Scritti critici. Saggi, articoli e recensioni di filosofia, politica e storia del presente
venerdì 21 marzo 2014
FACEVAMO QUELLO CHE DOVEVAMO - proiezione del film documentario sulla Volante Rossa:-23/3 all'Iqbal Masih - BO
Dalle ore 18:00 aperitivo
A seguire proiezione del film documentario sulla Volante Rossa:
FACEVAMO QUELLO CHE DOVEVAMO
Circolo Iqbal Masih,via dei Lapidari 13/L - Bologna
L’Iqbal è raggiungibile dal centro con l’autobus 11C direzione
Corticella, fermata Lapidari o da via di Corticella bus 27 o 62
notturno sempre direzione Corticella
mercoledì 19 marzo 2014
L'amore della politica, di Valerio Romitelli
L'amore della politica
Pensiero , passioni e corpi nel disordine mondiale
di
Valerio Romitelli
Mucchi editore, Modena 2014
Il lungo ciclo del materialismo
storico, del socialismo, del comunismo e dei partiti di classe è finito.
Ma non ha fallito. Ha sperimentato una singolare tendenza alla
giustizia sociale. Quella culminata nel glorioso trentennio 1945/75:
possibile solo perché in mezzo mondo c’erano regimi capaci di
dimostrare, anche a costo di terribili sacrifici, che politiche
egualitarie erano universalmente realizzabili. Sulla base di questi
presupposti si offre un inedito taglio dei maggiori problemi del nostro
tempo quale l’ incipiente crisi del capitalismo e delle democrazie
improntate al modello americano, nonché il rapido dilatarsi di
popolazioni che i governi abbandonano a un destino di sfruttamento e
sofferenza sociale.
Al cuore del libro si trova una formulazione di un nuovo possibile orizzonte di sperimentazione politica: l’orizzonte di un materialismo politico, nel quale protagonisti siano il pensiero, anziché la coscienza, le passioni, anziché gli interessi, e a condizione che prendano corpo in nuove “particelle” organizzative, come quelle già sporadicamente operanti nel secolo scorso, specie attorno al ’68. L’amore della politica risulta così una vera e propria energia materiale, discontinua, come ogni grande passione, ma con conseguenze irreversibili. Un’energia oggi latitante, che va ripensata e riorganizzata.
Al cuore del libro si trova una formulazione di un nuovo possibile orizzonte di sperimentazione politica: l’orizzonte di un materialismo politico, nel quale protagonisti siano il pensiero, anziché la coscienza, le passioni, anziché gli interessi, e a condizione che prendano corpo in nuove “particelle” organizzative, come quelle già sporadicamente operanti nel secolo scorso, specie attorno al ’68. L’amore della politica risulta così una vera e propria energia materiale, discontinua, come ogni grande passione, ma con conseguenze irreversibili. Un’energia oggi latitante, che va ripensata e riorganizzata.
Valerio Romitelli
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lunedì 17 marzo 2014
25/2/1992. BO: mobilitazione contro il revisionismo di Ernst Nolte
da: staffetta
A fine febbraio del 1992 alcune centinaia
di studenti dell’Università di Bologna occupavano pacificamente l’aula
in cui avrebbe dovuto parlare lo storico Ernst Nolte per contrapporsi
alla tesi semplificante della «guerra civile europea» che equiparava
nazifascismo e bolscevismo relativizzando lo sterminio ebraico e
minimizzando i tratti specifici del razzismo di Stato del Novecento.
Quella protesta, che allora ebbe una risonanza addirittura europea, fu
un piccolo evento di vita universitaria, ma tanti di coloro che vi
presero parte con entusiasmo vi sentirono un impegno ulteriore di
approfondimento critico, di militanza antifascista e di memoria civile. Leggi il resto su Magma.
lunedì 3 marzo 2014
Walter Benjamin, «Segnalatore d’incendio»
L’idea che ci si fa
della lotta di classe può indurre in errore. Non si tratta, in essa,
di una prova di forza in cui si decida la questione di chi vince e
chi perde, né di uno scontro al cui termine al vincitore andrà bene
e allo sconfitto male. Pensare così
significa dare ai fatti un travestimento romantico. Perché la
borghesia, sia che vinca o che soccomba nella lotta, è comunque
condannata a perire dalle sue interne contraddizioni che le
riusciranno fatali nel corso del suo sviluppo. La questione è
soltanto se essa perirà per mano propria o per mano del
proletariato. Durata o fine di un’evoluzione culturale tre volte
millenaria saranno decise dalla risposta a questo punto. La storia
nulla sa dell’infinito di bassa lega simboleggiato dai due
gladiatori eternamente in lotta. Solo per scadenze fa i suoi calcoli
il vero politico. E la liquidazione della borghesia non si sarà
compiuta ad un punto quasi esattamente calcolabile (lo segnalano
inflazione e guerra chimica) tutto sarà perduto. Prima che la
scintilla raggiunga la dinamite, la miccia va tagliata. Intervento,
rischio e rapidità del politico sono una questione di tecnica, non di
cavalleria.
“Segnalatore
d’incendio” da: Walter Benjamin, Gesammelte
Schriften,
Suhrkamp,
Frankfurt a. M. 1972 trad.
it. in Walter
Benjamin, Strada
a senso unico. Scritti 1926-1927, a c. d. Giorgio Agamben, Einaudi, Torino 1983.
venerdì 14 febbraio 2014
«Cattive condotte», di Sandro Mezzadra
da il manifesto
La pubblicazione dei corsi tenuti da Michel Foucault al
Collège de France tra il 1970 e il 1984 ha ormai sedimentato un
secondo corpus di opere del filosofo francese, accanto a quelle da
lui pubblicate. E non si può che rimanere affascinati, anche
semplicemente scorrendo i volumi, dall’inquietudine e dal rigore con
cui egli apriva continuamente nuovi cantieri di ricerca, da quello
sul neoliberalismo (a cui è dedicato il corso del 1979) a quelli
greci e tardo-antichi degli ultimi anni. Temi e concetti associati al
lavoro di Foucault, ad esempio quelli di «governamentalità» e
«biopolitica», trovano nei corsi della seconda metà degli anni
Settanta sviluppi di straordinaria e talvolta imprevista
ricchezza. E d’altro canto, ascoltando «la parola pubblicamente
proferita da Foucault» (a cui i curatori si attengono con
scrupoloso rigore), ne abbiamo imparato a conoscere lo stile di
insegnante, l’eleganza ma anche la capacità di affascinare
e coinvolgere chi lo ascoltava.
Si capisce dunque come l’uscita di un nuovo corso, mentre l’edizione si avvia alla conclusione, costituisca sempre un evento. Quello da poco pubblicato in Francia si intitola La societé punitive (a cura di Bernard E. Harcourt, EHESS/Gallimard/Seuil, pp. 354, euro 26), ed è stato tenuto nel primo trimestre del 1973. Si situa dunque in uno dei momenti di più intensa militanza politica di Foucault, in particolare sui temi della penalità e della prigione, a fianco delle lotte e dell’organizzazione autonoma dei detenuti. «Indignazione» e «collera», come giustamente sottolinea Harcourt, danno il tono generale a questo corso, e lo rendono tra le altre cose un documento dell’appassionata ricerca di uno stile di lavoro intellettuale capace di situarsi del tutto all’interno della lotta politica. Sotto il profilo del metodo, poi, è un corso in qualche modo di transizione, caratterizzato dalla ricerca e dalla sperimentazione di un’articolazione tra «archeologia» e «genealogia». Molti temi qui affrontati sono ripresi da Foucault in conferenze e testi dello stesso periodo (in particolare in La verità e le forme giuridiche, in La vita degli uomini infami e in Io, Pierre Rivière), nonché naturalmente nel grande libro dedicato nel 1975 alla nascita della prigione, Sorvegliare e punire, di cui il corso del 1973 costituisce una sorta di prova generale.
La stessa categoria di «potere disciplinare» (di «società a potere disciplinare») appare nel corso del 1973 forse definita in modo meno preciso, ma più duttile e meno rigidamente ancorata alla produzione di una determinata figura di soggettività (l’individuo) e a una specifica forma di istituzione (sul celebre modello benthamiano del panopticon).
Foucault comincia del resto il corso con una serrata critica della categoria di «esclusione», che a suo avviso non consente di «analizzare le lotte, i rapporti, le operazioni specifiche del potere». In questione non è qui soltanto il riferimento alla natura «produttiva» (e non solamente repressiva) del potere e al nesso strettissimo tra potere e sapere: La societé punitive studia questo nesso sul terreno della penalità e lo contrappone, in termini teorici, allo «schema dell’ideologia», secondo cui «il potere non può produrre nell’ordine della conoscenza che degli effetti appunto ideologici», di copertura e di falsa coscienza. Sono temi noti ai lettori di Foucault, così come – soprattutto negli scritti di questi anni – è ricorrente l’enfasi posta sulla natura relazionale del potere, sul suo costitutivo nesso con le resistenze e con le lotte.
È tuttavia proprio a quest’ultimo riguardo che il corso del 1973 presenta elementi di indubbia originalità, a partire dalla scelta della «guerra civile» come schema teorico fondamentale per la comprensione critica del potere (la politica, afferma Foucault, «è la prosecuzione della guerra civile»). Tanto lo sviluppo dei sistemi morali, la cui ricostruzione prende avvio dallo studio della dissidenza religiosa in Inghilterra tra Sei e Settecento, quanto le trasformazioni dei regimi di governo e di controllo vengono analizzati sullo sfondo di una fitta trama di «illegalismi popolari», che condizionano in profondità l’evoluzione dei regimi giuridici e delle tecniche punitive.
Si capisce dunque come l’uscita di un nuovo corso, mentre l’edizione si avvia alla conclusione, costituisca sempre un evento. Quello da poco pubblicato in Francia si intitola La societé punitive (a cura di Bernard E. Harcourt, EHESS/Gallimard/Seuil, pp. 354, euro 26), ed è stato tenuto nel primo trimestre del 1973. Si situa dunque in uno dei momenti di più intensa militanza politica di Foucault, in particolare sui temi della penalità e della prigione, a fianco delle lotte e dell’organizzazione autonoma dei detenuti. «Indignazione» e «collera», come giustamente sottolinea Harcourt, danno il tono generale a questo corso, e lo rendono tra le altre cose un documento dell’appassionata ricerca di uno stile di lavoro intellettuale capace di situarsi del tutto all’interno della lotta politica. Sotto il profilo del metodo, poi, è un corso in qualche modo di transizione, caratterizzato dalla ricerca e dalla sperimentazione di un’articolazione tra «archeologia» e «genealogia». Molti temi qui affrontati sono ripresi da Foucault in conferenze e testi dello stesso periodo (in particolare in La verità e le forme giuridiche, in La vita degli uomini infami e in Io, Pierre Rivière), nonché naturalmente nel grande libro dedicato nel 1975 alla nascita della prigione, Sorvegliare e punire, di cui il corso del 1973 costituisce una sorta di prova generale.
Tattiche penali
«Perché questa strana istituzione che è la prigione?». Questa domanda guida tanto Sorvegliare e punire quanto La societé punitive. È tuttavia significativo che nel corso del 1973 essa venga formulata in termini espliciti soltanto all’inizio dell’ultima lezione. Foucault, a quel punto, aveva già ampiamente mostrato come la detenzione e la reclusione si fossero installate al centro dei sistemi penali europei soltanto con le «grandi riforme avviate negli anni compresi tra il 1780 e il 1820». La prigione era stata dunque «de-naturalizzata», e poteva a buon diritto apparire come una «strana istituzione»: la sua emergenza storica era stata studiata nelle lezioni precedenti dall’interno di trasformazioni profonde della morale, delle tecniche di governo e di polizia e delle «tattiche penali». Proprio l’attenzione rivolta alla sua emergenza storica in qualche modo «de-centra» la prigione rispetto all’analisi condotta in Sorvegliare e punire: Foucault, in altri termini, non guarda alla società a partire dalla prigione (come sembra avvenire in alcuni capitoli del libro del 1975), ma punta piuttosto a comprendere quest’ultima a partire dalle trasformazioni più generali che segnano l’avvento del capitalismo moderno.La stessa categoria di «potere disciplinare» (di «società a potere disciplinare») appare nel corso del 1973 forse definita in modo meno preciso, ma più duttile e meno rigidamente ancorata alla produzione di una determinata figura di soggettività (l’individuo) e a una specifica forma di istituzione (sul celebre modello benthamiano del panopticon).
Foucault comincia del resto il corso con una serrata critica della categoria di «esclusione», che a suo avviso non consente di «analizzare le lotte, i rapporti, le operazioni specifiche del potere». In questione non è qui soltanto il riferimento alla natura «produttiva» (e non solamente repressiva) del potere e al nesso strettissimo tra potere e sapere: La societé punitive studia questo nesso sul terreno della penalità e lo contrappone, in termini teorici, allo «schema dell’ideologia», secondo cui «il potere non può produrre nell’ordine della conoscenza che degli effetti appunto ideologici», di copertura e di falsa coscienza. Sono temi noti ai lettori di Foucault, così come – soprattutto negli scritti di questi anni – è ricorrente l’enfasi posta sulla natura relazionale del potere, sul suo costitutivo nesso con le resistenze e con le lotte.
È tuttavia proprio a quest’ultimo riguardo che il corso del 1973 presenta elementi di indubbia originalità, a partire dalla scelta della «guerra civile» come schema teorico fondamentale per la comprensione critica del potere (la politica, afferma Foucault, «è la prosecuzione della guerra civile»). Tanto lo sviluppo dei sistemi morali, la cui ricostruzione prende avvio dallo studio della dissidenza religiosa in Inghilterra tra Sei e Settecento, quanto le trasformazioni dei regimi di governo e di controllo vengono analizzati sullo sfondo di una fitta trama di «illegalismi popolari», che condizionano in profondità l’evoluzione dei regimi giuridici e delle tecniche punitive.
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