimo di 7 bloglive (o di più) che credi siano brillanti nei loro temi o nei loro design. Esibisci il loro nome e il loro link. Quindi avvisali di aver ottenuto il premio "brillante WEBLOGLIVE".
Ci ho messo un po' a decidere, ma ecco le mie scelte.
Assegno il premio al blog di Alessandro Portelliche, conosciuto per i suoi testi, saggi, interventi e per il suo insegnamento di letteratura americana alla Sapienza, non ha bisogno di presentazione. Un blog (e un intellettuale) che hanno saputo esercitare con stile ed intelligenza una ininterrotta attenzione critica alla recrudescenza del razzismo, del neofascismo e dei revisionismi, per incidenze, sta senza dubbio nei primi posti. E [un po' come ha fatto Paola Guazzo ne la nuova towanda, "rubando" una citazione da incidenze] "rubo" a mia volta al blog di Portelli una citazione da aggiungere al mio "arsenale": Il lavoro culturale è spinto così dalla logica della non integrazione a costruirsi le armi per difendere la possibilità di sopravvivere; il lavoro culturale non può che trasformarsi in lotta politica per propria difesa e perché la lotta politica diventa il livello più alto di ogni lavoro culturale.
(Gianni Bosio)
Ancora sul filo tra lavoro letterario e critica dei revisionismi e dei rinfocolati razzismi, assegno il premio a letturalenta, di Luca Tassinari, una testata spiegata da questa frase programmatica (di Nietzsche, se la mia labirintica memoria non m'inganna): Non scrivere più nulla che non porti alla disperazione ogni genere di gente frettolosa.
A letturalenta devo la conoscenza del terzo blog che voglio premiare. Ha un bel nome, tra storia, memoria e attualità: Rosalucsemblog. Cito soltanto un post di non comune lucidità critica: memoria per dimenticare, ma amo anche certi suoi post graffianti o e/o tagienti sul nostro tempo e sulla vita quotidiana.
Tra memoria e attualità, un premio al blog Carlo (chissà - detto per inciso - se il "carlo-carlo" dell'indirizzo web evoca Marx, o Cafiero, o Giuliani, o tutti e tre...). E' un blog sobrio, con una bella cura delle immagini, con testi e canzoni (da "deandriano" della prima ora - e irriducibile - ho apprezzato il rilancio de La domenica delle salme, un capolavoro della maturità, una diagnosi formidabile e implacabile della "nuova era"). E come perdesi un gioiellino come La Zekka Komunista? Negli ultimi bagliori dei movimenti degli anni Settanta -il fin troppo celebrato e svuotato '77, in particolare bolognese - quando ancora ci si incontrava spesso, ci si conosceva un po' tutti, si condividevano esperienze, correva, scritto sui muri, uno slogan, che recitava più o meno:
Che la morte ci trovi vivi - che la vita non ci trovi morti
E' un raro piacere, trent'anni dopo, incrociare nuovamente un compagno di quei tempi, tuttora capace di non farsi trovare "morto", dalla vita.
E (ritornando all'intersezione tra letteratura, e più in generale scrittura, e antifascismo oggi, con cui ha preso inizio questo "catalogo" delle mie scelte) premio senza indugi il blog di Riccardo Uccheddu. Guardando le ruote. Riccardo - per ora, una conoscenza in rete - ha tra l'altro curato un'edizione delle Lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Devo ad un commento di Riccardo la riscoperta della forza attuale del termine controrivoluzione. Un concetto che incontravo nelle mie ricerche, che, ora che ci penso, ho iniziato a riutilizzare - in rapporto all'attualità - proprio qui, a proposito del revisionismo toponomastico, appunto, a proposito di Gramsci...
Inoltre - anche in ricordo di Dodi, che è stato fino alla fine il principale animatore - premio il blog del Circolo Iqbal Masih di Bologna, dal quale riprendo una frase del testamento di Iqbal:
Mi batterò non solo per liberare me stesso e i miei compagni di sventura dalle catene in cui mi trovonon solo quelle che colpiscono i bambini, ma anche gli adulti,perché non può esserci benessere per i bambinifinché gli adulti saranno offesi e sfruttati.Vi abbraccio, vostro Iqbal.
Infine, un premio, con tutta ma mia solidarietà, al blog in ricordo di "Aldro": Federico Aldrovandi. Una delle tante vittime degli eccessi di "sicurezza". Che non sia dimenticato, che dia almeno la forza di combattere altre ingiustizie, altri abusi di potere nascosti e minimizzati, che aiuti ad evitare altri soprusi, altre vittime, anonime, "insignificanti", ma non per noi.
Ma chi avrà interesse a conoscere altri blog interessanti, ne troverà tanti altri nelle diverse rubriche nella barra laterale di incidenze. Citarli tutti, sarebbe stato come non citarne nessuno, e ho dovuto scegliere, sicuramente rinunciando ad altri, che ho volta a volta linkato, convinto che meritino di essere conosciuti, visitati, letti...